SAN PAOLO: UN MISSIONARIO PIU’ ATTUALE CHE MAI

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SAN PAOLO: UN MISSIONARIO PIU’ ATTUALE CHE MAI

(ancora una introduzione all’anno paolino, c’è sempre qualcosa di nuovo!)

Per ogni missionario è difficile sottrarsi al fascino e alla personalità di San Paolo, per chi ha l’orizzonte dell’uomo e i confini del mondo piantati nel cuore, difficilmente riesce a non misurarsi con la figura di Paolo. Nell’immaginario collettivo della grande famiglia missionaria, Paolo è il primo vero autentico missionario, colui che sfruttando le maestose strade imperiali dell’antica Roma seppe portare il Vangelo da una delle province più periferiche nel cuore stesso dell’Urbe, allora « Caput Mundi »; i chilometri fatti a piedi, a cavallo e le miglia marittime percorse sulle trireme del tempo sorpassano ogni nostra immaginazione. Paolo, toccato nell’intimo della sua coscienza dall’incontro con Cristo sulla via di Damasco, dedicò tutta la sua vita a portare il Vangelo nel tessuto sociale delle città pulsanti dell’Impero dove si elaborava e si costruiva la vita ed il pensiero di popoli assai diversi tra di loro. Ma se colpisce l’ansia missionaria che portò Paolo a compiere diversi viaggi e ad inoltrarsi in lande sconosciute, sorprende ancora di più il coraggio con cui egli seppe guardare a viso aperto uomini e problemi del suo tempo e confrontarsi alla luce dell’insegnamento di Cristo sul destino dell’uomo.
Paolo, compiacente spettatore della lapidazione di Stefano e accanito persecutore dei primi cristiani, dopo l’incontro con Gesú di Nazareth (un incontro che possiamo definire un autentico mistero di fede) diventa egli stesso un Apostolo capace di suscitare nel cuore di molte persone il desiderio sincero di conoscere e seguire il Cristo.
Il Nuovo Testamento nel suo insieme ci presenta molto di più della vita di Paolo che non di quella di Gesù, le sue lettere che proclamiamo ed ascoltiamo nelle nostre Eucaristie domenicali, dimostrano quanta passione e quanto fuoco gli ardeva in cuore, le comunità da lui fondate e alle quali si rivolgeva sperimentano sulla loro pelle, allo stesso tempo rimproveri e tenerezza, correzione fraterna ed affettuosità. Paolo è un uomo eccezionale, pieno di passione e di vigore, di luce e di fuoco, in lui orgoglio ed umiltà, fascino e fortezza sono un’unica cosa. Ebreo osservante, esecutore zelante della legge di Mosè, diventa l’intrepido annunciatore del Vangelo che libera dalla legge facendo scoprire ad ogni uomo che egli è salvo, reso giusto non in virtù di vuoti ritualismi e precetti osservati scrupolosamente, ma per la gratuità sconfinata della Croce di Cristo; la fede nel Maestro rende giusto il peccatore e lo fa partecipe di quel mistero di Grazia in cui ciascuno si sente amato da Dio. Se il messaggio di Gesù imperniato sull’amore a Dio e al prossimo, che aveva come cardine il perdono da offrire anche al malvagio, era rivolto a tutti, nessuno escluso, anzi proprio coloro che erano i reietti, i peccatori, gli emarginati per eccellenza in una parola i « piccoli », si trovano ad essere i depositari privilegiati di quest’annuncio, che dà loro una dignità ed una coscienza di se stessi che nessun filosofo aveva mai osato affermare, questa tenerezza che fa del’ultimo degli schiavi un figlio prediletto di Dio e lo pone sullo stesso piano del più nobile tra gli aristocratici del tempo e dello stesso Imperatore, sarà vista come un messaggio pericolosissimo da bloccare con qualunque mezzo al fine di non scardinare un sistema di potere basato sulla schiavitù, sul dominio e sull’oppressione. Paolo porterà questo messaggio là dove era necessario che esso fosse conosciuto, inquietando in tal modo i governatori e gli imperatori di turno, ma egli non defletterà neanche di una virgola da questo compito che gli era stato affidato. Pur essendo l’ultimo arrivato tra gli Apostoli sarà quello che si opporrà anche a Pietro a viso aperto, ritenendo la sua apertura alle genti, autenticamente vicina al messaggio del Maestro.
Un personaggio così, che cosa può dire al cristiano d’oggi ed in modo particolare a chi ne ricalca le orme sui sentieri della missione? La risposta sta nello stile e nel modo di presentare il Vangelo tipico di Paolo: avere il coraggio di andare oltre, sempre! Senza fermarsi al dato acquisito o alla comunità calda, accogliente e gratificante che suadente ti invita a … restare! In secondo luogo guardare negli occhi – come Paolo – uomini e problemi che ti stanno davanti, le Agorà di oggi non sono meno problematiche ed inquietanti di quelle di allora, la grande tentazione per i cristiani di ogni tempo è di rinchiudersi in ovili protetti scantonando quelle che sono le sfide più crude che il mondo continuamente ti getta in faccia. Inoltre, la franchezza del linguaggio paolino, resta un valore oggi come ieri, anche se il modo di parlare paludato e « curiale » di certi ambienti ecclesiastici stride in maniera costante con il modo di fare di Paolo. Non ultimo la tenerezza che Paolo avvertì dentro di se dopo l’incontro con Gesù e che riversò abbondantemente sulle persone che incontrò e le comunità con le quali ebbe a che fare, ci ricordano come la buona notizia di Gesù di Nazareth è innanzi tutto amore sconfinato verso chi il mondo ignora, emargina o disprezza. Nell’anno Paolino voluto da Papa Ratzinger, riscoprire questi aspetti squisitamente missionari, ci aiuterebbe a recuperare quell’afflato paolino che certamente alberga in ciascuno di noi, un compito al quale non possiamo sottrarci.

CAMMINANDO OGGI SULLE ORME DI SAN PAOLO
Per un cristiano e ancor di più per un missionario, misurarsi con la figura e l’opera di San Paolo è quasi impossibile, ci si sente piccoli, insignificanti, di fronte a colui che viene unanimemente riconosciuto non solo come l’Apostolo delle genti, ma come chi attraverso i suoi viaggi portò il Vangelo di Gesù di Nazareth dalla Palestina, una delle province più periferiche e sperdute, al cuore delle città dell’Asia Minore e della Grecia, per arrivare infine a Roma capitale dell’Impero. Dai testi del Nuovo Testamento, sappiamo molto più della vita di Paolo che non di quella di Gesù, proprio per questo – in vista anche dell’imminente Anno Paolino – cercare di accostarci con rispetto e attenzione a questo discepolo di Cristo, per carpirne metodi e strategie missionarie adattabili all’uomo d’oggi, ci sembra per lo meno un tentativo necessario proprio per non disperdere l’immenso patrimonio che ci ha lasciato. E, attraverso i suoi scritti porci delle domande che aiutino la nostra vita a misurarsi più in profondità con il Vangelo.
La prima cosa che colpisce in Paolo è la determinazione delle sue scelte. Determinato come giudeo osservante nel perseguire con la spada la nascente comunità cristiana, ancor più determinato nell’annunciare la Buona Novella di Cristo dopo la « conversione » sulla via di Damasco. Proviamo a chiederci: quanto di questa sua determinazione alberga dentro i nostri cuori oggi? Un altro aspetto della personalità di San Paolo che balza subito agli occhi, è il suo carattere. Di solito si dice che una persona che ha carattere, ce l’ha pessimo, quello di Paolo doveva essere orribile! Lo scontro con Pietro e i diverbi con questo o quell’altro discepolo, puntualmente segnalati dagli Atti degli Apostoli, ci mostrano un San Paolo che nella franchezza del linguaggio e nel coraggio nell’esporre le proprie idee era un testimone straordinario del fascino che Cristo aveva esercitato su di lui. Quanti di noi possono dire lo stesso? Nonostante il caratteraccio e la parresia di linguaggio, San Paolo seppe trasformare i suoi conflitti in una fonte di spiritualità, lo possiamo vedere in diversi passaggi delle sue lettere, dove dopo alcune sottolineature un po’ « pepate » sa arrivare ai suoi interlocutori utilizzando un linguaggio carico di attenzione e tenerezza. Quanti di noi riescono a fare altrettanto?
Abituati come siamo ad utilizzare mezzi di trasporto superveloci, non riusciamo più a percepire la straordinaria vitalità di quest’uomo che, a piedi, a cavallo, o su imbarcazioni alquanto malsicure, seppe percorrere nei suoi molteplici viaggi, le vie consolari dell’Impero e muoversi nel mar Mediterraneo come se fosse un lago. Gli itinerari di San Paolo portano dritti nelle grandi città del tempo ed è proprio in queste città: Antiochia, Corinto, Efeso, Atene, ecc. che Paolo si misura con la cultura del suo tempo e a viso aperto propone l’annuncio del Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani! Questo suo atteggiamento è ancora patrimonio comune per i cristiani, oppure siamo lentamente scivolati verso un’edulcorazione del messaggio di Gesù che abbiamo talmente incrostato di orpelli inutili e superflui da offuscarne lo splendore originario? Un altro aspetto caratteristico di San Paolo rivendicato con forza da lui stesso, è quello in cui Paolo sottolinea il fatto di essere un lavoratore che annuncia il Vangelo, Paolo non era un predicatore itinerante, un estroso naif che si spostava di città in città contando belle storielle, era un uomo chiamato da Cristo a portare il Vangelo nel cuore stesso dei popoli estranei a Israele, e per fare questo egli si guadagnava da vivere svolgendo un lavoro manuale che gli consentiva di non pesare su alcuno. Questa sua indipendenza lo metteva nella condizione di essere libero interiormente ed esternamente di fronte a qualsiasi interlocutore. Quanti di noi oggi possono dire altrettanto?
« Vivo ma ormai non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me »; « Completo nella mia carne quello che manca alla passione di Cristo »; « Quando mi sento debole allora sono veramente forte »; « Fede, speranza, amore, il più grande dei tre è l’amore »; basterebbero queste poche citazioni tratte dall’immenso epistolario paolino, per capire quanto ancora oggi ognuno di noi deve misurarsi su questi nodi cruciali che interpellano la nostra vita e pongono delle domande ineludibili nel conteso della realtà nella quale siamo inseriti. Anche oggi ci sono delle Agorà, delle piazze, nelle quali scendere e dentro le quali misurarsi con la cultura dominante, anche oggi ci sono città sterminate, megalopoli dove la « Plantatio Ecclesiae » ovvero il germe di una piccola, magari insignificante comunità di gente che vive nel nome di Cristo è seme di un germoglio che darà i suoi frutti proprio come avvenne al tempo di Paolo; occorre crederci, e ancor di più occorre gettare questo seme sui vasti terreni che lo Spirito Santo ci indica continuamente.
Lungo gli anni della sua vita, Paolo affrontò dei passaggi che richiesero una transizione complessa e conflittuale a livello personale sia sul piano psicologico che sul piano della fede, difatti passò dal mondo ebraico al mondo greco, dal contesto rurale ad un contesto urbano, dalle sicurezze del giudaismo, al mondo pluralista e conflittuale delle grandi città dell’Impero, da una Chiesa di soli ebrei convertiti a una Chiesa che spalancava le porte per accogliere quanti erano disposti a vivere il Vangelo, da una religione legata a un popolo a una nuova religione aperta a tutta l’umanità. Si può dire che Paolo compì dentro di sé un esodo straordinario – ancor più affascinante dei suoi viaggi – i suoi ripetuti passaggi dal vecchio al nuovo ebbero certamente i dolori del parto, ma ciò che di nuovo nacque attraverso di lui con la Grazia di Cristo è divenuto patrimonio comune per tutte le generazioni seguenti. Fare in modo che questa novità di vita inaugurata da San Paolo non invecchi mai nei nostri cuori, ma ci rigeneri continuamente nella luce di Cristo, sarebbe il modo migliore per acquisire il messaggio di San Paolo e crediamo anche un modo originale per celebrare l’anno a lui dedicato.

MISSIONARI COME PAOLO O COME CRISTO?
Nel contesto dell’Anno paolino si è molto parlato di questo Santo, passato giustamente alla Storia, grazie alla sua instancabile attività missionaria come l’Apostolo delle genti. Qualcuno ha calcolato che San Paolo percorse circa ventimila chilometri per terra e per mare per annunciare il Vangelo nelle città più importanti e rappresentative dell’epoca e, considerando che a quei tempi i mezzi di comunicazione erano abbastanza scarsi e precari, c’è veramente da dire che si è trattato di un’impresa notevole. Tutto ciò fa di Paolo un instancabile araldo evangelico e sotto questo profilo, numerosi sono stati gli articoli e le pubblicazioni che periodici e riviste specializzate hanno dedicato a questa straordinaria figura della Chiesa. Se San Paolo è quindi l’antesignano per eccellenza della “Missio ad Gentes” varrà la pena ricordare che lui stesso continuamente indicava come perno della sua predicazione la figura di Gesù di Nazareth, morto in croce e risorto per la nostra salvezza. Sorge pertanto una domanda: dai Vangeli non risulta che Gesù sia mai uscito dalla Palestina; è vero che c’è la fuga in Egitto di quando era bambino, ma non possiamo certamente indicare questo viaggio come un viaggio missionario, nè tanto meno i brevi sconfinamenti fatti nella Decapoli possono essere visti come viaggi “Ad Gentes”. In che cosa consisteva allora la “missionarietà” di Gesù tanto da essere continuamente sottolineata da Paolo? Qual’era la caratteristica di questo “nuovo messaggio” che colpiva così tanto gli ascoltatori di Paolo tanto da portarli o a rapide conversione o ad un’opposizione radicale, che a volte sfociava in tumulti popolari? Si può dire che la missionarietà di Gesù, pur non essendo “strettamente chilometrica” era per certi versi di una radicalità che suscitava inquietanti interrogativi ed entusiastiche adesioni. Gesù in fondo, pur non allontanandosi mai dalla sua terra natale, offriva come stile di vita un’approccio alle persone certamente molto più intenso e stupefacente di un viaggio missionario. Egli infatti andava incontro a coloro verso i quali nessuno andava! Sedere a tavola con i peccatori, entrare nelle case delle persone più odiate del tempo, come i pubblicani (autentici strozzini e sanguisughe della povera gente) avvicinare i lebbrosi, frequentare persone dalla dubbia moralità, circondarsi di amicizie manesche e poco raccomandabili, tutto ciò rompeva gli schemi abituali di vita consolidati dalla consuetudine, così cari alla tradizione del popolo ebraico. L’ansia apostolica di Paolo trova pertanto la sua più completa aderenza alla missionarietà di Gesù: mentre questi andava incontro ai peccatori ed agli emarginati della sua gente, Paolo portava questo stile di “prossimità” ai popoli del bacino del Mediterraneo, arrivando nel cuore stesso di questo mondo, ovvero la Roma imperiale “Caput Mundi”. Proclamando da questa “straordinaria tribuna” quanto grande fosse l’amore di Dio verso tutti gli uomini, e ancor più stupefacente rivelando quanto questo Amore fosse riservato in maniera privilegiata a coloro che in quella società non contavano nulla: i poveri, gli afflitti, gli schiavi, gli emarginati. In questo modo tutti coloro che vivevano ai bordi dell’Impero venivano collocati al centro del messaggio evangelico: notizia più sconvolgente e più straordinaria di questa non si poteva immaginare. A duemila anni di distanza lo stile missionario sia di Gesù come di Paolo deve incidere in maniera preponderante ancora oggi nel nostro modo di fare pastorale: la prossimità del Vangelo all’uomo di ogni tempo deve trovare forme concrete di vicinanza e di amicizia che faccia sentire i sofferenti, gli ammalati, i poveri, gli esclusi, gli stranieri (regolari e clandestini) a loro agio nella comunità cristiana, accolti come fratelli e valorizzati come persone; solo così le nostre comunità saranno missionarie e solo così la missionarietà non si misurerà più in chilometri ma in intensità di rapporto con ogni persona che soffre, vicina o lontana che sia.

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