EDITORIALE: Il Buon Pastore
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EDITORIALE: Il Buon Pastore
di padre Serafino M. Lanzetta, FI
Nell’arte cristiana la figura del buon pastore costituisce insieme con l’orante, uno dei due ideogrammi della storia della salvezza. In essa quasi come in compendio, si racconta all’ammiratore la lunga storia dell’amore salvifico di Dio. L’immagine del buon pastore ha origine nella tradizione figurativa tardoantica, dove la materia bucolica veniva assunta come rappresentazione dell’aldilà, immaginato come luogo sereno ed ideale dell’otium campestre. In questo spazio della pace ultraterrena, l’immagine del buon pastore con l’ovino sulle spalle, erano una formulazione idilliaco-pastorale della philantropia e dell’humanitas, secondo la tradizione dell’Hermes psicopompo, quali virtù condottiere al riposo della pace. Infatti, una delle rappresentazioni del dio Hermes era appunto quella di un pastore in atto di portare sulle spalle un ariete (animale a lui sacro), simbolo della sua missione di accompagnatore delle anime dei morti nell’Averno.
Il Cristianesimo – come farà anche per altre raffigurazioni pagane – assumerà la figura del buon pastore che presto inizia a comparire nelle raffigurazioni catacombali, per esprimere la sua fede in Cristo Salvatore che quale Buon Pastore conduce le sue pecorelle ai pascoli della vita eterna . In tal modo la fede cristiana testimoniava la pienezza espressiva di un simbolo o di simboli che finalmente in Cristo acquisivano il loro pieno e definitivo significato salvifico. Di qui poi muoveranno i Padri greci per sviluppare il concetto della “divina filantropia”.
In verità, il tema del pastore ha una forte risonanza biblica. L’immagine del pastore inteso come guida e condottiero ha il suo fertile humus nell’Antico Testamento (cf. Ez 34; Ger 31,10; Is 40,11; Sal 22,1-5; 79,2). In particolare con Ezechiele si prepara la venuta escatologica del Pastore che andrà lui stesso in cerca delle pecore perdute del suo gregge, le condurrà al pascolo e le farà riposare; lui stesso, fascerà quella ferita e curerà quella malata (cf. Ez 34,11.15-16). In tale unità di rivelazione, quale suo pieno compimento, si colloca il discorso giovanneo sul Buon Pastore. Gesù richiamando l’Antica Alleanza dice: «Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10,11). Gesù è il Pastore messianico a cui viene dato il trono di Davide e il cui regno non avrà fine (cf. Ez 34,23 alla luce di Lc 1,32-33), il Pastore che offrendo se stesso in riscatto, riporta la pecorella smarrita sulle sue spalle all’ovile del Padre (cf. Lc 15,4-7). Ogni pecorella è conosciuta ed amata personalmente dal Buon Pastore e per ogni pecorella il Pastore ha versato tutto il suo sangue: ecco perché non s’importa delle novantanove lasciate nel deserto. È Cristo il vero filantropo, colui che per amore dell’uomo si fa uomo e salva l’uomo, introducendolo per mezzo della sua umana natura nella vita divina del Dio Unitrino. Ecco la piena realizzazione della figura tardoantica del Buon Pastore: Cristo è il vero Cireneo che con la sua croce realizza un ponte sempiterno tra noi e Dio. In Lui si va al Padre e solo in Lui che è «la porta delle pecore» (Gv 10,7) si va a Dio, si è menati all’eterna salvezza. Il Nuovo Testamento riflettendo sul ruolo salvifico del Buon Pastore-Redentore, continuerà a riferirsi a Cristo “Pastore piagato” per esprimere la sua fede nella salvezza da lui operata (cf. 1Pt 2,25), a Cristo agnello offerto in sacrificio che oramai glorioso, guida alle fonti delle acque della vita (cf. Ap 7,17).
L’immagine del Buon Pastore è cara alla riflessione teologica del nostro Pontefice. Sin dalla sua omelia per l’inizio del ministero petrino, Benedetto XVI ha fatto allusione a Cristo Buon Pastore. In quella circostanza così unica per un novello Pietro che si accinge alla missione di Pastore universale della Chiesa, il Papa richiamando il significato del pallio, tessuto di lana d’agnello che allude alla pecorella che il Pastore porta sulle sue spalle diceva:
«La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa. L’umanità – noi tutti – è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore» .
Il Buon Pastore ritorna poi nell’enciclica Deus caritas est tra le figure neotestamentarie che donano «carne e sangue» ai concetti biblici esprimenti quell’agire già imprevedibile e in un certo senso inaudito di Dio: «Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la “pecorella smarrita”, l’umanità sofferente e perduta» (n. 12).
L’immagine del Buon Pastore diventa emblema della confluenza nel Dio incarnato di ciò che è proprio dell’uomo, l’eros, con ciò che è Dio, l’agape. Dio assume ciò che è dell’uomo per purificarlo in ciò che lui semplicemente è: amore. «Cristo l’amore incarnato di Dio» è il Buon Pastore che porta sulle sue spalle l’eros per riscattarlo da ogni vuota seduzione, per redimerlo da quella concupiscenza intrisa d’ebbrezza e d’indisciplinatezza. L’agape incarnata di Dio in Cristo dona verità all’eros dell’uomo e l’uomo in Cristo può raggiungere realmente le soglie di un amore che più non finisce, può partecipare come figlio all’agape di Dio.
Cristo, il Buon Pastore, è colui che ridona verità all’amore, facendoci scoprire l’amore nella verità. Dall’amore nella verità si giunge alla verità dell’amore, quindi alla verità di Dio e dell’uomo. Dio e l’uomo si toccano nella verità dell’amore. Dio e l’uomo sono uno in Cristo che è il Logos-Agape incarnato. Alla verità giovannea del Deus caritas est (1Gv 4,8), fa eco, quale manifestazione visibile, quella del prologo: «il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Il Deus caritas ha manifestato il suo volto d’amore nel Logos sarx. L’amore si fa toccare nel Logos che diventa a noi vicino. In Dio ragione e amore sono uno. In Cristo ragione e amore si incarnano. In Lui, nel Buon Pastore, allora, come in una magnifica pittura si intrecciano nella percepibilità della carne – l’Eucaristia che mangiamo è questa percepibilità per antonomasia – il Logos e l’Agape, la ragione e la carità. In Lui l’uomo – fatto a sua immagine e somiglianza – rinasce nella verità dell’unità di ragione e amore, di una ragione che è il fondamento dell’amore e di un amore che è la pienezza della ragione.
Di più, nel Dio incarnato, Logos e Agape sono uniti in un’armonia che tutto unifica: la Bellezza. Cristo è il Bel Pastore – o poimèn o kalòs nell’accezione greca originaria – che compendia Logos e Agape nella verità della sua bellezza che come dardo infuocato “brucia” l’intelligenza e il cuore – il bello ha un valore oggettivo e non è un semplice effetto sul nostro animo come dice D. Hume –; Cristo è il “bello” che rapisce e traduce in contenuti estetici la verità dell’amore nell’amore alla verità. Il volto del Buon Pastore è il volto della bellezza nella quale si compendiano in unità la verità e l’amore, il Logos e l’Agape. Avvicinandosi a Cristo, nella bellezza del suo sguardo, si è rapiti dalla bontà della verità e dalla verità del bene per rinascere seconda la sua statura in cui la molteplicità diventa unità: la verità, l’amore, la bellezza sono uno: Lui, il Buon Pastore.
Il Buon Pastore, allora, che campeggia sulla nostra rivista, vuole essere un’immagine espressiva del ricco contenuto teologico che vi si legge in filigrana. Ora tentiamo una lettura dell’immagine a modo di grande schizzo teologico per disegnare gl’ideali di “Fides Catholica”.
Il Pastore che adagia sulle sue spalle la pecorella – un ariete nel nostro caso in relazione ad Hermes – è, come si diceva, l’Agape di Dio incarnata, Cristo che nell’unità della sua persona divina assume la nostra umanità e la redime portandola sulle sue spalle. Su di lui la pecorella è tranquilla. Ritorna all’ovile.
La ragione e l’eros appaiati in un’unità a volte disorganica e precipitosa per lo più nell’oblio della ragione e nell’accentuazione dell’eros come mera brama egoistica, in Cristo trovano nuovamente la loro unità. Sono assunte da Cristo, in lui redente, sì che possano di nuovo convivere in un tutto organico che ormai è la partecipazione di entrambe ad un paradigma più alto, quello del Logos-Agape che dà lume alla ragione e verità all’eros. Dando verità all’eros rendendolo partecipe dell’agape, ci si muove nella verità dell’amore, così da imparare a scoprire nell’amore la verità. L’uomo in Cristo, incamminandosi sui sentieri dell’amore che gli sono così consoni, scopre in Lui il fondamento del suo essere, la verità del suo amore, la possibilità del suo pensiero dell’amore (dell’Agape) e del suo amore al pensiero (al Logos). Questa ci sembra la linea tratteggiata da Deus caritas est, in cui principiando dall’amore si conduce l’uomo a scoprire in Dio-amore la verità e la pienezza di sé.
È necessario indicare all’uomo di oggi, imbrigliato nelle redini di un pensiero post-moderno, incapace di verità e che obbliga l’uomo ad accontentarsi delle mere illusioni – tutto è illusione se non c’è la verità –, che l’eros è già in se stesso desiderio di andare oltre, di elevarsi dal sensibile all’intelligibile e che solo nell’agape trova la sua misura. L’eros senza la ragione è cieco e la ragione senza l’eros risanato dall’agape è fredda. Non è un caso che il nostro tempo, vivendo nell’oblio della ragione, abbia concesso solo all’amore diritto di cittadinanza, ma un amore spesso vuoto, superficiale, egoistico, squallido. Si vede tuttavia un passaggio progressivo che va dall’Illuminismo e quindi dalla modernità alla post-modernità che per tanti sarebbe un post-cristianesimo. «L’irresponsabile coltivazione di un logos moderno totalmente anaffettivo fa perfettamente il paio con l’eruzione violenta di un eros post-moderno totalmente irrazionale. E attrae nella sua spirale involutiva passioni “politiche” – e persino “religiose” – senza ragioni e senza affetti. Dunque senza giustizia. Potenze figlie di un eros senza logos né agape, perciò falsamente divinizzato e umanamente distruttivo» .
Si vive in un mondo e in un tempo in cui la concupiscenza da cavallo del cocchio è diventata auriga. Si è dominati largamente da un eros irrazionale che diluisce nella banalità le cose più importanti della vita. In un mondo così affogato, è necessario partire dalla purificazione dell’eros mostrando la strada risanatrice dell’agape: l’uomo che ama Dio inizierà ad amare veramente se stesso e perciò ad amare l’amore, nel quale convengono Dio e l’uomo. Così, ristabilita la verità dell’amore – la forza trainante dell’uomo, quella copula mundi –, sarà più facile poter guardare al rapporto ragione e fede. Un rapporto che ora dovremmo indicare come ragione-amore e fede. Guarito l’eros nell’agape che è in un certo senso la “razionalità” dell’amore, la verità dell’amore, risolte le aporie di una cultura erotico-irrazionale, anche la ragione scopre di nuovo il suo ruolo determinante nella vita di un uomo. La ragione postula la necessità di Dio. Senza Dio si brancola nel buio e si finisce coll’edificare la propria esistenza sulla mera banalità dell’irrazionale. Ora la ragione, non più derelitta a causa di un “eros misura delle cose”, è capace di affrontare serenamente il discorso su Dio, quando si apre alla contemplazione della realtà nella sua totalità. La ragione insieme all’amore postula l’esistenza di Dio, di un Dio che è la Ragione e che possa anche amare nella sua libertà. La fede finalmente ci svela il volto di questo Dio: Cristo, il Buon Pastore è il volto del Logos-Agape. In Cristo Dio si è fatto uomo. In Cristo Dio ha preso il nostro volto e dà verità alla nostra ragione e fondamento al nostro amore.
In tal modo s’intravede già, nella sinergia di ragione-amore e fede, un’apologia dell’unicità del Cristianesimo, la sola religio vera. Se Cristo è il Logos agapico incarnato, solo in Lui v’è la risposta piena e definitiva al chi è Dio e chi è l’uomo. L’uomo scopre in Cristo il fondamento di se stesso, dà ragione della sua ragione e del suo amore, perché si vede fatto ad immagine del suo Creatore e del suo Redentore. Il Creatore e il Redentore, poi, chiede di essere conosciuto nella libertà dell’amore. La religio vera avrà la caratteristica di “imporsi” nella libertà, chiedendo di amare la verità religiosa. Dio mi chiede di amare la verità e di accoglierla nella libertà. Solo quella religione che chiede la libertà del mio amore per aprirmi alla verità, sarà la religio vera, perché in definitiva mi chiede di essere pienamente me stesso, dando ragione a me stesso e alla realtà nella sua totalità. Credendo in Cristo e amando Cristo si dà pieno fondamento alla ragione e all’amore e così la fede apre le porte della carità. Fede e carità diventano la pienezza e la perfezione soprannaturale della mia ragione e del mio amore. Pertanto, l’affermazione logica: solo Cristo è il Deum verum, solo il Cristianesimo è la religio vera, implicherà in Cristo e nel Cristianesimo la pienezza di ciò che è anche dell’uomo. Se, in definitiva, l’uomo e Dio convengono proprio nella realtà dell’amore (cf. Deus caritas est, n. 2.31/c), la religio vera sarà la religione dell’amore, la religione del Deus caritas. In questo modo la carità diventa una manifestazione della verità di Dio, di Dio che è amore (cf. Deus caritas est 31/c). Il Buon Pastore è il Dio d’amore. La violenza in nome della religione è la forte forza della menzogna.
Guardando ancora all’immagine della nostra copertina come non rammentare il anche il mistero della Redenzione? Cristo è il Redentore dell’uomo. In quella pecorella che porta sulle sue spalle – mentre due stanno ai suoi piedi – si può scorgere l’immagine di colei che redenta in modo unico in una Redenzione preservativa, l’Immacolata Concezione, è divenuta in Cristo l’Immacolata Corredentrice, ovvero colei che con Cristo, accovacciata sulle sue spalle, partecipa in modo unico alla Redenzione di noi tutti. E noi stando ai piedi di Gesù, tutto riceviamo da Lui a dalla sua Madre. Maria non è mai scesa dalle spalle di Cristo, non tocca la terra sebbene sia fatta di terra. È l’unica pecorella che rimane sempre con Cristo: sempre con Lui nel dolore e nell’amore. Lei diventa la misura della nostra Redenzione, la misura della nostra ragione-amore e fede.
Infine, possiamo scorgere nel Buon Pastore, ancora un altro tema di notevole attualità che è l’ecumenismo. Ricordiamo le parole del Signore: «Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10,16). Ci sono delle pecore che non sono ancora in comunione con il gregge di Cristo, perché non v’è solo un solo pastore che visibilizzi il Buon Pastore. Siamo fiduciosi però e crediamo nelle parole di Cristo. Il suo gregge radunato intorno a Lui, non potrà che avere un solo Pastore quello designato da Cristo – «Tu sei Pietro» e non io sono Pietro – e una sola Madre, la sua Madre, l’Immacolata Corredentrice.
Seguiamo Cristo il Buon Pastore, il Logos Amore che raduna in unità la sua Chiesa e ci porta ai pascoli della vita eterna. Le parole di san Gregorio Magno, riassumono quello che zoppicando abbiamo tentato di esprimere:
«Le sue pecore perciò troveranno pascolo, perché chiunque lo segue con cuore semplice, viene nutrito per mezzo di pascoli che sono verdeggianti in eterno. Qual è poi il pascolo di queste pecore se non le intime gioie del paradiso verdeggiante? Infatti il pascolo di coloro che sono eletti è la presenza del volto di Dio, e guardandolo, senza che esso venga mai meno, la mente si sazia in eterno del cibo della vita. Cerchiamo quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, in cui possiamo gioire nella solenne festosità di cittadini tanto grandi. Facciamo in modo di essere attirati dalla stessa festosità di coloro che sono felici. Accendiamo dunque il nostro animo, fratelli, la fede venga riscaldata da ciò in cui ha creduto, i nostri desideri si accendano per i beni celesti, e in questo modo amare significa già incamminarsi» .
NOTE
Cf. F. BISCONTI, Buon Pastore, in ID. (a cura di), Temi di iconografia paleocri-stiana, Città del Vaticano 2000, p. 138.
Omelia del 24 aprile 2005, in L’Osservatore Romano del 25-26 aprile 2005, p. 6.
Si vedano le riflessioni a tal proposito di D. VON ILDEBRAND, Estetica, a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2006, pp. 22-25. La famosa tesi humiana formulata in questo modo: «Se ci viene alle mani qualche volume… domandiamoci: “Contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità o sui numeri?” No. “Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatto e di esistenza?” No. E allora, get-tiamo nel fuoco, perché non contiene altro che sofisticherie e inganni» (An Enquiry Concerning Human Understanding, cit. in D. VON ILDEBRAND, cit., pp. 24-25, nota 6), in effetti, altro non è che una petitio principii, cioè cade nella semplice con-traddizione di ritenere evidente (la non evidenza della bellezza) ciò che non è e-vidente. Il valore della bellezza misinterpretato viene contrapposto al fatto, ciò che è infondato e a maggior ragione non evidente. Cf. D. VON ILDEBRAND, cit., p. 25.
P. SEQUERI, Il Dio della rivelazione cristiana: Logos e Agape, in L’Osservatore Romano del 16-17 giugno 2006, p. 7.
Hom. 14, 3-6; PL 76, 1130.

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