Archive pour août, 2012

Preghiera a san Paolo

http://www.paoline.org/paoline__italiano_/preghiere/00004763_Preghiera_a_san_Paolo.html

DAL SITO DELLE FIGLIE DI SAN PAOLO

Preghiera a san Paolo

« L’apostolo Paolo bisogna che viva, e significa che viva con la sua scienza, col suo zelo, che viva con il suo spirito. Dobbiamo aspirare a questo:
di risuscitare il suo spirito in noi; di apprendere la sua scienza; di rivivere, di ridestare il suo zelo altissimo di apostolo…
Egli in verità ha saputo penetrare la scienza della carità di Gesù Cristo: in alto, nella sua profondità, nella sua larghezza, nella sua ampiezza… » (FSP34, p. 93).

G. Preghiamo nell’atteggiamento della lode e del rendimento di grazie, nel desiderio di far risuscitare lo spirito di san Paolo in noi… Come Paolo possiamo anche noi vivere la profonda consapevolezza: mi ha scelto, mi ha chiamato per grazia, ha rivelato in me il Figlio, perché lo annunziassi. Invochiamo la luce dello Spirito Santo perché ci doni di penetrare, come Paolo, la scienza della carità di Gesù Cristo.

Canto allo Spirito Santo: Emilie Spiritum tuum (n. 155)
Ascoltiamo l’esperienza diretta dell’apostolo Paolo

L 1 : Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco (Gai 1,13ss).
Rit. Sancte Paule aposlole

L 2: Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio (ICor 2,3-4).
Rit. Sancte Panie apostole

L 1: Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitemi dal Vangelo (ICor 9,16-18).
Rit. Sancte Panie apostole

L 2: Abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinchè appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2Cor 4,7-10).
Rit: Sancte Panie apostole…

L 1: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati (Rm 8,35.37).
Rit. Chi ci separerà dalla sua pace, la persecuzione, forse il dolore? Nessun potere ci separerà da Colui che è morto per noi.

L 2: lo sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8,38ss).
Rit. Chi ci separerà dalla sua gioia,
chi potrà strapparci il suo perdono? Nessuno al mondo ci allontanerà dalla vita in Cristo Signore.

G. Paolo è stato affascinato da Cristo e ormai per lui c’è un solo tesoro, Cristo stesso. Quando Paolo pensa alla sua esperienza di incontro con Gesù, l’immagine che gli viene in mente è quella di una forza travolgente: « Sono stato conquistato da Gesù Cristo ». La sua conversione è un atto da innamorato, provocato dalla follia dell’amore: lascia le cose più stimate per seguire la persona amata. Dirà al suo discepolo Timoteo:

Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento (ITm 1,12-13).

Inno a San Paolo (dal vespro proprio)

Esalti festante la Chiesa l
a gloria sublime di Paolo
che Dio tramutò da nemico
in docile apostolo suo.

Se prima spirava minacce
agli umili servi di Cristo
amore più intenso ora spira
ghermito dal Cristo risorto.

O sorte stupenda di eletto!
al ciclo rapito in visione
ascolta un arcano linguaggio,
contempla i misteri di Dio.

Spargendo il buon seme del Verbo
edifica chiese ferventi:
in terra sua lettera viva,
in ciclo suo gaudio e corona.

Al mondo smarrito nel buio sono faro di luce i suoi scritti; le tenebre eterne egli sfida finché Verità non trionfi.
A Cristo l’onore e la gloria col Padre e lo Spirito Santo, che in Paolo ha donato alle genti un padre e un maestro di vita. Amen.
Con i sentimenti di Paolo e sentendoci unite a tutte le sorelle che in questi giorni emettono la prima professione o la professione perpetua, rinnoviamo l’offerta della nostra vita.

Tutte: Rinnovazione dei voti (LdP p. 55).

Ant. al Magnificat
Paolo, apostolo del Vangelo e maestro di tutti i popoli, prega per noi Dio che ti ha eletto.
Preghiera conclusiva
Signore, Dio nostro, che nel tuo amore per gli uomini hai scelto e inviato l’apostolo Paolo ad annunciare il vangelo di Gesù Cristo morto e risorto, concedi a noi che lo onoriamo ispiratore e padre, di imitarlo nel portare la Parola che salva agli uomini del nostro tempo. Per Cristo nostro Signore.

Canto finale: Laudate omnes gentes (n. 813).

SI CAPOVOLGE DENTRO DI ME IL MIO CUORE» (Os 11,8) : IL PROFETA OSEA

http://www.collevalenza.it/Riviste/2007/Riv0707/Riv0707_03.htm

SI CAPOVOLGE DENTRO DI ME IL MIO CUORE» (Os 11,8) : IL PROFETA OSEA

P. Aurelio Pérez, fam

Il libro di Osea è un momento chiave nella rivelazione della misericordia di Dio nell’Antico Testamento. Merita che ci soffermiamo in modo particolare. Gesù stesso citerà, nel vg di Mt, per due volte (Mt 9,13; 12,7) un testo chiave di Osea: « Misericordia io voglio e non sacrificio » (Os 6,6)

Come lo Sposo e la sposa
Osea è il primo dei profeti che ha avuto l’ardire di fare dell’amore umano, che esiste tra lo sposo e la sposa, il simbolo dell’amore di Dio verso Israele, suo popolo; e ha avuto l’audacia di concepire il patto tra Dio e Israele come un’alleanza nuziale, uno sposalizio d’amore, con tutto ciò che in fatto di intimità e di tensione questo possa comportare.
E questa interpretazione si riflette nel suo linguaggio, ricco di tutta una terminologia d’amore, tipica dell’amore sponsale. Così ad esempio egli parla di cuore, di fidanzamento, di fedeltà, di seduzione, di gelosia, di adulterio, di prostituzione.
Come Osea è arrivato ad applicare un così audace simbolismo? Vi è pervenuto, non inventando una parabola a scopo didattico, ma partendo dalla sua esperienza personale di vita, quella di un matrimonio infelice, di un amore tradito:
Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse:
« Va’, prenditi in moglie una prostituta
e abbi figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi
allontanandosi dal Signore » (Os 1,2)
Il Signore mi disse ancora: « Va’, ama una donna che è amata da un altro ed è adultera; come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei » (Os 3,1).
È riflettendo su questa esperienza drammatica della sua vita matrimoniale che Osea arriva a cogliere il significato simbolico che vi è insito, e comprendere la missione che Dio gli affida: essere cantore e interprete dell’amore nuziale tra Dio e Israele.
Il libro di Osea è tutto un alternarsi continuo di manifestazioni di amore appassionato, di minacce, di gelosia, di rimproveri e denunce contro l’infedeltà, di espressioni piene di tenerezza e di annunci di terribili castighi, infine di promessa restaurazione finale. Da notare che in Osea, come in tutti i profeti, l’ultima parola è sempre una parola di speranza, anche nelle situazioni più drammatiche, perché l’amore del Signore è più forte di tutte le infedeltà dell’uomo.
Nonostante tutto, Dio continua ad amare Israele, a rimanere fedele: non abbandonerà al suo destino la sposa infedele, ma, mosso a compassione (è un capovolgimento), progetta di sedurla nuovamente, di riconquistarne il cuore:
Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16).
È in questo tentativo di recupero dell’amore della sposa che si inserisce il tema importante del deserto, come via di ripensamento.
Il deserto è visto da Osea come il tempo della giovinezza di Israele, un tempo in cui, tra le privazioni e l’insicurezza quotidiana, ha vissuto con purezza la sua fede, il suo abbandono in Dio, il tempo in cui ha riconosciuto in Lui l’unico suo Sposo.
Quindi Osea ci vuole mostrare che all’origine del cammino di conversione e di fede c’è l’amore tenero e misericordioso di Dio, che è perennemente, instancabilmente fedele.

Come il Padre e il figlio
Un’altra immagine eloquentissima che il profeta ci offre è quella del rapporto Padre-figlio:
Quando Israele era giovinetto,
io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi.
Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano,
ma essi non compresero che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore;
ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.
Ritornerà al paese d’Egitto, Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
La spada farà strage nelle loro città,
sterminerà i loro figli,
demolirà le loro fortezze.
Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo.
Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Adma, ridurti allo stato di Zeboim? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione.
Non darò sfogo all’ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira.
Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall’occidente,
accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore.
(Os 11,1-11)
Il profeta sente che è pronunciata ormai la sentenza per le colpe, è già avviata l’esecuzione, ma all’improvviso avviene qualcosa di inaspettato e decisivo: in Dio esplode un amore sconvolgente.
Dato che Israele non si è convertito verso il suo Dio, sarà Dio a convertirsi verso il suo popolo. Il Padre incredibilmente pietoso inizia una lamentazione in cui si mostra come vinto dal suo stesso amore:
« Il mio cuore si commuove dentro di me ». Il verbo ebraico usato è « capovolgere »: è il verbo che descrive le catastrofi.
Questo verbo, che doveva descrivere la catastrofe di Israele come punizione, descrive invece la catastrofe, il crollo del cuore di Dio. Al pensiero che Israele possa rovesciarsi come Sodoma e come Gomorra, come Admà e Seboim, a Dio si rovescia il cuore, per cui passa dalla collera alla misericordia, e non si comporterà come un re severo, ma come un padre: « Io sono il Santo in mezzo a te ».
Possiamo considerare questo testo come una delle cose più belle e grandi che siano state dette sull’amore di Dio, non solo nel libro di Osea, ma in tutta la letteratura profetica.
Se Dio è lo sposo e Israele la sposa, se Dio è il padre e Israele è il figlio, l’alleanza diventa un rapporto di amore e la legge suprema dell’alleanza è solo l’amore. Osea condensa, così, tutto il suo messaggio in quel versetto che Gesù –molto significativamente!- riprenderà per due volte:
Voglio l’amore e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio più che gli olocausti. (Os 6,6)

San Giovanni Maria Vianney

San Giovanni Maria Vianney dans immagini sacre 800-208

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Publié dans:immagini sacre |on 3 août, 2012 |Pas de commentaires »

Dal « Catechismo » di san Giovanni Maria Vianney, sacerdote: L’opera più bella dell’uomo è quella di pregare e amare (memoria il 4 agosto)

http://www.gliscritti.it/liturgia/2012/agosto/04.htm

Dal « Catechismo » di san Giovanni Maria Vianney, sacerdote (Catéchisme sur la priére: A. Monnin, Esprit du Curé d’Ars, Parigi, 1899, pp. 87-89)

L’opera più bella dell’uomo è quella di pregare e amare

Fate bene attenzione, miei figliuoli: il tesoro del cristiano non è sulla terra, ma in cielo. Il nostro pensiero perciò deve volgersi dov’è il nostro tesoro. Questo è il bel compito dell’uomo: pregare ed amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa è la felicità dell’uomo sulla terra. La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa saovità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno può più separare. Come è bella questa unione di Dio con la sua piccola creatura! E’ una felicità questa che non si può comprendere. Noi eravamo diventati indegni di pregare. Dio però, nella sua bontà, ci ha permesso di parlare con lui. La nostra preghiera è incenso a lui quanto mai gradito. Figliuoli miei, il vostro cuore è piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare Dio. La preghiera ci fa pregustare il cielo, come qualcosa che discende a noi dal paradiso. Non ci lascia mai senza dolcezza. Infatti è miele che stilla nell’anima e fa che tutto sia dolce. Nella preghiera ben fatta i dolori si sciolgono come neve al sole. Anche questo ci dà la preghiera: che il tempo scorra con tanta velocità e tanta felicità dell’uomo che non si avverte più la sua lunghezza. Ascoltate: quando ero parroco di Bresse, dovendo per un certo tempo sostituire i miei confratelli, quasi tutti malati, mi trovavo spesso a percorrere lunghi tratti di strada; allora pregavo il buon Dio, e il tempo, siatene certi, non mi pareva mai lungo. Ci sono alcune persone che si sprofondano completamente nella preghiera come un pesce nell’onda, perché sono tutte dedite al buon Dio. Non c’è divisione alcuna nel loro cuore. O quanto amo queste anime generose! San Francesco d’Assisi e santa Coletta vedevano nostro Signore e parlavano con lui a quel modo che noi ci parliamo gli uni agli altri. Noi invece quante volte veniamo in chiesa senza sapere cosa dobbiamo fare o domandare! Tuttavia, ogni qual volta ci rechiamo da qualcuno, sappiamo bene perché ci andiamo. Anzi vi sono alcuni che sembrano dire così al buon Dio: « Ho soltanto due parole da dirti, così mi sbrigherò presto e me ne andrò via da te ». Io penso sempre che, quando veniamo ad adorare il Signore, otterremmo tutto quello che domandiamo, se pregassimo con fede proprio viva e con cuore totalmente puro.

Publié dans:SANTI, Santi - scritti |on 3 août, 2012 |Pas de commentaires »

Omelia sulla prima lettura: Piove pane!

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/15754.html

Omelia don Marco Pratesi – prima lettura

Piove pane!

Gli Israeliti « mormorano » (vv. 2 e 12). L’espressione ha connotazione negativa, si tratta di un brontolare privo di fede. In effetti è già decisivo il fatto che essi non si rivolgano al Signore o a Mosè perché interceda, ma si limitino a protestare con i capi. Inoltre il progetto dell’esodo viene nel complesso interpretato, in modo opposto al vero, come un progetto di morte: « ci avete fatto uscire in questo deserto per farci morire di fame » (v. 3). Essi stanno perdendo di vista l’obiettivo del cammino – la terra ideale adesso non sta più davanti ma dietro – perché adesso tutto ciò che interessa è la sazietà, indipendentemente da ogni altra considerazione. Ogni sazietà, anche la sazietà dell’Egitto, la sazietà dello schiavo, andrebbe benissimo.
Di fronte a una simile incredulità quale reazione ci aspetteremmo da parte di Dio? Esaudisce le richieste del popolo. Nella protesta riconosce l’elemento di verità: evidentemente si deve pur mangiare! Da questo punto di vista la richiesta è buona, Dio lo sa. « Dacci oggi il nostro pane », Gesù insegnerà a pregare. Appunto questo avrebbero dovuto fare gli Israeliti invece di mormorare: chiedere con fiducia a Dio.
Nella loro difficoltà a fidarsi il Signore li educa, li invita con pazienza a un « esodo nell’esodo ». Egli sa che l’uomo è alle prese con due grandi insidie. La prima: l’idolo della sazietà fine a se stessa, grande tentazione di fermarsi, di cessare ogni cammino per non cercare nient’altro non appena la pancia sia piena e il bisogno appagato. Seguo chi mi dà il pane e basta, il resto non mi interessa. La seconda: l’accumulo. Non mi basta saziarmi, ho bisogno di sentire che questa sazietà mi è garantita, che ne ho il controllo. Per stare tranquillo devo potermi dire: « ho tanto pane per tanto tempo » (cf. Lc 12,19). Tale esigenza corrisponde all’ »ansia della vita » (Lc 21,34 etc.), della quale si è inevitabilmente preda quando non ci si fida di Dio, e conseguentemente ci si deve garantire la vita con i propri mezzi, sempre insufficienti.
Dio viene incontro alla richiesta degli Israeliti. Anche lui è del parere che non si può riconoscere Dio come vita mentre si soffre la fame: « mangerete carne e vi sazierete di pane, e saprete che io sono il Signore » (v. 12). Ma proprio qui sta il punto: questa sazietà non deve essere chiusa, ma aperta al riconoscimento del Signore come tale, cioè come colui che solo ha in mano la mia vita. Che il nostro « mangiare » (di ogni tipo) non ci renda insensibili e ottusi, ma sia incontro con il Signore! Inoltre, e qui il precetto divino è formale, si deve « raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno » (v. 4). Il pane che « piove dal cielo » (cf. v. 4) non può essere confezionato, manipolato, accaparrato, commercializzato. Il dono non può diventare proprietà, la gratuità possesso. Quando lo si tenta, le cose ci marciscono tra le mani (cf. 16,20). Il deserto è il luogo giusto per imparare a dipendere con gioia e semplicità dall’amore gratuito e affidabile del Signore (cf. Fil 4,6).
Sì, davvero sconosciuto è il cibo che il Signore ci dà (cf. v. 15), e buon segno il sentirne meraviglia. Non è davvero merce ordinaria, sa di cielo, un pane che nutre tutto l’uomo, aprendolo alla conoscenza di Dio come gratuità e liberandolo dalla diffidenza e dall’ansia.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano – EDB nel libro Stabile come il cielo.

Omelia (05-08-2012): Al bivio della fede

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/26025.html

Omelia (05-08-2012)

don Alberto Brignoli

Al bivio della fede

Il sole che sorge ogni mattina e la luna piena che mensilmente splende nel cielo e illumina la notte sono certamente dei fenomeni astrologici che rispondono a determinate leggi fisiche della natura; ma possono anche essere il segno della premura di Dio per l’umanità, un’umanità che ha bisogno di luce e calore perché la terra dia frutto, e di luce anche nella notte per non camminare totalmente immersa nelle tenebre.
Un terremoto che scuote le fondamenta della terra e porta spesso distruzione e morte è senz’altro il risultato di una concatenazione di fenomeni geologici, a volte prevedibili, molto spesso un po’ meno, a cui è difficile porvi rimedio o fare prevenzione; ma può anche essere letto come il segno della forza degli elementi naturali, di fronte ai quali ci sentiamo ed effettivamente siamo poca cosa, per cui « si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie »?
Uno stormo di quaglie che provenendo dal nord fanno tappa nel deserto del Sinai per riposarsi nella loro trasmigrazione verso il sud, può essere un fenomeno del tutto naturale, e lo stesso si può dire dei semi di una tamerice che, all’apice della fioritura, il vento disperde sul terreno permettendo di sfruttarne le qualità a volte particolarmente nutritive che li rendono una vera e propria « manna » per chi non ha altro da mettere sotto i denti: ma nel momento critico del popolo d’Israele, entrambi questi fenomeni naturali possono assumere un significato provvidenziale.
Quella che la Liturgia della Parola di oggi ci pone davanti è la possibilità di assumere una visione religiosa, mistica, dei fatti che succedono nella vita, a volte in maniera naturale, a volte con una certa straordinarietà, ma certamente mai priva di un significato che vada ben oltre quello puramente fisico, fenomenologico, ossia oltre « ciò che appare ».
Questa visione mistica e piena di senso porta l’uomo a farsi delle domande. A volte sono domande di ricerca di senso (« Che cos’è? », si chiede il popolo di fronte alla caduta della manna); a volte, invece, sono domande esistenziali che ricercano ugualmente un senso, ma spinte dalla drammaticità di situazioni che fanno addirittura mettere in dubbio l’esistenza di Dio (poco più avanti, al capitolo 17 dell’Esodo, l’acqua dalla roccia di Massa e Meriba porterà il popolo assetato a chiedersi: « Ma Dio è con noi sì o no? »).
E non è certo una novità sapere che il cammino dell’Esodo è l’esperienza di una continua sfida a Dio da parte del popolo, che reclama ora l’acqua, ora il pane, ora la carne, ora la pentola piena di cipolle dell’Egitto, ora la guarigione dai morsi dei serpenti, ora delle figure alternative a Mosè, fino a giungere alla sfida più grave, quella idolatrica di possedere addirittura un Dio alternativo a quello del Sinai, spesso troppo assente o esclusivista.
E Dio risponde facendo leva sul grado di fiducia che il popolo è capace di attribuire al suo rapporto con lui. Per cui la manna non può essere raccolta in grande quantità (scientificamente parlando, per la probabile impossibilità a conservarsi fresca), ma giorno per giorno per il fabbisogno famigliare quotidiano, e questo – riletto alla luce del senso religioso dell’esistenza – perché Dio « possa vedere se il popolo cammina o no secondo la sua legge ». Dio « mette alla prova » il popolo per vedere se nella quotidianità dell’esperienza di cammino con lui è capace di fidarsi della Provvidenza più che della provvigione, se si getta alla ricerca del cibo per vivere o se vive solo per procurarsi da mangiare, se invece di chiedersi « Dio c’è, sì o no? » è capace di chiedersi piuttosto « io vivo secondo la sua legge sì o no? ».
È ormai chiaro che il piano della fede, pur non eliminando il riferimento a ciò che è umano, ribalta completamente il nostro punto di vista, e invita l’uomo a vedere Dio non più come il facile risolutore delle sue problematiche, ma come colui che ha in mano le sorti della sua vita, ed è disposto a concedergli vita, e vita in abbondanza, se è capace di accettare la logica della gratuità, della Grazia. Quella logica per cui Dio non lo cerco perché mi dà la manna ogni giorno (e io cerco di immagazzinarne il più possibile) o perché mi moltiplica cinque pani e due pesci (e io lì a cercare di accaparrarmi i pezzi avanzati), ma perché so che lui è lo scopo della mia vita, è la mia vita, è vita eternamente data in abbondanza. A condizioni che io riesca a fidarmi di lui.
La logica di Gesù è totalmente ribaltata rispetto a quella di domenica scorsa, dove il miracolo aveva suscitato la fede nel « grande profeta che deve venire nel mondo ». Oggi Gesù ci chiede di guardare tutte le cose che avvengono nella vita, anche quelle apparentemente straordinarie, particolarmente coincidenti con altre o miracolose, con l’ottica della fede.
La scorsa domenica Gesù compie il miracolo perché la gente creda: oggi fa un passo in più e chiede alla gente di credere, di avere fede, per capire il vero significato del miracolo, che non è quello di avere a portata di mano il pane materiale da mettere sotto i denti con una certa facilità, senza il sudore della fronte (tant’è, c’è il prestigiatore che lo moltiplica?), ma di credere in Dio come in colui che dà la vita al mondo, sia la vita materiale, fisica, sia (e soprattutto) quella meta-fisica, quella che va oltre il fisico, quella spirituale, quella che non perisce. Quella di cui abbiamo un pegno nell’Eucaristia, « il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo ci darà ».
Sembra di sentire delle voci dal deserto tipicamente quaresimali (« non di solo pane vive l’uomo »). E sembra proprio che questa logica sia una logica « da deserto », che si coglie solamente « nel deserto », ovvero laddove sei veramente privo di tutto al punto che tutto ciò che ti viene donato non è dovuto, ma è Grazia.
Siamo come di fronte a un bivio, davanti al quale possiamo fare ciò che vogliamo del nostro rapporto con Dio: o un rapporto commerciale, « di marketing » (io ti chiedo una grazia, e tu me la concedi secondo le mie insistenze e in base al prezzo pagato della fatica che faccio nel venire a cercarti, da una parte all’altra del lago di Galilea, oppure sul monte in un luogo deserto), o un rapporto di fiducia e di abbandono, che accetta la logica del « poco per volta », della provvisorietà, della Provvidenza.
Possiamo fare l’una o l’altra cosa, con Dio. Non dobbiamo però avere la pretesa di credere che l’esito sia identico.
Da una parte, una vita dignitosa, forse, e magari anche con molte certezze concrete. Terminerà tutto con la morte, come i nostri padri nel deserto. Ma nient’altro di più.
Dall’altra parte, una vita che di certezze concrete e materiali ne ha poche. Ma di certo è vita. Con molta probabilità, anche abbondante e felice.
Di certo, eterna.

The Virgin Mary dormition

 The Virgin Mary dormition dans immagini sacre 7344482528_9b66df7d33

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Publié dans:immagini sacre |on 2 août, 2012 |Pas de commentaires »
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