Archive pour juillet, 2012

Commento su Geremia 23,1-6; Salmo 22; Efesini 2,13-18; Mc 6,30-34

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Commento su Geremia 23,1-6; Salmo 22; Efesini 2,13-18; Mc 6,30-34

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie – famiglie)

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (22/07/2012)

Tre sono i temi chiave di questa domenica: il tema della pastoralità che potrebbe essere riassunto con l’espressione « per essere vere guide occorre essere veri pastori » (prima lettura, salmo); il tema, tutto paolino, dell’uomo nuovo autonomo e responsabile al quale non servono più leggi e decreti perché lo Spirito parla attraverso la coscienza del singolo (compito « pedagogico » di un vero pastore è far passare nella comunità questo messaggio) e, infine, il tema del deserto (Evangelo) ai primi due, come vedremo, strettamente collegati. Ma andiamo con ordine.
La prima lettura è tratta dal libro del profeta Geremia. Nato nel 650 avanti Cristo, Geremia – il secondo dei grandi profeti maggiori del Primo Testamento e il cui nome significa « Jahvè esalta » – pronuncia parole durissime nei confronti dei pastori del suo tempo: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore» (Ger 23,1). Il profeta parla in nome di Dio (« Oracolo del Signore ») mentre la sua voce tuona minacciosa nei confronti di questi pastori.
La domanda, collegata a questo primo tema, è: a distanza di 26 secoli, senza cadere in trappole interpretative letteralistiche o fondamentalistiche, possiamo applicare questa invettiva alla condizione ecclesiale odierna? Noi pensiamo di sì. Se infatti la domenica entriamo nelle nostre chiese, vedendole sempre più vuote, soprattutto di famiglie e di giovani, non possiamo non renderci conto della crescente disaffezione delle persone, non tanto nei confronti del fatto religioso che pure gode di un rinnovato interesse (ancorché secondo modelli sincretistici e da « supermercato del sacro »), quanto piuttosto nei confronti della Chiesa, intesa come Istituzione ecclesiale, considerata lontana non soltanto dal pensare comune (cosa di cui peraltro la Chiesa non dovrebbe preoccuparsi, se davvero possedesse uno spirito di profezia) ma anche e soprattutto dalla vita reale e faticosa delle persone. Di questo, sì, occorre preoccuparsi, ed è a nostro avviso uno dei problemi più grossi che la comunità cristiana si trova oggi ad affrontare. Oggi l’immagine della Chiesa non attira più…
In questa disaffezione (che non è, come si sente spesso affermare, causata solo dal processo di secolarizzazione in atto) c’è spesso, come sempre, un’anima profonda di verità: è una condizione – se così si può dire – che il Signore peraltro aveva previsto:«Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno» (Ger 23,3)… Quasi a dire: « Pastori infedeli, non ho più bisogno di voi, voi che vivete in ricchi palazzi con centinaia di camere, mentre la maggior parte del mio popolo vive in misere catapecchie; voi che vi affannate a coprire scandali sessuali; voi che trafficate denaro; voi che avete instaurato modelli di gestione del potere basati su malaffare e corruzione, mentre il mio popolo non trova lavoro, è disperato, e vive l’incubo della terza e della quarta settimana del mese… Voi che parlate di misericordia, ma che, escludendole dall’Eucaristia, non siete capaci di un gesto concreto di comunione con quelle coppie che vivono il dramma di un fallimento matrimoniale… ». Questo sembra dirci il Signore, ed è fuori discussione che queste parole sono rivolte a noi, ad ognuno di noi. Lungi da noi la tentazione di giudicare, perché tutti siamo al tempo stesso un po’ farisei e un po’ pubblicani, tutti soggetti alla fragilità, alla infedeltà e al peccato… Ciò non toglie, però, che ci si allarghi il cuore quando scopriamo che non tutti i pastori sono così. Quanti pastori attraversano nel nascondimento, nella povertà, nell’umiltà la dura fatica dell’esistere, in compagnia dei poveri, degli emarginati dalla società e dalla Chiesa, sempre disposti ad accogliere, a perdonare, a fare comunione con loro, a cogliere nei loro sguardi e nei loro gesti le fatiche del vivere, a fare insomma « pace », secondo quanto Paolo scrive (è il secondo tema), con le sue mani callose, ai cristiani di Efeso, come meditiamo oggi nella seconda lettura . A noi, affaticati, stanchi per la fatica del camminare, Paolo dice che è Cristo la nostra pace, è Lui che ha abbattuto il muro di divisione tra gli uomini, che ha abolito la Legge fatta di prescrizioni e decreti, che ha fatto in modo che nella Chiesa nessuno si debba sentire più né straniero né ospite. Noi siamo Chiesa.
I pastori che noi vogliamo non sono quelli che tengono le distanze nei confronti della povera gente, che circolano con ricche vesti colorate che già da sole costano un patrimonio, e che scandalizzano i poveri, e che parlano con linguaggi da diplomazia, che fanno accordi con i potenti e che frequentano i loro salotti, ma veri pastori, capaci di chinarsi realmente sulle fatiche della povera gente…, pastori capaci di insegnare anche a noi a fare altrettanto. Chi scrive ha conosciuto un missionario in un paese dell’Africa, avanti negli anni e distrutto fisicamente, alla costante ricerca insieme con gli abitanti della sua missione, il più delle volte senza esito, di un po’ di cibo e di un po’ d’acqua sempre più scarsa. Un giorno questo missionario riceve la visita del Nunzio Apostolico che, appena arrivato, gli dice: « Domani mattina, alle otto, fammi trovare il bagno pronto a 37 gradi di temperatura… » … « Mi sono nascosto per piangere », ci diceva sbigottito il missionario… Questi, non gli altri, sono i veri pastori della Chiesa, questi sono strumenti di unità e non di scandalo e di divisione, e questi, non gli altri, sono considerati dal Signore il « germoglio giusto » (Ger 23,6) e il popolo, incontrandoli, incontrerà la salvezza del Signore.
Il terzo tema è quello del deserto. Lo troviamo nell’Evangelo . Come racconta l’evangelista Marco (6,30-34), gli apostoli erano stati inviati da Gesù in missione: una missione positiva perché ora la folla si accalca attorno al Maestro, vuole ascoltare la sua parola. Come sempre, quando gli impegni di evangelizzazione si fanno più pressanti, gli apostoli non hanno neppure più il tempo di mangiare… E Gesù, che è anche un fine psicologo e coglie lo stress di chi è costretto a correre senza sosta da un luogo all’altro, da un impegno all’altro, dice loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6,31).
Non è, il suo, un invito alla fuga. Non è neppure è l’invito ad una vacanza. Non è l’invito ad andarsene in un hotel a cinque stelle… Venite, dice Gesù, eis èremon, letteralmente in un deserto.
Deserto è una di quelle parole in grado d’esercitare su molti di noi il fascino magico dell’ignoto e dell’esotico. Per questo il soggiorno « nel deserto » viene offerto nei « pacchetti » degli operatori turistici e trova aderenti soprattutto tra quelle persone danarose e annoiate, alla perenne ricerca di emozioni forti. È oggetto addirittura di trasmissioni televisive si pensi a « L’isola dei famosi »). Non diversamente accade in campo spirituale. Sono sempre più frequenti le domande e le offerte di vacanze in monasteri, o in « luoghi dello spirito », dove poter finalmente fare « un po’ di deserto », naturalmente con i canonici e abbondanti tre pasti quotidiani, camera con doccia e collegamenti wi fi e vista sui declivi dolci e pacificanti della campagna circostante. Sì, chi non conosce il deserto e non lo ha mai sperimentato, sia in senso fisico che spirituale, ne è attratto.
Nella bibbia il deserto è luogo infido, desolato, devastato. I secchi arbusti con dolorosissimi aculei, rovi e cardi, dissuadono spesso dall’avventurarvisi a piedi; gufi e civette lo abitano (cf Sal 102,7); ululati solitari (cf Dt 32,10) ne rompono l’angoscioso silenzio. È il luogo insomma della disperazione e dell’aridità, dove è impossibile procurarsi cibo; luogo pericoloso, animato da scorpioni velenosi e serpentelli; di notte è esperienza allucinante: grava su di esso un penoso silenzio, quasi a ricordare il caos delle origini, rotto di tanto in tanto da misteriosi fruscii o, improvvisamente, da un ululato selvaggio. È richiamo, non solo metaforico, dell’insopportabile silenzio e della stessa assenza di Dio.
Ma se è così, perché allora il profeta vuole portare nel deserto Gomer, la sua donna, e perché Gesù vuole portare nel deserto i suoi discepoli? Per una sorta di sadismo? Perché facciano anch’essi un’esperienza sconvolgente e devastante, come ha fatto Lui prima di iniziare la sua missione e come farà al termine, nel Getsemani?
No, assolutamente no. Gesù ci invita nel deserto perché questo è il luogo in cui il Signore ci parla, e qui possiamo ascoltarlo liberi, nel profondo della nostra coscienza. Il modo in cui Gesù ci parla è molto diverso da quello di molti pastori. Il loro è spesso un pensiero unico e assoluto, perché loro sono convinti di possedere quella verità alla quale occorre sottomettersi con una docilità acritica. Il Dio che parla alla nostra coscienza è invece un Signore misericordioso, ma non solo a parole, che alle nostre famiglie proprio non interessano se non sono accompagnate da gesti concreti. Il verbo greco splanchnìzomai usato in questo brano viene applicato solo a Gesù, perché solo lui è capace di essere contemporaneamente e totalmente misericordioso a parole e nei fatti: il sostantivo splanchna corrisponde infatti all’ebraico rehamìm che significa letteralmente viscere, il luogo stesso in cui, secondo la tradizione degli antichi, hanno sede i sentimenti, in particolare l’amore e la tenerezza, gli stessi sentimenti che uniscono la madre e il padre al figlio, tutti gli uomini e le donne al Dio di tutti. Questo è il Dio che parla nel deserto, ed è un Dio che parla singolarmente ad ogni persona, ad ogni sua creatura, senza mediazioni istituzionali, senza distinzioni tra « buoni » e « cattivi », senza giudizi previ, senza considerazione di meriti o demeriti, di retribuzione o di castigo. Dio parla alla nostra coscienza, suggerisce ad ogni persona pensieri nuovi, e parla nel deserto, non nelle adunate oceaniche, non nelle convention, nei family days o nei costosissimi incontri mondiali delle famiglie. Come documenta Giovanni Colombo (La Chiesa di Dior, « Il Margine », 32[2012], n.5), il VII Incontro Mondiale delle famiglie e l’arrivo del Papa è costato più di 10 milioni di euro. Alla faccia delle famiglie che non riescono a tirare avanti e che a Milano non erano certamente presenti. Ma che Dio ama e predilige.
Il Signore che parla alla nostra coscienza non vuole belle parole. Vuole gesti, fatti. La sua è, certo, una pedagogia severa, e spesso per parlarci ci butta con la faccia a terra, ci porta in un deserto faticoso da vivere; però solo addentrandoci in esso impariamo a muoverci, a camminare nel buio e nella notte, ad evitare gli ostacoli sempre più frequenti. E poi, completamente buia la notte non è mai. Non esiste una negatività così profonda dalla quale non derivi una minima filtrazione di senso, una piccola vena d’acqua capace di farsi strada a poco a poco nell’apparentemente irriducibile aridità. Ma questa pedagogia severa ci aiuterà sicuramente a riscoprire tre parole di cui forse nella Chiesa noi oggi abbiamo perduto la memoria: camminare; silenzio, essenzialità. Queste sono le parole che, insieme con i nostri (veri) pastori dobbiamo riprendere a pronunciare. Con coraggio e con parrhesia, con franchezza.

Traccia per la revisione di vita.
- Sappiamo tenere con i nostri pastori un linguaggio franco? Ci accettiamo reciprocamente con le nostre debolezze e le nostre fragilità? Oppure vogliamo apparire migliori di quanto siamo? O ancora vogliamo cambiare l’altro sulla base dei nostri parametri comportamentali?
- Sappiamo perdonare non in modo ostentato, sentendoci e credendoci migliori della persona che abbiamo perdonato, ma umilmente, nel profondo dell’intimità e del cuore? Anche ai nostri pastori?
- Confidiamo nello Spirito che viene in soccorso della nostra fragilità e della nostra aridità?

Luigi Ghia – Direttore della rivista Famiglia Domani

Omelia per la XVI domenica del tempo ordinario – 22 luglio 2012

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/8311.html

Omelia per la XVI domenica del tempo ordinario – 22 luglio 2012

Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Gesù è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace.

Come vivere questa Parola?
Questa è una delle pericopi più belle di tutte le lettere di S.Paolo. Il dire dell’Apostolo è centrato su una verità estremamente consolante, soprattutto in un’ora come quella che stiamo vivendo: attraversata, da ogni parte, da minacce di guerra. S.Paolo dunque ci dice che la Pace, per noi che crediamo, è la persona divina del Verbo fatto uomo: Cristo Signore. E ? attenzione! ? non è la Pace, intesa come una categoria generale e astratta del modo di essere a questo mondo. Gesù è davvero la « nostra » Pace, la Pace di noi che CREDIAMO, cercando di vivere la nostra fede, giorno dietro giorno, con un impegno che sia continuo atteggiamento di riconciliazione con Dio, con se stessi, con ogni uomo, con ogni creatura, in Cristo Gesù. La chiave che ci apre le profondità del mistero di Cristo-nostra Pace è il fatto che Egli, accettando di morire in croce per nostro amore, « ha abbattuto l’inimicizia » tra gli uomini. Essa era come un muro di divisione, impossibile a togliersi di mezzo. Ebbene, Gesù lo ha fatto. Gesù ha distrutto l’opposizione alla pace dentro il suo corpo consegnato, per amore, alla croce. La « nostra Pace » è questo mistero, è questo prezzo d’amore infinito. Lo credo? Ci penso?

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiederò alla Madonna di lasciarmi afferrare da questo mistero, di lasciarmi dilatare il cuore e insieme provocare. Nell’esercizio delle mie relazioni (in famiglia, in comunità, sul lavoro) quando sento sorgere in me movimenti d’inimicizia, mi faccio premura di chiedere a « Gesù-nostra Pace » di eliminarli? E lascio cadere prontamente ciò che mi divide dall’altro o sto a voler fare rivendicazioni?

La voce della recentissima Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II
Riscoprire il Rosario significa riscoprire Colui che è la « nostra Pace » avendo fatto « dei due un popolo solo, abbattendo il muro di divisione, cioè l’inimicizia ».
Rosarium Virginis Mariae

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 21 juillet, 2012 |Pas de commentaires »

Some of the beautiful mosaics in the Basilica of Saint Apollinaris in Classe Ravenna

Some of the beautiful mosaics in the Basilica of Saint Apollinaris in Classe Ravenna dans immagini sacre

http://melatzion.wordpress.com/

Publié dans:immagini sacre |on 20 juillet, 2012 |Pas de commentaires »

20 luglio: Sant’Apollinare di Ravenna

http://it.wikipedia.org/wiki/Apollinare_di_Ravenna

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Sant’Apollinare di Ravenna

Vescovo e martire
Nascita Antiochia di Siria (attuale Antiochia, in Turchia), I secolo
Morte Classe (Ravenna), I secolo
Venerato da Chiesa cattolica, Chiesa cristiana ortodossa
Ricorrenza 20 luglio
Attributi Bastone pastorale, Palma, Pallio
Patrono di Epilessia; gotta;
Emilia-Romagna (Italia); Aquisgrana; Burtscheid; Düsseldorf; Ravenna; Lucrezia; Remagen
Apollinare di Ravenna (Antiochia, I secolo – Classe, I secolo) è stato un vescovo cattolico e santo romano.
È venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
Originario di Antiochia, Apollinare è considerato tradizionalmente il primo vescovo di Ravenna, città di cui è il santo patrono.

Il dies natalis, o data del martirio, corrisponde al 23 luglio, mentre la memoria liturgica si celebra il 20 luglio.

La prima scarna menzione del santo viene fatta nel documento del Martirologio Gerominiano, risalente all’inizio del V secolo, in cui una nota – «X kl aug. Ravennæ Apollinaris» – classifica il santo come « confessore » e « sacerdote » e fissa la sua ricorrenza al 23 luglio.
San Pietro Crisologo (425-451), dottore della Chiesa, cita Apollinare nel sermone 128, offrendo qualche informazione storica sulla vita del santo: egli fu il primo vescovo di Ravenna; a causa della sua fede patì molti tormenti e versò il suo sangue, morendo infine per le ferite ricevute.
Il Martirologio Romano lo descrive come un « vescovo, che, facendo conoscere tra le genti le insondabili ricchezze di Cristo, precedette come un buon pastore il suo gregge, onorando la Chiesa di Classe presso Ravenna in Romagna con il suo glorioso martirio »[1].

Nella letteratura
Una fonte completa ma purtroppo non attendibile sulla vicenda biografica del santo è la Passio sancti Apollinaris, risalente al tempo dell’arcivescovo Mauro (642-671), che quasi certamente ne fu l’autore, probabilmente per rivendicare la non subordinazione della Chiesa ravennate nei confronti di quella di Milano, sede metropolitana da cui era dipendente fino ad allora. Secondo questo scritto, Apollinare, originario di Antiochia, fu ordinato vescovo da san Pietro, di cui era ritenuto discepolo. Successivamente fu inviato a Classe, dove subì il martirio sotto Vespasiano.

La Legenda Aurea
Nel medioevo, questa Passio venne rielaborata dai devoti, confluendo infine nello scritto della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Gli avvenimenti ivi raccontati sono totalmente frutto della leggenda e della devozione popolare.
Si racconta che Apollinare, nato ad Antiochia nella provincia romana della Siria, divenne discepolo dell’apostolo Pietro, allorché questi si trasferì in città, probabilmente intorno al 44. Su incarico del santo, Apollinare si recò a Ravenna, nella cui città guarì la moglie del tribuno, portando alla conversione e al battesimo tutta la sua famiglia. Non appena il giudice lo venne a sapere, convocò il santo, costringendolo a sacrificare alle divinità pagane nel nome di Giove. Apollinare rispose affermando che gli idoli erano solo oro e argento, materiali che era meglio destinare ai poveri. I pagani lì presenti, adirati dalle sue parole, gli si avventarono addosso, malmenandolo e abbandonandolo mezzo morto per la strada. Tuttavia i fedeli lo raccolsero affidandolo alle cure di una vedova, la quale, dopo sette mesi, riuscì a farlo riprendere.
Secondo altre leggende sarebbe invece vissuto nel IV secolo e martirizzato forse sotto l’imperatore Valente.

Culto e devozione
Sul luogo del martirio, nel porto di Ravenna (Classe) fu eretta nel VI secolo la chiesa di Sant’Apollinare in Classe. Le reliquie del santo furono nel IX secolo spostate in città, nella chiesa che da quel momento prese il nome di Sant’Apollinare Nuovo e furono riportate nell’antica basilica solo al momento della sua riconsacrazione nel 1748.
La sua popolarità è andata via via crescendo a partire dal XX secolo, anche perché in sostanza era considerato il santo nazionale della dominazione bizantina in Occidente.[2]

Publié dans:SANTI, SANTI :"memorie facoltative" |on 20 juillet, 2012 |Pas de commentaires »

20 LUGLIO: SANT’ELIA PROFETA

http://it.wikipedia.org/wiki/Elia

20 LUGLIO: SANT’ELIA

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Il profeta Elia, di José de Ribera

Profeta
Venerato da Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Ricorrenza 20 luglio
Attributi Rotolo della profezia; su un carro di fuoco; sul Monte Carmelo; nella trasfigurazione di Cristo
Patrono di Ordine dei Carmelitani
Il profeta Elia (il cui nome significa « il mio Dio è Il Signore »), della città di Tishbà nel paese di Galaad e perciò detto anche il Tishbita[1], è una delle figure più rilevanti dell’Antico Testamento; le sue gesta sono narrate nei due « libri dei Re » della Bibbia.

Secondo quanto si legge nei libri dei Re[2], Elia fu un grande profeta. Egli svolse la propria missione sotto il re Acab. Risuscitò il figlio della vedova di Sarepta che lo ospitava durante una carestia; ultimo fedele al Dio di Abramo, sfidò e vinse i profeti del dio Baal sul monte Carmelo: qui, dopo che essi furono svenuti, dimostrò la potenza di Dio accendendo, con la preghiera, una pira di legna verde e bagnata. Dopodiché, presso il torrente Kison, scannò tutti i 450 sacerdoti di Baal[3]. Fuggì sul monte Oreb[4], presso il quale gli porgeva cibo un angelo, e dove parlò con Dio. Chiamò Eliseo a seguirlo ed a essere il suo successore. Infine venne rapito in cielo con «un carro di fuoco e cavalli di fuoco» (2Re 2, 11).

Nell’ebraismo
Elia ha una grande importanza nel sentimento religioso ebraico in quanto vi si ritiene che, come narra la Bibbia, non morto sia stato assunto in Cielo anima e corpo e di tanto in tanto ricompaia sulla terra sotto mentite spoglie per aiutare il popolo ebraico in difficoltà. Il profeta Malachia profetizzò che Elia torna prima del giorno del Signore dell’Era messianica:
« Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore » (Malachia 4,5)
Nel giorno di Pasqua ebraica, alcuni ebrei lasciano una coppa di vino dinanzi all’uscio o ad una finestra aperta, in attesa che Elia torni e festeggi con loro la liberazione. Molti i racconti Talmudici e Chassidici che narrano la rivelazione del profeta Elia nel corso della storia manifestatosi a Maestri ebrei e ad appartenenti al popolo ebraico.
Elia ascese al Cielo e venne poi trasformato in un angelo, anche con il compito di assistere al Brit milah degli appartenenti alla Religione ebraica.
Il profeta Elia è della tribù di Beniamino.

Culto
Altro punto d’importante indagine e riflessione teologiche, pure per il Cristianesimo, è la particolare esperienza vissuta da Elia sull’Oreb.
Secondo la religione cristiana, la profezia di Malachia si è adempiuta in Giovanni il Battista[5]. Inoltre Elia apparve con Mosè durante la trasfigurazione di Gesù, a rappresentare la continuità di Cristo con i patriarchi

(Mosè) ed i profeti (Elia, appunto).
Secondo i Vangeli, alcuni pensavano che Gesù fosse Elia ritornato (anche Gesù chiede agli apostoli: «La gente chi crede che io sia?» «La gente dice che tu sei Elia») o che lo chiamasse sulla Croce (mentre Egli, invece, invoca Dio: equivoco derivante dall’etimologia del nome stesso di Elia, che in ebraico significa « il Signore è il mio unico Signore »).
Nella tradizione cattolica è il modello dei contemplativi e dei monaci. L’ordine del Carmelo, sorto nei luoghi in cui Elia visse e svolse la sua missione, lo considera proprio padre e ispiratore.
Elia è il protettore contro i fulmini e i temporali, poiché nella Bibbia si dice di lui che era in grado di far discendere « il fuoco dal cielo ». Inoltre, proprio per essere stato assunto in Cielo, è patrono degli aviatori. È poi patrono di Sant’Elia a Pianisi, Buonabitacolo in provincia di Salerno, di Maschito in provincia di Potenza, di Sperone in provincia di Avellino e di Peschici in provincia di Foggia.
A Gesualdo (AV), Sant’ Elia viene festeggiato nell’omonima contrada nel mese di luglio in occasione della tradizionale sfilata dei trattori.

È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che lo ricorda il 20 luglio.

Gesù, tentato da satana

Gesù, tentato da satana dans immagini sacre 1Qcancelletto1444a

http://beniculturali.diocesi.bergamo.it/home_page/approfondimenti_realizzati_da_persone_ed_enti_del_territorio/00000105_1__domenica_di_Quaresima___ciclo_B.html

Publié dans:immagini sacre |on 19 juillet, 2012 |Pas de commentaires »

“Bisogna che ognuno vigili sulle proprie azioni, per non faticare invano” – Sant’Arsenio il Grande

http://vivificat.wordpress.com/2011/11/06/detti-dei-padri-del-deserto-santarsenio-il-grande-bisogna-che-ognuno-vigili-sulle-proprie-azioni-per-non-faticare-invano/

Detti dei Padri del Deserto

Sant’Arsenio il Grande –

“Bisogna che ognuno vigili sulle proprie azioni, per non faticare invano”

Disse il padre Daniele: «Il padre Arsenio ci raccontò questa storia come accaduta a un altro, ma probabilmente era lui stesso. Giunse una volta a un anziano seduto nella sua cella una voce: – Vieni e ti mostrerò le opere degli uomini. Egli si alzò e uscì. Lo condusse allora in un luogo ove gli mostrò un etiope che tagliava legna e ne faceva una grande catasta. Tentava poi di portarla, ma non vi riusciva. Invece di toglierne una parte, ricominciava a tagliare legna e ad aggiungerla al mucchio. Così fece a lungo. Procedettero un po’ e gli mostrò un uomo che attingeva acqua da un pozzo per versarla in un recipiente forato che riversava la stessa acqua nel pozzo. Gli dice ancora: – Vieni, ti mostrerò un’altra cosa. E vede un tempio e due uomini a cavallo che portavano un palo trasversalmente, l’uno di fronte all’altro. Avrebbero voluto entrare per la porta, ma non potevano perché il legno era trasversale e nessuno dei due si umiliava a mettersi dietro all’altro per portare il palo diritto. E per questo rimanevano fuori dalla porta. – Ecco, dice, portano con superbia quella specie di giogo che è la giustizia e rifiutano l’umiliazione di correggersi per percorrere la via umile di Cristo; per questo rimangono fuori del regno di Dio. Colui che taglia la legna è un uomo immerso in molti peccati, il quale, invece di convertirsi, vi accumula sopra nuove iniquità. Colui che attinge l’acqua è un uomo che compie buone azioni, ma, poiché sono commiste a malvagità, anche le opere buone vanno perdute. Bisogna che ognuno vigili sulle proprie azioni, per non faticare invano»

Publié dans:PADRI DEL DESERTO |on 19 juillet, 2012 |Pas de commentaires »
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