Archive pour avril, 2012

LA TUNICA DI CRISTO: UN’IMMAGINE DELLA CHIESA

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LA TUNICA DI CRISTO: UN’IMMAGINE DELLA CHIESA

Messaggio del Papa al vescovo di Treviri per l’apertura del pellegrinaggio alla « Sacra Tunica »

ROMA, domenica, 15 aprile 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il messaggio inviato da Papa Benedetto XVI a mons. Stephan Ackermann, vescovo di Treviri (o Trier, in Germania), per l’apertura del pellegrinaggio alla “Sacra Tunica”, avvenuta venerdì 13 aprile, nel V centenario della prima ostensione pubblica della reliquia.
***
Al Reverendo Fratello
Stephan Ackermann,
Vescovo di Treviri
In questi giorni, nel grande Duomo di Treviri, ha luogo l’ostensione della Sacra Tunica, esattamente cinquecento anni dopo la sua prima esposizione pubblica a opera dell’Arcivescovo Richard von Greiffenklau, secondo il desiderio dell’Imperatore Massimiliano I, aprendo l’altare maggiore. In questa speciale occasione, anch’io mi faccio, nel pensiero, pellegrino nell’antica e venerabile città episcopale di Treviri, per inserirmi, in un certo senso, alla schiera dei fedeli che, nelle prossime settimane, prendono parte al pellegrinaggio alla Sacra Tunica. A Lei, Eccellenza, ai Confratelli nel ministero episcopale, ivi presenti, ai sacerdoti e ai diaconi, ai religiosi e religiose e a tutti coloro che si sono riuniti nel Duomo di Treviri per l’apertura del pellegrinaggio, desidero assicurare la vicinanza fraterna del Successore di Pietro.
Fin dalla prima ostensione nell’anno 1512 la Sacra Tunica attira a sé i fedeli perché questa reliquia rende presente uno dei più drammatici momenti della vita terrena di Gesù, la sua morte in croce. In quel contesto, la divisione, fra i soldati, delle vesti del Crocifisso potrebbe sembrare soltanto un episodio marginale, a cui i Vangeli sinottici alludono solo di passaggio. L’Evangelista Giovanni sviluppa tuttavia questo avvenimento con una certa solennità. E’ il solo a richiamare l’attenzione alla tunica che «era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo» (19, 23). Egli ci rende esplicito l’evento e ci aiuta, grazie alla reliquia, a guardare con fede al Mistero della salvezza.
La tunica, così ci dice Giovanni, è tutta d’un pezzo. I soldati che, secondo l’uso romano, si dividono come un bottino le povere cose del crocifisso, non vogliono strappare la tunica. La tirano a sorte e in tal modo essa rimane intera. I Padri della Chiesa vedono in questo passo l’unità della Chiesa; essa è fondata come unica e indivisa comunità dall’amore di Cristo. La Sacra Tunica intende renderci visibile tutto questo. L’amore del Salvatore ricongiunge ciò che è diviso. La Chiesa è una nei molti. Cristo non dissolve la pluralità degli uomini, ma li unisce nell’essere gli uni per gli altri e con gli altri tipico dei Cristiani, tanto da poter diventare, essi stessi, in vari modi, mediatori gli uni per gli altri verso Dio.
La Tunica di Cristo è «tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo» (Gv 19, 23). Anche questa è un’immagine della Chiesa,
E, infine, la Sacra Tunica non è una toga, un vestito elegante, che esprime un ruolo sociale. E’ un modesto capo di vestito, che serve a coprire e proteggere chi lo porta, custodendone la riservatezza. Questa veste è il dono indiviso del Crocifisso alla Chiesa, che Egli ha santificato con il suo Sangue. Per questo, la Sacra Tunica ricorda la dignità propria della Chiesa. Quante volte però vediamo in quali fragili vasi (cfr 2Cor 4, 7) noi portiamo il tesoro che il Signore ci ha affidato nella sua Chiesa, e come, a causa del nostro egoismo, delle nostre debolezze ed errori, viene ferita l’integrità del Corpo di Cristo. Vi è bisogno di una costante disposizione alla conversione e all’umiltà, per seguire il Signore con amore e con verità. Nello stesso tempo, la particolare dignità e integrità della Chiesa non può essere esposta e consegnata al chiasso di un giudizio sommario da parte della pubblica opinione.
Il pellegrinaggio giubilare ha come motto, che è poi un’invocazione al Signore, «Ricongiungi ciò che è diviso». Non vogliamo rimanere fermi nell’isolamento. Vogliamo chiedere al Signore di guidarci nel cammino comune della fede, e di rendere nuovamente vivi in noi i suoi contenuti. Così, nel crescere insieme dei cristiani nella fede, nella preghiera e nella testimonianza, potremo anche riconoscere, in mezzo alle prove del nostro tempo, la magnificenza e la bontà del Signore. Per questo, a Lei e a tutti coloro che in queste settimane di festa si recano in pellegrinaggio alla Sacra Tunica a Treviri, imparto di cuore l’Apostolica Benedizione.
Dal Vaticano, Venerdì Santo, 6 aprile 2012
BENEDICTUS PP. XVI

Giovanni della Robbia, Incredulità di San Tommaso, 1510 ca. Quarto (Firenze), Conservatorio La Quiete

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Publié dans:immagini sacre |on 14 avril, 2012 |Pas de commentaires »

Papa Benedetto : San Tommaso (2006)

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro

Mercoledì, 27 settembre 2006

Tommaso

Cari fratelli e sorelle,

Cari fratelli e sorelle, proseguendo i nostri incontri con i dodici Apostoli scelti direttamente da Gesù, oggi dedichiamo la nostra attenzione a Tommaso. Sempre presente nelle quattro liste compilate dal Nuovo Testamento, egli nei primi tre Vangeli è collocato accanto a Matteo (cfr Mt 10, 3; Mc 3, 18; Lc 6, 15), mentre negli Atti si trova vicino a Filippo (cfr At 1, 13). Il suo nome deriva da una radice ebraica, ta’am, che significa « appaiato, gemello ». In effetti, il Vangelo di Giovanni più volte lo chiama con il soprannome di « Didimo » (cfr Gv 11, 16; 20, 24; 21, 2), che in greco vuol dire appunto « gemello ». Non è chiaro il perché di questo appellativo.

Soprattutto il Quarto Vangelo ci offre alcune notizie che ritraggono qualche lineamento significativo della sua personalità. La prima riguarda l’esortazione, che egli fece agli altri Apostoli, quando Gesù, in un momento critico della sua vita, decise di andare a Betania per risuscitare Lazzaro, avvicinandosi così pericolosamente a Gerusalemme (cfr Mc 10, 32). In quell’occasione Tommaso disse ai suoi condiscepoli: « Andiamo anche noi e moriamo con lui » (Gv 11, 16). Questa sua determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della morte. In effetti, la cosa più importante è non distaccarsi mai da Gesù. D’altronde, quando i Vangeli usano il verbo « seguire » è per significare che dove si dirige Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da trascorrere insieme con Lui. San Paolo scrive qualcosa di analogo, quando così rassicura i cristiani di Corinto: « Voi siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere » (2 Cor 7, 3). Ciò che si verifica tra l’Apostolo e i suoi cristiani deve, ovviamente, valere prima di tutto per il rapporto tra i cristiani e Gesù stesso: morire insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro.
Un secondo intervento di Tommaso è registrato nell’Ultima Cena. In quell’occasione Gesù, predicendo la propria imminente dipartita, annuncia di andare a preparare un posto ai discepoli perché siano anch’essi dove si trova lui; e precisa loro: « Del luogo dove io vado, voi conoscete la via » (Gv 14, 4). È allora che Tommaso interviene dicendo: « Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via? » (Gv 14, 5). In realtà, con questa uscita egli si pone ad un livello di comprensione piuttosto basso; ma queste sue parole forniscono a Gesù l’occasione per pronunciare la celebre definizione: « Io sono la via, la verità e la vita » (Gv 14, 6). È dunque primariamente a Tommaso che viene fatta questa rivelazione, ma essa vale per tutti noi e per tutti i tempi. Ogni volta che noi sentiamo o leggiamo queste parole, possiamo metterci col pensiero al fianco di Tommaso ed immaginare che il Signore parli anche con noi così come parlò con lui. Nello stesso tempo, la sua domanda conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di chiedere spiegazioni a Gesù. Noi spesso non lo comprendiamo. Abbiamo il coraggio di dire: non ti comprendo, Signore, ascoltami, aiutami a capire. In tal modo, con questa franchezza che è il vero modo di pregare, di parlare con Gesù, esprimiamo la pochezza della nostra capacità di comprendere, al tempo stesso ci poniamo nell’atteggiamento fiducioso di chi si attende luce e forza da chi è in grado di donarle.
Notissima, poi, e persino proverbiale è la scena di Tommaso incredulo, avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: « Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò! » (Gv 20, 25). In fondo, da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene che segni qualificanti dell’identità di Gesù siano ora soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In questo l’Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: « Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente » (Gv 20, 27). Tommaso reagisce con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: « Mio Signore e mio Dio! » (Gv 20, 28). A questo proposito commenta Sant’Agostino: Tommaso « vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino ad allora aveva dubitato » (In Iohann. 121, 5). L’evangelista prosegue con un’ultima parola di Gesù a Tommaso: « Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno » (Gv 20, 29). Questa frase si può anche mettere al presente: « Beati quelli che non vedono eppure credono ». In ogni caso, qui Gesù enuncia un principio fondamentale per i cristiani che verranno dopo Tommaso, quindi per tutti noi. È interessante osservare come un altro Tommaso, il grande teologo medioevale di Aquino, accosti a questa formula di beatitudine quella apparentemente opposta riportata da Luca: « Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete » (Lc 10, 23). Ma l’Aquinate commenta: « Merita molto di più chi crede senza vedere che non chi crede vedendo » (In Johann. XX lectio VI 2566). In effetti, la Lettera agli Ebrei, richiamando tutta la serie degli antichi Patriarchi biblici, che credettero in Dio senza vedere il compimento delle sue promesse, definisce la fede come « fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono » (11, 1). Il caso dell’apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui.
Un’ultima annotazione su Tommaso ci è conservata dal Quarto Vangelo, che lo presenta come testimone del Risorto nel successivo momento della pesca miracolosa sul Lago di Tiberiade (cfr Gv 21, 2). In quell’occasione egli è menzionato addirittura subito dopo Simon Pietro: segno evidente della notevole importanza di cui godeva nell’ambito delle prime comunità cristiane. In effetti, nel suo nome vennero poi scritti gli Atti e il Vangelo di Tommaso, ambedue apocrifi ma comunque importanti per lo studio delle origini cristiane. Ricordiamo infine che, secondo un’antica tradizione, Tommaso evangelizzò prima la Siria e la Persia (così riferisce già Origene, riportato da Eusebio di Cesarea, Hist. eccl. 3, 1) poi si spinse fino all’India occidentale (cfr Atti di Tommaso 1-2 e 17ss), da dove infine raggiunse anche l’India meridionale. In questa prospettiva missionaria terminiamo la nostra riflessione, esprimendo l’auspicio che l’esempio di Tommaso corrobori sempre più la nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Dio.

Omelia (15-04-2012): Dubito, dunque credo

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/25220.html

Omelia (15-04-2012)

don Alberto Brignoli

Dubito, dunque credo

Non è detto che andare alla ricerca di certezze riguardo al sacro sia segno di mancanza di fede. Addirittura, oserei dire che nemmeno il dubbio, in un’esperienza credente, è sintomo di poca fede. Con tutta onesta, ho sempre provato una certa simpatia per coloro che di fronte ad una realtà così misteriosa e piena di fascino come l’Assoluto si sono posti degli interrogativi, a volte magari anche un po’ sfrontati e spregiudicati, ma che sicuramente sono sintomo di un desiderio di ricerca.
Non mi riferisco solo ai filosofi, ai maestri del sospetto, ai pensatori laici di ogni epoca o agli scienziati che sottopongono la Rivelazione a tutta una serie di prove oggettive che la Rivelazione spesso non può e non ha nemmeno intenzione di offrire; mi riferisco pure (soprattutto, direi) ai grandi credenti di ogni religione, ai santi della nostra tradizione cristiana, pochi dei quali possono vantare una vita ascetica e spirituale priva di ombre, di incertezze, di dubbi, di passi falsi ed anche di incoerenze.
Da Pietro che non riesce ad imitare il suo Maestro nel camminare sulle acque perché dubita della sua presenza, fino ai testi di Madre Teresa di Calcutta in cui definisce se stessa in uno stato di « notte perenne » rispetto a Dio, passando attraverso le esperienze drammatiche della spiritualità dell’angoscia di Giovanni della Croce, di Teresa d’Avila, di Francesco d’Assisi?
E allora, come è possibile dare dell’ateo o del miscredente a Tommaso, solo perché ha voluto vederci chiaro di fronte al Maestro, morto in croce, ma che tutti affermavano aver visto nuovamente in vita? Non siamo forse anche noi spesso così? A volte siamo pure peggio, visto che il nostro cammino di fede non sempre riesce ad arrivare ad espressioni così belle come quelle di Tommaso quest’oggi: « Mio Signore e mio Dio ».
Siamo onesti: chi di noi non ha mai avuto dubbi di fede? Chi di noi, pur professandosi credente e cercando di condurre una vita il più possibile coerente con gli insegnamenti del Vangelo, non si è mai posto delle domande, implicite o esplicite, su Dio?
« Sarà esistito storicamente, Gesù di Nazareth? O non sarà un’invenzione di alcuni mistici un po’ fanatici? »;
« Ma questo fatto della Resurrezione dai Morti, com’è conciliabile con gli elementi scientifici sulla vita che abbiamo attualmente in mano? »;
« Se Dio esiste davvero ed è buono, perché c’è il male nel mondo? E perché lui lo permette? Non tutto è imputabile all’uomo: pensiamo alle catastrofi naturali, alle malattie incurabili, alle migliaia e migliaia di vittime innocenti… « ;
« Perché mai devo credere in Dio, se anche da un punto di vista puramente umano posso comportarmi come si comporta un credente, e magari anche meglio, considerata l’incoerenza di vita di tanti cristiani? »;
« Dov’è Dio, quando abbiamo bisogno di lui?? ».
Potremmo proseguire all’infinito, citando paradigmatiche domande che ogni uomo, chi più e chi meno, in ogni epoca storica, si è posto nella vita, spesso senza trovare un’adeguata risposta, ma non per questo smettendo di essere uomo di fede, o dichiarandosi necessariamente miscredente o ateo. Perché poi occorre verificare che l’ateismo esista, se per ateo intendiamo uno che non crede in un’entità superiore o « altra » a quella puramente umana, in qualcosa che ci sovrasta, ci domina, ci riempie di fascino, e ci fa interrogare sul senso dell’esistenza.
Io non credo che un ateo così possa esistere. Può esistere un ateo che non dia a questa entità « altra » il nome di Dio; ma non credo esistano uomini sulla terra che non si lascino interpellare da una realtà superiore a quella puramente umana o che non si facciano interrogare dal Mistero, da ciò che è trascendentale, da ciò che trascende la fisicità, il « metafisico », appunto. E nemmeno penso che esistano persone che non sentano la difficoltà di dare un senso al proprio esistere.
Perché tutti siamo così, un po’ santi e un po’ dannati, un po’ credenti e un po’ atei, un po’ devoti e un po’ dubbiosi. Tutti. Anche – o forse soprattutto – coloro che hanno più familiarità con Dio, anche noi che viviamo delle « cose di Dio », anche noi che abbiamo consacrato la nostra vita a lui.
Se noi uomini e donne di Chiesa vivessimo un’esperienza di Dio priva di domande, di interrogativi, di battute d’arresto, correremo il rischio di essere gente senza prove, e quindi senza sofferenze, e quindi senza croci, ovvero privi di passioni.
Dio liberi noi preti dall’essere preti senza passione per Lui, preti che non fanno fatica a stargli dietro, preti per nulla « appassionati » di Dio, preti che non carichino sulle proprie spalle la croce e non lo seguono, perché ciò vorrebbe dire che non siamo degni di essere chiamati suoi discepoli!
Dio ci liberi da una fede talmente sicura di sé da diventare orgogliosa, superba, oppressiva, disprezzante nei confronti di chi fa fatica a credere perché provato dalla vita!
E Gesù liberi la sua Chiesa da uomini e donne che per il solo fatto di essersi consacrati a lui si sentono incrollabili nella fede, imperturbabili e perfetti.
La Chiesa, oggi, non ha bisogno di « signori » e di « divinità » della fede perché oggi come allora c’è un solo Signore e un solo Dio, quello che ha pazienza, che ti usa misericordia, ti rialza quando la tua fede vacilla e poi cadi, e che ti porta poi a professare come Tommaso: « Tu sei il Mio Signore; Tu sei il Mio Dio ».
La Chiesa oggi ha bisogno di testimoni credibili della fede, di gente che fa fatica, che a proposito di Dio ha mille dubbi al giorno, ma che nonostante tutto sia capace di affidarsi a lui e di andare avanti, perché sa che è lui che conduce la nostra vita.
Occorre, soprattutto, gente che non vive la sua esperienza di fede come un fatto isolato, ma come un momento di condivisione con una comunità di fratelli, che vive delle stesse gioie e delle stesse fatiche della fede.
L’errore di Tommaso non è stato il suo dubitare, ma il fatto di voler fare a meno di stare con i suoi fratelli, di separarsi da loro già la sera stessa di Pasqua, di volersi costruire una fede a sua misura. Tommaso salverà la sua fede « otto giorni dopo », cioè la domenica, il Giorno del Signore, il giorno in cui accetterà di tornare a riunirsi con la sua misera e titubante comunità per essere, con i suoi fratelli, « un cuor solo e un’anima sola », pur senza togliere tutta la fatica del credere.
Perché nessun cristiano, per quanto personalmente perfetto, può sperare di salvarsi senza il riferimento a una comunità di fede. E soprattutto, nessuno può avere la superbia di ritenersi capace di salvezza senza mai essere passato attraverso l’esperienza difficile ma appassionante del dubbio di fede.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 14 avril, 2012 |Pas de commentaires »

DOMENICA 15 APRILE 2012 – II DI PASQUA

DOMENICA 15 APRILE 2012 – II DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqB/PasqB2Page.htm

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura

Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 3, 1-17

La vita nuova in Cristo
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

Responsorio   Col 3, 1. 2. 3
R. Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; * pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra, alleluia.
V. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio;
R. pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra, alleluia.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 8 nell’ottava di Pasqua 1, 4; Pl 46, 838. 841)

Nuova creatura in Cristo
Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell’apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più Giudeo, né Greco; non c’è più schiavo, né libero; non c’è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. E’ infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riservato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l’ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l’ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all’immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).

Pasqua

Pasqua dans immagini sacre 3405o_o(1)

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Publié dans:immagini sacre |on 13 avril, 2012 |Pas de commentaires »

Venerdì fra l’Ottava di Pasqua, Benedetto XVI, Papa: « D’ora in poi sarai pescatore di uomini » (Lc 5,10)

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20120413

Venerdì fra l’Ottava di Pasqua

Meditazione del giorno

Benedetto XVI, Papa

Omelia della messa inaugurale del suo pontificato

« D’ora in poi sarai pescatore di uomini » (Lc 5,10)

        La chiamata di Pietro ad essere pastore (Gv 21,15-17) … fa seguito alla narrazione di una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale avevano gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla riva il Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a pescare ancora una volta ed ecco che la rete diviene così piena che essi non riescono a tirarla su; 153 grossi pesci: «E sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò».

        Questo racconto, al termine del cammino terreno di Gesù con i suoi discepoli, corrisponde ad un racconto dell’inizio (Lc 5,1-11): anche allora i discepoli non avevano pescato nulla durante tutta la notte; anche allora Gesù aveva invitato Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che ancora non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta: Maestro, sulla tua parola getterò le reti! Ed ecco il conferimento della missione: «Non temere! D’ora in poi sarai pescatore di uomini».

        Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo – a Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini.

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