Lettera ai Filippesi, l’Inno Cristologico – PARTE II (Claudio Doglio)

CLAUDIO DOGLIO

Lettera ai Filippesi – PARTE II

4. L’inno cristologico (2,1-11)

La struttura dell’inno

Ed ecco il testo dell’inno che Paolo riporta per spiegare quale è la mentalità di Cristo.
Nell’esortazione alla concordia e alla stima reciproca per il buon andamento della comunità, Paolo inserisce un inno che probabilmente i Filippesi conoscevano e cantavano nella liturgia. Si tratta di uno dei testi più antichi della liturgia cristiana che celebra il grande mistero di Cristo nella sua ricca completezza teologica, ricordando la sua natura divina preesistente, l’incarnazione, la morte e la risurrezione, per concludere con l’intronizzazione a Signore dell’universo.
Gli studiosi non sono d’accordo sull’origine di questo inno cristologico: alcuni lo ritengono una composizione liturgica scritta dallo stesso Paolo per altre circostanze ed inserita qui con qualche lieve ritocco; altri invece pensano che si tratti di un inno di autore giudeo-cristiano che l’apostolo avrebbe fatto suo adattandolo al contesto. Vari indizi linguistici fanno propendere per una composizione pre-paolina, ritoccata da Paolo. La celebrazione ha per oggetto il Cristo storico, Dio e uomo, nell’unità della sua persona; la distinzione dei vari momenti non implica separazione, ma mostra piuttosto il suo evolversi nel tempo ed il suo ritorno al Padre.
L’inno si divide nettamente in due parti: la prima discendente, la seconda ascendente.
Gesù Cristo scese fino in fondo, perciò Dio lo innalzò fino in cima. Potremmo semplificare così il contenuto: nella prima parte si presenta la discesa di Cristo fino in fondo, nella seconda parte la salita di Cristo fino in cima. Il punto determinante è quel «perciò» del versetto 9. Dio lo ha innalzato proprio perché egli si è abbassato.
Questo inno deve essere nato nella comunità cristiana come riflessione su un detto di Gesù riportato diverse volte nei vangeli: «Chi si umilia sarà esaltato, mentre invece chi si esalta sarà umiliato». Ma l’obiettivo è essere esaltati, quindi è questa la parte buona: chi si umilia, chi si comporta in modo umile, sarà esaltato; sarà esaltato da Dio. Gli esperti dicono che si tratta di un passivo divino, cioè un modo di parlare tipico della Bibbia per evitare il nome di Dio.
Chi umilia se stesso sarà esaltato da Dio; è proprio l’atteggiamento di Maria, discepola fedele del Cristo. Maria è grande perché ha imitato Gesù. Il modello è Gesù. Maria è l’esempio di una che lo ha seguito davvero, così i Santi: il modello è sempre Gesù.
Maria e i Santi sono persone che hanno realizzato il modello, in tanti modi diversi. L’unico modello, che è Gesù Cristo, viene realizzato in una infinità di sfumature differenti. Ci sono i santi uomini e le sante donne, ci sono i dottori e gli analfabeti, ci sono quelli morti giovani e quelli invece morti vecchissimi, quelli che hanno fatto tante opere e quelli che non hanno fatto quasi nulla, ci sono santi di tutti i tipi, di tutte le qualità, con tutti i caratteri possibili, con tutte le attività, gli stati. Questo vuol dire che i modi di realizzazione sono infiniti, ma il modello è uno e uno soltanto: è il modello di Gesù Cristo…

Cristo umiliò se stesso
6 il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;

Egli è nella forma di Dio, egli è Dio, ma questo essere come Dio non lo ha tenuto per sé. In greco si adopera una parola strana, che in italiano è stata tradotta in un modo fantasioso: “tesoro geloso”, come una stranezza, perché in genere il tesoro non è geloso, semmai è il proprietario a essere geloso del suo tesoro, ma lo comprendiamo a senso.
Nel testo originale Paolo non adopera però né parola tesoro né la parola geloso, dice «a`rpagmo.n» (harpagmòn). È la stessa radice da cui nella commedia hanno tirato fuori il nome di Arpagone, in genere è chiamato così l’avaro, perché è una parola che vuol dire proprio prendere, è il verbo che indica “arraffare”; Arpagone è la figura comica del vecchio avaro che vuole prendere, che vuole guadagnare, che tiene tutto per sé, che non vuole dare niente.
Gesù, che è Dio, non tenne per sé – come un oggetto da custodire gelosamente – l’essere come Dio. Non pretese di prendere. Adamo, invece, prese dell’albero con la prospettiva di essere come Dio. Mentre l’uomo pretende di essere come Dio, senza esserlo, e quindi cerca di prendere per diventare come Dio, Dio – che lo è – non tiene per sé questa prerogativa esclusivamente divina: è il capovolgimento della mentalità di Adamo.
L’uomo mira a prendere, invece lo stile di Dio è quello di dare.
Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un oggetto di rapina, un oggetto da tenere gelosamente per sé la sua uguaglianza con Dio, ma, al contrario…
7 ma spogliò se stesso,
Il verbo greco è ancora più forte dell’italiano “spogliare”, è il verbo «evke,nwsen» (ekénosen) “svuotare”: «Gesù svuotò se stesso». È una frase forte dire che Dio si è svuotato. In latino hanno tradotto “exinanivit”, “rese se stesso inanis”, cioè inutile: Dio si è svuotato.
Pensate che quando una persona invece è superba, noi diciamo che è piena di sé; quando una persona si dà delle arie, diciamo che si gonfia, che è un pallone gonfiato; adoperiamo quindi delle immagini simili. L’uomo tende a gonfiarsi a essere pieno di sé.
Sono le nostre soddisfazioni: “Io, io so, io sono, io faccio, io ho”; questo è l’atteggiamento della pienezza, della superbia, dell’orgoglio.
Dio si è svuotato. Lui, che aveva tutti i motivi di essere, di avere, di sapere, si è svuotato, addirittura ha perso l’essere, è arrivato a morire;

7 ma svuotò se stesso,
prendendo forma di servo
Di schiavo, la categoria più bassa immaginabile.
e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana,

«evtapei,nwsen» (etapeínosen), si fece tapino, si fece piccolo, povero. L’umiltà non è un atteggiamento spirituale, è proprio una condizione, è l’essere piccolo, povero, che non conta; si fece una povera persona. Non si fece un uomo potente, si fece uomo e un uomo marginale, senza un ruolo sociale, senza un ruolo politico, senza potere, nato in un paesino sperduto, figlio di persone senza nome, senza gloria. Ha vissuto in un ambiente povero, non ha mai comandato, non ha mai governato, non ha mai avuto un titolo di onore. Dio si è fatto quell’uomo lì.

8 Umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.

Più in basso di così non si può… fino alla morte di croce, la morte più umiliante che ci sia; più in basso non poteva scendere, ma fin dove poteva, scese. Questa è la mentalità di Dio, Dio è così; se non hai quella mentalità non hai il pensiero di Gesù Cristo, non hai il pensiero di Dio, sei contrario. Tutto il resto è di conseguenza; puoi essere l’ultimo sacrestano o il primo papa, ma devi avere quella mentalità. Può essere più umile un papa di un sacrestano, ma tutti e due devono esserlo.

Perciò Dio lo ha esaltato

Al centro dell’inno troviamo la svolta decisiva:
9 Perciò Dio l’ha super-esaltato
Si adopera qui un verbo inventato, che non c’è in greco come non c’è in italiano. Con il prefisso super, “super esaltato”; Dio lo ha esaltato al di sopra di ogni possibilità,

e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10 perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi,
nei cieli, sulla terra e sotto terra;

Perché nel suo nome si pieghino le ginocchia di quelli che sono nei cieli, cioè degli angeli; si pieghino le ginocchia di quelli che sono sulla terra, cioè degli uomini e le donne vivi in questo mondo; si pieghino anche le ginocchia di quelli che sono sotto terra, cioè dei morti. Cielo, terra inferi: tutto l’universo deve piegare le ginocchia.

L’espressione è presa dal profeta Isaia:

Is 45, 23 davanti a me [è Dio che parla] si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua».

Qui, però, avviene un fatto eccezionale: si dice che invece le ginocchia devono essere piegate davanti a Gesù, davanti a quell’uomo che si è abbassato così tanto. Tutti: in cielo, in terra, sotto terra, devono inginocchiarsi davanti Gesù.
11 e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è [Kyrios] il Signore, [Dio] a gloria di Dio Padre.
Quell’uomo Gesù, che si è abbassato fino alla morte di croce, è la persona più grande che esista nel mondo: è Dio in persona. Il riconoscimento della divinità di Gesù non è sufficiente se non riconosciamo che Dio si è abbassato; il modello è l’abbassamento.
Abbiate in voi la stessa mentalità che fu di Cristo Gesù. Questo testo la liturgia ce lo propone al sabato come luce della domenica, ce lo propone nella Settimana Santa, nel Triduo Pasquale, per avere sotto gli occhi il modello fondamentale, ce lo propone continuamente, è il cuore dei nostri esercizi.
Stateci tanto sopra, contemplate Cristo che si è umiliato: per questo è stato esaltato da Dio. Chiedete che la nostra mentalità diventi sempre più simile alla sua, una sola; dobbiamo avere tutti la stessa mentalità, quella di Cristo.

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