Secondo canto: intimo del Signore e luce delle genti (prima lettura)

http://www.indes.info/lectiodivina/2005-06_Isaia/Il_servo_del_Signore.html

Secondo canto: intimo del Signore e luce delle genti

Cap. 49, vv 1-6. Il secondo canto si collega direttamente con il primo, che – abbiamo appena visto – finisce con il riferimento alle “isole” che si dispongono a ricevere la dottrina e il messaggio del servo del Signore. Adesso è lui a prendere la parola; è lui stesso che si fa avanti, che entra in scena e si manifesta a noi nel momento in cui sta ormai svolgendo la sua missione: “Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane (ancora una volta lo scenario è ecumenico); il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome…”. Il servo del Signore è radicato nell’ascolto della parola di Dio che sin dalle viscere materne lo ha identificato. Un’espressione del genere compare nel libro di Geremia (Ger. 1,v.5), là dove il profeta parla di sé e della sua vocazione. Qui il nostro anonimo profeta ci parla dell’anonimo “servo del Signore” rifacendosi alla tradizione di Geremia profeta. E, in effetti, abbiamo a che fare con un personaggio che assume prerogative propriamente profetiche, ma sullo sfondo intravvediamo anche altre figure della storia della salvezza, oltre a quella di Geremia. Si potrebbe richiamare Mosè e, andando ancora più alle origini, la figura di Giacobbe che, sin dal seno materno, ha manifestato la sua identità (cfr. Genesi, cap.25: nel grembo di Rebecca ci sono due figli in conflitto tra loro – Giacobbe ed Esaù – e Giacobbe è già identificato). Siamo così rinviati alla prima tappa della storia della Salvezza, ai Patriarchi, e cioè a quell’origine da cui tutto dipende, che coincide con l’iniziativa del Signore che parla, che promette, che dice la sua, che interviene a modo suo.
Adesso è la volta del “servo del Signore” – colui che sin dal seno materno è stato chiamato – il quale a noi così si rivolge, in forza di questa sua radicale , originaria appartenenza alla parola di Dio. “Ha reso la mia bocca come spada affilata ( le caratteristiche tipiche del profeta: ascoltatore e servitore della Parola ), mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra (una vocazione profetica colta nei suoi inizi, che già viene esplicitata nei suoi momenti di responsabilità per quanto riguarda la trasmissione e la testimonianza della Parola; c’è inoltre una sottolineatura: la particolare intimità con Dio che lo nasconde “all’ombra della sua mano”, che prende in braccio il suo servo; e questa radicale originaria intimità costituisce il fondamento di tutto e il contesto nel quale la missione del servo si svolge). “Mi ha detto (il servo si rivolge a noi per farci condividere quanto il Signore gli ha detto; vuole offrirci la testimonianza di quel segreto che è custodito nella sua intimità, là dove è in atto il dialogo che struttura internamente la sua presenza nella storia umana; il servo del Signore è testimone di questa intimità che è abitata dalla conversazione con il Dio vivente): ??Mio servo tu sei, Israele ( l’accenno a “Israele” è probabilmente un’inserzione perché, qui, il servo del Signore non è il popolo, ma colui che ha una particolare responsabilità nei confronti del popolo), sul quale manifesterò la mia gloria >>(un programma luminoso, festoso, epifanico, rivelativo della presenza e dell’opera vittoriosa del Dio vivente nella storia umana). Io ho risposto (è la conversazione; e il servo esprime la sua esperienza che sembra contraddire la promessa di gloria che gli era stata fatta) : <<Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze ( il servo è, ormai, in grado di riscontrare tutti gli elementi fallimentari della missione affidatagli: le cose non sono andate così come il Signore gli ha promesso; una smentita clamorosa, per certi versi, scandalosa! E di tutto ciò il Signore e il servo conversano tra loro. Il servo, comunque, non viene meno, in coerenza con la sua inconfondibile prerogativa di intransigente fedeltà). Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio>>( il servo, a suo modo, reinterpreta la promessa che ha ricevuto in base ai fatti con cui deve misurarsi, ma non per questo cede o rinuncia; e il Signore torna alla carica, aumentando la dose …). Ora disse il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato stimato dal Signore e Dio era stato la mia forza – mi disse: ??E’ troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra ??.” Quindi il Signore parla al servo che è consapevole di essere coinvolto in un’avventura pericolosa, drammatica; anzi questo servo ha già riscontrato il fallimento della missione a lui affidata; non per questo, però, desiste e il Signore rilancia con un’intensità, nella comunicazione a tu per tu con il servo, da lasciarci stupefatti: non solo tu sei stato inviato per riunire il popolo – questo è “troppo poco”! – ma tu sei inviato per sfavillare sulla scena del mondo come riferimento luminoso per tutte le nazioni della terra! “Luce delle genti”: questa espressione viene poi ripresa, nella rivelazione biblica, e segnatamente da Simeone nel suo cantico “Nunc dimittis” (Luca 2, 32), che si legge la sera recitando la compieta. Nonostante i riscontri negativi del servo, che intravvede strade sempre più impervie, situazioni sempre più gravose, opposizioni sempre più difficili da superare, il Signore gli spiega che la missione a lui affidata è portatrice di una fecondità traboccante, per essere luce di tutte le genti.

Publié dans : LETTURE DALL'ANTICO TESTAMENTO |le 22 juin, 2012 |Pas de Commentaires »

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