L’autorità civile « diacono di Dio » ( Romani 13,1-7) in Giovanni Crisostomo

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L’autorità civile « diacono di Dio » ( Romani 13,1-7) in Giovanni Crisostomo

Nei primi anni della ribellione protestante alla giurisdizione della chiesa di Roma un grande umanista italiano, vescovo di Carpentras e più tardi cardinale, Iacopo Sadoleto ( 1477-1547), cercava una propria via nell’esame dei problemi teologici del giorno. Essi sembravano concentrarsi sul difficile dettato della lettera di Paolo alla comunità di Roma con il primato esclusivo del Cristo vincitore del peccato e della morte, con l’esaltazione di una giustizia per grazia accolta nella fede, con una chiesa fondata sull’amore reciproco e leale verso l’ordinamento pubblico del principato romano. Il commento di Giovanni Crisostomo alla celebre missiva, da poco fatto pubblicare in lingua greca e inviatogli da un altro umanista e vescovo, Gian Matteo Giberti ( 1495-1543), era stato occasione di uno studio accurato. Ne era sorto un nuovo commento in forma di dialogo platonico ambientato a Roma e dedicato ad approfondire i pensieri fondamentali dell’apostolo e del
suo commentatore come guida sicura nelle tempeste del presente.1 Il tema fondamentale era
costituito dal « mysterium Christi », a cui occorreva aderire con tutta la propria intelligenza, libertà ed emotività. Ma accanto a questo carattere più intimo e personale dell’evangelo si collocavano, sia agli inizi dell’evangelo sia nelle epoche successive, le strutture esteriori della chiesa gerarchica e dello stato. In che rapporto dovevano essere poste queste dimensioni diverse della vita morale? Come poteva conciliarsi l’intima adesione alla parole evangelica con le ambiguità inevitabili della vita pubblica sia ecclesiastica che civile? Giovanni Crisostomo sembrava fornire una serie di pensieri ben fondati sulla lettera del Nuovo Testamento ed utili per dipanare quello che a molti sembrava essere divenuto un groviglio inestricabile

1. Tra Dio e Satana
Nella esposizione articolata dell’ evangelo cristiano, come é presentato da Paolo alla comunità di Roma, viene fornita una serie di indicazioni relative all’etica pubblica dei discepoli di Gesù. Essi sono stati chiamati ad una giustizia quale non poteva essere ottenuta né in base alla legge naturale né secondo le disposizioni di quella mosaica. Come Abramo e Davide, si sono affidati alla misericordia divina operante oltre ogni legge che imponga la rettitudine ma non dia la forza di compierla. Hanno accolto il dono di colui che è morto per i peccatori e che li unisce alla sua nuova esistenza animata dalla Spirito divino. Sono così in grado di formare il corpo universale di Cristo, di offrire con lui il sacrificio perfetto e di darne testimonianza nelle diverse funzioni comunitarie. Ma nella vita pubblica, in attesa della definitiva rivelazione della salvezza, deve essere accettata volonterosamente la sottomissione ad una autorità civile cui l’evangelo è totalmente sconosciuto. Essa adempie alla funzione, provvisoria ma fondamentale, di premiare il bene e di punire il male con un compito universale di origine divina. E’ necessario pertanto accoglierne le disposizioni, sostenerla con il pagamento dei tributi e renderle onore. Se la lettera di Paolo alla comunità di Roma è stata scritta e ricevuta negli anni 56/57, il principato romano degno di tanta attenzione, pur nella prospettiva escatologica di Paolo, è quello di Nerone assistito dal filosofo Seneca. Queste affermazioni, assieme a quelle attribuite all’apostolo Pietro e provenienti questa volta da Roma stessa ( Prima lettera di Pietro 2, 11-17), costituiscono la base di una lunghissima serie di riflessioni teologiche sulla natura provvidenziale dell’autorità civile nel suo rapporto con l’evangelo cristiano e con le comunità che si costituiscono in base ai suoi ideali. Tali esortazioni sembrano opporsi diametralmente alle critiche più tardive secondo le quali il principato romano, rappresentato da Domiziano, è considerato un travestimento di Satana stesso, cacciato dal cielo e intento a crearsi un regno sulla terra ( Apocalisse 13; 17-18). La teologia cristiana sembra essersi mossa per quasi due millenni tra le due diverse interpretazioni del governo civile dei popoli con le più diverse accentuazioni. L’organizzazione politica, economica, religiosa e militare degli stati retti da una autorità dominante è una diaconia divina, come sostiene Paolo, oppure una diabolica, come vorrebbe il testo apocalittico?

2. Diaconia del Nuovo Testamento
La Seconda lettera ai Corinzi mostra un ampio uso delle immagini desunte dalla diaconia: esse sembrano far parte dei più antichi strati dell’evangelo delle origini. Paolo ritiene di essere uno strumento vivo dello Spirito divino: la sua lettera di raccomandazione nei confronti della comunità è stata scritta, attraverso la sua attività diaconale, nell’intimo dei credenti. Il Padre lo ha reso diacono della sua azione vivificante. Essa è una diaconia resa alla giustizia divina che agisce per manifestare la sua potenza, ben differente da quella delle legge scritta sulla pietra. Diacono del nuovo patto, egli esercitata la diaconia dello Spirito che dona la vera giustizia ( II Corinzi 3, 3. 5-9; 4,1; 5,18). Egli non ha voluto offendere nessuno, perché la sua diaconia non fosse disprezzata, anzi tutta la sua esistenza rivela il carattere divino della funzione diaconale da lui esercitata (II Corinzi 6,3-4). La diaconia dell’evangelo acquista per le comunità della Grecia e dell’Asia minore il carattere di un soccorso economico per la chiesa di Gerusalemme, per la quale l’apostolo ed i suoi collaboratori raccolgono somme di denaro ( II Corinzi 8,4.19-20; 9,1. 12-13; Romani 15,25.31). Per esercitare la sua diaconia nei confronti della comunità di Corinto senza gravare su di essa, si è avvalso di aiuti provenienti da altre chiese. Coloro invece che ne hanno turbato la fede si travestono da diaconi della giustizia ed imitano i mascheramenti di Satana, ma nessuno dei sedicenti diaconi di Cristo mostrerà mai la dedizione di Paolo al suo compito ( II Corinzi 11, 8.15.23). La diaconia pertanto è un servizio reso tra le genti a Dio, al Cristo, allo Spirito, alla giustizia, alla riconciliazione dei peccatori, al nuovo patto, è frutto della misericordia divina ed assume anche un carattere economico nei confronti degli indigenti della comunità di Gerusalemme. Ad essa si contrappone la diaconia legale della condanna o quella diabolica della finzione.2 Anche il Cristo è diacono di Dio a vantaggio sia di Israele che delle genti (Romani 15, 8-9) e Paolo viene ripetutamente indicato come investito di una analoga funzione ( Colossesi 1, 23.25; Efesini 3,7) non meno dei suoi collaboratori ( Colossesi 1,7; 4,7; Efesini 6,21). Tutti gli evangelizzatori partecipano ad un simile compito di origine divina, sono così costretti a mettere da parte ogni pretesa individuale ( I Corinzi 3, 5).L’attività di evangelizzazione nei suoi aspetti didattici, esortativi, carismatici ed economici assume la connotazione di un servizio libero, generoso e fervido reso alla giustizia divina, che si è manifestata nel sacrificio del messia, nella sua liberazione dalla morte, nel dono universale dello Spirito, nella costituzione del corpo ecclesiale, nell’attesa della nuova creazione imminente. Negli evangeli sinottici l’attività del servizio è attribuita agli angeli, alla suocera di Pietro, al figlio
dell’uomo, alle donne che l’hanno ospitato, seguito ed aiutato ( Marco 1,13.31; 10,45; 15,45; Luca
10,40). Ognuno nella vita della comunità deve farsi servitore degli altri ed in questo atteggiamento
stanno la vera grandezza ed il vero primato (Marco 9,35; 10,43). Gesù stesso infine va servito in coloro che hanno bisogno di soccorso nelle necessità più elementari ( Matteo 25,44). Nel racconto degli Atti la partecipazione al gruppo dei dodici testimoni è una diaconia (Atti 1,17.25): si manifesta nella preghiera e nell’insegnamento, mentre il soccorso materiale dei poveri, deve essere lasciato ad altri (Atti 6,4). Paolo è l’esempio più coerente di questo servizio reso a tutti gli esseri umani a nome del Padre (Atti 20,12; 21,19). Secondo l’evangelo giovanneo il servizio reso a Gesù sarà la garanzia della comunione con lui e dell’approvazione divina ( Giovanni 12,26). I profeti iniziarono ad esercitare questo compito, dedicato a coloro che avrebbero conosciuto il Cristo e che a loro volta devono farsi servitori di un bene comune di origine divina ( I Pietro 1,12; 4,10,11).3 Alla dimensione più direttamente teologica e salvifica del servizio ecclesiale Paolo aggiunge quella esercitata dal principato romano. La comunità messianica costituisce il corpo vivente di Cristo in attesa della fine imminente della storia con la sua definitiva assunzione del regno. Tuttavia il legame che unisce in un solo vincolo tutti i membri e le funzioni della vita comunitaria ha ancora bisogno per qualche tempo del cerchio più ampio della vita civile governata dal principato romano. Dopo aver descritto gli ideali caratteristici del piccolo gruppo messianico, lo sguardo dell’apostolo si rivolge alle esigenze di un’etica civile di sottomissione e collaborazione con la vita pubblica dello stato. Anch’esso è sottoposto all’ordine spirituale ultimo del cosmo e della storia: é diacono anch’esso di Dio, a vantaggio pure degli eletti, per la tutela del bene comune e per la punizione del male ( Romani 13,4). Il contributo economico ad esso dovuto è giustificato dal carattere liturgico, nel senso originale della parola, dei suoi funzionari ( Romani 15,6).4

2. Benevolenza e filantropia del Padre
Nei suoi commenti alle lettere di Paolo, stesi in gran parte durante l’attività di presbitero ad Antiochia, Giovanni Crisostomo sottolinea in modo molto energico l’opera della grazia nei confronti della condizione peccaminosa degli esseri umani. La filantropia divina ha superato la condanna comminata dalla legge ai peccatori e con il battesimo ha inizio la lunga lotta contro il male che sempre insidia i redenti. Paolo è l’esempio più evidente della grazia che crea una nuova condizione ed il suo servizio apostolico ne è la testimonianza. Egli stesso, qualora potesse rivolgersi direttamente ad ascoltatori di epoche successive, si esprimerebbe così:  » Nulla infatti di più abbiamo conferito se non che siamo diventati solamente dei diaconi ed abbiamo prestato la nostra opera a realtà donate da Dio. Pertanto non disse contribuzione, né donativo, ma servizio, e neppure si accontentò di questo, ma aggiunse: come abbiamo ricevuto misericordia. E infatti questo stesso,
come egli dice, essere diacono per costoro proviene dalla misericordia e dalla filantropia ».5 Coloro che hanno annunciato l’evangelo a Corinto sono solo diaconi di un dono d’origine divina:  » Questa condizione per se stessa è una realtà grande e degna di molte ricompense, tuttavia è nulla di fronte all’archetipo e alla radice dei beni. Non infatti quello che rende un servizio ai beni, ma colui che li rende presenti e li conferisce, costui è il benefattore ».6 Cristo stesso è il fondamento unico dell’edificio spirituale in cui tutti i suoi discepoli devono essere strettamente uniti:  » Egli è il capo, noi il corpo: forse che ci può essere uno spazio vuoto intermedio tra i capo e il corpo? Egli è il fondamento, noi l’edificio; egli è la vite noi i tralci; egli è lo sposo, noi la sposa; egli è il pastore, noi le pecore; egli è la via, noi coloro che camminano; noi ancora il tempio, egli vi abita; egli il
primogenito, noi i fratelli; egli è l’erede, noi i coeredi; egli è la vita, noi i viventi; egli è la risurrezione, noi i risorti; egli è la luce, noi siamo illuminati ».7 Quando il Cristo viene dichiarato diacono della circoncisione, l’apostolo vuole affermare il primato della grazia, che adempie le promesse fatte ai padri d’Israele e si rivolge ormai a tutte le genti. La legge viene superata dal servizio che Cristo compie a vantaggio di tutta l’umanità.8
Similmente Paolo stesso è diacono dell’evangelo e della chiesa quale corpo di Cristo, come se dicesse: « nulla conferendo da me stesso, ma annunciando ciò che riguarda un altro. Così credo di patire in favore di lui. E non patisco soltanto, ma pure gioisco mentre patisco guardando la speranza futura. E patisco non a favore di me stesso, ma per voi ». 9 Questa stretta associazione dell’apostolo a Cristo ed al suo corpo fa sì che  » la dignità del suo onore fosse conforme alla forza del dono. Ma non basta il dono, se non introdusse anche la forza ».10 L’origine prima dell’evangelo è la filantropia divina verso il genere umano peccatore. Essa ha mostrato il suo carattere e la sua efficacia nel Cristo, che se ne è fatto il supremo testimone ed amministratore. L’apostolo, a somiglianza di coloro che furono chiamati per primi, viene associato con tutta la sua esistenza a questo compito efficace ed universale, a cui sono uniti pure coloro che sono divenuti partecipi della sua fatica. Attraverso la visione teologica di Paolo, meditata e fatto propria con un lunghissimo sforzo intellettuale, psicologico e morale, il predicatore antiocheno ha raggiunto una visione complessiva di tutta la realtà. La creazione, immersa nelle tenebre del male, è stata illuminata dalla luce divina che risplende nella diaconia messianica di redenzione, di grazia, di impegno spirituale. A questo nuovo ordinamento occorre uniformarsi in attesa del giudizio definitivo. L’esercizio del ministero sacerdotale è una piena e pubblica testimonianza di tale ordinamento della realtà rivelatosi attraverso il Cristo e diffusosi in tutto il mondo con la sua parola e l’azione del suo Spirito. Nell’azione liturgica e nelle attività pratiche che l’attorniano e la completano si manifesta quella diaconia che rende partecipi della filantropia divina, libera dalla colpa, elimina le
radici del male, testimonia la nuova giustizia della grazia e dell’amore, prepara al giudizio finale. L’aiuto fornito ai poveri e la custodia delle vergini in particolare costituiscono l’aspetto pratico del servizio reso alla parola divina.11

3. La pace civile e la libertà dell’annuncio
Quando l’esegeta affronta il passo di Paolo dove l’autorità statale viene proclamata diacono di Dio, egli nota che l’apostolo, anche in altre lettere, raccomanda la sottomissione alle autorità sia nella vita domestica che in quella pubblica. Infatti  » Cristo non ha introdotto le sue leggi per sovvertire il comune ordine civile, ma per migliorarlo ».12 L’apostolo, dopo aver mostrato i caratteri di quella compiuta filosofia che rende la vita umana simile a quella degli angeli con l’eliminazione dell’ira e dell’arroganza, presenta quanto è dovuto da ognuno con l’ obbedienza all’ordinamento civile. Nessuno se ne può sottrarre, né i sacerdoti, né i monaci e neppure gli apostoli, gli evangelisti o i profeti. Questa sottomissione non è un ostacolo per la religiosità personale. Tuttavia l’affermazione della origine divina dell’autorità non indica che chiunque la eserciti adempia il volere divino. L’apostolo infatti parla dell’esistenza di un pubblico ordinamento, non di coloro che singolarmente lo esercitano. Anche l’istituzione del matrimonio è di origine divina, ma non ogni unione tra l’uomo e la donna è conforme ad essa. L’uguaglianza, secondo l’esegeta, è fonte di conflitti e per questo motivo nella società umana sono necessarie diverse forme di subordinazione, come tra l’uomo e la donna, il padre e il figlio, il vecchio e il giovane, l’essere umano libero e lo schiavo, il principe e il suddito, il maestro e il discepolo. Questo stesso principio di subordinazione può essere osservato nelle membra del corpo umano, dove ad alcune è conferito il compito del comando, ad altre quello dell’obbedienza. Neppure il regno animale è esonerato dall’esigenza di una guida cui affidarsi, come è evidente per le api, le gru e i branchi di animali selvatici. Anche il mare dà testimonianza di questo principio essenziale della vita comune, dal momento che molti generi di pesci sono comandati da uno soltanto e sotto la sua guida intraprendono lunghe peregrinazioni. Se ne deve dedurre che l’anarchia é dovunque malvagia e causa di turbamento.13 Il riconoscimento dell’autorità quale ordine stabilito da Dio è necessario inoltre per rispondere all’accusa di coloro che, pur essendo chiamati a partecipare al regno dei cieli, devono accettare la subordinazione a chi governa il mondo presente. Inoltre toglie di mezzo ogni accusa che potesse essere rivolta ai primi annunciatori dell’evangelo come se fossero dei sediziosi. Esigere l’obbedienza alle autorità civili è pure utile per invitarle alla benevolenza e per testimoniare con maggiore franchezza le verità delle fede. Non bisogna vergognarsi della sottomissione alle autorità pure per il motivo dei castighi che esse sono in grado di infliggere a coloro che non prestano loro obbedienza. Tuttavia, più che alla eventuale punizione, è conveniente pensare al premio che deriva da una sincera obbedienza. Il timore è prodotto dall’azione malvagia che sarà punita, ma l’azione buona sarà premiata: proprio per questa sua funzione l’autorità civile è diacono di Dio in vista del bene:  » E’ talmente lontana dall’incuterti timore che pure ti loda, è tanto lontana dal crearti ostacoli che pure ti aiuta. Se dunque possiedi qualcuno che ti loda e ti aiuta, perché non ti sottometti? Infatti ti rende ulteriormente più agevole la virtù, punendo i cattivi e beneficando ed onorando i buoni e cooperando al volere di Dio. Per questo motivo l’ha chiamata diacono. Considera infatti: io do consigli intorno alla saggezza e quello afferma le stesse cose per mezzo delle leggi; io esorto che non si debba essere avari o rapinatori e quello siede come giudice su questi atti. Pertanto è un collaboratore ed un aiuto per noi ed é stato inviato da Dio a questo scopo. Sotto ambedue gli aspetti è degno di rispetto, e poiché è stato inviato da Dio e per questo compito ».14 Non si deve avere timore dell’autorità se non a motivo della propria malvagità e l’apostolo aggiunge che il potere civile è diacono di Dio in vista dell’ira, vendicatore nei confronti di colui che compie il male. Nell’uno e nell’altro caso adempie la legge divina:  » Se dunque, sia quando punisce sia quando rende onore, è diacono di Dio, difendendo la virtù e respingendo la malvagità, cosa che è gradita a Dio, perché entri in contrasto con colui che introduce tanti vantaggi e prepara il cammino ai tuoi? Infatti molti, che in precedenza hanno esercitato la virtù a motivo delle autorità, in seguito l’hanno abbracciata anche per timore di Dio. Infatti le realtà future non impressionano le persone più rudi quanto le presenti. Colui pertanto che, con il timore o i premi, prepara l’animo di molti affinché diventino più adatti alla parola dell’insegnamento, a buon diritto é stato chiamato diacono di Dio ».15 Dal momento che tale è la condizione psicologica e sociale degli esseri umani, occorre sottomettersi all’autorità per motivo di coscienza, non soltanto per paura. La ribellione contro l’ordinamento civile é causa di punizione da parte degli uomini e di Dio, ma soprattutto occorre considerare che « l’autorità è per te vantaggiosa in questioni della massima importanza, dal momento che procura la pace e l’amministrazione politica. Infatti per mezzo di quelle autorità sono conferiti mille vantaggi alle città; se le togli, scompariranno tutti, non rimarranno né città, né villaggi, né casa, né il foro né qualcosa d’altro. Ma tutto sarà sovvertito, dal momento che i più forti divoreranno i più deboli. Pertanto, anche se un castigo non perseguisse il ribelle, sarebbe tuttavia
necessario che ti sottomettessi, per non apparire privo di coscienza e ingrato verso il benefattore ».16
L’apostolo giustifica il pagamento dei tributi ai pubblici magistrati dal momento che sono liturghi, ovvero esercitano una funzione a vantaggio del popolo. Essi infatti, spiega l’esegeta, provvedono al buon ordine, alla pace, al servizio militare e a servizi forniti a tutti. Il pagamento dei tributi è fatto anche per proprio interesse e rende possibile ai magistrati operare per il bene pubblico indipendentemente da quello individuale. Per questo motivo altrove Paolo afferma che occorre rivolgere preghiere a Dio per loro, affinché si possa vivere in pace, la cui tutela è il primo compito delle pubbliche autorità ( I Timoteo 2, 1-2). Se poi si osservasse che spesso alcuni abusano di questo potere, bisogna considerarne l’aspetto positivo e la sapienza divina che così lo ha stabilito fin dalle origini del cosmo e dell’umanità. Il versamento dei tributi ed il rispetto delle autorità è allora un preciso dovere, non conseguenza di libera scelta. Qualcuno potrebbe ritenere che i gesti esteriori di deferenza verso le autorità civili siano una menomazione della propria dignità morale, conferita da Cristo stesso in un ordine superiore a quello della vita politica. Invece « impara che non è ancora giunto il tuo tempo: sei uno straniero ed un pellegrino. Ci sarà un tempo in cui apparirai come il più splendido di tutti , ma ora la tua vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo sarà apparso, allora anche voi comparirete con lui nella gloria. Non cercare pertanto la retribuzione in questa vita sfuggente. Se infatti è necessario presentarsi con timore davanti all’autorità, non ritenere che non sia confacente alla tua dignità. Dio vuole infatti che l’autorità da lui costituita abbia la sua prestanza ».17 In ogni caso tuttavia il vero debito di cui il discepolo di Cristo deve accollarsi in ogni momento e verso qualsiasi essere umano è l’amore, in cui  » in modo essenziale ed in breve si riassume l’opera dei comandamenti. Infatti l’amore è principio e fine della virtù, che ha questa radice, questa sostanza, questo culmine. Se dunque quello è principio e pienezza, che cosa gli sta a pari? ».18 L’omelia termina con una lunga esposizione della benevolenza e della filantropia divine19, che devono essere causa, modello e termine dell’amore tra gli esseri umani. Già durante i difficili momenti della punizione minacciata da Teodosio alla città di Antiochia il predicatore si era richiamato alle affermazioni di Paolo ed aveva paragonato il potere civile alle travi di un edificio: senza il loro contributo tutta la costruzione sarebbe caduta.20 L’etica civile di sottomissione e contribuzione economica è collocata dall’apostolo tra l’ideale interno e privato della comunità ed il criterio ultimo della morale. Essa costituisce una condizione provvisoria, nonostante la sua origine divina ed il rispetto che esige. Al suo interno, nel suo involucro, opera la comunità messianica, che rinnova in se stessa la vita di Cristo e che ne attende il pieno compimento nell’escatologia, quando le condizioni esteriori della vita pubblica scompariranno per lasciare il posto al regno di Dio. Allora tutto l’ordine dei valori sarà mutato ed il giudizio divino mostrerà la condizione autentica e definitiva della realtà. Il richiamo all’insegnamento apostolico sulla diaconia dell’autorità civile è ripreso anche in altri commenti all’epistolario di Paolo. Ad esempio il rimprovero fatto alla comunità di Corinto ha per fine la conversione di coloro cui è rivolto (II Corinzi 7, 8-12) ed è una buona occasione perché il predicatore spieghi la natura generale dell’autorità: « Possedere l’autorità non è infatti soltanto un onore, ma un’arte, anzi la più elevata delle arti. Infatti se l’autorità esteriore è un’arte ed una scienza migliore di tutte, di certo molto di più lo è la nostra. Questa autorità di sicuro è tanto più importante di quella quanto quella è superiore alle altre, anzi pure molto di più ».21 Se si vuole esaminare
l’esistenza umana in base all’esercizio delle diverse arti, si deve riconoscere che la prima e più importante è l’agricoltura, seguita dalla tessitura e dall’arte muraria. Da ultimo viene quella relativa alle calzature, seguita dall’impegno di conservare la pace pubblica e di ottenere il dominio di sé. A queste due ultime funzioni compete la responsabilità di esercitare un dominio:  » Doppio infatti è il tipo di autorità: un primo in base al quale gli esseri umani comandano sui popoli e sulle città e governano questa esistenza civile. Lo indicava Paolo, quando affermava ognuno sia soggetto ai poteri più elevati, non esiste potere se non da Dio . In seguito, mostrando qual grande vantaggio ne provenga, aggiunse queste parole: il magistrato è diacono di Dio per il bene e di nuovo è diacono di Dio per punire colui che ha agito male. Il secondo è l’autorità che esercita verso se stesso chiunque è fornito di intelligenza e prudenza, cosa che Paolo indicò con queste parole: se non vuoi temere
l’autorità compi il bene , parlando di colui che governa se stesso ». 22 Tuttavia, oltre queste due forme di autorità, quella civile e quella personale, esiste il governo ecclesiastico e spirituale, il quale pure esige il dominio di sé e la coerenza, ma usa mezzi ben diversi da quello politico. Questo infatti riguarda le realtà esteriori e procede con i mezzi del timore e dell’obbligatorietà, quello concerne le anime, si basa sulla volontà e sulla libera scelta ed è esercitata attraverso la persuasione e l’amore, come insegna Paolo.23 Se ne deve dedurre che « la legge cristiana difende e protegge molto di più la nostra vita ». 24 Se ci si domanda quale tipo di libertà chieda al governo civile l’esercizio della missione apostolica, si deve rispondere che, a norma della sottomissione proclamata da Paolo, si tratta esclusivamente della libertà dell’annuncio evangelico.25
L’apostolo Paolo esorta inoltre a rivolgere al Padre preghiere per tutti gli esseri umani e per le autorità (I Timoteo 2,1-4). Il predicatore commenta:  » Le autorità allora non erano devote a Dio, ma per lungo tempo procedevano in successione irreligiosi a irreligiosi. Pertanto, affinché il fatto non sembrasse una adulazione prima disse per tutti, poi per le autorità. Se infatti avesse detto solamente per le autorità, qualcuno lo avrebbe sospettato. Quindi, poiché era verisimile che l’animo cristiano udendo queste cose si sarebbe impigrito e non avrebbe accettato questo ammonimento, se fosse stato necessario offrire preghiere per un gentile nel tempo delle celebrazioni, considera che cosa affermi e come aggiunga un vantaggio, cosicché accetti questa esortazione: egli dice affinché possiamo condurre una vita sicura e tranquilla. Ovvero la loro salvezza produce per noi la tranquillità, come anche nella lettera ai Romani, esortandoli ad obbedire alle autorità, egli afferma: non a motivo di un obbligo, ma a motivo della coscienza. Dio infatti ha costituito l’autorità per il comune vantaggio. Come non sarebbe poi assurdo perciò che le autorità esercitino la milizia e portino le armi affinché viviamo liberi da timore, ma noi non offriamo preghiere per coloro che affrontano il pericolo ed esercitano la milizia? Così quel comportamento non è adulazione, ma si agisce in conformità ad un criterio di giustizia. Infatti se le autorità non fossero conservate e se non fossero fortunate nelle guerre, anche le nostre vicende senza dubbio sarebbero piene di turbamenti e di sovvertimenti. Infatti o dovremmo noi stessi combattere, una volta che quelle fossero sconfitte, oppure dovremmo da ogni parte darci alla fuga ed errare. Infatti esse sono anteposte come ripari che mantengano in pace quelli che rimangono all’interno ».26 La diaconia civile, quale è indicata da Paolo, deve essere accettata anche quando colui che la rappresenta è un individuo malvagio, come è indicato nel commento al Salmo 148,11. Infatti  » Se la toglierai, tutto perisce. Se infatti, dal momento che ora ci sono autorità e magistrature e molte tra loro sono corrotte e malvage, tuttavia è tanto grande l’utilità di questa istituzione che anche quando sono malvage ne provenga una grande utilità, medita quanto favorevolmente accadrebbe al genere umano, se coloro a cui sono affidate le magistrature le gestissero rettamente. Ma istituire le magistrature fu opera divina, che invece dei malvagi vi siano elevati e ne usino come non è conveniente proviene dalla cattiveria umana. »27

4. Il primato della virtù e della coerenza
Il rispetto dovuto all’autorità politica, la rinuncia alla ribellione, il superamento di ogni arroganza spirituale, il dovere della contribuzione economica e della preghiera liturgica a cui ha diritto devono sempre essere confrontati con un ideale morale più elevato ed interiore, quale è quello dell’evangelo. Questo criterio ben più esigente deve essere applicato dal singolo a se stesso e dalla comunità cristiana alle sue attività. Secondo l’insegnamento apostolico la prospettiva più vera dell’esistenza umana è quella evangelica ed apocalittica, che si produce nelle coscienze e nella libertà dei singoli. Insieme l’insistenza del predicatore sul vero compito della stato, quale custode della pace interna ed esterna e tutore dei deboli nei confronti dei potenti, fa vedere che la vita pubblica usuale può essere considerata con occhio assai critico, nonostante le parole misurate che imitano la prudenza di Paolo nei confronti del principato di Nerone. In altri testi ed in altre circostanze il predicatore, pur nel rispetto generale dell’autorità costituita, non mancherà di metterne in rilievo chiaramente le degenerazioni, le violenze e le falsità. Il potere mondano infatti è polvere28; città, popoli, re, eserciti, ricchezze e dignità sono tele di ragno ed alle porpore e ai diademi si oppone la nudità della croce.29 Anzi, nei primi tempi della sua attività presbiterale ad Antiochia, egli aveva illustrato una triplice forma di sottomissione quale conseguenza del peccato: quella della donna verso l’uomo nel matrimonio, quella dello schiavo verso il padrone e, infine, quella ancor peggiore del suddito rispetto al potere statale. Tuttavia l’evangelo avrebbe insegnato come sottrarsi a tutte e tre per mezzo della fede e della virtù. Così ci si sarebbe posti al di sopra di tutte le conseguenze della colpa originale a partire da una libera scelta illuminata e sostenuta dall’insegnamento di Cristo. L’esercizio personale della virtù infatti è la vera regalità e sorpassa tutti i poteri mondani.30 Nell’intimo di ogni persona deve formarsi una autorità morale che sappia valutare quanto è eventualmente richiesto da quelle politiche. Gesù stesso l’aveva insegnato e  » tu difatti, quando ascolti rendi a Cesare le cose che appartengono a Cesare, intendilo solamente di quello che in nessun modo lede la pietà. Cosicché, se la ledono, sono tassa ed imposta non già di Cesare, ma del diavolo ». 31 Si deve inoltre tenere presente che il giudizio divino sarà ancora più severo di quello delle autorità umane cui ci si sottomette. 32 Durante la primavera del 404 il conflitto con la corte di Costantinopoli aveva costretto il vescovo ad un definitivo esilio prima a Cucuso, raggiunta con un lungo e faticoso viaggio all’interno dell’Asia Minore, e poi più lontano dagli amici siriani. Egli descrive le sue traversie in una serie di lettere a Olimpiade, una giovane, ricca e generosa vedova che egli considera suo diacono e che era angosciata per le disavventure occorse. L’esule interpreta la sua vicenda con la guida dell’epistolario di Paolo e, giunto alla meta, la sintetizza così: « Non smettiamo e non smetteremo di affermare che unico motivo di tristezza è il peccato, mentre tutte le altre realtà sono polvere e fumo. Che cosa c’é infatti di penoso nell’abitare in una prigione e di essere stretto da catene? Che cosa c’è di penoso nel soffrire, quando il soffrire diviene motivo di un così grande vantaggio? Che cosa c’é di penoso nell’esilio? Che cosa nella confisca dei beni? Queste parole sono destituite di realtà temibili, parole prive di sofferenza. Se infatti nomini la morte, parli di un debito della natura che si deve del tutto sopportare anche se nessuno la infligge. Se nomini l’esilio, null’altro affermi che vedere luoghi e molte città. Se parli della confisca dei beni, parli di libertà e di un felice scioglimento ». 33 Il carattere provvidenziale dello stato si manifesta principalmente nella sua funzione di mantenimento della pace interna e della difesa dai nemici esterni. Sotto questo aspetto nessuna ribellione può essere ammessa con l’appello ad una presunta dignità superiore da parte di colui che si ritiene partecipe del regno dei cieli. La vera libertà cui l’istituzione ecclesiastica aspira è quella dell’annuncio dell’evangelo con la persuasione e l’amore. Il principe, in particolare se é veramente cristiano, con le sue leggi può favorire l’ordine morale. Egli usa tuttavia strumenti, quali l’obbligo della legge e il timore della pena, che sono inadatti al ministero ecclesiastico. Infine, qualora l’autorità civile imponga l’osservanza di una legge che contrasti con la coscienza personale, si deve rifiutare l’obbedienza, senza temere la sofferenza e la morte. Anche in questo caso lo stato esercita una funzione provvidenziale ed è davvero diacono di Dio: conduce alla più perfetta libertà e virtù, alla più intensa testimonianza evangelica ed apostolica. Esso è infine una realtà provvisoria oltre la quale bisogna guardare nel più intimo di se stessi, alla coerenza della propria azione esteriore, all’attesa di un regno che non avrà più nulla a che fare con gli ordinamenti attuali.

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