LA PREGHIERA AL SANTO SPIRITO NELLA CHIESA ORTODOSSA

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LA PREGHIERA AL SANTO SPIRITO NELLA CHIESA ORTODOSSA

del padre Sergej Boulgakov

Una differenza fondamentale separa la preghiera al Santo Spirito e la preghiera fatta al Padre o al Figlio. Quando preghiamo il Padre ci volgiamo sempre direttamente verso lui: “Padre nostro”, o “Abbà, Padre!”. Nella preghiera fatta al Figlio, lo invochiamo ugualmente direttamente: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio!”. Mentre esiste un grande numero di preghiere ecclesiali indirizzate al Padre ed al Figlio, solo in circostanze molto particolari e speciali ci rivolgiamo direttamente allo Santo Spirito. È così che lo invochiamo, ad esempio, nella preghiera “Re celeste, Consolatore” (ne daremo un’analisi più avanti). Ma allo stesso tempo, possiamo constatare che invochiamo soprattutto il Padre ed il Figlio per ricevere il dono del Santo Spirito.
Ne consegue che in generale, nelle nostre preghiere ci rivolgiamo al Santo Spirito in persona, meno che quando facciamo preghiere SUL Santo Spirito, perché scenda in noi. Un esempio particolarmente impressionante di quest’orientamento sarebbe quello della preghiera liturgica dell’epiclesi nella Liturgia di san Giovanni Crisostomo. Il sacerdote comincia con questa preghiera segreta: Ancora ti offriamo questo culto spirituale e incruento e t’invochiamo, ti preghiamo e ti supplichiamo: Invia il tuo Santo Spirito su noi e sui doni qui presenti. Quindi recita a tre riprese questo tropario dell’Ora Terza: Signore, che alla terza ora hai inviato il tuo Santissimo Spirito sui tuoi apostoli, non ce Lo ritrarre nella tua bontà, ma rinnovacelo, ora che ti imploriamo. Quindi, si passa ad una benedizione distinta del pane e del vino, alla quale si aggiunge una benedizione in comune in queste parole: cambiandoli con il tuo Santo Spirito. Nell’ectenia [= preghiera litanica] che segue immediatamente la consacrazione dei Santi Doni, chiediamo: Affinché il nostro Dio, amico degli uomini, che li ha ricevuti al suo santo altare, celeste ed invisibile, come un profumo di soavità spirituale, ci invii in cambio la grazia divina ed il dono del Santo Spirito, preghiamo il Signore.
A quest’assenza di preghiere particolari direttamente indirizzate al Santo Spirito, nonostante la ricchezza liturgica generale della Chiesa d’Oriente e l’abbondanza delle preghiere di richiesta di ricevere il dono del Santo Spirito, si aggiunge ancora questo notevole fatto liturgico: La Chiesa Ortodossa, diversamente dalla Chiesa di Roma, chiama il secondo giorno di Pentecoste Festa del Santo Spirito. Nella Chiesa di Roma, il corrispondente a questa festa si chiama Festa della Santa Trinità, che è celebrata soltanto la domenica successiva. Questo giorno è in, infatti, il solo che sia dedicato alla terza ipostasi; rappresenta in un certo qual modo un’estensione della Pentecoste. Ma questa festa del Santo Spirito non è comunque sottolineata da un rito particolare, eccetto quello del canone speciale letto al Vespro. Non vediamo qui che una ripetizione dell’ufficio di Pentecoste, senza preghiera speciale al Santo Spirito[1].
Da quest’ufficio emerge un’altra particolare caratteristica, detta della genuflessione. Al vespro il giorno della Pentecoste, sono lette tre lunghe preghiere mentre tutti si inginocchiano, senza che una o l’altra fra esse celi un’invocazione diretta al Santo Spirito, ma soltanto a Dio Padre ed a Dio il Figlio. Questa discrezione espressiva praticata dalla Chiesa testimonia chiaramente che in questa età, nel Regno della Grazia, il volto ipostatico personale del Santo Spirito non ci è ancora rivelato, ma che lo sarà nel Regno della Gloria, che è ancora da venire. E quando preghiamo Dio, la nostra preghiera rappresenta l’attività del Santo Spirito in noi; poiché infatti: “…Iddio mandò lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori il quale grida: «Abbà, padre!»” (Galati 4, 6).
Quest’assenza di ogni invocazione diretta di devozione al Santo Spirito dà allora peso ancora maggiore nell’Ortodossia a una preghiera particolare, il “Re Celeste”. Quest’importanza è duplice; innanzitutto, c’è il fatto che questa preghiera è onnipresente nel ciclo liturgico; in seguito, occorre vedere il suo contenuto dogmatico. In primo luogo, quanto alla sua onnipresenza, diciamo che questa preghiera, ad eccezione del “Padre nostro”, è la più usata e quindi la più importante di tutte le preghiere ortodosse. Si potrebbe anche aggiungere che l’assenza di altre preghiere al Santo Spirito la mette in un contesto molto particolare, cosa che inquadra ancor di più la sua portata[2]. Questa preghiera è inclusa nell’ordo delle preghiere iniziali della mattina e della sera, e di una serie di uffici – le piccole ore, vespri e mattutini, senza dimenticare gli uffici speciali, ecc.
Il “Re Celeste” fa anche parte dell’ufficio celebrato alla Fraternità di Saint-Alban e di Saint-Serge. Sembra ispirare, con la mediazione del Santo Spirito, ogni tipo di devozione e di preghiera. Si attribuisce ancora ulteriore importanza a questa preghiera quando è il sacerdote, in segreto, che la recita prima dell’inizio della Divina Liturgia, quando si invoca il Santo Spirito per la celebrazione del sacramento del Corpo e del Sangue del Signore. In realtà, quest’invocazione costituisce in un certo qual modo un’epiclesi anticipata, anche se l’epiclesi di fatto, nella sua forma interamente sviluppata, si produce dopo la recita delle parole d’istituzione alla Liturgia dei fedeli.
Del resto, l’importanza particolare di questa preghiera è confermata indirettamente non soltanto dal suo uso ma, nello stesso spirito, dalla sua esclusione dal ciclo usuale delle preghiere della Chiesa in momenti precisi, in particolare in occasione della Settimana di Pasqua e nel corso delle settimane che conducono alla Pentecoste. La Chiesa omette allora di indirizzare questa preghiera al Santo Spirito; il tipikòn liturgico la sostituisce con il tropario di Pasqua “Cristo è risorto dai morti…”, tanto in occasione delle preghiere iniziali dei diversi uffici che alla Divina Liturgia. Ovviamente, questa sostituzione conferisce in un certo qual modo un’equivalenza tra l’inno di Pasqua e la preghiera al Santo Spirito, prova evidente del fatto che nel corso della settimana di Pasqua e dei giorni successivi, cioè dopo la Resurrezione di Cristo, siamo, di fatto, passati dal Regno della Grazia al Regno della Gloria, al centro del quale tutto si bagna intrinsecamente nel Santo Spirito, ciò implica che allora non è più necessario fare qualche invocazione speciale al Santo Spirito, perché Dio è tutto, in tutto.
L’assenza di questa preghiera nel corso dei dieci giorni che intercorrono tra l’Ascensione e la Pentecoste ha per parte sua un significato molto diverso. La si omette in questo periodo come privazione, un tipo di digiuno di preghiera, digiuno necessario come preparazione per la discesa del Santo Spirito alla Pentecoste. Così, quando si intona il “Re Celeste” al mattutino ed ai vespri del giorno di Pentecoste, si riveste di una solennità e di un entusiasmo molto speciale. E, a partire dalla Pentecoste la preghiera del “Re Celeste” riprende, nuovamente, il suo posto abituale nell’espressione liturgica della Chiesa.
È ora tempo di osservare questa preghiera nel suo insieme: “Re celeste, Consolatore, Spirito della Verità, che sei ovunque presente e tutto ricolmi, Scrigno dei beni e Dispensatore di vita, vieni, e dimora in noi, e purificaci da ogni macchia, e salva, o Buono, le nostre anime”.
La prima parte della preghiera, ossia l’invocazione “Re Celeste, Consolatore, Spirito della Verità…” racchiude un insegnamento dogmatico sulla Terza Ipostasi come Dio vero (“Re Celeste”). Il Consolatore, nella prospettiva del suo amore ipostatico tra il Padre ed il Figlio[3], il Santo Spirito grazie al quale si raggiunge e si rivela la spiritualità dello Spirito divino tri-ipostatico, è da parte sua lo Spirito di Verità nella sua relazione con la Seconda Ipostasi, che è il Verbo e la Verità. Ma contemporaneamente tutte queste definizioni che riguardano in primo luogo la Santa Trinità in sé, si applicano anche al mondo, poiché per il mondo anche il Santo Spirito è Dio, il Re Celeste, il Consolatore e lo Spirito di verità inviato dal Padre con la mediazione del Figlio.
La seconda parte della preghiera, “…che sei ovunque presente e tutto ricolmi, Scrigno dei beni e Dispensatore di vita”, testimonia in particolare l’attività del Santo Spirito nel mondo. Innanzitutto, la sua onnipresenza: Dio è onnipresente ma ciascuna delle sue ipostasi divine possiede un’immagine speciale di questa presenza iperspaziale. Il Padre è il potere fondamentale della volontà nella creazione del mondo; il Figlio è la sua base o il suo fondamento ideale (“senza di lui nulla è stato fatto”); il Santo Spirito è la forza attiva, che penetra in tutto e che “compie tutto”. È anche Datore di vita; e pertanto il Dio trino stesso è la vita eterna, il Creatore ed il Datore di vita. Mentre la terza Ipostasi, Colui che compie tutto, è la vita della vita nel seno della Santa Trinità, ugualmente è anche la potenza speciale di vita di ogni creatura. Un inno della Chiesa ricorda che “È con il Santo Spirito che ogni anima vive” (Anavathmì del 4° tono). Ogni realtà che accompagna ciascuna di queste vite appartiene al Santo Spirito, poiché è la potenza reale. Se la vita come tale è la più grande benedizione, è il “Tesoro inesauribile di tutti i beni”, cosa che include non soltanto il dono naturale della vita, ma anche i doni della grazia che ci è data dal Santo Spirito e che rappresenta la potenza della vita.
Questa parte della preghiera descrive, si potrebbe dire, l’attività oggettiva del Santo Spirito nel mondo e la presenza in seno al mondo, mentre l’ultima parte della preghiera tratta del settore del soggettivo, in particolare della reazione degli uomini e la loro accettazione del Santo Spirito, per richiedergli la salvezza personale (“vieni, e dimora in noi, e purificaci da ogni macchia, e salva, o Buono, le nostre anime…”). Se la vita cristiana consiste nell’acquisizione del Santo Spirito, secondo le parole di san Serafim di Sarov, e se allo stesso tempo la grazia non forza mai nessuno, allora il desiderio e lo sforzo degli uomini sono egualmente necessari per giungere ad accettare questa grazia e ciò deve riflettersi in primo luogo nella preghiera. Dire “Vieni, e dimora in noi” espone una preghiera in vista di una risposta attiva del Santo Spirito ed un’invocazione del Santo Spirito per l’ottenimento dell’ispirazione che porta frutto nella creatività umana. Il fuoco del Santo Spirito brucia la nostra natura peccatrice e ci purifica da qualsiasi peccato. Quindi la domanda dell’inabitazione del Santo Spirito in noi include anche quest’altra domanda, “purificaci da ogni macchia”, affinché siamo purificati dai nostri peccati. Così, tale inabitazione del Santo Spirito in noi è la nostra salvezza. Questa domanda è l’ultima della preghiera. È inclusiva ed, infatti, rappresenta un riassunto di tutta la preghiera.
Allo stesso modo, questa preghiera al Santo Spirito racchiude un contenuto tanto dogmatico che religioso e pratico. Si mette di solito questa preghiera all’inizio di ogni cosa buona che intraprendiamo, particolarmente gli studi, le relazioni, le riunioni pubbliche ecc. Tuttavia ribadiamo ancora una volta che è soltanto in questa sola preghiera eccezionale che invochiamo direttamente il Santo Spirito, mentre di solito preghiamo il Padre ed il Figlio, chiedendo loro di conferirci l’azione del Santo Spirito. La sola presenza di questa preghiera che si rivolge al Padre ed al Figlio ci costituisce una manifestazione del Santo Spirito, che compie in noi la sua ispirazione divina e che, simultaneamente, rileva la nostra ispirazione umana a livello “divino-umano”.

Sobornost (Fellowship of Saint Alban and Saint Serge), 24 giugno 1934.

Traduzione a cura di Tradizione Cristiana

[1] L’ufficio di Pentecoste in sé non contiene alcuna preghiera né inno particolare che invoca direttamente il Santo Spirito, ma soltanto degli inni indirizzati alla Santa Trinità che, tuttavia, contengono, tra l’altro, un’invocazione del Santo Spirito. Ecco un esempio: “Venite, popoli tutti, adoriamo in Tre persone l’unico Dio, nel Padre, il Figlio con il Santo Spirito, poiché il Padre genera il Figlio fuori del tempo, condividendo lo stesso trono e la stessa eternità, e il Santo Spirito è nel Padre, glorificato con il Figlio, una sola potenza, una sola divinità, un solo essere davanti al quale noi tutti, i fedeli, ci prosterniamo dicendo: Dio santo che tutto hai creato dal Figlio con l’assistenza del Santo Spirito, Dio santo e forte dal quale il Padre ci fu rivelato e dal quale il Santo Spirito è venuto in questo mondo, Dio santo ed immortale, Spirito consolatore che procede dal Padre e riposa nel Figlio, Trinità santa, gloria a te” (Lucernale dei vespri di Pentecoste).
[2] È in questo spirito che si può osservare una grande differenza tra questa preghiera ortodossa, “Re celeste”, e l’inno cattolico corrispondente, Veni Creator Spiritus, che ne è l’analogo. L’inno cattolico è certamente usato in modo limitato nella Chiesa: per la festa di Pentecoste, per la Cresima ed in occasione dell’Ordinazione dei sacerdoti e dei vescovi (gli Anglicani hanno anche conservato quest’ultimo uso). Ma quest’inno è assente dalle preghiere quotidiane ad eccezione del piccolo inno utilizzato nell’Ora Terza “Nunc sancte nobis Spiritus”. Tuttavia, mentre il “Re celeste” è ripetuto diverse volte al giorno, il “Nunc sante nobis Spiritus” viene fatto una volta sola. Questo indica accentuazioni differenti: per l’Ortodossia la presenza dello Spirito è da celebrarsi sempre, in quanto attuale, per il mondo latino, tende ad essere un momento ben preciso da riferirsi strettamente all’Ora di Terza.
[3] L’espressione è chiaramente mutuata dalla teologia agostiniana, tuttavia in questo articolo il padre Boulgakov tende a sfumare (si veda poco più avanti) le sue note posizioni teologiche filo-occidentali, che, sebbene non ne furono la causa principale, contribuirono circa un anno dopo alla duplice condanna del suo pensiero (nota a cura di Tradizione Cristiana).

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