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http://www.nataleitaliano.it/d/preghiere-natale.php TU SEI LA NOSTRA STELLA Le stelle che brillano e le forze in movimento: tutto sparisce e perde il suo splendore davanti allo splendore della tua luce e alla potenza della tua grandezza. Tu solo sei visibile, tu manifesti l’immagine del Padre onnipotente, e così ci fai conoscere la grandezza del Padre e del Figlio. Come il Padre potente, nelle sfere celesti, così tu, suo Figlio, sei nel nostro universo il primo, il corifeo, é il Signore di ogni potenza; tu sei la seconda grandezza che proviene da quella del Padre, fin dalle origini, tu sei il fondamento di tutta la terra. Tu sei il nostro modello, il nostro ordinatore, tu sei la nostra strada e la porta che guida alla luce. Tu sei l’immagine della giustizia. Tu sei sempre la nostra stella e la nostra luce. Ti rendiamo grazie, lodi e benedizioni. Davanti a te pieghiamo le ginocchia con fiducia. Ti chiediamo tutto ciò che è retto. Concedici di essere fermamente stabili nella fede; di avere salute del corpo per poterti lodare. Così ti canteremo senza posa e in ogni circostanza; e ti loderemo perché da ogni parte tu sei celebrato, tu l’immortale, l’instancabile, l’eterno. (Preghiera a Cristo primogenito, in A. Hamman, Preghiere dei primi cristiani, Vita e Pensiero, Milano 1954, 103).
http://www.monasterodibose.it/content/view/1782/114/1/3/lang,it/
La festa del Natale
di Enzo Bianchi
…Natale è il compimento delle promesse dei profeti perché il Messia è nato, è un uomo vivente e presente in mezzo all’umanità…
Festa fragile quella del Natale, amata da tutti ma esposta a malintesi e stravolgimenti, vittima di facili assimilazioni e riduzioni ora a opportunità consumistica tra le tante, ora a emblema socio-culturale di radici smarrite. Così nelle nostre società del benessere assistiamo impotenti allo scatenarsi di una frenesia commerciale che usa il Natale come pretesto, oppure ne vediamo la simbologia banalizzata a fenomeno da stagione invernale, dimenticandoci che nell’emisfero sud i cristiani celebrano lo stesso mistero senza contorno di freddo e gelo. O ancora, assistiamo oggi a dispute peregrine su linguaggi simbolici che offenderebbero altre tradizioni religiose, quando è il messaggio cristiano stesso a patire se ridotto soltanto a canzoncine, alberi decorati o festoni colorati.
Ma cos’è davvero, in profondità, il Natale cristiano? Le sue origini sono antichissime. I seguaci di Gesù, ancor prima di essere chiamati “cristiani”, cominciarono a celebrare la morte-risurrezione del loro maestro e profeta, acclamandolo anche come Messia e Signore veniente, fin dai primissimi anni successivi a quegli eventi che erano parsi segnare la fine della vicenda del Nazareno. Subito presero a ricordare nel primo giorno delle settimana ebraica – cioè il giorno dopo il sabato – l’evento che in Gesù aveva segnato la vittoria dell’amore sulla morte: in seguito la domenica, festa settimanale della risurrezione, assunse una maggiore solennità nella celebrazione annuale della Pasqua. E così avvenne per circa tre secoli.
Progressivamente la lettura liturgica dei Vangeli dell’infanzia di Gesù, secondo i testi canonici di Matteo e di Luca, ispirò ai cristiani di ricordare e celebrare anche la nascita del loro Signore, come si faceva e si fa per ogni uomo e, massimamente, per un uomo “memorabile”. Un calendario romano del 354 ci testimonia che a Roma, verso il 330 – quindi ormai nella stagione di libertà per il culto cristiano – si cominciò a festeggiare il Natale il 25 dicembre. Quella data fu scelta perché già vi si festeggiava il sol invictus, il “sole mai vinto”, trionfatore sulla notte, che proprio in quei giorni successivi al solstizio d’inverno sembra riprendere le forze e ricomincia a salire nell’orizzonte. Non è un caso che il più antico mosaico cristiano, scoperto sotto la basilica di San Paolo a Roma, rappresenti Cristo-Helios, Cristo-sole sul carro trionfale. Da Roma la festa si propagò in Africa settentrionale e alla fine del V secolo Natale segnava già l’inizio dell’anno liturgico: l’imperatore Giustiniano nel 529 lo dichiarerà giorno festivo, senza lavoro, e da allora la festa del Natale si diffonderà progressivamente in tutta Europa, accompagnandone l’evangelizzazione. Anche la riforma protestante lo manterrà tra le sue feste, anche se con liturgie e “segni” diversi rispetto alla chiesa cattolica. L’oriente cristiano sposterà invece l’accento delle celebrazioni sull’Epifania, la “manifestazione” di Gesù ai pagani, collocata pur sempre nel tempo immediatamente successivo alla nascita.
Ma cosa ci dicono i vangeli dell’evento che è fondamento di questa festa? E’ soprattutto il racconto di Luca a parlarci della nascita che dovrebbe essere avvenuta a Betlemme attorno al 7 a.C., quando Giuseppe risalì assieme alla sua sposa Maria al paese di cui era originario, per ottemperare a un censimento ordinato da Quirino, procuratore della Giudea. Non abbiamo nessun documento storico di questo censimento né, tanto meno, della nascita del figlio di un semplice artigiano, ma non vi sono nemmeno testimonianze che sconfessino la localizzazione dell’evento attestata dalle fonti cristiane. I vangeli vi ritrovano il compimento delle profezie che indicavano proprio Betlemme, la città del re Davide, come luogo della nascita del Messia: lì Gesù nasce da una donna di Nazaret sposata a un discendente di Davide, di nome Giuseppe.
Le fonti cristiane parlano di una nascita avvenuta senza concorso di uomo, una nascita straordinaria dovuta alla forza dello Spirito di Dio, a indicare che Gesù era un uomo come solo Dio poteva dare all’umanità. Ma le circostanze della nascita sono estremamente “umane”: non essendoci posto nel caravanserraglio, Maria e Giuseppe si rifugiano in una stalla e il bambino appena nato viene deposto in una mangiatoia. Quella del Messia di Israele è dunque una nascita nella povertà, in condizione di itineranza, e sono dei poveri, i pastori, che per primi lo incontrano, avvertiti da un messaggio degli angeli. Secondo Matteo, anche dei sapienti pagani verranno a Betlemme dall’oriente, guidati da una stella apparsa in quel cielo che erano soliti scrutare.
Tutto questo spiega perché la festa del Natale è importante per i cristiani: quel bambino, uomo come noi, nato da donna come noi, è in realtà Dio che si è fatto carne fragile, creatura umana come noi. Natale, di fatto, non consente più al cristianesimo di essere una religione teista, perché il Dio che i cristiani confessano è ormai un Dio-Uomo. Così la chiesa ha ben presto visto nel Natale l’evento in cui “Dio si fa uomo affinché l’uomo sia fatto Dio”, secondo la formula usata dai più antichi padri della chiesa.Natale è il compimento delle promesse dei profeti perché il Messia è nato, è un uomo vivente e presente in mezzo all’umanità: Dio era eterno e in quel bambino si è fatto mortale, Dio era potente e si è fatto debole, Dio era invisibile e si è fatto visibile. Fin dalla sua nascita, l’uomo Gesù comincia a narrare, a raccontare Dio, quel Dio che nessuno aveva visto né può vedere prima della morte. Ecco allora che, come nella notte di Pasqua i cristiani celebrano la risurrezione di Gesù da morte, così nella notte di Natale celebrano la sua nascita nella carne umana. Non solo, ma ancora oggi il Natale è per i cristiani una festa escatologica, che annuncia cioè le realtà ultime e definitive: è segno, garanzia, caparra che Gesù – venuto nell’umiltà a Betlemme – tornerà nella gloria alla fine dei tempi.
Se i cristiani recuperassero questo patrimonio umano e di fede che è loro proprio e che nel messaggio del Natale diviene particolarmente eloquente per tutti, forse ne verrebbero benefici per l’intero tessuto sociale. Non dimentichiamo che l’annuncio degli angeli ai pastori parla di pace in terra “agli uomini di buona volontà”, con un’espressione ricalcata sul latino di san Gerolamo che in realtà significa “all’umanità intera, oggetto dell’amore di Dio”. Sì, perché quel Messia di pace e giustizia di cui i cristiani insieme agli ebrei invocano la venuta, quel Messia che i discepoli di Gesù confessano già apparso nel loro maestro e Signore, figlio di Maria di Nazaret, è davvero la speranza di una vita piena per tutti, una vita segnata dall’amore.
dal sito:
http://www.waters-of-life.net/index.php?n=French.BkNt06RoCh082
8. La glorification de Dieu comme une conclusion à cette épître (Romains 16:25-27)
ROMAINS 16:25-27
25 A celui qui peut vous affermir selon mon Évangile et la prédication de Jésus Christ, conformément à la révélation du mystère caché pendant des siècles, 26 mais manifesté maintenant par les écrits des prophètes, d’après l’ordre du Dieu éternel, et porté à la connaissance de toutes les nations, afin qu’elles obéissent à la foi, 27 à Dieu, seul sage, soit la gloire aux siècles des siècles, par Jésus Christ! Amen!
Paul concluait son épître à l’église de Rome par sa prosternation devant Dieu le Père de notre Seigneur Jésus-Christ, en le considérant la source de chaque force constructive, et le seul qui peut diffuser et confère une force éternelle qui ne disparaît pas, et cette force établie les églises vivantes dans l’esprit de sa puissance.
Paul a conclu cette lettre par ce qu’il a visé au début (Romains 1:16). Donner la vie à ceux qui sont morts dans les péchés cela s’accomplira dans l’Évangile de Paul. Il n’y a pas seulement quatre Evangiles qui sont: Matthieu, Marc, Luc et Jean, mais toute bonne nouvelle et déclaration concernant le salut de Jésus dans la prédication de Paul est un Evangile authentique. L’apôtre des Gentils confessa que l’apparition du Seigneur Jésus pour lui devant les portes de Damas, et en voyant le crucifié vivant, et en se rendant compte qu’il est le vrai Christ promis, tout ça était la motivation principale de ses épîtres. Paul annonça par son Evangile, à toute personne qui veut entendre, le mystère caché jusqu’à ce moment-là, mais manifesté et s’est fait connaître et comprendre par les écrits des prophètes de l’ancienne alliance comme ordonna Dieu Saint Eternel.
Le contenu de ce mystère est la volonté de Dieu que les peuples impurs, et les nations non appelées, apprennent l’obéissance de la foi selon la nouvelle alliance. Ainsi, le Seigneur présente à tous le pardon de leurs péchés comme une grâce gratuite, pour le sacrifice expiatoire de Jésus. Celui qui entend cet appel et accepte le don de Dieu sera sauvé, mais celui qui désobéit condamnera lui-même.
Paul se prosterna devant Dieu qui est le seul sage, et témoigna avec reconnaissance et humilité qu’il a toute la gloire et la dignité, et que cette prosternation de l’homme est rendue possible grâce à l’acte et la mort et la résurrection de Jésus, qui règne avec son père dans l’unité de l’Esprit Saint pour toujours. Le dernier mot « Amen », par lequel Paul a conclu sa lettre aux Romains, signifie que cela est la vérité certaine qui se réalisera inévitablement.
PRIERE: Nous te rendrons grâce Père par ton Fils Jésus, parce que tu as choisi Paul et tu l’as appelé à présenter ton rançon à toutes les églises entre les nations, et à souffrir et mourir pour ton service. Aide-nous à ne pas être égoïstes dans l’Esprit, mais nous offrons le salut complet à tous ceux qui aspirent à la vérité sous la direction de ton Saint-Esprit. Amen.
QUESTION 100: Quel est le mystère déclaré par Dieu à Paul, l’apôtre des Gentils?
TRADUZIONE GOOGLE:
8. La glorificazione di Dio, a conclusione di questa epistola (Romani 16:25-27)
Romani 16:25-27
Paolo conclude la sua epistola alla Chiesa di Roma con la sua prostrazione davanti a Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, considerato la fonte di ogni forza costruttiva, e l’unico che può diffondere e dà forza eterna che non scompare, e questa forza stabilita chiese vivo nella mente del suo potere.
Paolo concludeva la sua lettera con la quale si è riferito all’inizio (Romani 1:16). Dare vita a coloro che sono morti nel peccato si realizzerà nel Vangelo di Paolo. C’è non solo i quattro Vangeli sono Matteo, Marco, Luca e Giovanni, ma ogni dichiarazione buona notizia della salvezza di Gesù nella predicazione di Paolo è un vero Vangelo. L’Apostolo delle genti ha confessato che l’apparizione del Signore Gesù per lui alle porte di Damasco, e di vedere la vita crocifisso, e rendersi conto che egli è il vero Cristo ha promesso tutto ciò che era la motivazione principale della sua epistole. Paolo ha detto dal suo Vangelo, a chi vuole sentire, il mistero nascosto fino ad allora, ma è stato dimostrato e conoscere e capire gli scritti dei profeti dell’Antico Testamento come Dio comanda Santo Signore.
Il contenuto di questo mistero è la volontà di Dio che la gente immonda, ei popoli non conosciuti, imparare l’obbedienza della fede nella nuova alleanza. Così, il Signore ha tutti il ??perdono dei loro peccati come una grazia gratuita, per il sacrificio espiatorio di Gesù. Chiunque sente la chiamata e accettare il dono di Dio essere salvato, ma chi disobbedisce si condannano.
Paolo adorato Dio che è l’unico saggio, e ha espresso con gratitudine e umiltà che ha tutta la gloria e dignità, e che questa prostrazione dell’uomo è resa possibile con l’atto e la morte e la risurrezione Gesù, che regna con il Padre nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli. L’ultima parola « Amen », di cui Paolo concludeva la sua lettera ai Romani, significa che è certo che la verità verrà inevitabilmente si avvera.
PREGHIERA: Ti ringrazio Padre per tuo Figlio Gesù, perché hai scelto e Paolo è stato chiamato un riscatto per presentare a tutte le chiese tra le nazioni, e soffrire e morire per il vostro servizio. Aiutaci a non essere egoista nello Spirito, ma offriamo la salvezza completa a tutti coloro che aspirano alla verità, sotto la guida del tuo Spirito Santo. Amen.
Domanda 100: Qual è il mistero di Dio disse a Paolo, l’apostolo delle genti?
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/12144.html
Omelia (15-03-2008)
don Marco Pratesi
Testimone del Dio fedele
Questo testo del secondo Libro di Samuele è uno dei fondamentali nell’Antico Testamento. Di fronte al proposito di Davide che vuole fare una casa (un tempio) a Dio, il Signore afferma che sarà invece Dio a fare una casa (una discendenza) a Davide. La promessa si riferisce in primo luogo a Salomone – sarà lui a costruire il tempio – e poi a tutti i discendenti: « La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, e il tuo trono sarà reso stabile per sempre » (v. 16). Questo oracolo fonda e riflette la fiducia incrollabile di Israele nella fedeltà di Dio: quanto il Signore costruisce non è soggetto a mutamento. Egli non procede per tentativi, ma opera nella storia con un progetto unico e indefettibile. Il suo piano « sussiste per sempre », di generazione in generazione. Non ci sono potenze in grado di bloccarlo, al contrario « rende vani i progetti dei popoli ».
Come Abramo, Davide riceve la promessa di una discendenza che non verrà meno. Nel suo caso però si aggiunge l’elemento regale: la discendenza di Davide rappresenta la regalità in Israele, e pone l’elemento « Regno » al cuore della sua storia.
La promessa riguardante la discendenza davidica ha conosciuto un percorso storico assai tormentato, motivo di non poche crisi di fede. A un certo punto sembra addirittura svanire nel nulla: che ne è dell’infallibile piano divino, si chiede il Sal 89 (salmo responsoriale odierno)? Il fatto è che gradatamente « il Regno, oggetto della promessa fatta a Davide, sarà l’opera dello Spirito Santo e apparterrà ai poveri secondo lo Spirito » (CCC 709). La genealogia secondo Matteo disegna una traiettoria che, da Abramo passando attraverso Davide, trova il suo punto di arrivo in Gesù « detto il Cristo » (1,18).
Proprio a questo fondamentale snodo della storia della salvezza troviamo Giuseppe, testimone privilegiato dell’amore fedele di Dio, povero in spirito che attraverso la rinunzia ad una normale paternità dà casa al Figlio di Dio, giusto che in piena letizia canta con l’assemblea liturgica odierna: « Tu sei fedele, Signore, alle tue promesse » (salmo responsoriale).
Questa parola ci chiama a superare l’impressione di una storia che procede a caso e senza un progetto, sotto la spinta dei potentati di turno, per rinnovare la fiducia nella fedeltà di Dio; ci chiama a scrutare la storia per scoprire in essa le « orme invisibili » all’occhio umano (cf. Sal 77,20) di un Dio che passa e salva.
Questo discernimento presuppone una agilità spirituale, un istinto dello Spirito che ci consenta di non rimanere bloccati su determinate forme storiche assunte dalla promessa. Essa si realizza infallibilmente, ma non necessariamente nei modi che pensiamo e aspettiamo. Una simile sclerosi sarebbe preludio alla delusione.
Di tutto ciò è modello e testimone Giuseppe, che ha saputo mettere la sua vita a servizio del progetto di Dio e delle sue sorprese nella storia, perché la promessa divina del Regno potesse continuare il suo cammino fino al definitivo, sorprendente adempimento.
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dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/24175.html
Omelia (18-12-2011)
don Marco Pedron
Eppure….
Siamo nel vangelo di Lc. Prima di questo brano c’è l’episodio di Zaccaria (Lc 1,5-25). Zaccaria ed Elisabetta non hanno figli, li vogliono, ma quando Dio annuncia che il loro desiderio è stato soddisfatto Zaccaria si mette a ridere della cosa. E per questo diverrà muto.
Desiderare una cosa non è crederci.
« Vorrei cambiare vita! »: ma si può! « Sì, sì, sarebbe bello, padre ».
« Vorrei trovare tempo per me! »: ma si può! « Quando sarò in pensione, quando i figli saranno grandi? ».
« Vorrei essere diverso »: ma si può! « E’ da tanto tempo che sono così? ».
A New York un barbone comprò un biglietto di una lotteria e vinse qualcosa come un milione di dollari. Aveva sognato giorni e notti cosa avrebbe fatto in caso di vincita. Adesso aveva vinto. Controllato che il biglietto fosse proprio quello giusto, si disse: « E’ impossibile che sia toccato proprio a me ». E lo gettò via. Il biglietto fu preso dal vicino di casa che ritirò il premio e diede una parte al vero proprietario del biglietto.
A 31 anni è fallito come uomo d’affari, a 32 anni è stato bocciato a un elezione, a 34 altro fallimento, a 35 gli è morta la donna amata, a 36 ha avuto un crollo psichico, a 38 ha perduto un’altra elezione, a 43 non è riuscito a farsi eleggere al Congresso, a 46 ci ha riprovato ed è stato bocciato un’altra volta, a 48 stessa esperienza a 55 non è riuscito a farsi eleggere senatore, a 56 ha perduto la corsa per la vicepresidenza, a 58 non ha avuto un seggio elettorale, a 60 è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Questa è la storia di un uomo, questa è la storia di Abraham Lincoln. Si può!
Tutto ciò che desideri è realizzabile. Ma non forse come vuoi tu e comunque mai se non ci credi.
Il quadro della prima chiamata è ideale: siamo nella Città Santa, in Gerusalemme; siamo nel tempio, la casa di Dio; si rivolge ad un sacerdote, giusto e irreprensibile, santo, da tutti stimato e conosciuto come modello di fede; siamo durante la liturgia, durante un momento di preghiera.
Inoltre Dio si rivolge con una modalità tipica, biblica, che tutti conoscevano a quel tempo: Dio annuncia a Zaccaria che una donna sterile o avanti con gli anni (sua moglie) partorirà un figlio. Ma era già successo per un sacco di donne di grandi personaggi (Sara, madre di Isacco; Rachele, madre di Giacobbe, ecc.).
Dio si rivolge a Zaccaria come tante altre volte aveva già fatto. Ci poteva essere una situazione più ideale di questa? Poteva Dio rivolgersi a qualcuno di migliore? Poteva rivolgersi a qualcuno di più religioso, di più credente? E visto che era un sacerdote, un liturgo e un santo (così lo definisce il vangelo), sarà ovvio che segua il Signore!?! E invece no!
Il problema di quando Dio chiama è duplice.
1. Ti chiede di coinvolgerti. Coinvolgersi vuol dire mettere a disposizione la tua vita. Non ciò che sai, non ciò che pensi, non le tue idee, ma di partire per qualcosa che non sai.
2. Ti chiede qualcosa di impossibile. Perché se fosse possibile lo faresti anche senza di Lui, ovvio. Se fosse possibile lo avresti già fatto tu. E, invece, è « impossibile » perché solo se ti fidi di Lui sarà possibile farlo.
Dio non chiede mai il possibile: a quello ci pensano già gli uomini. Dio chiede l’impossibile perché solo con Lui lo puoi realizzare.
Quando monsignor Francesco Frasson costruì l’Opsa di Padova nel lontano 1956, non vi erano tutti i soldi per farla. Ma lui fece come se ci fossero. Allora un collaboratore gli disse: « Ma Francesco, non abbiamo i soldi! ». « Noi abbiamo la fede! ». « Francesco, non ci sono i soldi! », riprese. « Se avessimo i soldi, che ce ne faremo della fede? Stai tranquillo e adesso vai a dormire in pace. Abbi fede ». E così fu.
Ok, il primo tentativo non funziona: allora Dio ci riprova. E visto che lì, con il più santo dei religiosi non funziona, si rivolge da tutt’altra parte. Questo ci dovrebbe fare molto pensare: perché non solo la Chiesa non ha tutta la Verità, ma nel vangelo la Verità viene da fuori e non da dentro!
Così sei mesi dopo, il povero Gabriele ci riprova di nuovo, ma questa volta da tutt’altra parte.
L’arcangelo va a Nazaret (Lc 1,26): ma sapete che idea avevano quelli studiati di Nazaret? Ciò che loro pensavano di Nazaret lo troviamo in Gv 1,46, quando Nicodemo dice: « Ma da Nazaret, può mai venire qualcosa di buono? ». Erano considerati dei trogloditi, dei primitivi, dei rozzi e grezzi senza studio, né conoscenza, né civiltà; ed era vero perché era gente che viveva nella maggior parte in grotte, gente bellicosa per definizione.
Ma c’è una cosa peggiore. Prima si era rivolto ad un uomo, e visto che non ha funzionato, adesso Dio si rivolge ad una donna. Ma come gli è venuto in mente di rivolgersi ad una donna? Perché in quel tempo, questo era pura fantasia, follia, era una cosa da schizzati pensare ciò. Eppure!
Per comprendere la portata di questo episodio bisogna avere presente come a quel tempo erano concepite le relazioni di Dio con gli uomini. Dio vive nel suo cielo circondato da sei angeli che sono al suo servizio e che si chiamano gli angeli del servizio divino. Dio, quindi, sta in questa sfera inaccessibile, circondato da questi sei angeli. Poi man mano, grado dopo grado e con sempre meno santità si avvicina agli uomini. Il primo della scala è il sommo sacerdote oppure il re, fino giù ai servi. E la donna? La donna era l’ultima della scala, era una categoria sub-umana. Tanto è vero che la nascita di una donna era considerata una disgrazia, una punizione lanciata da Dio contro determinati peccati e la nascita di una bambina veniva vista come un fastidio che si poteva eliminare addirittura sopprimendola.
E per dire questo ci si basava sulla Bibbia: « Dio non ha mai rivolto la parola ad una donna ». Ma la sparata era un po’ grossa perché Dio, in realtà, si era rivolto ad una donna: Sara.
Era successo così. Dio dice a Sara: « Diverrai madre ». Ma Sara è sterile e le scappa da ridere quando Dio le dice così, perché il marito era vecchio e lei pure! Allora (questo) Dio che è permaloso le dice: « Che hai fatto, hai riso? ». E lei poverina risponde: « No, no, non ho riso! ». « Ma quella bugia », si diceva, « Dio se l’è legata ad un dito (è un dito divino ma è sempre un dito!) e per quella bugia non ha più rivolto la parola ad una donna ». Per questo le donne erano ritenute bugiarde e per questo, poiché erano bugiarde per definizione, per idea biblica, non avevano il diritto di testimoniare nei processi. Quindi Dio si rivolge a chi nessuno mai avrebbe creduto possibile.
Nessuno, quindi, dica più: « Chi, io? ». Il mandato, il profeta di Dio, può essere chiunque. Nessuno dica più: « Quello lì? ». Anche di Maria dissero così!
L’annuncio a Maria è sconvolgente perché la donna era ritenuta impura, esclusa dall’azione di Dio. Solo che nei vangeli non solo sono equiparate agli uomini, ma addirittura sono ad un livello superiore.
Maria è la prima credente; Maria Maddalena la più vicina a Gesù; le donne sono le prime testimoni della resurrezione; le donne sono le uniche che rimangono con Gesù durante la passione. Gli incontri più spettacolari, incredibili, dove più « si sente », si vive, si percepisce l’amore, Gesù li fa con le donne (la peccatrice Lc 7,36-50; l’unzione di Betania Mc 14,3-9; l’adultera Gv 8,1-11, ecc.). Tutto questo è importante da dire, perché ancor oggi, la donna è subalterna all’uomo nella Chiesa. Anche a quel tempo era così; ma non per Gesù.
E da chi va Gabriele? Va da Maria (Lc 1,27). Per noi oggi Maria è un nome dolcissimo ma non lo era affatto per quelli di quel tempo.
Infatti se prendiamo la Bibbia e cerchiamo, dove ritroviamo questo nome?
Nella Bibbia esiste un’unica Maria: è la sorella di Mosè, donna ambiziosa, rivale del fratello, che ha cercato di fargli le scarpe e Dio l’ha maledetta con la lebbra. La lebbra era segno della maledizione di Dio. E in altri testi sacri quando la povera Maria muore e le vogliono fare il funerale, Dio stesso interviene dicendo: perché state a piangere per una vecchia!
Quindi il nome Maria rappresenta la lebbrosa, la maledetta da Dio. E’ per questo che dopo quell’episodio, in tutta la Bibbia, troveremo Rachele, Susanna, Giuditta, tutti i nomi che volete, ma Maria non appare più, perché era un nome che evocava la maledizione di Dio.
E’ un po’ come il nome Giuda: nessun genitore lo mette al proprio figlio. Se voi finché passeggiate vedete un bel bambino e chiedete alla mamma: « Come si chiama? ». E lei: « Giuda », di sicuro non vi farebbe un bell’effetto. Perché Giuda nell’immaginario di tutti è il traditore. Che poi vi sia un Giuda, un altro apostolo che si chiami così (vi erano infatti due Giuda) e che abbia seguito Gesù non importa.
Per Maria era la stessa cosa. Dire « Giuda » è dire traditore; dire « Maria » era dire maledetta.
Quando l’angelo arriva le dice: « Ti saluto o piena di grazia » (Lc 1,28).
Piena di grazia, kecharitomenne, che cosa vuol dire? Quando si parla di Maria spesso si parla dei suoi meriti. Ma « piena di grazia » indica l’azione di Dio, non i meriti di Maria. Maria è niente ma Dio la ama. « Piena di grazia » è ciò che Dio fa per l’uomo. E ciò che Dio fa per noi non dipende da noi.
Per la religione l’amore di Dio va meritato: ce l’hai se sei santo e puro, bravo e in regola. Ma per la fede, per il vangelo, l’amore di Dio va accolto. Per averlo basta dire: « Sì ». E non è affatto scontato lasciarsi amare da Dio!
Maria è turbata (Lc 1,29), e possiamo capirlo! Mai Dio si era rivolto ad una donna. Maria è sconvolta perché mai avrebbe pensato, era davvero impensabile, che Dio potesse rivolgersi a lei.
Chi vuole Dio? I preti? Le suore? Gli altri? No. Dio vuole te. Dio non ha nessun altro che te. Dio è impotente senza l’uomo: Dio non può fare nulla senza di te. Ma può fare tutto con te.
Martin Buber: « Si diceva che alle porte di una città c’era un mendicante che sapeva chi era il Messia. Così un rabbino, appena sentita la notizia, si mise subito in viaggio, desideroso di sapere chi fosse. Quando arrivò alla città, effettivamente trovò alle porte della città un uomo che mendicava. « Mi hanno detto che tu sai chi è il Messia: è vero? ». « Sì, è vero ». « Ti prego, allora, dimmelo: chi è il Messia? ». « Tu! »".
L’angelo dice a Maria: « Concepirai un figlio » (Lc 1,31).
Maria obietta: « Ma non conosco uomo » (Lc 1,34). Per la Bibbia quando un uomo conosce una donna, nasce un figlio. Conoscere, per la Bibbia, vuol dire aver rapporti sessuali; è una conoscenza molto materiale!
In passato si parlava del voto di verginità di Maria, cosa impossibile per una donna ebrea (segno di benedizione di Dio è l’aver figli e segno di maledizione è il non averne).
Ma Maria non era vergine per voto di verginità, era vergine semplicemente perché si trovava tra la prima fase del matrimonio (herusin) e la seconda (qiddushin). Prima vi erano gli accordi matrimoniali (fidanzamento) dove ognuno rimenava a casa sua, quindi per forza Maria era vergine, e poi la sposa veniva condotta in casa dello sposo dove il matrimonio veniva consumato.
E poi: « Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù » (Lc 1,31).
Solo che le donne non mettono il nome ai figli! Era il padre e solo il padre che metteva il nome ai propri figli. Cosa succede allora: qui si rompe una tradizione portante del passato. Non più un uomo ma una donna che mette il nome al proprio figlio. La stessa cosa avverrà per Giovanni Battista: sarà sua madre, e non suo padre Zaccaria, a mettergli il nome (Lc 1,59-66).
L’irruzione di Dio nella vita di un uomo porta sempre una « rottura » con certe tradizioni. Per questo Dio « rompe »; per questo è difficile accoglierlo; per questo spesso si viene rifiutati dai più vicini.
Nei vangeli Gesù è nemico delle tradizioni. Perché? Non che la tradizione sia una cosa brutta. Anzi. Ma è pericolosa perché rischia di fossilizzare la vita, di togliere la vita.
Nella seconda guerra mondiale molti dei nostri uomini andarono in Russia. E fu un disastro inenarrabile. Tra la guerra, il freddo e i campi di prigionia (si stima 120-150 mila morti o dispersi su 230 mila partiti), tornare era a casa era considerato – e lo era davvero – un miracolo. Alcuni anni dopo il 1945 tornò a casa da questa campagna uno dei due figli di una famiglia trentina (l’altro era morto in guerra). La festa fu enorme: il padre fece una festa con tutti i parenti, dove si mangiò e si bevette e tutti di ubriacarono dalla gioia. Così la prima domenica di marzo, ogni anno, tutti i parenti si trovano a far festa per ricordare quel ritorno. Solo che oggi nessuna di quelle persone è più viva; nessuna può narrare più i fatti e la gioia; e tutti i parenti che si ritrovano non si sopportano, si odiano, si criticano. Si è perso il senso della festa. E ciò che fu un tempo, festa della vita, oggi è insopportabile festa della noia e della cattiveria. Ma che senso ha? La tradizione ha perso il suo senso. La tradizione è buona, ma se è morta è nemica della vita.
Ogni sera, quando il guru si sedeva per adorare, il gatto dell’ashram si cacciava fra i piedi degli oranti e li distraeva. Perciò egli ordinò che il gatto fosse legato durante l’adorazione serale. Dopo la morte del guru, il gatto continuò ad essere legato durante l’adorazione della sera. E quando il gatto morì, un altro gatto fu portato nell’ashram per essere debitamente legato durante l’adorazione serale. Qualche secolo dopo i discepoli eruditi del guru scrissero dei dotti trattati sul significato liturgico dell’usanza di legare un gatto durante l’adorazione. Vi fa ridere? C’è da piangere a pensare a tutto quello che facciamo semplicemente perché lo abbiamo sempre fatto o perché non ci poniamo la domanda se abbia ancora senso.
Poi qui si dice: « Vedi anche Elisabetta, tua parente » (Lc 1,36). E si usa sigghenis.
Se noi chiediamo alle persone: « Chi erano Elisabetta e Maria? », molti vi diranno cugine. Ma la parola sigghenis vuol dire solo parenti: c’è cioè un legame di parentela ma non è definito quale. Potevano essere cugine, ma anche zia e nipote o altro.
Ma, cugina o zia che fosse, ciò che conta è che Maria ha un esempio, un modello, vicino a sé. Perché quando c’è da fare qualcosa d’incredibile, d’impossibile, di arduo, di diverso, si ha bisogno di attingere forza nella vita di altri a cui è successa la stessa cosa. Altrimenti ci si pensa davvero matti. Maria vede ciò che è successo a Elisabetta e forse anche lei avrà detto: « Ma è impossibile! ». Adesso è lei al posto di Elisabetta e sa, invece, che nulla è impossibile. Non per niente nell’episodio che segue, la visitazione, le due donne si capiscono perfettamente nel profondo (i loro bimbi esultano nel grembo Lc 1,41-44), intimamente.
A volte si chiama impossibile solo ciò che ancora non si conosce. Conosciuto, però, si sa che è possibile. Colombo un giorno disse: « Voglio circumnavigare la Terra ». « Impossibile! », gli dissero. Einstein un giorno disse: « L’atomo si può dividere ». « Impossibile! », gli dissero. Galileo e Copernico un giorno dissero: « Non è il sole che gira attorno alla terra ». « Impossibile! ».
Allora l’angelo le dice: « Lo Spirito Santo scenderà su di te » (Lc 1,35).
Luca presenta Maria come la donna dello Spirito. Negli Atti degli Apostoli, libro sconosciuto da molti di noi anche se in realtà è la seconda parte del vangelo di Lc, c’è di nuovo Maria nella seconda discesa dello Spirito Santo (At 1-2). Tutta la vita di Maria, quindi, dall’inizio alla fine è sotto il segno dello Spirito.
Maria è la donna tutta fiducia. Ma non sa in cosa. Lei semplicemente dice: « Sì ». Ma non ha la minima di idea di cosa voglia dire che partorirà « un figlio, l’Altissimo e avrà il trono di Davide suo padre » (Lc 1,32). Lei dice solo: « Sì ».
Quello che solamente sa è che lei, Maria, è eretica per la religione (che una donna potesse partorire il Figlio di Dio era pura bestemmia condannata con la morte) e che è adultera per la Legge (condannata con la lapidazione). Maria ha due pene di morte su di sé. Può venire tutto questo da Dio? Eppure?!
Maria, che non ha la minima idea di cosa voglia dire o di che cosa le toccherà vivere, dice solo: « Avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1,38).
Cosa dice a me questo vangelo, allora? 1. Tu sei grande.
La gente soffre del complesso di essere « nessuno ». La gente dice: « Io? Io non ho niente. Io non so fare niente. E’ difficile! E’ impossibile. Sì mi piacerebbe, ma è troppo grande! ». Ma chi era Maria, a quel tempo? Nessuno. Eppure?!
Albert Einstein. Un recente studio canadese ha riscontrato nel cervello di Einstein delle anomalie, probabilmente genetiche. Einstein non parlò fino a 3 anni e cominciò a leggere a 7. Non fu mai un bravo scolaro e nel 1895 fu bocciato all’esame di ammissione al Politecnico di Zurigo (entrò dopo) poiché era preparato solo in matematica e fisica.
Ludwig Van Beethoven. Da bambino Ludwig Van Beethoven era così timido che parlava a monosillabi e non aveva rapporti sociali. Le biografie riportano che a scuola non era in grado di imparare nulla. Per tutta la vita, inoltre, non fu in grado di apprendere l’aritmetica al di là dell’addizione.
Fred Astaire. Al suo primo provino nel 1933 fu scartato con una nota scritta che Fred Astaire tenne per tutta la vita sopra il suo caminetto: « Non sa recitare! Leggermente calvo! Sa solo ballare un po’! ».
Charles Darwin. Quando parlò a suo padre della teoria dell’evoluzione, suo padre gli disse: « Non ti interessa niente tranne la caccia, i cani e l’acchiappare topi ». Nella sua autobiografia Darwin scrive: « Ero considerato da tutti i miei maestri e da mio padre un ragazzo molto ordinario, piuttosto inferiore alla media per intelletto ».
Richard Bach. Il suo libro « Il Gabbiano Jonathan Livingstone » (sette milioni di copie vendute), fu rifiutato da diciotto case editrici, prima di essere pubblicato nel 1970.
Lev Tolstoj, che si ritirò dall’università, fu definito dagli insegnanti « incapace e non disposto a imparare ».
Thomas Edison. Gli dissero in faccia che era troppo stupido per poter imparare qualcosa.
Walt Disney. Fu licenziato da un direttore di giornali per mancanza di idee ed inoltre andò in fallimento diverse volte prima di costruire Disneyland.
Johnny Weissmuller (Tarzan) era poliomielitico e divenne campione di nuoto alle Olimpiadi.
Al Neuhart iniziò a lavorare come raccoglitore di escrementi. Quarant’anni dopo fondò il primo quotidiano d’America: lo Usa Today.
Credere in Dio è molto pratico e concreto. Se tu credi in Dio, che ti abita dentro, allora credi anche in te. Allora puoi credere di essere grande, di essere qui per uno scopo ben preciso e di dover lasciare un segno a questo mondo per farlo migliore.
E’ stato così per tutte queste persone che non avevano nulla di eccezionale, ma hanno creduto a sé. E’ stato così per Maria, che non aveva nulla in più di me o di te: ha solo creduto in sé. Perché credere in Dio è facile; è credere in sé che è difficile! « Tu sei grande », parola di Dio.
2. Io. Nient’altro che me. Maria ha detto « sì »: ma a cosa? Non lo sapeva. La fede non è sapere a cosa si dice « sì »; questa è la certezza, questo è il nostro bisogno mentale di sapere, di essere sicuri, di avere tutto sotto controllo, di non correre rischi.
La fede è: « Sì. Non importa cosa, ma sì ».
Hanno intervistato Simona Atzori, ballerina e pittrice completamente senza entrambe le braccia. Le hanno detto: « Ma dove trova tutta la forza per fare quello che fa ». Lei: « Un giorno, da piccola, mi sono guardata allo specchio e mi sono detta: « Così Dio mi ha creato, così io vado bene ». Mi sono detta di sì e da quel giorno tutto è cambiato ». Cosa può fare un sì vero e profondo!
A 17 anni porta un suo dipinto a Giovanni Paolo II. Allora l’intervistatore le dice: « Lo sa che sarà santificato a maggio? ». « Sì! ». « E ha mai chiesto a Giovanni Paolo II un miracolo? ». « No, mai. Sono già io così come sono un miracolo. Dio ha già fatto, facendomi così, il suo miracolo ». Dio vuole me, nient’altro che me, così come io sono. Il resto sono scuse per chi non ha fede.