NOI VI ANNUNCIAMO… (At 13,32)
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(Parrocchia San Giuseppe, San Cesareo, RM)
E NOI VI ANNUNCIAMO… (At 13,32)
Carissimi catechisti, sabato 4 aprile ci troveremo insieme ai nostri ragazzi, in giro per la città di Roma, in cerca della Basilica di San Paolo fuori le mura per vivere il Giubileo di San Paolo, in quest’anno 2009, accogliendo l’invito che ci ha fatto Papa Benedetto XVI.
La figura di San Paolo è straordinariamente ricca sia per la personalità di quest’uomo, sia per la missione che gli è stata affidata da Gesù, portare la Buona Novella fino ai confini della terra, cioè, predicare ai pagani.
Lo scopo della lettura che vi propongo, non è altro che quello di aiutarci a vivere meglio il nostro giubileo Paolino, conoscendo più a fondo la figura del nostro Santo Apostolo. Quindi, buona lettura e buon giubileo!
Paolo di Tarso è il missionario, l’evangelizzatore per eccellenza, colui che dopo l’incontro con il Risorto, ha sentito l’urgenza di portare il Cristo e il suo Vangelo a tutti i popoli fino agli estremi confini della terra. Possiamo dire, senza dubbio, che la storia della nostra stessa Europa, non sarebbe la stessa senza i viaggi missionari di Paolo.
Paolo ricorda più volte nelle sue lettere l’incontro con Cristo che gli ha cambiato la vita, ma non descrive né le circostanze, né dove si trovava.
E’ Luca a fornirci queste informazioni, e non una volta soltanto: per ben tre volte infatti racconta l’evento (Atti 9.22.26); già da sola questa ripetizione mostra l’importanza che tale evento ha nell’ottica di Luca, come fatto davvero decisivo per la corsa della Parola dell’evangelo, da Gerusalemme fino a Roma.
Oggetto della predicazione di Paolo è essenzialmente la persona stessa di Gesù, morto e risorto per noi.
Più di tutti gli autori del Nuovo Testamento Paolo insiste sull’ebraicità di Gesù e sulla irrevocabilità delle promesse fatte a Israele, ma è soltanto in Cristo che ogni altra cosa, a partire dall’eredità religiosa del giudaismo, acquisisce il colore e la preziosità che essa possiede.
(Lettura biblica: Atti 13,16-39)
Alla luce del brano ascoltato ci chiediamo cosa intendeva Paolo per Vangelo di Gesù Cristo, quando lo annunciava con così grande energia, vitalità e passione?
Per lui il Vangelo era
- dono gratuito del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe;
- la rivelazione sua e del suo amore fedele;
- giustizia in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, radice della libertà dal peccato e liberatore dalla morte;
- giustificazione, cioè fondamento di un nuovo rapporto con Dio per mezzo della fede.
Paolo si era reso conto prima di altri, prima ancora dello stesso Pietro, che la radicale gratuità della salvezza, proposta da Cristo nel Vangelo, sta all’origine della sua universalità. Un così grande annuncio di liberazione non poteva essere per uno sparuto numero di persone; la salvezza che nasceva dall’immensa sofferenza della morte del Figlio di Dio non poteva essere per pochi intimi.
Il Vangelo diventa forza di Dio per la salvezza di tutti i credenti, non importa di quale popolo o nazione, non importa se greci o romani, se vicini o lontani. Paolo conosce la potenza di Dio e della Parola del Cristo e come un vaso ricolmo, non può trattenere solo per sé o per pochi amici questa notizia traboccante. Vorrebbe dire il Vangelo a qualunque uomo o donna e sente questo come un peso, una responsabilità. Un’urgenza senza pari che vediamo anche dai suoi scritti: “Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti; sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il Vangelo anche a voi di Roma”
(Rm1,14- 15).
Dopo Damasco, Paolo, avrebbe potuto rimanere nella beatitudine di aver conosciuto, incontrato il Cristo, si sarebbe potuto dedicare a vita privata per poter vivere fino alla fine nella preghiera e nella solitudine. Ma ciò che conta è che Paolo non è stato così! O ancora. Dato il grande dono che Dio gli aveva fatto poteva ergersi in un atteggiamento di superbia e di pseudo-santità e sentirsi maestro sopra gli altri. Ma Paolo non fa neanche questo.
Egli sceglie la condizione di prigioniero del Signore perché, come apostolo di Gesù Cristo, vuole essere libero da tutti. Essere servo per Paolo significa condividere la condizione dei destinatari del vangelo, sia Giudei, osservanti della legge, sia Greci, estranei alle prescrizioni della legge giudaica. Paolo è sicuro e pieno di passione per ciò che predica perché lo ha sperimentato. Sarebbe capace, e in realtà lo è stato, di farsi uccidere per ciò che annunciava.
Il Vangelo di Gesù Cristo, il Crocifisso risuscitato da Dio, fonda anche il suo metodo di comunicazione. Un metodo che può essere definito solidale con la condizione di vita dei destinatari. L’efficacia della comunicazione di Paolo non dipende da un metodo “retorico”.
Probabilmente come Mosè o Samuele, non era neanche un abilissimo parlatore, un incantatore, tanto che molte volte, come accadde a Efeso, è dovuto andar via di corsa dal grande teatro, prima che lo catturassero, perché ciò per cui la gente lo sentiva non erano le belle parole che tanto ci attraggono oggi, capaci cioè, di accontentare tutti in una sorta di compromesso che non cambia nulla. I suoi dialoghi con gli altri erano improntati e definiti dalla libertà di amare. Paolo aveva ben compreso e vissuto il concetto moderno di inculturazione e lo accompagnava a quello di una verità gioiosa immutabile che nasce dall’amore di Dio. La motivazione di questa scelta deriva dalla prospettiva missionaria: “salvare ad ogni costo qualcuno”.
Per Paolo aver incontrato il Signore Risorto sulla via di Damasco è stata l’unica grande esperienza religiosa della sua vita, che gli ha cambiato i connotati spirituali. Cambiati in meglio, naturalmente, visto che da quel momento in poi egli ha orientato tutto se stesso alla conoscenza di Colui dal quale era stato conosciuto, alla diffusione di quella “bella notizia” che gli era stata annunciata, alla missione che gli era stata affidata.
La missione di Paolo non fu qualcosa da fare, ma il suo nuovo modo di essere, l’unico modo per continuare a vivere in modo conforme alla chiamata ricevuta. Sotto questo profilo le sue lettere possono essere considerate quasi come un diario della sua attività missionaria. Se poi le intrecciamo con quello che Luca ci fa conoscere negli Atti (13-28) allora il quadro si completa..
Missionari, dunque, si diventa non per scelta propria o per una mera iniziativa umana, ma solo ed esclusivamente per volontà di Dio, solo per iniziativa di Colui che, solo per amore nostro, ha creato il mondo e lo vuole ricreare in Cristo Signore, nella potenza dello Spirito Santo.
Il messaggio di Paolo si sprigiona non solo dalle sue lettere, ma dalla sua persona e dalla sua opera missionaria. Possiamo dire che la sua attualità è innegabile ed evidente.
Paolo ancora oggi non cessa di parlare alle Chiese e alla Chiesa; non cessa di suscitare meraviglia e stupore, non cessa di provocare le coscienze di molte persone.
Anzitutto ci ricorda che ciò che vale ed è determinante nella vita di un credente è l’incontro personale con Gesù: un incontro più o meno drammatico, più o meno eclatante, ma pur sempre personale, decisivo.
In secondo luogo ci avverte che la missione nella Chiesa manifesterà tutta la sua efficacia solo se ispirata e animata dalla spiritualità del mistero pasquale, cioè vissuta come partecipazione alla passione, morte e resurrezione di Gesù. Proprio come ha fatto lui!
In terzo luogo Paolo, che più volte si qualifica come il “prigioniero di Cristo”, ci ricorda che per vivere il cristianesimo nella sua vera natura, non dobbiamo preoccuparci tanto di ciò che riusciamo a fare da soli o con gli altri, quanto di quello che siamo dinanzi al Signore, prigionieri solo del suo amore.
In questo anno in cui si celebra il bimillenario paolino, i nostri sentimenti dovrebbero essere gli stessi di Paolo, la nostra energia spirituale dovrebbe venire corroborata dalle sue parole, dalla sua schiettezza e dal suo amore, perché altro non sono che un rimando all’amore stesso che Dio ha per noi e che nella sua misericordia ha voluto manifestare in, con e per Cristo, immagine viva e tangibile del Padre.
Dobbiamo pur dire che per un cristiano e ancor più per un missionario, misurarsi con la figura e l’opera di Paolo è difficile e faticoso, ci si sente piccoli, insignificanti, di fronte a colui che viene unanimemente riconosciuto non solo come Apostolo delle genti, ma come chi attraverso i suoi viaggi portò il Vangelo di Gesù di Nazareth dalla Palestina, una delle province più periferiche e sperdute, al cuore delle città dell’Asia Minore e della Grecia, per arrivare infine a Roma, capitale dell’impero.
Una delle cose che colpisce in Paolo è la determinazione delle sue scelte. Determinato come giudeo osservante nel perseguitare la nascente comunità cristiana, ancor più determinato nell’annunciare la Buona Novella di Cristo dopo Damasco.
Proviamo a chiederci: quanto di questa sua determinazione alberga dentro i nostri cuori oggi?
Un altro aspetto della personalità di san Paolo che balza sotto i nostri occhi, è il suo carattere. Di solito si dice che una persona che ha carattere, ce l’ha pessimo, quello di Paolo doveva essere terribile! Lo scontro con Pietro e i riverberi con questo e quell’altro discepolo ci mostrano un San Paolo che nella franchezza del linguaggio e nel coraggio nell’esporre le proprie idee era un testimone straordinario del fascino che Cristo aveva esercitato su di lui. Quanti di noi possono dire lo stesso? Nonostante il suo carattere forte e deciso seppe trasformare i suoi conflitti in una fonte di spiritualità, arrivando ai suoi interlocutori utilizzando un linguaggio carico di attenzione e tenerezza.
Quanti di noi riescono a fare altrettanto?
Abituati come siamo ad utilizzare mezzi di trasporto superveloci, non riusciamo più a percepire la straordinaria vitalità di quest’uomo che, a piedi, a cavallo, o su imbarcazioni alquanto malsicure, seppe percorrere nei suoi molteplici viaggi, le vie consolari dell’Impero e muoversi nel mar Mediterraneo come se fosse un lago. Gli itinerari di San Paolo portano dritti nelle grandi città del tempo ed è proprio in queste città: Antiochia, Corinto, Efeso, Atene, ecc. che Paolo si misura con la cultura del suo tempo e a viso aperto propone l’annuncio del Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani!
Questo suo atteggiamento è ancora patrimonio comune per i cristiani, oppure siamo lentamente scivolati nella tentazione di addolcire o meglio annacquare il messaggio di Gesù così da offuscarne lo splendore originario?
Un altro aspetto caratteristico di San Paolo rivendicato con forza da lui stesso, è quello in cui Paolo sottolinea il fatto di essere un lavoratore che annuncia il Vangelo, Paolo non era un predicatore itinerante, un estroso cantastorie che si spostava di città in città contando belle storielle, era un uomo chiamato da Cristo a portare il Vangelo nel cuore stesso dei popoli estranei a Israele, e per fare questo egli si guadagnava da vivere svolgendo un lavoro manuale che gli consentiva di non pesare su alcuno.
Questa sua indipendenza lo metteva nella condizione di essere libero interiormente ed esternamente di fronte a qualsiasi interlocutore.
“Vivo ma ormai non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me”;
“Completo nella mia carne quello che manca alla passione di Cristo”;
“Quando mi sento debole allora sono veramente forte”;
“Fede, speranza, amore, il più grande dei tre è l’amore”.
Basterebbero queste poche citazioni tratte dall’immenso epistolario paolino, per capire quanto ancora oggi ognuno di noi deve misurarsi su questi nodi cruciali che interpellano la nostra vita e pongono delle domande inevitabili nel contesto della realtà nella quale siamo inseriti.
Anche oggi ci sono delle Agorà, delle piazze, nelle quali scendere e dentro le quali misurarsi con la cultura dominante, anche oggi ci sono città sterminate, dove la “Plantatio Ecclesiae” ovvero il germe di una piccola, magari insignificante comunità di gente che vive nel nome di Cristo è seme di un germoglio che darà i suoi frutti proprio come avvenne al tempo di Paolo; occorre crederci, e ancor di più occorre gettare questo seme sui vasti terreni che lo Spirito Santo ci indica continuamente. Affidiamoci all’intercessione di san Paolo per ottenere dal Signore i doni necessari per annunciare con le parole e con la vita che Dio è padre, ci ama da sempre e per questo ha mandato il suo Figlio Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza.
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