Più Bibbia, meno settarismi
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Più Bibbia, meno settarismi
di Ernesto Borghi
Nel mondo cattolico italiano, la riscoperta delle Sacre Scritture ha fatto grandi passi avanti negli ultimi quarant’anni. Eppure molto si può ancora fare in questo senso. A partire da un sostegno meno reticente ai laici competenti fino a un insegnamento culturalmente ineccepibile nelle scuole.
È la Bibbia la fonte primaria di riferimento per la vita di ebrei e cristiani e una delle radici essenziali della cultura dell’Occidente? Questo interrogativo appare più che legittimo, quando si considera lo sviluppo storico dell’Occidente almeno negli ultimi duemilacinquecento anni e la prassi esistenziale comune, perlomeno dal secondo dopoguerra a oggi.
La costituzione dogmatica conciliare Dei Verbum, in particolare al n. 25, incoraggia decisamente alla lettura delle Sacre Scritture. Gli ultimi duecentocinquant’anni e, in particolare, soprattutto per i cattolici, gli ultimi quaranta sono stati fondamentali per un rapporto tra i credenti e le Scritture sempre più scientificamente sostenibile ed esistenzialmente maturante. Nelle tre dimensioni costituzionali della vita ecclesiale – la catechesi, la liturgia, la solidarietà sociale fattiva – la Bibbia ha conosciuto e conosce una presenza sempre più significativa.
Il processo « provvidenziale » che ha avuto, tra i suoi decisivi sostenitori, numerosi esponenti storici della Riforma protestante nella prospettiva, variamente fondata, di una centralità scientifica ed esistenziale delle Scritture nella vita della Chiesa, ha trovato le sue affermazioni più autorevoli, tra i cattolici, a partire dalla fine del XIX secolo.
Soprattutto tra cattolici e protestanti riformati si possono oggi vivere itinerari comuni di lettura e approfondimento delle Scritture a livello scientifico-accademico o divulgativo-esistenziale. Ciò avviene anche perché sono sempre più diffuse due persuasioni: le metodologie del filone storico-critico sono la base per qualsiasi approccio non fondamentalistico alla Bibbia (esegesi ed ermeneutica sono momenti distinti ma indissolubili di qualsiasi confronto con i testi biblici); l’ascolto della Parola biblica e il confronto tra essa e la propria vita sono del tutto basilari per qualsiasi discorso formativo anzitutto ebraico e cristiano.
Indubbiamente tanti progressi si sono realizzati rispetto a un passato, anche piuttosto recente, in cui tristi timori e gravi sospetti accompagnavano tutti coloro i quali – fossero anche seminaristi, suore o frati – cercavano di possedere una copia della Bibbia per leggerne personalmente le pagine e approfondire anche individualmente quanto vi era contenuto. Nel contempo aumentano sensibilmente le richieste e le iniziative culturali e pastorali che le reputano fondanti per qualsiasi discorso di autentica formazione spirituale e sociale degli individui e che contribuiscono realmente a farle conoscere e apprezzare.
Un quadro, ricco di « luci », che delinea un dinamismo certamente positivo, nel quale però le ombre e le difficoltà non mancano. Spesso la Bibbia non costituisce il punto di riferimento centrale nella pianificazione pastorale e nelle proposte formative a tutti i livelli del popolo di Dio, perlomeno in Europa. Questo fatto dipende certamente da molte ragioni, tra le quali la carente e datata formazione biblica di una parte del clero (sacerdoti e vescovi), in particolare in Italia: si è spesso in grado di cogliere la bellezza e l’efficacia di una conferenza o di una lectio, ma poco inclini a impostare l’intera azione del loro ministero pastorale a partire dalla Parola di Dio e sulla base di essa.
A questo si aggiunge un altro dato che mi pare assai importante. Vi sono ambienti ecclesiali in cui si considerano, con maggiore rispetto e apprezzamento, gli scritti di questo o quel fondatore di gruppi o movimenti piuttosto che i testi biblici e la libertà spirituale che consegue da una loro matura e seria lettura. Sarebbe molto interessante, per esempio, verificarlo esaminando i progetti formativi e la prassi di vita di gruppi, movimenti e congregazioni che si sono affacciati all’attenzione ecclesiale dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, ossia da quando nella Chiesa cattolica la considerazione della Bibbia ha assunto connotati di serietà scientifica ineguagliabili rispetto al passato.
D’altra parte le energie economiche e umane che sono dedicate in Italia allo studio e alla divulgazione e alla conoscenza seria della Bibbia sono certamente inadeguate. Ed è piuttosto grave il fatto stesso che, ancora oggi, pochissimi di coloro che si dedicano professionalmente a questo campo siano laiche e laici che vivano confortevolmente, insieme alle loro famiglie, di questo lavoro. Favorire in larga scala la presenza di non presbiteri realmente preparati tra gli studiosi della Bibbia (ma anche di altre discipline storico-religiose e teologiche) consentirebbe un’osmosi sempre più ricca tra la ricerca scientifica in campo biblico e teologico e la vita quotidiana della società umana nel suo complesso.
Indubbiamente – per rifarci alla situazione ecclesiale in Svizzera, Germania e Austria negli ultimi vent’anni – taluni « assistenti pastorali » hanno gravemente disatteso il ruolo formativo e testimoniale che avrebbero dovuto svolgere nella vita delle comunità locali. Ciononostante se la Chiesa cattolica vuole vivere realmente lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II, non può che mettere in atto – anche nelle aree di lingua madre neolatina attraverso l’apporto di figure professionali analoghe a quelle appena menzionate – progetti e strategie utili a moltiplicare le occasioni in cui il « popolo di Dio » confronta menti e cuori con la Parola del Signore molto più organicamente di quanto avviene oggi.
Le energie intellettuali per pensare e attuare tutto ciò esistono. E si possono trovare, senza troppi sforzi di fantasia, anche le risorse finanziarie per sostenere adeguatamente le persone in grado di lavorare bene nelle prospettive appena indicate sia nelle facoltà universitarie ecclesiastiche sia nell’azione pastorale tout-court. Basta non averne paura e guardare a esse con fiducia e simpatia, attraverso l’apertura interiore propria di un altro testo conciliare quale la costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. in particolare il n. 44).
Occorre dare spazio crescente e seriamente configurato sotto ogni punto di vista, nelle istituzioni accademiche e pastorali ecclesiali, a donne e uomini ricchi di creatività e competenza scientifica. Sarebbero ben lieti di operare nella Chiesa italiana mettendo le proprie competenze professionali scientifiche e didattiche a disposizione della formazione biblica e teologica garantita da istituzioni accademiche e pastorali in un quadro economico e normativo serio.
Appare molto grave anche il fatto che, nei sistemi scolastici pubblici europei, lo studio dei classici della letteratura assai spesso non contempli l’attenzione alle Scritture bibliche secondo pari dignità rispetto ad altri « monumenti » della letteratura antica, medioevale, moderna e contemporanea. Spesso ci si limita a sostenere, più o meno esplicitamente, che gli insegnamenti scolastici di cultura religiosa, quando esistono, già se ne occupano.
Chi lo afferma, mostra di non rendersi conto che la Bibbia, in virtù anzitutto della sua incidenza storica nel tessuto culturale plurimillenario dell’Occidente, non può né deve essere terreno d’analisi esclusivo delle discipline strettamente religionistiche, in particolare nell’ambito formativo pubblico. Proporre la dimensione religiosa della cultura è certamente essenziale e la disciplina scolastica relativa deve diventare obbligatoria, a mio avviso, proprio a vantaggio della crescita interiore e sociale di tutti. Il confronto con la Bibbia, però, deve essere condotto nel quadro delle discipline letterarie, proprio là dove ci si occupa dei poemi antichi greci e latini e di altre successive testimonianze culturali di analoga rilevanza contenutistica e formale.
Non considerare le Sacre Scritture ebraiche e cristiane significa non capire gran parte dell’identità culturale, in primo luogo, dell’intero Occidente, che, sotto i profili letterario, filosofico e artistico deve moltissimo alla Bibbia.
Non impegnarsi a far entrare lo studio della Bibbia quale componente imprescindibile, per esempio, dei programmi scolastici vuol dire non aver colto l’importanza di questo discorso e contribuire a diminuire l’autocoscienza culturale delle generazioni euro-mediterranee ed euro-atlantiche presenti e future.
La battaglia meritoria che sta conducendo in proposito, in Italia, l’associazione Biblia è degna di ogni sostegno. Per raggiungere tale obiettivo occorrerebbe, però, al di là delle possibili diversificazioni tra letture « laiche » e « credenti » della Bibbia, un impegno comune di singoli e istituzioni, una vera e propria « alleanza », più globale di quanto realizzato sinora, tra tutti coloro che hanno a cuore, anche attraverso la proposta scolastica della lettura biblica, la formazione culturale seria e intensa di bambini e ragazzi del nostro Paese.
Analogo discorso vale per l’ambito universitario non ecclesiastico. Il fatto che le cattedre relative allo studio dell’Antico e del Nuovo Testamento siano numericamente assai esigue in tante istituzioni accademiche è un altro segno indiscutibile di disinteresse culturalmente davvero inqualificabile, in particolare nella società multiculturale odierna.
Enorme è il contributo etico ed estetico che le Scritture ebraiche e cristiane hanno dato nei secoli passati e possono dare all’esistenza contemporanea e a una salvaguardia dell’umanesimo più dinamico e intelligente. Ovviamente se questi terreni non sono adeguatamente investigati sotto il profilo scientifico e seriamente presentati a livello divulgativo, tale apporto risulta difficilmente fruibile, soprattutto in un’epoca come la nostra, ricchissima di opportunità e stimoli culturali, ma anche di settarismi e integralismi di ogni genere e di una superficialità etica ed estetica preoccupante.
Il rapporto dell’individuo con se stesso, quello tra l’uomo e la donna, la relazione degli esseri umani con la natura, il valore del lavoro e dei beni materiali nella vita umana: questi sono quattro ambiti fondamentali dell’esistenza dell’umanità e del mondo nei quali e sui quali i testi biblici hanno molto da proporre nell’interesse della ricerca della felicità di tutti con tutti per tutti.
Chi oggi può legittimamente sostenere il contrario, sapendo realmente quello che dice?
Le donne e gli uomini che popolano il nostro pianeta, segnatamente coloro che sono di identità culturale euro-mediterranea, hanno di fronte a sé una formidabile opportunità: leggere la Bibbia in modo serio e libero. Ciò può avvenire oggi, passo dopo passo, al di fuori di moralismi e devozionismi di corto respiro, senza chiedere sconti alla pazienza di percorrere capitoli, frasi e parole, nel tentativo di capire quello che il testo dice « nel suo contesto originario » e, successivamente, « alla vita odierna » di lettrici e lettori. Per fare tutto questo la paura, l’accademismo fine a se stesso e l’improvvisazione sono del tutto controproducenti.
La Bibbia, complessivamente intesa, propone un’idea di essere umano in cui intelletto e cuore, razionalità ed emotività sono ambiti tra loro integrati e unificati al servizio della solidarietà interumana concreta e quotidiana verso i propri simili. Per comprendere la perennità o meno di questo ideale di vita occorre un confronto continuo tra i testi biblici e le istanze della cultura del nostro tempo, in una logica di dialogo tra ispirazioni diverse che abbiano i diritti e i doveri personali e sociali delle persone al centro della loro attenzione.
Come si vede, si tratta sempre di un discorso formativo al servizio dell’essere umano nella sua integralità e delle sue possibilità di essere felice e sensato anzitutto nella dimensione terrena della sua vita, senza ripiegamenti egocentrici.
La lettura tenace, appassionata e rigorosa della Bibbia è una strada importante in questa direzione. Essa è da percorrere in chiave ecumenica, secondo una prospettiva che valorizzi armonicamente le diversità secondo un effettivo senso di responsabilità, per la Chiesa, a cominciare dalla confessione cristiano-cattolica, e per la società civile italiana di oggi e di domani.
Ernesto Borghi
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