Archive pour novembre, 2012

9 novembre, Dedicazione della Basilica Lateranense: Noi siamo ‘l’edificio’ di Dio, la Sua Chiesa

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Noi siamo ‘l’edificio’ di Dio, la Sua Chiesa

mons. Antonio Riboldi

Dedicazione della Basilica Lateranense ( Omelia del 09/11/2008)

Vangelo: Gv 2, 13-22  

La Parola di Dio, oggi, ci interpella, e seriamente, su cosa intendiamo per ‘Chiesa’.
Se ci facciamo caso, normalmente ci fermiamo al tempio.
Ogni paese, ogni comunità, ha la sua Chiesa e tutti consideriamo solo questo aspetto: la Chiesa come ‘luogo’ dove avviene l’incontro ‘a tu per Tu’ con Dio, nelle liturgie, nella preghiera e nell’adorazione del SS.mo Sacramento.
Ci sono chiese o cattedrali, che sono un vero splendore di arte, altre più modeste, ma tutte ‘casé di Dio. I nostri fratelli nella fede si sono sempre prodigati affinché le ‘case di Dio-con noi’ fossero belle, creando dei veri capolavori d’arte.
Ricordo che, dopo il terremoto del Belice, Paolo VI raccomandava a noi parroci, nel momento della ricostruzione, di costruire ‘chiese a misura di abitanti’, semplici, ossia che rispecchiassero la povertà dei fedeli.
Ma se intendiamo per chiesa ‘il luogo di incontro con Dio’, tutto può essere Chiesa: la famiglia, detta ‘piccola Chiesa domestica’, e lo stesso luogo di lavoro.
Quello che conta è che rispecchi la presenza del Padre.
Dopo il terremoto, nei tempi di vita nelle tende, la Chiesa era una tenda in cui, a volte, per la sua precarietà, dovevamo celebrare con l’ombrello!
S. Paolo, oggi, ‘va oltre’, in profondità e oggi, stupendamente, ci definisce:
“Fratelli, voi siete l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio, che mi è stata data, come un sapiente architetto, io ho posto il fondamento, un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti non si può porre un fondamento diverso da quello che già si trova, che è Gesù Cristo. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui, perché santo è il tempio di Dio, che siete voi » (Corinzi 3.9-17).
Oggi, la liturgia celebra la ‘Dedicazione della Basilica Lateranense’, costruita dall’imperatore Costantino, sul colle Laterano e, a quanto risulta, questa festa, già dal XII secolo era celebrata il 9 novembre.
Inizialmente fu una festa solo della città di Roma. In seguito la celebrazione fu estesa a tutte le Chiese dell’Urbe e dell’Orbe, come segno di amore e di unità verso la cattedra di Pietro che, secondo S. Ignazio di Antiochia, ‘presiede a tutta l’assemblea della carità’.
La nostra appartenenza alla Chiesa inizia il giorno del Battesimo, la vera ‘seconda nascità.
Nella Chiesa siamo cresciuti, con i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia e siamo stati accolti di fatto con il sacramento della Cresima, che ci ha resi consapevoli ‘testimoni della fede’.
Nella Chiesa tanti hanno iniziato il cammino della loro specifica vocazione, con la celebrazione del sacramento del Matrimonio.
Così la Chiesa è o dovrebbe essere la casa in cui percorriamo il pellegrinaggio verso la celeste Chiesa, che è il Paradiso. Ma è così per tutti?
O abbiamo della Chiesa concetti sbagliati, che la privano della sua divina bellezza?
È la casa di Dio con noi e di noi con Dio. Ma è davvero vissuta così?
Impensierisce il fatto che tanti cristiani, da tempo, non la considerino più la casa di Dio con noi, vedendo, pericolosamente, come sola casa, il mondo: una casa senza Dio, tremenda, con tutti i mali che ne conseguono!
Nella Chiesa, Dio ci raduna come una sola famiglia che si ama e cresce con Lui nell’Amore.
Fuori si rischiano false amicizie o compagnie, che devastano la bellezza della nostra vita interiore, distruggono ‘l’edificio di Dio’, che noi siamo.
Quando, da vescovo, ogni domenica, chiamavo i fedeli alla celebrazione eucaristica e vedevo il Duomo affollato di fedeli, provavo la grande gioia di chi si sente in famiglia.
Era lì che si costruiva il tempio di Dio. E lo provo ancora oggi.
Paolo VI lamentava, senza perdere l’ottimismo, che nasce da una fede salda e sicura: “Lo sviluppo della vita moderna sembra rivolto contro la Chiesa, per l’incredulità che professa, per l’illusione di sufficienza che crea nell’uomo, per il laicismo e l’ateismo. A questo succede l’abbandono – di popoli interi e di generazioni nuove – delle sante e sublimi tradizioni religiose, che dovrebbero costituire la più preziosa e gelosa eredità della nostra età. Dall’altra parte i fenomeni degni di nota sono quelli che documentano una potente vitalità della Chiesa, che, sempre più priva degli aiuti e dei privilegi, che venivano dalla società temporale, cava dal suo stesso seno le forze per la sua difesa e prosperità. È il .flusso dello Spirito Santo, che invade ancora le sue membra e le fa agili e forti. È il vento della Pentecoste, che soffia nelle vele della mistica nave, la quale non teme più le tempeste. E sotto l’aspetto visibile e sociale, vi è l’avvento del laicato cattolico a una più articolata collaborazione all’apostolato gerarchico. Grande ora è questa che offre ai fedeli la sorte di concepire la vita cattolica come una dignità e fortuna, come una nobiltà e una vocazione” (9 giugno 1957).
Ma qualche volta, purtroppo, come ‘il tempio di Dio’ che ognuno di noi è, anche la Chiesa, come edificio di culto, luogo di intimità con Dio, che esige il massimo rispetto, viene ‘usatà in modi che nulla hanno a che fare con la sua vera natura.
Basta pensare a certi matrimoni o prime comunioni, veri ‘spettacoli mondani’…non si può esprimere l’impressione che ne nasce, ma sentiamo Gesù: “Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi e ai venditori di colombe disse: Portate via queste cose e non fate della casa di mio Padre un luogo di mercato. I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la Tua casa mi divora” (Mt 2, 13-22).
E credo che Gesù, anche oggi, davanti a tante violazioni della Casa del Padre Suo, userebbe la stessa sferza.
Già il beato Rosmini, a suo tempo, scrisse un libro che intitolò: “Le cinque piaghe della Santa Chiesa”. Le aveva meditate e scritte negli anni precedenti, ma volle presentarlo nel 1848.
Inaspettatamente, il 6 giugno 1849, in seguito al giudizio della Congregazione dell’Indice,
Pio IX, che aveva sempre stimato e amato Rosmini, sanzionò la condanna del suo testo.
Sarà Paolo VI, prima di eliminare l’Indice, a togliere questa opera dall’elenco, dichiarando che non meritava tale sentenza e, anzi, ‘Le cinque piaghe’ divennero, secondo molti, ispirazione per molti argomenti affrontati dal Concilio Vaticano II.
Secondo Rosmini le piaghe della Santa Chiesa erano:
- la piaga della mano sinistra della santa Chiesa è la divisione del popolo dal Clero, nel pubblico culto;
- la piaga della mano dritta della santa Chiesa è l’insufficiente educazione del Clero;
- la piaga del costato della santa Chiesa è la disunione dei vescovi;
- la piaga del piede destro della santa Chiesa è la nomina dei vescovi, abbandonata al potere temporale;
- la piaga del piede sinistro della santa Chiesa è la servitù dei beni temporali.
E prima di scriverle il beato Rosmini faceva queste considerazioni: “Trovandomi in una villa del Padovano, io posi mano a scrivere questo libro a sfogo dell’animo mio addolorato e fors’anco a conforto altrui. Esitai prima di farlo: perciocché meco medesimo mi proponeva la questione: Sta egli bene che un uomo senza giurisdizione, componga un trattato sui mali della Santa Chiesa? E il rilevarne le piaghe non è forse un mancare di rispetto agli stessi Pastori della medesima, quasi che essi o non conoscessero tali piaghe o non ponessero loro rimedio? A questa questione io mi rispondevo, che il meditare sui mali della Chiesa, anche a un laico non poteva essere riprovevole, ove a ciò fosse mosso dal vivo zelo del bene di essa e della gloria di Dio”.
Quanto i Santi amavano e amano la Chiesa di ieri e di oggi!
Sanno vivere quanto Paolo scrisse ai Corinti: “Voi Siete l’edificio di Dio… Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito santo abita in voi?”.
Piace chiudere la riflessione con una esortazione di Don Tonino Bello: “Noi, come Chiesa, siamo il popolo che passa in mezzo al mondo per annunciare che il Signore è risorto e cammina con noi. Noi non dobbiamo chiudere gli occhi finché il mondo non dorme sonni tranquilli: noi dobbiamo essere i servi del mondo, non dobbiamo avere paura di piegarci per lavare i piedi del mondo. Non siamo una Chiesa che si mimetizza; non siamo una Chiesa populista; non una Chiesa ridotta al rango di ancella, non una Chiesa schiava. La Chiesa deve giocare come serva, non come serva del mondo, non come riserva del mondo, e neppure che faccia il braccio di ferro con il mondo…ma diga squarciata dei pensieri di Dio, sembra dire al mondo così: D’ora in poi, le tue gioie saranno le mie; spartirò con te il pane amaro delle identiche tristezze; mi farò coinvolgere delle tue stesse speranze e le tue angosce stringeranno anche a me la gola con l’identico groppo di paura. Noi, tuoi figli, ti diciamo: GRAZIE, CHIESA, perché ci aiuti a ricollocare le nostre tende nell’accampamento degli uomini”.
Non ci resta che chiedere allo Spirito di provare gioia e orgoglio anche noi, per “essere edificio di Dio, tempio in cui Egli abita”.

The ark of Noah and the cosmic covenant, stavo cercando qualche testo geologico-critiano sul diluvio, ma non ho trovato niente che mi convincesse

The ark of Noah and the cosmic covenant, stavo cercando qualche testo geologico-critiano sul diluvio, ma non ho trovato niente che mi convincesse  dans immagini sacre 15%20NOAH%20S%20ARK

http://www.artbible.net/1T/Gen0601_Noah_flood/index_5.htm

Publié dans:immagini sacre |on 7 novembre, 2012 |Pas de commentaires »

Paolo e i Gentili

http://www.saverianibrescia.com/missione_oggi.php?centro_missionario=archivio_rivista&rivista=2009-09&id_r=67&sezione=parola_e_missione&articolo=paolo_e_i_gentili&id_a=2281

Novembre 2009 

Paolo e i Gentili

di: p. Fabrizio Tosolini

Fabrizio Tosolini, missionario saveriano, di Tricesimo (UD), licenziato in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico di Roma, dottore in Teologia Biblica presso la Facoltà di Teologia della Fu Jen Catholic University di Taipei (Taiwan) con una tesi sulla Lettera ai Romani, insegnante di Sacra Scrittura a Taipei

È facile fare delle letture romantiche sulla visione universalistica che Paolo ha nutrito in se stesso e diffuso nella Chiesa degli inizi.

CRISTO: SALVEZZA PER TUTTI GLI UOMINI                        
 In questo contesto di latente violenza Paolo scopre che in Cristo, rigettato dai suoi, crocifisso fuori della sua città, sospeso tra cielo e terra, una salvezza nuova e divina viene offerta. E questa salvezza è per tutti gli uomini perché proposta al cuore di ognuno, nella scoperta di essere amato da Cristo, e nella scelta di affidarsi totalmente alla sua fedeltà.
Da qui Paolo trae una serie di conseguenze, di cui la prima è il superamento di una certa visione umana di Israele come mediatore imprescindibile della salvezza divina (il superamento di una visione assoluta della propria appartenenza culturale); la seconda è l’impegno missionario verso tutti i popoli; la terza è la visione della comunità cristiana come luogo della comunione tra tutti i credenti, nel superamento di ogni appartenenza previa e nella creazione di una nuova tradizione, frutto dell’apporto di tutti, sotto la guida dello Spirito; tradizione unitaria non solo nello spazio, ma anche nel tempo.
L’impegno missionario verso tutti i popoli è il tratto più evidente della missione di Paolo, testimoniata dal libro degli Atti e dalle Lettere.
Occorre dire che tale azione deve essere ritenuta più estesa di quanto il Nuovo Testamento riporta. I tre anni in Arabia tra i Nabatei e la predicazione nell’Illirico, di cui parlano rispettivamente Galati e Romani, sono probabilmente solo la punta di un iceberg, del quale non ci è nota la parte sommersa. Paolo deve aver avuto un’irresistibile passione di comunicare il Vangelo ovunque passasse, a chiunque incontrasse, indifferente alle differenze culturali, favorito in questo dalla patina di uniformità stesa in tutto il bacino del Mediterraneo dalla cultura imperiale ellenistico-romana e dall’uso della koine. [Occorre anche ricordare che la spinta missionaria della Chiesa nascente non conosceva limiti geografici, e si irradiava già fino all'Etiopia e all'India. Paolo è solo il caso da noi meglio conosciuto].
Questo suo impegno missionario deve essere stato anche la causa della persecuzione giudaica che lo ha accompagnato praticamente sempre nel suo ministero (cf. 1 Tess 2,15-16), costituendo per lui la minaccia più pericolosa e reale, date le attinenze giudaiche con il potere romano.

UNA CHIESA MULTIETNICA E MULTICULTURALE
Per quanto riguarda il progetto ecclesiale universalistico perseguito da Paolo, sulla base delle sue lettere possiamo immaginarne i tratti salienti.
Possiamo ritenere che egli sperava di veder nascere, come frutto della predicazione evangelica, delle comunità multietniche e multiculturali, nelle quali i differenti punti di partenza sarebbero confluiti nell’unica voce di lode a Dio (cf. Rm 15,6). Tale rendimento di grazie, all’interno di ogni singola comunità sarebbe frutto dell’esercizio di quella carità scambievole che cerca non l’utile proprio ma quello dell’altro, facendosi una cosa sola con i più deboli nella fede, perché tutti giungano alla salvezza (1 Cor 10,33).
Invece tra le comunità, sparse in Giudea, in Asia e in Grecia, tale ringraziamento (cf. 2 Cor 9,12-15) sarebbe frutto di una comunione di beni, sia materiali che spirituali, segno dell’unità creata da Cristo tra tutti i suoi fedeli e della sua signoria universale.
Si tratta di un progetto nuovo, sorprendente, di cui ancora oggi stentiamo a cogliere la portata. Dare forma a tale progetto implica trovare e proporre alcuni parametri essenziali, che tutti debbano seguire, e che siano possibili e accettabili a tutti.
Attorno a questi parametri si può immaginare che si siano creati dei contrasti all’interno della prima Chiesa: da una parte causa di conflitti e contro-missioni volte a propagandare diverse posizioni dottrinali; dall’altra occasione preziosa per approfondire la verità del Vangelo.
La risposta dei giudeo-cristiani al problema della convivenza con i credenti provenienti da altri popoli e culture era duplice: o ci si atteneva alle prescrizioni ritualistiche della tradizione giudaica, o si separavano le comunità, cosa che deve essere successa ad Antiochia (cf. Gal 2,11-14), determinando la partenza definitiva di Paolo da quella città. I greci avrebbero potuto osservare i punti contenuti nel decreto del Concilio di Gerusalemme (cf. At 15,5-29), i giudei avrebbero continuato a vivere secondo le loro tradizioni.

FEDE, SPERANZA E CARITÀ: I CARDINI DELLA CONVIVENZA ECCLESIALE
Paolo ha un’altra visione e proposta, che parte da molto più lontano. Per lui cardini della convivenza ecclesiale sarebbero le tre virtù: fede, speranza e carità, virtù che appaiono insieme fin dal primo capitolo della prima opera del Nuovo Testamento (1 Tess 1,3).
L’elaborazione della triade delle virtù teologali sembra debba essere attribuita al genio ispirato di Paolo (prima di lui non è attestata); con esse egli descrive da una parte il percorso che porta il credente e la comunità alla salvezza (si veda per questo tutta la Lettera ai Romani, che in 1,16-4,25 sviluppa il tema della fede; in 5,1-8,39 quello della speranza, e in 12,1-15,13 quello della carità); dall’altra offre il parametro relazionale fondamentale che regge la vita della comunità nelle sue dimensioni storiche e culturali.
In questo senso Rm 14 è di grande importanza: Paolo esorta i cristiani a non giudicare chi ha usanze diverse, a non disprezzare chi è debole, a non porre ostacoli o inciampi al fratello, a impegnarsi nelle opere della pace e della edificazione vicendevole: la gara non è a chi sa usare meglio per un proprio supposto vantaggio (altri progetti privati) i doni di Cristo, ma a chi sa offrire di più di se stesso in vista della costruzione della Chiesa (il progetto di Cristo). Tutto questo perché il regno di Dio « non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini » (Rm 14,17-18).
È possibile che questa proposta paolina sia sembrata troppo aleatoria, incapace di dare vita a una comunità chiaramente riconoscibile e distinguibile da altre. Paolo stesso, messo a confronto con il problema delle carni offerte agli idoli (1 Cor 8,1-11,1), offre solo dei parametri per un discernimento da effettuarsi caso per caso; d’altra parte la legge della nuova alleanza è la grazia dello Spirito Santo, che viene data attimo per attimo. Ma pur con la sua apparente debolezza la visione di Paolo è quella che apre alla storia.
Nello stesso tempo occorre anche ricordare, e tutta 1 Cor lo mostra continuamente, quanto sia grande l’importanza che Paolo attribuisce alle tradizioni già esistenti nella Chiesa, e con quanta forza chieda ai corinzi di accoglierle. Il frutto comunitario che continuamente matura sotto il sole dello Spirito Santo, la tradizione che si forma nelle comunità e nella Chiesa, crescendo su se stessa con l’apporto della donazione di credenti di tutti gli spazi e di tutti i tempi è per lui la visibilità del Risorto.

FABRIZIO TOSOLINI

Più Bibbia, meno settarismi

http://www.sanpaolo.org/jesus/0705je/0705je86.htm

Più Bibbia, meno settarismi

di Ernesto Borghi  

Nel mondo cattolico italiano, la riscoperta delle Sacre Scritture ha fatto grandi passi avanti negli ultimi quarant’anni. Eppure molto si può ancora fare in questo senso. A partire da un sostegno meno reticente ai laici competenti fino a un insegnamento culturalmente ineccepibile nelle scuole.
È la Bibbia la fonte primaria di riferimento per la vita di ebrei e cristiani e una delle radici essenziali della cultura dell’Occidente? Questo interrogativo appare più che legittimo, quando si considera lo sviluppo storico dell’Occidente almeno negli ultimi duemilacinquecento anni e la prassi esistenziale comune, perlomeno dal secondo dopoguerra a oggi.
La costituzione dogmatica conciliare Dei Verbum, in particolare al n. 25, incoraggia decisamente alla lettura delle Sacre Scritture. Gli ultimi duecentocinquant’anni e, in particolare, soprattutto per i cattolici, gli ultimi quaranta sono stati fondamentali per un rapporto tra i credenti e le Scritture sempre più scientificamente sostenibile ed esistenzialmente maturante. Nelle tre dimensioni costituzionali della vita ecclesiale – la catechesi, la liturgia, la solidarietà sociale fattiva – la Bibbia ha conosciuto e conosce una presenza sempre più significativa.
Il processo « provvidenziale » che ha avuto, tra i suoi decisivi sostenitori, numerosi esponenti storici della Riforma protestante nella prospettiva, variamente fondata, di una centralità scientifica ed esistenziale delle Scritture nella vita della Chiesa, ha trovato le sue affermazioni più autorevoli, tra i cattolici, a partire dalla fine del XIX secolo.
Soprattutto tra cattolici e protestanti riformati si possono oggi vivere itinerari comuni di lettura e approfondimento delle Scritture a livello scientifico-accademico o divulgativo-esistenziale. Ciò avviene anche perché sono sempre più diffuse due persuasioni: le metodologie del filone storico-critico sono la base per qualsiasi approccio non fondamentalistico alla Bibbia (esegesi ed ermeneutica sono momenti distinti ma indissolubili di qualsiasi confronto con i testi biblici); l’ascolto della Parola biblica e il confronto tra essa e la propria vita sono del tutto basilari per qualsiasi discorso formativo anzitutto ebraico e cristiano.
Indubbiamente tanti progressi si sono realizzati rispetto a un passato, anche piuttosto recente, in cui tristi timori e gravi sospetti accompagnavano tutti coloro i quali – fossero anche seminaristi, suore o frati – cercavano di possedere una copia della Bibbia per leggerne personalmente le pagine e approfondire anche individualmente quanto vi era contenuto. Nel contempo aumentano sensibilmente le richieste e le iniziative culturali e pastorali che le reputano fondanti per qualsiasi discorso di autentica formazione spirituale e sociale degli individui e che contribuiscono realmente a farle conoscere e apprezzare.
Un quadro, ricco di « luci », che delinea un dinamismo certamente positivo, nel quale però le ombre e le difficoltà non mancano. Spesso la Bibbia non costituisce il punto di riferimento centrale nella pianificazione pastorale e nelle proposte formative a tutti i livelli del popolo di Dio, perlomeno in Europa. Questo fatto dipende certamente da molte ragioni, tra le quali la carente e datata formazione biblica di una parte del clero (sacerdoti e vescovi), in particolare in Italia: si è spesso in grado di cogliere la bellezza e l’efficacia di una conferenza o di una lectio, ma poco inclini a impostare l’intera azione del loro ministero pastorale a partire dalla Parola di Dio e sulla base di essa.
A questo si aggiunge un altro dato che mi pare assai importante. Vi sono ambienti ecclesiali in cui si considerano, con maggiore rispetto e apprezzamento, gli scritti di questo o quel fondatore di gruppi o movimenti piuttosto che i testi biblici e la libertà spirituale che consegue da una loro matura e seria lettura. Sarebbe molto interessante, per esempio, verificarlo esaminando i progetti formativi e la prassi di vita di gruppi, movimenti e congregazioni che si sono affacciati all’attenzione ecclesiale dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, ossia da quando nella Chiesa cattolica la considerazione della Bibbia ha assunto connotati di serietà scientifica ineguagliabili rispetto al passato.
D’altra parte le energie economiche e umane che sono dedicate in Italia allo studio e alla divulgazione e alla conoscenza seria della Bibbia sono certamente inadeguate. Ed è piuttosto grave il fatto stesso che, ancora oggi, pochissimi di coloro che si dedicano professionalmente a questo campo siano laiche e laici che vivano confortevolmente, insieme alle loro famiglie, di questo lavoro. Favorire in larga scala la presenza di non presbiteri realmente preparati tra gli studiosi della Bibbia (ma anche di altre discipline storico-religiose e teologiche) consentirebbe un’osmosi sempre più ricca tra la ricerca scientifica in campo biblico e teologico e la vita quotidiana della società umana nel suo complesso.
Indubbiamente – per rifarci alla situazione ecclesiale in Svizzera, Germania e Austria negli ultimi vent’anni – taluni « assistenti pastorali » hanno gravemente disatteso il ruolo formativo e testimoniale che avrebbero dovuto svolgere nella vita delle comunità locali. Ciononostante se la Chiesa cattolica vuole vivere realmente lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II, non può che mettere in atto – anche nelle aree di lingua madre neolatina attraverso l’apporto di figure professionali analoghe a quelle appena menzionate – progetti e strategie utili a moltiplicare le occasioni in cui il « popolo di Dio » confronta menti e cuori con la Parola del Signore molto più organicamente di quanto avviene oggi.
Le energie intellettuali per pensare e attuare tutto ciò esistono. E si possono trovare, senza troppi sforzi di fantasia, anche le risorse finanziarie per sostenere adeguatamente le persone in grado di lavorare bene nelle prospettive appena indicate sia nelle facoltà universitarie ecclesiastiche sia nell’azione pastorale tout-court. Basta non averne paura e guardare a esse con fiducia e simpatia, attraverso l’apertura interiore propria di un altro testo conciliare quale la costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. in particolare il n. 44).
Occorre dare spazio crescente e seriamente configurato sotto ogni punto di vista, nelle istituzioni accademiche e pastorali ecclesiali, a donne e uomini ricchi di creatività e competenza scientifica. Sarebbero ben lieti di operare nella Chiesa italiana mettendo le proprie competenze professionali scientifiche e didattiche a disposizione della formazione biblica e teologica garantita da istituzioni accademiche e pastorali in un quadro economico e normativo serio.
Appare molto grave anche il fatto che, nei sistemi scolastici pubblici europei, lo studio dei classici della letteratura assai spesso non contempli l’attenzione alle Scritture bibliche secondo pari dignità rispetto ad altri « monumenti » della letteratura antica, medioevale, moderna e contemporanea. Spesso ci si limita a sostenere, più o meno esplicitamente, che gli insegnamenti scolastici di cultura religiosa, quando esistono, già se ne occupano.
Chi lo afferma, mostra di non rendersi conto che la Bibbia, in virtù anzitutto della sua incidenza storica nel tessuto culturale plurimillenario dell’Occidente, non può né deve essere terreno d’analisi esclusivo delle discipline strettamente religionistiche, in particolare nell’ambito formativo pubblico. Proporre la dimensione religiosa della cultura è certamente essenziale e la disciplina scolastica relativa deve diventare obbligatoria, a mio avviso, proprio a vantaggio della crescita interiore e sociale di tutti. Il confronto con la Bibbia, però, deve essere condotto nel quadro delle discipline letterarie, proprio là dove ci si occupa dei poemi antichi greci e latini e di altre successive testimonianze culturali di analoga rilevanza contenutistica e formale.
Non considerare le Sacre Scritture ebraiche e cristiane significa non capire gran parte dell’identità culturale, in primo luogo, dell’intero Occidente, che, sotto i profili letterario, filosofico e artistico deve moltissimo alla Bibbia.
Non impegnarsi a far entrare lo studio della Bibbia quale componente imprescindibile, per esempio, dei programmi scolastici vuol dire non aver colto l’importanza di questo discorso e contribuire a diminuire l’autocoscienza culturale delle generazioni euro-mediterranee ed euro-atlantiche presenti e future.
La battaglia meritoria che sta conducendo in proposito, in Italia, l’associazione Biblia è degna di ogni sostegno. Per raggiungere tale obiettivo occorrerebbe, però, al di là delle possibili diversificazioni tra letture « laiche » e « credenti » della Bibbia, un impegno comune di singoli e istituzioni, una vera e propria « alleanza », più globale di quanto realizzato sinora, tra tutti coloro che hanno a cuore, anche attraverso la proposta scolastica della lettura biblica, la formazione culturale seria e intensa di bambini e ragazzi del nostro Paese.
Analogo discorso vale per l’ambito universitario non ecclesiastico. Il fatto che le cattedre relative allo studio dell’Antico e del Nuovo Testamento siano numericamente assai esigue in tante istituzioni accademiche è un altro segno indiscutibile di disinteresse culturalmente davvero inqualificabile, in particolare nella società multiculturale odierna.
Enorme è il contributo etico ed estetico che le Scritture ebraiche e cristiane hanno dato nei secoli passati e possono dare all’esistenza contemporanea e a una salvaguardia dell’umanesimo più dinamico e intelligente. Ovviamente se questi terreni non sono adeguatamente investigati sotto il profilo scientifico e seriamente presentati a livello divulgativo, tale apporto risulta difficilmente fruibile, soprattutto in un’epoca come la nostra, ricchissima di opportunità e stimoli culturali, ma anche di settarismi e integralismi di ogni genere e di una superficialità etica ed estetica preoccupante.
Il rapporto dell’individuo con se stesso, quello tra l’uomo e la donna, la relazione degli esseri umani con la natura, il valore del lavoro e dei beni materiali nella vita umana: questi sono quattro ambiti fondamentali dell’esistenza dell’umanità e del mondo nei quali e sui quali i testi biblici hanno molto da proporre nell’interesse della ricerca della felicità di tutti con tutti per tutti.
Chi oggi può legittimamente sostenere il contrario, sapendo realmente quello che dice?
Le donne e gli uomini che popolano il nostro pianeta, segnatamente coloro che sono di identità culturale euro-mediterranea, hanno di fronte a sé una formidabile opportunità: leggere la Bibbia in modo serio e libero. Ciò può avvenire oggi, passo dopo passo, al di fuori di moralismi e devozionismi di corto respiro, senza chiedere sconti alla pazienza di percorrere capitoli, frasi e parole, nel tentativo di capire quello che il testo dice « nel suo contesto originario » e, successivamente, « alla vita odierna » di lettrici e lettori. Per fare tutto questo la paura, l’accademismo fine a se stesso e l’improvvisazione sono del tutto controproducenti.
La Bibbia, complessivamente intesa, propone un’idea di essere umano in cui intelletto e cuore, razionalità ed emotività sono ambiti tra loro integrati e unificati al servizio della solidarietà interumana concreta e quotidiana verso i propri simili. Per comprendere la perennità o meno di questo ideale di vita occorre un confronto continuo tra i testi biblici e le istanze della cultura del nostro tempo, in una logica di dialogo tra ispirazioni diverse che abbiano i diritti e i doveri personali e sociali delle persone al centro della loro attenzione.
Come si vede, si tratta sempre di un discorso formativo al servizio dell’essere umano nella sua integralità e delle sue possibilità di essere felice e sensato anzitutto nella dimensione terrena della sua vita, senza ripiegamenti egocentrici.
La lettura tenace, appassionata e rigorosa della Bibbia è una strada importante in questa direzione. Essa è da percorrere in chiave ecumenica, secondo una prospettiva che valorizzi armonicamente le diversità secondo un effettivo senso di responsabilità, per la Chiesa, a cominciare dalla confessione cristiano-cattolica, e per la società civile italiana di oggi e di domani.

Ernesto Borghi

Publié dans:BIBLICA (sugli studi di) |on 7 novembre, 2012 |Pas de commentaires »

Mary with the baby Jesus, Coptic Monastery of St. Paul, Red Sea

Mary with the baby Jesus, Coptic Monastery of St. Paul, Red Sea dans immagini sacre Madonna

http://iac.cgu.edu/tune/tcopmadonna.html

Publié dans:immagini sacre |on 6 novembre, 2012 |Pas de commentaires »

LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AI ROMANI

http://www.movimentoapostolico.it/romani/testi/capitoli/introdrom.htm

LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO AI ROMANI

(mi sembra quais che mi devo giustificare per mettere gli stessi temi, ma i pensieri degli uni e degli altri arricchisce secondo me)

INTRODUZIONE 

La Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani possiamo definirla un compendio perfetto del mistero della salvezza. In essa tutti i temi legati alla Redenzione dell’uomo vengono affrontati e risolti con somma chiarezza di dottrina e di sapienza nello Spirito Santo, che dona ad ogni realtà il suo valore, ma soprattutto la legge secondo la sua interiore verità.
San Paolo è questa luce soprannaturale di sapienza che dice bene il bene e male il male. In questo è di Maestro al nostro secolo che avvolto dalla grande confusione e dall’ambiguità sa trasformare il bene in male e il male in bene. Per San Paolo il peccato è peccato, la luce è luce, la grazia è grazia, il male è male e nessuno lo può chiamare bene. La non retta conoscenza di Dio o l’ignoranza circa la sua conoscenza anche questa è un male, che produce tanto altro male nel mondo.
Per San Paolo tutto il mondo è avvolto dalla non conoscenza di Dio, da una cattiva conoscenza, da una conoscenza non secondo verità. È compito dell’apostolo del Signore – e l’apostolo per questo è stato chiamato – far risplendere nel mondo dell’ignoranza e dell’ambiguità circa la conoscenza di Dio il mistero e la luce radiosa del Vangelo.
L’obbedienza alla fede è la via della salvezza. Per Paolo la fede non è un sentimento che parte dal cuore dell’uomo e raggiunge Dio. La fede nasce dalla Parola, la Parola è Cristo, Verbo Eterno ed increato del Padre, Suo Figlio Unigenito generato da Lui nell’eternità. La Parola eterna si è fatta carne, quindi parola visibile ed udibile, parola pronunziata che rivela il mistero di Dio e dell’uomo, ma lo rivela nella sua vita, per la sua vita, chiamando ognuno a diventare sua vita, divenendo suo corpo. L’obbedienza alla fede dice essenzialmente accoglienza di Cristo e della sua Parola, vita in Cristo e nella sua Parola, ascolto del Vangelo per essere vissuto in ogni sua parte. L’obbedienza pertanto è un fatto soprannaturale e l’adesione della mente e del cuore; è la consegna di noi stessi a Dio che ha parlato a noi per mezzo di Gesù Suo Figlio. L’obbedienza alla fede è il tema portante di tutta la Lettera ai Romani.
L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio ha in sé la possibilità di conoscere Dio attraverso molteplici vie. La Scrittura conosce la via analogica: dalla perfezione e bellezza delle opere di Dio si può pervenire all’infinita bellezza e sapienza di colui che le ha create. Di fatto però molti uomini vivono nell’ignoranza di Dio. Non lo conoscono, perché? La risposta Paolo non la trova nell’intelligenza dell’uomo, ma nella sua volontà. Quando un uomo non è più puro nel cuore, quando si abbandona al vizio e al peccato, quando si lascia avvolgere dalle tenebre, egli altro non fa che soffocare la verità nell’ingiustizia e l’ingiustizia è il suo agire in totale difformità con la giustizia di Dio che è la sua volontà, scritta nel nostro cuore, manifestata attraverso la rivelazione. Da qui l’urgenza di iniziare la via dell’evangelizzazione dei popoli, affinché attraverso l’ascolto della verità e il dono dello Spirito Santo possano entrare nella vera conoscenza di Dio, piena e totale, e godere i frutti della salvezza accogliendo la redenzione di Cristo Gesù.
Altro problema suscitato è quello della coscienza e della legge. Siamo salvati per l’osservanza della giustizia. La conoscenza della giustizia è data dalla coscienza e dalla conoscenza della legge. La coscienza tuttavia non possiede la pienezza della conoscenza della giustizia. La coscienza non illuminata dalla perfezione della verità conosce come a tentoni, a sprazzi. Ma l’uomo non è chiamato ad una giustizia parziale, ad una conoscenza imperfetta, ad una realizzazione a metà di sé, egli è chiamato a compiere tutto il cammino della salvezza che è per ogni uomo vocazione ad essere in tutto conforme all’immagine di Cristo Gesù. Poiché questo può solo avvenire nella conoscenza di Cristo e della sua Parola è più che giusto, anzi necessario che ogni uomo venga a conoscenza di questa verità, venga a sapere chi è Cristo e cosa ha fatto per lui, perché scegliendolo ed accogliendolo e vivendo santamente il suo Vangelo raggiunga la perfezione a cui è stato chiamato fin dall’eternità.
La giustificazione per mezzo della fede al Vangelo, cioè che nasce dall’adesione a Cristo e alla sua Parola di salvezza, è la sola salvezza perfetta. Tutte le altre sono imperfette. Sono imperfette perché non realizzano a pieno il mistero dell’uomo né su questa vita, né nell’eternità. È in questa imperfezione salvifica la ragione profonda per cui ogni cristiano e in modo particolare l’apostolo del Signore e i suoi collaboratori – Vescovo e presbiteri – hanno l’obbligo grave di coscienza di predicare il Vangelo,  di annunziare Cristo, di andare per terra e per mare per fare conoscere Lui e la potenza della sua salvezza. Questo non solo per obbedire a Gesù Cristo che li ha chiamati e li ha costituiti missionari della sua Morte e della sua Risurrezione, ma anche per amore dell’uomo. Chi ama veramente l’uomo deve dargli il bene più grande, il bene assoluto, il bene eterno, il solo bene che lo fa veramente essere uomo e questo unico bene è Gesù Cristo, solo Lui e nessun altro, nel suo mistero di morte e di risurrezione.
Gesù è il Redentore di ogni uomo e Lui ha compiuto la Redenzione mentre noi eravamo empi, lontani da Dio, suoi nemici, perché avvolti dal peccato sia originale che attuale. La morte di Gesù per gli empi al tempo stabilito non deve significare in nessun modo che noi dobbiamo restare tali o che saremo comunque salvati perché Cristo è morto per noi. Cristo è morto per gli empi, è morto per il mondo intero. La salvezza si compie nel momento in cui risuona la parola della salvezza e la si accoglie, prestando l’obbedienza alla fede, cioè alla Parola e vivendo secondo la verità in essa contenuta. Dall’empietà ognuno è chiamato a passare nella pietà, nell’amore filiale, lo stesso amore che manifestò Gesù al Padre offrendo a Lui la propria vita per la salvezza del genere umano.
Ci sono pertanto due misteri che si devono compiere nell’uomo. L’uomo attuale non è l’uomo voluto da Dio. Egli non diviene uomo per il semplice fatto di essere concepito, di nascere e di crescere come creatura umana. Ogni uomo che viene in questo mondo è avvolto dal mistero di Adamo, nasce con la sua disobbedienza, nella perdita dei beni divini ed eterni. Nasce come diviso in se stesso. Ogni sua facoltà è come se camminasse per se stessa, ma questa è solo apparenza, poiché la passione, la concupiscenza ha il sopravvento sull’anima; è il corpo che governa l’anima e non viceversa. Quando il corpo governa l’anima, tutto l’uomo cammina di peccato in peccato, di morte in morte, di stoltezza in stoltezza. L’insipienza lo avvolge e lo consuma.
Dal mistero di Adamo ogni uomo deve fare il passaggio nel mistero di Cristo e Cristo è l’uomo che è mosso solo dallo Spirito Santo, secondo la Volontà di Dio. Cristo è l’uomo che ha sottomesso tutto se stesso corpo, anima e spirito a servizio del Padre per la redenzione del mondo. Tutto Egli ha consegnato di se stesso al Padre, niente che è in Lui gli è appartenuto per un solo istante. Questa è la vocazione dell’uomo: diventare in Cristo servo del Padre, mosso dallo Spirito Santo, pronto sempre a compiere il suo volere. Questo è possibile solo per grazia, accogliendo tutta la grazia e la verità che Cristo ha fruttificato per noi sull’albero della croce, nel suo mistero di morte e di risurrezione. Cristo è la perfetta immagine a somiglianza della quale ogni uomo è chiamato a trasformarsi. Senza questa trasformazione egli non compirà il mistero di Cristo in lui che è la sua vocazione eterna. Dio Padre creando l’uomo lo ha creato perché divenisse ad immagine di Cristo suo figlio. Lo ha fatto a sua immagine e somiglianza, ma lo ha fatto solo come primo momento della creazione dell’uomo, come momento incipiente, il momento perfettivo, momento assoluto, è quello però di divenire ad immagine di Cristo crocifisso e risorto. Questa è la vocazione e questo è il mistero che deve realizzare in sé.
Lo potrà realizzare solo per mezzo dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il primo frutto del mistero pasquale di Cristo Gesù, frutto dato, frutto da dare ad ogni uomo. Lo Spirito Santo è stato dato agli Apostoli, questi dovranno darlo ad ogni uomo, altrimenti il mistero della loro configurazione totale a Cristo Gesù non si compie, non si può realizzare. Lo Spirito viene dato attraverso una duplice via. È dato come Spirito di conversione attraverso la Parola di Cristo annunziata nella santità del missionario del Vangelo. Con la Parola che giunge al nostro orecchio lo Spirito che è nel missionario e che vive in lui operativamente a causa della sua santità, tocca il cuore e lo fa aderire alla Parola della Predicazione. Poi è dato come Spirito di rigenerazione e di conformazione al mistero di Cristo nel Battesimo e negli altri sacramenti. Nel Battesimo compie egli in noi, spiritualmente, il mistero di Cristo. In esso, nelle sue acque, egli ci fa morire al peccato e ci risuscita a vita nuova, muore l’uomo vecchio e nasce l’uomo nuovo. È questo il mistero che lo Spirito realizza per noi nel santo Battesimo. L’uomo conformato ora alla morte e alla risurrezione di Cristo Gesù, sempre mosso dallo Spirito e da Lui guidato, cammina verso la realizzazione piena di Cristo in sé, affinché veramente muoia all’ingiustizia e alla disobbedienza e nasca alla verità e all’ascolto del Padre in ogni suo desiderio. Questo mistero si compie solo alla fine del tempo quando anche nel corpo risuscitato egli sarà reso in tutto simile a Cristo, morto e risorto.
In Cristo tutto il creato è chiamato a ricevere nuova forma, nuova luce, nuova energia. Come il peccato di Adamo ha coinvolto la creazione nella caducità e l’ha costituita strumento di peccato e non di obbedienza, di caduta e non di elevazione, di deperimento e non di innalzamento, così l’obbedienza di Cristo porta la creazione nuovamente nel mistero della verità di se stessa, poiché attraverso la redenzione dell’uomo, anche la creazione è redenta e dall’uomo redento e salvato essa ogni giorno viene messa a servizio della gloria di Dio. Anche per la creazione deve compiersi il mistero della sua totale novità in Cristo, poiché è Cristo risorto il Capo della nuova creazione e questa sarà totalmente rinnovata attraverso la santità del cristiano; gusterà però tutti i frutti della bellezza e della sapienza secondo la quale il Signore l’ha creata, quando saranno creati i cieli nuovi e la terra nuova. Allora veramente tutta la bellezza di Dio si rifletterà in essa, poiché non ci sarà la stoltezza e l’insipienza del peccato dell’uomo a corromperla e a deprimerla, facendola divenire strumento di male e di perdizione.
Cristo è il compimento di tutto il disegno salvifico di Dio. Fuori di Cristo e in assenza di Lui non c’è alcun disegno di salvezza mantenuto in vigore dal Padre celeste. Dell’Antico Israele che ne è attualmente? Tutto l’Antico Israele è divenuto il Nuovo Israele. È la Chiesa l’Israele di Dio, il suo popolo, il popolo che Cristo si è acquistato mediante il suo sangue. Dei figli di Abramo nati secondo la carne e non secondo la fede, perché la fede è solo nella discendenza di Abramo che è Cristo Gesù, cosa ne avverrà? Un giorno anche loro riconosceranno che Gesù è il loro Salvatore e non ne dovranno attendere un altro, perché un altro non c’è. San Paolo sa per scienza ispirata che la non fede dei figli di Abramo in Cristo Gesù avrà un termine. Quando questo avverrà e nessuno lo sa, né può saperlo, la gloria di Dio sarà manifestata nel mondo in modo eminentemente grande. Essa brillerà in tutto il suo fulgore, e questo perché anche i discendenti di Abramo, i figli suoi secondo la carne, avranno riconosciuto che solo in Cristo è la vera discendenza e solo in Lui si diviene suoi veri figli. Quanti non sono in Cristo non possono essere detti discendenti di Abramo secondo la fede, perché la fede di Abramo è Cristo Gesù.
La legge della salvezza è la fede in Cristo. Vale per i pagani, vale anche per i Giudei. La salvezza non viene dalle opere, ma dalla fede. Se venisse dalle opere non sarebbe salvezza in Cristo, sarebbe merito dell’uomo e Cristo non sarebbe il Salvatore universale, il solo redentore dell’umanità, poiché ognuno potrebbe gloriarsi dinanzi a Dio di aver fatto abbastanza per essere giustificato. Non viene dalle opere perché l’uomo è attualmente morto alla grazia e quindi nessuno può operare frutti di santità dal momento che è concepito nel peccato e nel peccato nasce. Che non siano necessarie le opere per essere giustificati, cioè per passare dalla morte alla vita, non significa in alcun caso che non siano necessarie per essere salvati, cioè per entrare nel paradiso. Si è già detto qual è la vocazione dell’uomo: quella di essere conforme all’immagine di Cristo Gesù. Questa conformità è necessaria che sia realizzata, altrimenti non si può entrare nel regno di Dio, non si può godere il frutto della risurrezione gloriosa in Cristo Gesù. Il pericolo della dannazione eterna per coloro che pur avendo creduto non hanno compiuto le opere della fede è così reale, che veramente ognuno deve attendere alla propria santificazione con timore e tremore.
Nasce l’urgenza per ogni cristiano di divenire in vita e in morte in tutto simile a Cristo. Occorre pertanto che si disponga ognuno ad offrire se stesso a Dio in sacrificio spirituale, in tutto come ha fatto Gesù Signore. È questo il vero culto del cristiano. Da qui l’impegno di fare ogni cosa sul modello di Cristo. Chi legge la Lettera ai Romani comprende una verità basilare. Paolo ha dinanzi ai suoi occhi Cristo Gesù nel suo mistero di obbedienza fino alla morte e alla morte di croce, nel suo mistero di amore, di carità, di pazienza. Guardando Cristo egli traccia l’identità del cristiano e per lui scrive le regole perché questa identità possa essere raggiunta fino alla perfezione assoluta. Il Cristo è il martire della verità e dell’amore del Padre, il cristiano è il martire della verità e dell’amore di Cristo Gesù, nello Spirito Santo.
C’è pertanto una sola via perché il cristiano possa compiere se stesso secondo la sua eterna vocazione: la contemplazione della croce di Cristo Gesù. È l’unica identità possibile da cercare, da realizzare, da insegnare, da mostrare, da predicare. Quando il cristiano cresce e progredisce nella realizzazione della sua identità, egli diviene testimone di Cristo, è testimone non solo perché attesta e dice ciò che Cristo in verità è, perché lui lo ha conosciuto e lo conosce secondo verità, è testimone perché lo mostra al vivo. In fondo solo il cristiano che diviene cristiforme è il vero testimone di Cristo Gesù, è testimone perché lo rivela, lo manifesta, lo rende presente nel mondo, lo fa conoscere all’uomo.
Quando questo avviene dal cuore e dalla vita del cristiano si innalza a Dio l’inno di gloria e di benedizione. La gloria di Dio Padre è Cristo Gesù, morto e risorto. Chi vuole rendere vera gloria a Dio deve divenire in Cristo in tutto simile a Lui, deve morire e risorgere per obbedienza al Padre, per compiere la sua volontà, per amare il Padre sino alla fine con la consumazione totale della sua vita.                                                   
Sono solo pochi cenni sul mistero di Cristo e del cristiano contenuto nella Lettera di Paolo Apostolo ai Romani. Leggendo il testo della Lettera, e se lo si ritiene utile, servendosi di appena qualche riflessione che si è riuscita a decifrare e a scrivere in queste pagine, invocando lo Spirito del Signore e lasciandosi aiutare da Colei che più di ogni altra creatura ha compreso il mistero del Figlio Suo, poiché le ha dato la carne e la vita quando il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, sicuramente si crescerà nella conoscenza e dalla conoscenza un nuovo amore per Cristo sgorgherà nel nostro cuore, portato in esso dallo Spirito Santo e nuova luce di Cristo si riverserà nel mondo, per liberarlo dalle sue tenebre e introdurlo nella luce radiosa del Figlio unigenito del Padre                                        . Che la Madre della Redenzione interceda per noi e mandi dal cielo lo Spirito Santo, suo Mistico Sposo, affinché ci dia la piena conoscenza di Cristo e ci faccia ad immagine perfetta di Lui.

Vivere è conoscere Te, o Cristo Gesù, amare Te, servire Te, gioire per Te, morire per Te, risuscitare in Te, abitare in Te per tutta l’eternità.

Publié dans:Lettera ai Romani |on 6 novembre, 2012 |2 Commentaires »

LO SPIRITO E LA CHIESA (SECONDA PARTE)

http://www.zenit.org/article-33663?l=italian

LO SPIRITO E LA CHIESA (SECONDA PARTE)

Relazione di mons. Bruno Forte al recente Convegno promosso da RnS

(note sul sito)

ROMA, lunedì, 5 novembre 2012 (ZENIT.org).- Presentiamo la seconda parte della relazione tenuta giovedì 25 ottobre scorso da mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto (Abruzzo), al Convegno sullo Spirito Santo, svoltosi presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma.
***
2. La missione come “splendore” dello Spirito: la cattolicità del soggetto missionario
Nella cattolicità della missione si manifesta la ricchezza dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa, lo “splendore” della Sua presenza. Questa consapevolezza si è espressa al nostro tempo in maniera altissima nel Concilio Vaticano II: “L’insegnamento di questo Concilio – afferma la Dominum et vivificantem – è essenzialmente ‘pneumatologico’, permeato della verità sullo Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto ciò che lo Spirito dice alle Chiese in ordine alla presente fase della storia della salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma della presenza dello Spirito Santo consolatore”[1]. Questa presenza è colta a vari livelli: il primo soggetto della missione è la Chiesa universale, la Catholica unita e vivificata dallo Spirito nella comunione dello spazio, espressa dalla comunione delle Chiese locali intorno alla Chiesa di Roma, che presiede nell’amore, “cum et sub Petro”, e nella comunione del tempo, manifestata dalla continuità ininterrotta della tradizione apostolica. La responsabilità di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra e di impiantare dovunque la Chiesa è di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa.
Tutti hanno ricevuto lo Spirito, tutti devono donarlo: “Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere per parte sua la fede”[2]. In modo particolare, questa responsabilità missionaria investe il ministero della comunione: il Vescovo di Roma, anzitutto, in quanto ministro dell’unità della Chiesa universale, è caricato della “sollicitudo omnium ecclesiarum”, che si esprime particolarmente nell’ansia missionaria di far crescere ovunque la Catholica, sia nell’integralità della fede e della vita apostolica, che nella sua dilatazione presso tutte le genti. Nella solenne testimonianza della fede, attraverso il suo ministero profetico, liturgico e pastorale, nella promozione e nel sostegno della vitalità missionaria della Chiesa, ovunque diffusa, nell’esercizio del suo ministero universale di unità, il Papa si fa missionario del Vangelo per il mondo intero, come per la Chiesa e nella Chiesa, tutta in missione. Questa responsabilità universale il Vescovo di Roma la condivide con il collegio episcopale, cui spetta non di meno la sollecitudine per tutte le Chiese, e perciò l’impegno in vista dell’attività missionaria intrinseca alla Catholica, in esse presente[3]. Così, attraverso i loro vescovi in comunione col vescovo di Roma, tutte le Chiese partecipano alla sollecitudine dell’evangelizzazione e della missione universali, e sono chiamate a contribuire ad essa secondo i doni che lo Spirito ha dato a ciascuna, nella fecondità della cooperazione e dello scambio reciproco dei doni ricevuti.
Soggetto plenario dell’invio missionario è pure la Chiesa locale o particolare, in cui la Catholica si attua nella concretezza di uno spazio e di un tempo determinati: il popolo di Dio, radunato dalla Parola e dal Pane eucaristico, in cui nello Spirito Cristo si fa presente per la salvezza di tutti, è inviato ad estendere la potenza della riconciliazione pasquale a tutte le situazioni in cui vive ed opera. Tutta la Chiesa locale è inviata ad annunciare tutto il Vangelo a tutto l’uomo, ad ogni uomo: alla cattolicità, propria della Chiesa locale sul piano della “communio”, deve corrispondere la cattolicità sul piano della missione. Che tutta la Chiesa locale sia inviata, vuol dire che, in forza del dono dello Spirito ricevuto nel battesimo e nell’eucaristia, non c’è nessuno nella comunità ecclesiale che possa ritenersi esentato dal compito missionario. Al ministero di unità spetta discernere e coordinare i carismi in vista dell’azione missionaria, a ogni battezzato il compito di mettere i doni ricevuti al servizio della missione ecclesiale. A nessuno è lecito il disimpegno, come a nessuno è lecita la separazione dagli altri. Tutti, nella corresponsabilità e nella comunione, sono chiamati a partecipare attivamente alla missione della Chiesa: se ciò implica da una parte l’esigenza di riconoscere e valorizzare il carisma di ciascuno, esige dall’altra lo sforzo di crescere in comunione con tutti, in modo che la stessa comunione sia la prima forma della missione. La missione non è opera di navigatori solitari, ma va vissuta nella barca di Pietro, che è la Catholica in tutte le sue espressioni, in comunione di vita e di azione con tutti i battezzati, ciascuno secondo il dono ricevuto dallo Spirito. “Tutti i credenti in Cristo – afferma l’Enciclica Dominum et vivificantem – sull’esempio degli apostoli, dovranno mettere ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla volontà dello Spirito Santo, principio di unità della Chiesa”[4], soggetto trascendente, vivo e presente della sua missione.
3. La missione, inseparabilmente “kenosi” e “splendore” dello Spirito: la cattolicità del messaggio e dei destinatari
La cattolicità della missione non investe solo il soggetto di essa, ma anche il suo oggetto e i suoi destinatari, nella forza dello Spirito di Cristo: “La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo nella storia, si diffonde in modo sacramentale nella potenza dello Spirito Paraclito. In questo modo lo Spirito Santo è l’altro consolatore, o nuovo consolatore, perché mediante la sua azione la Buona Novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito Santo che dà la vita”[5]. La cattolicità del messaggio, lo “splendore” della verità salvifica, esige che la Chiesa, tutta impegnata nell’annuncio, si faccia portatrice del Vangelo nella sua interezza: tutta la Chiesa annuncia tutto il Vangelo! La buona novella da annunciare non è una semplice dottrina, ma una persona, il Cristo: è lui, vivente nello Spirito, l’oggetto della fede e il contenuto dell’annuncio, ed insieme è lui il soggetto che opera nello Spirito in chi evangelizza. Il Cristo evangelizzato è al tempo stesso il Cristo evangelizzante nei suoi testimoni. Ne consegue per la Chiesa l’esigenza di non appartenere che a lui, di essere la sua memoria vivente, lasciandosi sempre nuovamente evangelizzare da lui, per essere sempre di nuovo rigenerata dalla sua Parola (Ecclesia creatura Verbi!). La missione esige la testimonianza integrale del Cristo, che abbraccia la comunione della fede nel tempo e nello spazio ed è voce della comunione dello Spirito, che, attraverso la tradizione apostolica, rende la Chiesa identica a se stessa nel suo principio sempre presente, il Cristo.
La cattolicità del messaggio comporta anche inseparabilmente la cattolicità del destinatario della missione: la buona novella è risuonata per tutti ed esige di raggiungere tutti. “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19s). Per mezzo del ministero ecclesiale, nella potenza dello Spirito, è Cristo che “predica la Parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede”[6]. Lo scopo della missione non è altro che portare all’incontro con Cristo: essa è diretta alla profonda verità di ogni essere umano, bisognoso di incontrare il Risorto e di farne sempre nuovamente esperienza. La frontiera dell’evangelizzazione non è la linea di demarcazione esteriormente riconoscibile fra spazio sacro e spazio profano, ma anzitutto il luogo della decisione salvifica, il cuore umano, lì dove la totalità di un’esistenza raggiunta dallo Spirito Santo si decide per Cristo. In questa decisione, possibile solo nell’incontro della libertà della persona con la Parola della fede e lo Spirito che dà vita, il tempo quantificato diventa tempo qualificato, ora di grazia, oggi di salvezza: da “krònos”, successione secondo il prima e il poi, si trasforma in “kairòs”, tempo della grazia e della vita nuova (cf. ad esempio Mt 8,29; 26,188; Mc 1,15; Lc 19,44; 21,8; Gv 7,6-8; At 1,7; 1 Ts 5,1ss.; Ef 5,16; Col 4,5; ecc.). La frontiera della missione passa dunque anzitutto nelle scelte fondamentali che qualificano la vita, e perciò anche all’interno della comunità ecclesiale, che, evangelizzando, ha sempre nuovamente bisogno di essere evangelizzata e di decidersi per il suo Signore nel vivo delle situazioni sempre nuove della storia. La Chiesa evangelizza, se continuamente si evangelizza, lasciandosi purificare e rinnovare dal giudizio della Parola di Dio e dal fuoco dello Spirito: così sta “sub Verbo Dei”, e può celebrare fiduciosamente i divini misteri per la salvezza del mondo.
La costante apertura alla cattolicità del messaggio non è tuttavia ancora pienamente realizzata, se non si attua la contemporanea apertura all’ampiezza dei bisogni umani e della destinazione dell’evangelo a tutte le genti: è qui che si pone l’esigenza imprescindibile per ogni battezzato, come per tutta la Chiesa, di impegnarsi affinché l’annuncio raggiunga veramente ogni persona umana. La Parola della salvezza esige la libertà e la generosità audace per essere gridata dai tetti, fino agli ultimi confini della terra. La “kènosi” della Parola e dello Spirito è rivolta a raggiungere ogni creatura in tutto il suo essere. Ciò esige l’impegno in un processo analogo al dinamismo dell’Incarnazione: “La Chiesa, per poter offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita portata da Dio, deve inserirsi in tutti i diversi raggruppamenti umani con lo stesso movimento, con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò alle determinate condizioni sociali e culturali degli uomini, con cui visse”[7]. Cattolicità del soggetto, del messaggio e della destinazione della missione vengono così a saldarsi nell’unica cattolicità della Chiesa: se il Signore non chiederà conto ai suoi discepoli dei salvati, perché la salvezza è un mistero di grazia e di libertà di cui nessuno può disporre dall’esterno, chiederà loro conto degli evangelizzati. In tal senso, una Chiesa senza urgenza e passione missionaria tradisce la propria cattolicità, oppone resistenza allo Spirito che pour vuole animarla e si trasforma in un campo di morti, contraddicendo la sua natura di comunità dei risorti nel Risorto.
Conclusione
La Chiesa nella storia appare dunque come la “kènosi” e lo “splendore” dello Spirito Santo: “La Chiesa, radicata mediante il suo proprio mistero nell’economia trinitaria della salvezza, a buon diritto intende se stessa come sacramento dell’unità di tutto il genere umano. Essa sa di esserlo per la potenza dello Spirito Santo, della quale è segno e strumento nell’attuazione del piano salvifico di Dio. In questo modo si realizza la condiscendenza dell’infinito amore trinitario: l’avvicinarsi di Dio, Spirito invisibile, al mondo visibile. Dio uno e trino si comunica all’uomo nello Spirito Santo sin dall’inizio mediante la sua immagine e somiglianza. Sotto l’azione dello stesso Spirito l’uomo e, per suo mezzo, il mondo creato, redento da Cristo, si avvicinano ai loro definitivi destini in Dio”[8]. Ecco perché la vita secondo lo Spirito è inseparabile dalla comunione ecclesiale e questa da quella. Afferma Agostino: “Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo”[9]. Il testimone sa, perciò, dove attingere lo Spirito di cui ha bisogno per vivere la propria missione, partecipazione alle missioni divine: “Non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna”[10].
È lo Spirito che agendo nella comunità ecclesiale la rende eternamente giovane e bella! Mossa da questa convinzione, l’Enciclica di Giovanni Paolo II sullo Spirito Santo si conclude così: “La via della Chiesa passa attraverso il cuore dell’uomo, perché è qui il luogo recondito dell’incontro salvifico con lo Spirito Santo, col Dio nascosto, e proprio qui lo Spirito Santo diventa ‘sorgente di acqua, che zampilla per la vita eterna’. Qui egli giunge come Spirito di verità e come Paraclito, quale è stato promesso da Cristo. Di qui egli agisce come consolatore, intercessore, avvocato… Lo Spirito Santo non cessa di essere il custode della speranza nel cuore dell’uomo: della speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che possiedono le primizie dello Spirito e aspettano la redenzione del loro corpo. Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divina comunione col Redentore dell’uomo, è il realizzatore della continuità della sua opera: egli prende da Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente nella storia del mondo attraverso il cuore dell’uomo”[11]. Così lo Spirito nel cuore della Chiesa e di ogni credente è la sorgente sempre viva della giovinezza e della speranza del mondo!
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