“FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”: NON CONTRADDITE CON IL VOSTRO AGIRE L’EUCARISTIA CHE CELEBRATE – 1 Cor 11,17-34

http://www.diocesiprato.it/pdf/I%20Corinzi%20Scheda%20XI.pdf

(è un PDF, ho dovuto « stringere » molto il testo, ho avuto qualche difficoltà ad inserirlo nel Blog,  se volte vedere la grafica originale potete andare sul sito)

DIOCESI DI PRATO

UNDICESIMO INCONTRO

“FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”: NON CONTRADDITE CON IL VOSTRO AGIRE L’EUCARISTIA CHE CELEBRATE -  1 Cor 11,17-34

ACCOGLIENZA E PRESENTAZIONE DELL’INCONTRO
PREGHIERA INIZIALE

Lettore: Dio nostro, Padre della Luce, tu hai inviato nel  mondo la tua Parola,  sapienza uscita dalla tua bocca che ha creato tutto ciò che esiste e ha preso dominio su tutti  i popoli della terra.
 Tu hai voluto che essa prendesse una dimora in Israele e che attraverso Mosé, i  profeti e i salmi manifestasse la tua volontà e parlasse al tuo popolo del Messia Gesù.
 Finalmente, hai voluto che lo stesso tuo Figlio, Parola eterna presso di Te, divenisse  carne e ponesse la sua tenda in mezzo a noi, quale nato da Maria e concepito dallo Spirito  Santo.
Tutti: Manda ora su di noi, ti preghiamo, il tuo Spirito perché ci doni un cuore
capace di ascolto, ci permetta di incontrarlo in queste sante Scritture e generi in ciascuno
di noi il Verbo. Questo tuo Spirito tolga il velo ai nostri occhi, ci conduca a tutta la Verità,
ci dia intelligenza e perseveranza.
 Te lo chiediamo nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. AMEN.
Lettore: San Paolo, apostolo delle Genti:
Tutti: Prega per noi e per la Chiesa di Dio che è in Prato.

LETTURA DELLA PAROLA DI DIO
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (11,17-34)
17  E mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre  riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio.  18  Innanzi tutto sento dire  che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo.  19  E` necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli  che sono i veri credenti in mezzo a voi.  20  Quando dunque vi radunate insieme, il  vostro non è più un mangiare la cena del Signore.  21  Ciascuno infatti, quando  partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto  e così uno ha fame, l`altro è  ubriaco.  22 Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare  il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi?  Lodarvi? In questo non vi lodo!  23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il  Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane  24 e, dopo aver reso  grazie, lo spezzò e disse: « Questo è il mio corpo,  che è per voi; fate questo in   memoria di me ».  25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice,  dicendo: « Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta  che ne bevete, in memoria di me ».  26 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane  e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.  27 Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà  reo del corpo e del sangue del Signore.  28 Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e  poi mangi di questo pane e beva di questo calice;  29 perché chi mangia e beve senza  riconoscere il corpo [[del Signore]], mangia e beve la propria condanna.  30 E` per  questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti.  31 Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati;
32 quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser  condannati insieme con questo mondo.  33 Perciò, fratelli miei, quando vi radunate  per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.
34  E se qualcuno ha fame, mangi a casa,  perché non vi raduniate a vostra condanna.

 SPUNTI PER LA RIFLESSIONE
 Per uno sguardo d’insieme sul contesto della lettera nel quale il brano è inserito, vedi l’INTRODUZIONE, , nel paragrafo Qual’è il contenuto della lettera? alla parte V.  Dopo quanto sviluppato in  11,2-16, Paolo prende in considerazione una seconda forma di abuso che si realizzava durante la celebrazione del culto, questa volta in  riferimento alla Cena del Signore (Eucaristia).  La premessa fondamentale da porre è quella di cercare di inquadrare bene la situazione di cui si sta parlando: a partire da una lettura attenta di questo e di altri testi nel  Nuovo Testamento (vedi soprattutto At 2,42.46; 20,7.11), si comprende come nelle prime comunità cristiane la celebrazione dell’Eucaristia avveniva nella forma di e/o in unione a un pasto vero e proprio. L’abuso stigmatizzato da Paolo riguarda, quindi, un aspetto apparentemente lontano dalla nostra sensibilità: i  corinzi, infatti, tendevano a svilire il significato dell’Eucarestia a tutto vantaggio del pasto conviviale nel quale questa era inserita. Ora, se le circostanze sono così distanti e diverse rispetto ai nostri usi, attualissimo è il significato degli avvenimenti implicati

 Ecco la struttura del passo:
 A  11,17-22: il problematica: il disprezzo del fratello povero
  B  11,23-26: la tradizione, origine dell’Eucarestia
  B’  11,27-32: in risposta a 11,23-26 “comprendere il significato del Corpo”
 A’  11,32-34: in risposta a 11,17-22 “siate accoglienti con i fratelli”

 Ma in che modo avveniva questo abuso? Qui dobbiamo cercare di comprendere gli avvenimenti facendo attenzione alla situazione sociologica della comunità di Corinto: 1. la comunità si riuniva là dove era possibile, e, quindi, principalmente (vedi Rom 16,23) nelle case dei credenti più facoltosi, che in questo modo divenivano i patroni della cena che veniva offerta;
2. le evidenze dell’archeologia mostrano in maniera chiara che nemmeno le case dei ricchi avevano la possibilità di riunire tutta la comunità in un una sola assemblea, 3 per cui i credenti si suddividevano, almeno per alcune parti della riunione, in ambienti diversi della casa; 3. in una società fortemente classista come era quella di Corinto, è naturale pensare che il patrono offrisse il suo pasto conviviale essenzialmente a coloro che  appartenevano alla sua stessa classe sociale; 4. è quindi probabile che la cena conviviale si svolgesse in modo che solo alcuni avessero la possibilità di parteciparvi in maniera completa, mentre altri, soprattutto  i credenti di bassa estrazione sociale, o schiavi, non vi partecipavano direttamente o venivano trattati in maniera ancora peggiore (considerando anche il fatto che schiavi e lavoratori spesso erano costretti ad arrivare solo dopo essersi liberati delle loro incombenze, e, quindi, con notevole ritardo); L’argomentazione di Paolo è abbastanza chiara:
1. il termine centrale è quello di “corpo”, termine che rimanda alla persona di Cristo, ma insieme al pane dell’Eucarestia, che ne è la presenza sacramentale, e alla Chiesa, che ne è la presenza efficace e vivente nel mondo; 2. queste 3 realtà sono indissolubilmente legate, così che ogni abuso nella celebrazione dell’Eucarestia è anche un abuso verso il suo “corpo” che è la Chiesa, e viceversa; 3. per questo l’incapacità dei corinzi di vivere nella condivisione con il fratello più povero la Cena del Signore distrugge l’unità della comunità “corpo” di Cristo e si ripercuote a ritroso sulla Cena stessa che diviene in questo modo non più pegno sacramentale della partecipazione al Regno di Dio, ma elemento di condanna per coloro che lo vivono senza realizzarne in pieno, nel loro comportamento quotidiano, il significato.
11,17-22: il problematica: il disprezzo del fratello povero E mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio. L’argomento sembra interessare davvero molto a Paolo che lo affronta senza preamboli e con piglio deciso e chiaro.  Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi. É importante notare come le divisioni di cui parla qui, sono diverse da quelle che sono  affrontate in  1,10-12. Mentre qui il tema ha un chiaro riferimento sociologico (vedi soprattutto vv.  21-22 e  33-34), nel primo capitolo Paolo parla invece di “partiti” e di “gelosie” (vedi 1,11 e 3,4).
 E in parte lo credo. E` necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. Questa espressione sembra in aperto contrasto con quanto affermato da Paolo in 1,10-17 contro le divisioni nella comunità. Qui, però, il significato è diverso: non si tratta tanto di divisioni nate dall’eccessiva attenzione alla sapienza umana della propria guida spirituale, ma di una anticipazione della prova
della fede dei credenti che il giorno del Signore porterà con sé. Questa divisione essenziale, allora, tra coloro che hanno assunto con animo sincero e disponibile la fede e coloro che invece l’hanno assunta solo esteriormente, è una divisione in qualche modo   1 Abbiamo a questo proposito una gran quantità di testimonianze di scrittori e poeti antichi che ci indicano  come fosse una realtà del tutto comune riservare nei banchetti un trattamento diverso ai diversi ospiti,  soprattutto in ragione della loro estrazione sociale o delle diverse relazioni che passavano tra loro e il  padrone di casa inevitabile e che si può manifestare già adesso (vedi anche Mt 10,34-37 e 24,9-13).   Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Il comportamento dei corinzi contraddice totalmente il senso della loro memoria del Signore, così da trasformare il gesto in qualcosa di completamente diverso e incompatibile.  Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l`altro è ubriaco. Dall’insieme si comprende che Paolo sta stigmatizzando il  comportamento di quei credenti facoltosi che durante il momento conviviale che  precedeva e accompagnava il momento liturgico della memoria del Signore non invitavano tutti i fratelli a partecipare nello stesso modo (alcuni potevano mangiare delle pietanze più ricche e abbondanti, mentre agli altri erano destinati i cibi meno buoni, o gli scarti, o addirittura assistevano senza essere invitati a partecipare: così, ci raccontano le
fonti antiche, era uso nei banchetti pagani). In questo modo accadeva che per alcuni partecipare alla Cena del Signore fosse l’unico pasto di tutta la serata, mentre per altri diveniva solo un momento all’interno di un ricco banchetto.  Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla  chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! La reazione di Paolo è severa e indignata. Egli ora parla direttamente ai credenti facoltosi che partecipano al banchetto. Probabilmente per costoro un tale comportamento non aveva nessun carattere particolarmente negativo, perché era del tutto conforme alle regole della società nella quale vivevano. Ma Paolo vi scorge una negazione della natura stessa della comunità dei credenti: la Chiesa di Dio, di cui la comunità di Corinto fa parte, è il  nuovo popolo di Dio, nel quale non esistono più distinzioni di sorta, ma dove chiunque ne fa parte è in pienezza figlio di Dio, salvato dal Signore Gesù e depositario dello Spirito Santo. Se si nega con il proprio comportamento questa unità tra i credenti in Cristo sottolineando le distinzioni umane e disprezzando i più poveri e umili, si nega anche il significato e il valore del gesto dell’Eucarestia, che non è altro che la ripresentazione  sacramentale di quell’amore divino che ha distrutto ogni barriera e creato un solo popolo. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? Questa espressione di Paolo ci può sconcertare: non avrebbe dovuto piuttosto invitare i facoltosi a condividere il loro banchetto con i poveri? In realtà Paolo non intende parlare direttamente del tema della “povertà” e dell’“abuso delle ricchezze”, ma solo indicare una relazione di dipendenza stretta tra l’unità dei credenti nella Chiesa e la  Cena del Signore come ripresentazione  sacramentale di quell’amore divino che ha reso possibile quell’unità. Per cui distruggere l’una, significa rendere invalida e blasfema l’altra. La critica all’iniquità delle strutture sociali, quindi, non è diretta, ma è posta indirettamente alle basi stesse che giustificano una tale iniquità: per la prima volta nella storia entra una nuova realtà religiosa nella quale le distinzioni sociali non solo non hanno alcun valore, ma anzi devono essere del tutto superate, a favore della considerazione di una unità di fondo di tutti i credenti.  11,23-26: la tradizione, origine dell’Eucarestia Paolo riporta adesso il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia per ricordare ai corinzi chi celebrano (il Signore Gesù) e qual’è il significato di quello che celebrano (fare memoria del suo gesto di amore) quando si riuniscono insieme, così che essi possano comprendere la contraddizione fragrante del loro comportamento con il gesto che compiono.                                         
La traduzione esplicita un senso di precedenza temporale che il verbo greco originale non sembra avere:
più che “prendere prima”, il verbo significa “prendere con intensità”, quindi “divorare”. 5  Insieme a  7,10 e  9,14, questo è l’unico passo in cui Paolo si riferisce  in maniera diretta alla tradizione proveniente da Gesù; questo ci mostra come l’evangelizzazione di Paolo prevedeva anche l’utilizzo delle tradizioni poi confluite nelle narrazioni evangeliche, anche se le sue lettere non si interessano direttamente di questo materiale, se non in  determinate circostanze. Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. L’espressione è quasi identica a quella di  15,3: in entrambi i casi Paolo la utilizza per introdurre la  trasmissione di una istruzione religiosa preziosa e da conservare con cura: attraverso gli apostoli questa tradizione è arrivata direttamente dal Signore Gesù fino a Paolo.  Questa è una delle 4 presentazioni del racconto dell’istituzione dell’Eucarestia presenti nel Nuovo Testamento: le altre sono Mc 14,22-25 // Mt 26,26-29 // Lc 22,14-203.   Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito. Il senso principale del riferimento è quello di collegare in maniera diretta l’evento della Cena con la passione e la morte. Il verbo che noi traduciamo con “tradire” ha soprattutto il significato di “consegnare”. Il fatto, poi, che sia riportato senza soggetto lascia il riferimento volutamente aperto a varie possibilità:
1. allusione al traditore Giuda: anche se Gesù fu ucciso con il supplizio comminato dal potere dei romani sotto la spinta delle autorità giudaiche, nella tradizione cristiana il racconto della passione introduce anche il tradimento di uno dei Dodici: monito a tutti i credenti, perché riconoscano la possibilità di abbandonare il Signore e, allo  stesso tempo, testimonianza preziosa della grandezza del suo amore, capace di continuare a donarsi anche davanti ad un gesto così terribile; 2. allusione alla passione vista come parte del disegno del Padre (la forma passiva sottintenderebbe come agente Dio stesso): il Padre  ha lasciato che il Figlio fosse consegnato nella mani degli uomini peccatori, per mostrare fino a che punto sia capace di arrivare il suo amore;  Prese del pane. Gesù reinterpreta il significato del pane che era presente nella cena (pasquale) ebraica: il pane, simbolo del nutrimento essenziale per la vita dell’uomo, diviene veicolo della potenza di Dio che lo trasforma in strumento per saziare ogni tipo di fame spirituale presente nell’uomo.  Dopo aver reso grazie. Gesù pone il suo gesto sotto il segno dell’offerta a Dio e della consapevolezza di portare a compimento il disegno divino. Lo spezzò. Il gesto dello “spezzare” rimanda insieme alla violenza della morte e all’unità della partecipazione di tutti coloro che  riceveranno un pezzo dell’unico pane (vedi  10,16). La morte di Cristo, dunque, ricostruisce l’unità della famiglia umana e insieme la lega indissolubilmente a colui che l’ha realizzata, il Signore Gesù.  E disse. L’opera di Dio è una unità intrinsecamente connessa di gesti e parole, di gesti che sono spiegati dalle parole e di parole che vengono chiarite dai gesti.  « Questo è il mio corpo”. L’identificazione della propria persona con il pane è un  modo di esprimersi tipicamente semitico, e per noi, forgiati alla luce della cultura greca, sempre un po’ difficile da comprendere fino in fondo. Alla luce di questo sfondo culturale, è chiaro che Gesù e i suoi discepoli abbiano immaginato che un qualche tipo di trasformazione si sarebbe realizzata nel pane stesso: questo è il fondamento della nostra 3  Dal momento che le nostre sono schede per la riflessione e la preghiera, non ci interesseremo dei problemi relativi alla relazione tra le varie versioni, ma leggeremo il testo all’interno del contesto della lettera.  Fede nella presenza reale del Signore nell’Eucarestia. La parola “corpo”, poi, per Gesù non era primariamente un modo per indicare se stesso, quanto rimandare al “corpo” dell’animale presente nei sacrifici della Prima Alleanza: la presenza di Gesù nell’Eucarestia è una presenza qualificata, cioè legata alla sua donazione d’amore per noi. Gesù si offre a noi nel pane non tanto come semplice presenza, ma come manifestazione attuale e viva del suo amore totale.  “Che è per voi”. I termini sono ripresi da Is 53,12. Questo significa che il gesto che  Gesù sta compiendo è da lui inteso come anticipazione profetica di quello che gli accadrà nella morte imminente: questa morte, alla luce del passo di Isaia, deve essere interpretata come una donazione a favore degli uomini. I discepoli ricevendo questo simbolo reale e profetico sono invitati a comprenderne il significato e a riceverne i benefici.  “Fate questo in memoria di me ». Nella tradizione biblica il ricordo e la memoria non  hanno mai un semplice significato di attività intellettuale, ma implicano sempre una componente di partecipazione attiva: “ricordare” significa realizzare qualcosa che mette in contatto un evento del passato con il presente. Riprendendo la tradizione dell’Antico Testamento in riferimento ai gesti della Pasqua, Gesù trasforma il gesto che ha compiuto da gesto profetico che anticipa il significato della sua morte in gesto memoriale che renderà possibile a tutti coloro che lo ripeteranno di ricevere ancora in pienezza gli effetti  di salvezza che la sua morte ha portato in favore di ogni uomo (vedi v. 26).  Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice. Il calice è nella scrittura un simbolo ambivalente:  1) da una parte rimanda all’insieme di tutte realtà negative presenti in una determinata situazione (vedi Is 51,17; Sal 74,9; ma soprattutto Mc 10,38-39; 14, 36 e paralleli);  2) dall’altra esso è il simbolo della gioia e della vita piena (vedi Sal 15,5; 22,5; 115,3).  Per questo il gesto di Gesù assume una ricchezza straordinaria perché rimanda insieme alla capacità di Gesù di donarci la vita e la gioia promesse in pienezza da Dio alla venuta del suo Messia, e anche alla sua capacità di assumere fino in fondo la negatività del mondo nella sua morte per distruggerla e renderla vana.  « Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”. I termini sono ripresi da Ger 31,31, e Es 24,8: come la Prima Alleanza sul Sinai era stata ratificata dal sangue a sottolineare il legame per la vita che si era costituito tra i due  contraenti, così nel sangue di Gesù si realizza il compimento di quell’alleanza, dove il legame è stretto con un patto inscritto nel
cuore dei credenti ed è guidato dall’assoluta gratuità dell’amore di Dio, capace di prevenire e guarire preventivamente ogni infedeltà. “Fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me ». Fin dall’inizio la  ripresentazione dei gesti di Gesù fu vista dalla comunità come qualcosa da compiere con costante frequenza per poter sempre incontrare la potenza trasformatrice dell’amore di Dio concretizzatosi nel mistero pasquale del Signore Gesù.  Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la  morte del Signore. Ora Paolo spiega perché ha riportato le parole dell’istituzione dell’Eucarestia. Celebrare il rito della “Cena del  Signore” significa non solo ripetere dei gesti e delle parole compiuti un giorno lontano da un certo Gesù, ma cercare di vivere nella propria vita quello che queste parole e questi gesti significano. Con il loro  comportamento i corinzi, infatti, rendono vana la morte di Cristo che pure proclamano nel rito, perché distruggono, nella stessa celebrazione, l’unità dei credenti nella Chiesa che Gesù ha realizzato attraverso la sua morte.  Finché egli venga. Paolo ricorda inoltre ai corinzi che la morte di Cristo non è che l’anticipazione del giudizio di Dio sulla storia: se essi distruggono l’unità della Chiesa, essi distruggono la comunità come reale anticipazione dell’unità definitiva che si realizzerà nel Regno di Dio.  11,27-32: in risposta a 11,23-26 “comprendere il significato del Corpo”   Per comprendere il senso di questi versetti bisogna fare attenzione soprattutto al fatto che al v. 29 “del Signore” è un’aggiunta presente in manoscritti meno affidabili e che modifica il senso del passo in una direzione eucaristica che in realtà non è corretta. vv. 27-29: le parole di Paolo sono decisamente chiare e ci ricordano la responsabilità di ogni cristiano davanti alla proprie scelte.   In modo indegno. Qui il riferimento è a quanto detto in questi versetti: contraddire con l’agire il sacramento che si riceve significa riceverlo in modo non rispondente.   Sarà reo del corpo e del sangue del Signore. La nostra infedeltà ci rende responsabili di quel peccato che è costato al Signore il dono della vita.  Senza riconoscere il corpo [[del Signore]]. Qui “corpo” ha un significato ecclesiale, non eucaristico. Non a caso “del Signore” è posto tra parentesi perché tradotto a partire da un  testo originale non del tutto affidabile: i migliori codici non riportano, infatti, l’inciso. Chi non riconosce, dunque, che la Chiesa è corpo del Signore e non vive con i fratelli in modo conseguente, non può partecipare alla Cena del corpo del Signore senza contraddire radicalmente il gesto che sta compiendo. vv. 30-32: Paolo intravede, con spirito profetico, in alcuni segni del male all’interno della comunità la manifestazione di un giudizio di Dio a proposito del comportamento contraddittorio e infedele dei corinzi. Non si tratta di una punizione definitiva, ma di un ammonimento che deve portare al cambiamento. Certamente il linguaggio e le espressioni usate possono sconcertare il lettore attuale: nessuno di noi è più disposto a vedere un collegamento così diretto e immediato tra “malattia umana” e “punizione dei peccati”. Ora, sicuramente Paolo è condizionato dalla sua cultura giudaica che considerava reciprocamente condizionati “peccato” e “malattia”; ma oltre questo rimane vero anche per noi oggi la considerazione che le scelte dell’uomo condizionano la sua vita anche nei  suoi aspetti fisici.
11,32-34: in risposta a 11,17-22 “siate accoglienti con i fratelli”
Ecco la soluzione pratica di Paolo: accoglienza disponibile e cordiale del fratello (è meglio tradurre “accogliersi” il verbo che la nostra traduzione rende con “aspettarsi”). E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Qui Paolo parla ai padroni di casa: se proprio volete partecipare ad un banchetto, organizzatelo in un’altra situazione!

 SPUNTI PER L’ATTUALIZZAZIONE
 Nell’eucaristia noi ricordiamo e celebriamo l’amore totale di Cristo per ogni uomo: per questo tutte le volte che non siamo capaci di vivere questo stesso amore verso il fratello noi contraddiciamo intimamente il significato del sacramento che celebriamo. Qual’è il mio atteggiamento nei confronti dell’eucaristia? Sono consapevole di questa intima unione tra sacramento e vita? E come posso fare in modo che questa unione sia sempre più stretta?  L’eucaristia non è tanto il sacramento della semplice presenza di Gesù, ma il mezzo 8 attraverso il quale il Signore si dona a noi nell’offerta totale di amore del suo mistero pasquale di morte e resurrezione. Come posso corrispondere a questo amore donatomi?  Ogni volta che celebriamo la messa, ripetendo il gesto di Gesù, riceviamo nuovamente da Lui il suo amore totale. Quale deve essere il modo di celebrare l’eucaristia  così che possa sprigionare in tutta la sua forza la potenzialità d’amore in essa contenuta? E come posso evitare che la messa diventi una banale routine?  Le nostre scelte condizionano la nostra vita: il nostro modo di agire plasma pian piano ogni giorno, attraverso le banali scelte quotidiane e le grandi scelte della vita, il nostro essere. Questo deve aiutarci a riconoscere in quello che ci accade non solo la presenza dell’imponderabile (che nella fede chiamiamo Dio e la sua “provvidenza”), ma anche la stretta e chiara conseguenza di quello che abbiamo realizzato giorno per giorno. Sono consapevole di questo? E come posso rileggere questa certezza alla luce della fede?

 SILENZIO DI RIFLESSIONE E APPROFONDIMENTO
 RISONANZE SPONTANEE
 INTENZIONI DI PREGHIERA
Ora, Signore, che il tuo Spirito ci ha parlato e ci ha aiutato a comprendere meglio la tua Parola e ciò che essa chiede alla nostra vita, ti invochiamo perché tu ci sostenga nel difficile compito dell’impegno concreto a servizio  del Vangelo e di una coerente testimonianza davanti agli uomini:
Ascoltaci, o Signore. 
Fa che sappiamo sempre vivere quell’amore che celebriamo nell’eucaristia, ti preghiamo;  Rendici capaci di vivere le nostre celebrazioni secondo il comando del Signore come culmine e fonte di tutto il nostro agire, ti preghiamo;
 Aiutaci a compiere ogni gesto della nostra vita nella serena fiducia di poter ricevere
da te il corrispettivo delle nostre azioni, ti preghiamo;
 intenzioni spontanee
Concludiamo la nostra preghiera con le parole del Signore:
PADRE NOSTRO
 Ti ringraziamo, Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, a motivo della grazia che ci hai data attraverso questa Parola che ci testimonia il tuo Figlio: in lui siamo stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza, così che nessun dono di grazia più ci manca, mentre aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.
 Ti preghiamo, confermaci sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro
Gesù Cristo: da te, Padre che sei fedele, siamo stati chiamati alla comunione con il Figlio
tuo Gesù Cristo, Signore nostro. AMEN.

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