Archive pour décembre, 2011

SBF Letture bibliche: La Famiglia-modello di Nazaret

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SBF Letture bibliche: La Famiglia-modello di Nazaret

Oggi tutti più o meno si parla di famiglia, di questo valore primario in via di felice recupero dopo anni di quasi abbandono. Non sempre però se ne parla a proposito, nel debito modo, con senso di realismo. Spesso il discorso resta nozionistico, astratto, senza aggancio alla vita. E questo perché manca la forza di un esempio concreto, vivo, trainante. Manca, in particolare, la presentazione di quella “Famiglia-modello” che è l’ideale domestico divenuto palpitante realtà: la Santa Famiglia di Nazaret.
Sappiamo che niente è più convincente e stimolante di un ideale incarnato, divenuto realtà vissuta attraverso un esempio concreto. Se vogliamo dunque che la nostra gente capisca e viva il messaggio cristiano sulla famiglia, dobbiamo presentarglielo “con eventi e parole” come fa appunto il libro di Dio, la Bibbia (DV 2), e in dipendenza da essa la Chiesa più vera, quella dei Santi di ogni tempo e luogo.
L’esemplarità della S. Famiglia è un motivo ricorrente negli scritti dei nostri Santi. Per essi la parola salvifica e normativa di Dio sulla famiglia è precisamente la Famiglia di Nazaret (Lc 1-2; Mt 1-2), così come la parola decisiva di Dio sulla società è la Chiesa del Cenacolo (At 1-4).
L’insegnamento dei Santi sul nostro tema lo cogliamo sia nei loro testi che parlano della S. Famiglia nel suo insieme, sia nei loro testi che presentano i singoli membri di essa: Gesù come modello filiale e fraterno, Maria come modello sponsale e materno, Giuseppe come modello maritale e paterno. E per noi accogliere questo insegnamento è insieme dovere e interesse. Altrimenti continueremo a meritare il rimprovero di un profeta del nostro tempo:
“La mia protesta contro la corrente ostile alla vita domestica è che essa manca di intelligenza. La gente non sa quello che fa, perché non conosce la cosa che sta disfacendo” (G.K. Chesterton, La Chiesa viva, Ed. Paoline 1957, p. 53). Il vero cristiano, invece, “edifica” sempre in virtù di quella “carità” che viene da Dio e che è Dio stesso (1Cor 8,1; 14,26; 1Gv 4,7s). Ecco in sintesi i dati principali della testimonianza dei Santi o cristiani migliori sulla S. Famiglia, una testimonianza sempre valida e stimolante.
– Famiglia ideale e reale insieme. La S. Famiglia di Nazaret è l’ideale domestico divenuto palpitante realtà, come risulta dai Vangeli, specialmente da S. Luca (1-2; 3,23; 4,16). I Santi della Chiesa accettano questo dato rivelato senza svuotarlo o minimizzarlo, come fa non di rado la teologia di mestiere. Sanno che la Scrittura narra e attualizza le “meraviglie” di Dio (Lc 5,26), le quali sono fatti concreti e palpabili, ideali e reali insieme, non già concetti vaghi e astratti, campati in aria. La “Famiglia-modello” esiste perché Dio stesso l’ha voluta e realizzata. Lui, come ha rigenerato l’uomo in Gesù di Nazaret e la donna in Maria di Nazaret, così ha rigenerato la famiglia nel Focolare di Nazaret. Tramite questo, poi, ha rigenerato – in linea di principio – il genere umano devastato dal peccato. La Chiesa, ossia l’umanità nuova e definitiva, non è in fondo che la crescita nel tempo e nello spazio della S. Famiglia.
La Famiglia di Nazaret proclama al mondo che la famiglia umana è opera stupenda di Dio, voluta e regolata da lui stesso; che la religiosità o comunione con Dio è il segreto della sua riuscita (Sal 128; Lc 2,22ss); che dev’essere una, indissolubile, feconda, educatrice, aperta agli altri, socialmente benefica. Condanna, d’altra parte, i disordini che la distruggono (come la poligamia, il divorzio, la contraccezione, l’aborto) e le sfasature che la rendono infelice (come il maschilismo o strapotere dell’uomo, il femminismo o insubordinazione della donna, il discolismo o ribellione dei figli, il cainismo o lotta tra fratelli).
– Famiglia formativa. Da quanto si è detto scaturisce da sé l’esemplarità della S. Famiglia. Bisogna dunque educare ed educarsi alla sua luce, guardando e imitando loro tre, in modo che ogni padre sia un altro Giuseppe, ogni madre un’altra Maria, ogni figlio e fratello un altro Gesù. È così – non altrimenti – che si sana la famiglia e, con essa, la società umana. Il focolare, lo sappiamo, è il destino dell’umanità (GS 47-52). Tutto dipende da esso: il benessere individuale e collettivo, la salvezza temporale ed eterna. Ma a una precisa condizione: che ogni focolare sia una riproduzione fedele del Focolare di Nazaret.
Ma c’è di più. La S. Famiglia è la nostra famiglia più vera, perché tutti vi siamo nati in Gesù nuovo Adamo e capo dell’umanità redenta, cioè sanata e promossa al divino (Is 9,5; Gal 3,26ss; 4,4s). Effettivamente in essa c’è posto per tutti e tutti si è attesi quando si è ancora fuori. È qui che si è pienamente accettati e amati. È qui che si cresce bene, alla perfezione, in tutte le dimensioni e i rapporti costitutivi della vita umana: cioè “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52), e non solo “in età” come tutti gli animali “privi d’intelligenza” (Sal 32,9) e destinati a “perire” (Sal 49,13). A noi viverci dentro con la docilità filiale del “Primogenito”! (Lc 2,7.51; 4,16). E basta con la scelta masochista del figlio prodigo, che lascia il papà per il padrone, la casa per la stalla, il benessere per la fame… (Lc 15,12ss).
– Famiglia imitabile. È la logica conseguenza del nostro discorso, ed è il senso pedagogico dei dati evangelici relativi, come hanno ben capito tutti i Santi. La “Famiglia-modello” è un dono divino che interpella e impegna tutte le coppie e le famiglie: è offerta e accessibile a tutti, naturalmente secondo il “carisma” di ciascuno (1Cor 7,7). Sarà quindi parziale l’imitazione delle coppie comuni, più larga quella delle coppie continenti, piena quella delle coppie verginali e delle famiglie religiose in genere.
Il Focolare di Nazaret, ha ricordato Giovanni Paolo II, “è modello di vita per ogni uomo, per ogni cristiano, per ogni comunità familiare” (Angelus 28 dic. 1980, n. 2). Il modello va imitato, riprodotto. E Maria stessa, “la padrona di casa” (Paolo VI), ci sollecita all’imitazione: “Nei momenti difficili guardate alla Famiglia di Nazaret, che è vissuta in grande povertà. Dio è più potente di tutto il male del mondo. Non dimenticatelo!” (la Madonna a una figlia fedele dell’Africa).
– La Madre-modello. La donna – lo sappiamo – fa o disfà la casa (Pr 14,1; 31,10ss; Rt 4,11) e Maria, la nuova Eva, segna il riscatto e la sublimazione della donna e quindi del focolare domestico (Lc 1,39ss; Gv 2,1ss). Senza donna e famiglia buone, mariane, “l’uomo geme randagio”, ci dice lo Spirito Santo (Sir 36,27).
Una Maria per ogni uomo e per ogni focolare: ecco dunque la soluzione dei problemi umani. A voi, figlie di Maria, il diritto-dovere di non farla mancare a nessuno. “Quale la madre, tale la figlia”, vi dice lo Spirito Santo (Ez 16,44). Siate Maria, dateci Maria! Esistete per questo. Che stupenda ed esaltante vocazione! Per riuscire bene nell’impresa, stringetevi a lei e ditele: “Mamma, mi dono tutta: fammi donna come te, cioè donna sposa e madre, donna di neve e di fuoco: di neve per il candore, di fuoco per l’ardore”. “Maria madre mia, chi mi guarda ti veda!” (mistica spagnola).
Oggi molti, specialmente tra i giovani, contestano la famiglia. Ma quale famiglia? Quella laicista o atea, dove han sofferto o stan soffrendo l’inferno. Logica conseguenza: non vogliono sposarsi. Di chi la colpa? Del costume rifatto pagano, che ha corrotto e affossato i sublimi valori della famiglia cristiana. Solo il recupero di questi valori può ridare alla nostra gente verità e amore, fiducia nel matrimonio e nella famiglia. Ma questo recupero passa per la S. Famiglia. L’ha notato bene un esegeta pastore: “Il rinnovamento della vita familiare sull’esempio della Famiglia di Nazaret è una delle più importanti esigenze del tempo presente” (Gutzwiller). Sì, perché o come la S. Famiglia o le miserie del paganesimo, o come la S. Famiglia o il ritorno alle vergogne del mondo precristiano!
La Famiglia ideale e reale insieme esiste. La Famiglia-modello è qui, in mezzo a noi. Il Vangelo ce la presenta e propone come esempio imitabile in ogni tempo e luogo. A noi non rifiutarla. Accettiamola dietro l’esempio luminoso dei nostri Santi. È dovere e soprattutto interesse.

Lino Cignelli, ofm
(Gerusalemme 12/1993)

Publié dans:BIBLICA (sugli studi di) |on 29 décembre, 2011 |Pas de commentaires »

PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE PAOLO VI IN TERRA SANTA (per la festa della Sacra Famiglia, traduzione Google)

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/speeches/1964/documents/hf_p-vi_spe_19640105_nazareth_fr.html

PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE PAOLO VI IN TERRA SANTA

PAROLE DEL SANTO PADRE AL OCCASIONE DELLA VISITA ALLA BASILICA

dell’Annunciazione a Nazareth

Domenica 5 gennaio 1964

(traduzione Google dal francese – in italiano non c’è – su Maria e la Sacra Famiglia)

A Nazareth, il nostro primo pensiero va al di Most Vergine: – per presentare l’omaggio della nostra devozione filiale, – per alimentare la devozione dei motivi che dovrebbe rendere più reale, profondo, unico, secondo il piano di Dio: è la creatura piena di grazia, l’immacolata, la Vergine sempre, Madre di Cristo, e il fatto che la Madre di Dio e Madre nostra, la donna salì al cielo, ha benedetto la regina, il modello della Chiesa e la nostra speranza .
Immediatamente offriamo il nostro desiderio umile e filiale di onorare e celebrare un culto speciale sempre riconoscere che le meraviglie di Dio in essa, con speciale devozione che manifesta i nostri sentimenti più pii, più puri, più umano , il più personale e più sicuri, e che fa brillare alto nel mondo, incoraggiando esempio della perfezione umana.
Vi presentiamo e subito domande che più a cuore, perché vogliamo rendere omaggio alla sua bontà e la potenza di amore e di intercessione:
- Preghiera nel nostro cuore per mantenere una sincera devozione a lui;
- La preghiera della nostra comprensione, il desiderio, pacificamente possedere la purezza di anima e corpo, pensieri e parole, l’arte e l’amore, la purezza che il mondo di oggi ‘s difficili da dissipare e profano, che la purezza, a cui Cristo ha legato una delle sue promesse, una delle sue beatitudini: lo sguardo di luce nella visione di Dio;
- Preghiera quindi di essere ammesso da esso, Notre Dame, la padrona di casa, e suo marito, il dolce e forte San Giuseppe, nella privacy di Cristo, suo Figlio umana e divina, Gesù.
Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù: la scuola del Vangelo. Qui impariamo a guardare, ascoltare, meditare, a penetrare il significato, così profondo e misterioso, questa manifestazione molto semplice, molto umile e bello del Figlio di Dio. Forse abbiamo anche poco a poco impara a imitare. Qui si impara il metodo che ci permetterà di capire chi è Cristo. Qui si scopre la necessità di osservare il corso della sua permanenza in mezzo a noi: i luoghi, i tempi, i costumi, la lingua, le pratiche religiose, tutto ha usato Gesù per dimostrare al mondo.
Qui tutto parla, tutto ha un senso. Tutto è un duplice significato: un significato al di fuori prima che i sensi e le facoltà di percezione immediata possono essere tratte dalla scena evangelica, le persone che guardano fuori, che si accontentano di studiare e criticare l’abbigliamento libri sacri filologiche e storiche, che il linguaggio della Bibbia chiama « la lettera ».
Questo studio è importante e necessario, ma si ferma lì, ancora al buio e può anche creare l’illusione di orgoglio sapere a coloro che osservano gli aspetti esterni del Vangelo, senza una visione chiara, il cuore umile la retta intenzione e l’anima nella preghiera.
Il Vangelo non esprime il suo significato interiore, vale a dire, la rivelazione della verità, della realtà e si manifesta sia tolto dalla vista, come uno che va in linea con la luce , accordo della rettitudine della mente, vale a dire, il pensiero e il cuore – e soggettiva condizione umana che tutti dovrebbero arrivare a se stesso – ma al tempo stesso contratto dal illuminazione imponderabile, aperto e privo di grazia. Quest’ultimo, a causa del mistero della misericordia che governa il destino dell’umanità, non manca mai, almeno in certi momenti e in certe forme, non manca mai agli uomini di buona volontà. Questo è lo « spirito ».
Qui, in questa scuola, si comprende la necessità di una disciplina spirituale, se si vuole seguire l’insegnamento del Vangelo e diventare discepoli di Cristo. Oh! Vorremmo un bambino di nuovo e tornare a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Come ci piacerebbe a proposito di Maria di nuovo per acquisire la vera scienza della vita e la saggezza superiore della verità divina.
Ma siamo solo di passaggio. Dobbiamo lasciare che il desiderio di continuare questa educazione senza fine per la comprensione del Vangelo. Non lasceremo, però, senza aver ottenuto fretta, e come di nascosto, alcune brevi lezioni da Nazareth.
Una lezione in silenzio in un primo momento. Che rinasce in noi la stima del silenzio, quella condizione ammirabile e indispensabile della mente in cui ci sono assaliti da tante grida, e grida di una seccatura nella nostra vita moderna rumorosa e hypersensitized. O silenzio di Nazareth, insegnaci il raccoglimento, l’interiorità, la disponibilità ad ascoltare buone ispirazioni e le parole dei veri maestri, ci insegnano la necessità e il valore della preparazione, studio, meditazione, e la vita domestica, la preghiera che solo Dio vede nel segreto.
Una lezione di vita familiare. Nazareth ci insegna che ciò che la famiglia, la sua comunione d’amore, la sua bellezza austera e semplice, la sua sacra e inviolabile; di Nazareth imparare la formazione hanno fornito è dolce e insostituibile sapere qual è il suo ruolo socialmente importante.
Una lezione di lavoro. Nazareth, o casa del « figlio del carpentiere », è qui che vorremmo capire e celebrare la legge severa e redentrice del lavoro umano, ripristinando la consapevolezza della nobiltà del lavoro, ricorda che questo lavoro non può essere un fine in sé, ma la sua libertà e la nobiltà andare da lui, oltre al suo valore economico, valori che sono la finalizzazione, come vorremmo qui per salutare tutti i lavoratori del mondo e mostrare loro il loro modello grande fratello Dio, il profeta di tutte le loro giuste cause, Cristo nostro Signore.
Il nostro pensiero qui che si è allontanato da Nazareth e che si trova sulle colline della Galilea, che ha fornito contesto e scenario naturale per la voce del Signore nostro Maestro. Il tempo è breve, anche la mancanza di forza sufficiente per annunciare in questo momento, il messaggio divino per l’universo intero.
Ma non possiamo smettere di guardare qui intorno al monte delle beatitudini, che sono la sintesi e la parte superiore della predicazione del Vangelo, né di ascoltare l’eco che il discorso in atmosfera misteriosa del luoghi, sembra per raggiungerci.
È la voce di Cristo che promulga il Nuovo Testamento, la nuova legge che integra e supera il primo, ed è in cima alla perfezione del comportamento umano. Il motivo di grande attività umana è la condizione che fa appello alla libertà: nel Vecchio Testamento è stata la paura nella pratica di tutti i tempi e nel nostro, è il l’istinto è l’interesse per Cristo, il Padre ha dato al mondo l’amore è amore. Egli stesso ci ha insegnato a obbedire per amore: era la sua liberazione.
Perché, come sant’Agostino insegna: «Dio ha dato i comandamenti per il popolo meno perfetto che si dovrebbe essere ancora sotto la paura e il comando più perfetto di suo figlio per le persone che aveva deciso di rilascio da parte amore « ( PL . 34, 1231).
Nel suo Vangelo, Cristo ha dato al mondo la meta suprema e la forza suprema dell’azione, e quindi di libertà e di progresso: l’amore. Nessun gol non può essere superato. Non essere più grande di lui, non sostituirlo. Il suo Vangelo è il codice della vita. E ‘nella parola di Cristo che la persona umana è al suo massimo, e la società umana trova la sua coesione più autentica e più forte. Crediamo, Signore, la tua parola. Cercheremo di seguire e di vivere.
Ora dobbiamo ascoltare l’eco che viene a passare nella nostra mente di uomini del ventesimo secolo. Qui ci sono le lezioni che diamo questa parola appare.
Beati noi, se sappiamo i poveri in spirito liberarci dalla falsa fiducia nella ricchezza materiale e mettere i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi, e se il rispetto e l’amore per i poveri, come fratelli e le immagini vive di Cristo.
Beati noi, se addestrati in dolce e forte come sappiamo rinunciare al potere mortale dell’odio e della vendetta e di avere la saggezza di preferire la paura ispirata dalle armi la generosità del perdono, l’alleanza in libertà di lavorare, la conquista con la gentilezza e la pace.
Beati noi se non facciamo dell’egoismo il principio guida della vita, il suo scopo e piacere, ma se sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, un dolore in strumento di redenzione nel sacrificio il vertice della grandezza.
Beati noi, se vogliamo piuttosto essere oppressi oppressori, e se abbiamo ancora fame di giustizia in corso. Beati noi, se il Regno di Dio che conosciamo nel tempo e oltre, di perdonare e lottare, agire e servire, soffrire e l’amore.
Non saremo delusi per sempre.
Questi sono gli accenti che la sua voce sembra a noi oggi: Così è stato più forte, più morbida e più temibile: era divino.
Ma noi, nel tentativo di raccogliere qualche eco della parola del maestro, che sembra essere diventato suoi discepoli e non senza ragione, una nuova saggezza e coraggio nuovo.

Publié dans:PAPA PAOLO VI |on 29 décembre, 2011 |Pas de commentaires »

Santi Innocenti Martiri

Santi Innocenti Martiri dans immagini sacre 14%20GIOTTO%20FRAGMENT%20DU%20MASSACRE%20DES%20INNOCENTS



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28 DICEMBRE – SANTI INNOCENTI MARTIRI : UFFICIO DELLE LETTURE

28 DICEMBRE – SANTI INNOCENTI MARTIRI

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura

Dal libro dell’Esodo 1, 8-16. 22

La strage dei bambini ebrei in Egitto
In quei giorni, sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d’Israele. Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trattandoli duramente. Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.
Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: «Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere». Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: «Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia».

Responsorio Is 65, 19; Ap 21, 4. 5
R. Gioia per il mio popolo: * non si udranno più voci di pianto e grida di angoscia.
V. Non vi sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore: io faccio nuove tutte le cose.
R. Non si udranno più voci di pianto e grida di angoscia.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Quodvultdeus, vescovo
(Disc. 2 sul Simbolo; PL 40, 655)

Non parlano ancora e già confessano Cristo
Il grande Re nasce piccolo bambino. I magi vengono da lontano, guidati dalla stella e giungono a Betlemme, per adorare colui che giace ancora nel presepio, ma regna in cielo e sulla terra. Quando i magi annunziano ad Erode che è nato il Re, egli si turba e, per non perdere il regno, cerca di ucciderlo, mentre, credendo in lui, sarebbe stato sicuro in questa vita e avrebbe regnato eternamente nell’altra.
Che cosa temi, o Erode, ora che hai sentito che è nato il Re? Cristo non è venuto per detronizzarti, ma per vincere il demonio. Tu, questo non lo comprendi, perciò ti turbi e infierisci; anzi, per togliere di mezzo quel solo che cerchi, diventi crudele facendo morire tanti bambini.
Le madri che piangono non ti fanno tornare sui tuoi passi, non ti commuove il lamento dei padri per l’uccisione dei loro figli, non ti arresta il gemito straziante dei bambini. La paura che ti serra il cuore ti spinge ad uccidere i bambini e, mentre cerchi di uccidere la Vita stessa, pensi di poter vivere a lungo, se riuscirai a condurre a termine ciò che brami. Ma egli, fonte della grazia, piccolo e grande nello stesso tempo, pur giacendo nel presepio, fa tremare il tuo trono; si serve di te che non conosci i suoi disegni e libera le anime dalla schiavitù del demonio. Ha accolto i figli dei nemici e li ha fatti suoi figli adottivi.
I bambini, senza saperlo, muoiono per Cristo, mentre i genitori piangono i martiri che muoiono. Cristo rende suoi testimoni quelli che non parlano ancora. Colui che era venuto per regnare, regna in questo modo. Il liberatore incomincia già a liberare e il salvatore concede già la sua salvezza.
Ma tu, o Erode, che tutto questo non sai, ti turbi e incrudelisci e mentre macchini ai danni di questo bambino, senza saperlo, già gli rendi omaggio.
O meraviglioso dono della grazia! Quali meriti hanno avuto questi bambini per vincere in questo modo? Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta, perché non muovono ancora le membra e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria.

28 DICEMBRE – I SANTI INNOCENTI

http://it.narkive.com/2008/12/27/413418-28-dicembre-santi-innocenti-martiri.html

28 DICEMBRE – I SANTI INNOCENTI

Alla Festa del Discepolo Prediletto segue la Solennità dei Santi Innocenti, onde la culla dell’Emmanuele, presso la quale abbiamo Venerato il Principe dei Martiri e l’Aquila di Patmos, ci appare oggi circondata da una graziosa accolta di bimbi, adorni di vesti bianche come la neve, e che recano in mano Palme Verdeggianti. Il Divino Bambino sorride; è il loro Re, e tutta quella piccola Corte sorride a sua volta alla Chiesa di Dio. La Forza e la Fedeltà ci hanno introdotti presso il Redentore; oggi l’innocenza ci invita a restare accanto alla mangiatoia. Erode ha voluto coinvolgere il Figlio di Dio in un massacro di bambini; Betlemme ha udito i lamenti delle madri; il sangue dei neonati ha inondato
l’intera regione. Ma tutti quegli sforzi della tirannide non hanno potuto raggiungere l’Emmanuele: non hanno fatto che preparare per l’Armata del Cielo una Schiera di Martiri [1]. Questi bambini hanno avuto l’insigne Onore di essere immolati per il Salvatore del mondo; ma il momento che ha seguito la loro immolazione ha rivelato ad essi d’un tratto gioie future e prossime, molto al di sopra di quelle di un mondo che hanno attraversato senza conoscere. Il Dio Pieno di Misericordia non ha richiesto altro da essi che una sofferenza di qualche istante; essi si sono ridestati nel seno d’Abramo, liberi da qualsiasi altra prova, puri da ogni contaminazione mondana, chiamati al Trionfo come il guerriero che ha dato la propria vita per salvare quella del suo capo. La loro morte è dunque un Martirio, e per questo la Chiesa li Onora con il bel nome di Fiori dei Martiri, a motivo della loro tenera età e della loro innocenza. Hanno dunque diritto a figurare oggi nel Ciclo Liturgico, al seguito dei due valenti campioni di Cristo che abbiamo Celebrati. San Bernardo, nel suo Sermone per questa Festa, spiega eloquentemente il legame di queste tre Solennità: « Abbiamo, – egli dice – nel Beato Stefano, l’Opera e la Volontà del Martirio; nel Beato Giovanni notiamo soltanto la Volontà del Martirio; e, nei Beati Innocenti, solo l’Opera del Martirio. Ma chi potrà dubitare, tuttavia, della Corona ottenuta da questi bambini? Chiederete dove sono i loro meriti per la Corona? Chiedete piuttosto a Erode
quale delitto hanno commesso per essere così falciati. La Bontà di Cristo potrà essere vinta dalla crudeltà di Erode? Quel re empio ha potuto far uccidere dei bambini innocenti; e Cristo non potrebbe incoronare quelli che
sono morti soltanto per lui? « Stefano sarà dunque stato Martire agli occhi degli uomini che furono
testimoni della sua Passione subita volontariamente, fino al punto di Pregare per i suoi persecutori, mostrandosi più sensibile al loro delitto che alle proprie ferite. Giovanni sarà dunque stato Martire agli occhi degli Angeli, che, essendo Creature Spirituali, hanno visto le disposizioni della sua Anima. Certo, però, saranno stati Martiri agli occhi Tuoi, mio Dio, anche coloro nei quali né l’uomo né l’Angelo hanno potuto, è vero, scoprire un merito, ma che il singolare favore della Tua Grazia ha voluto arricchire. Dalla bocca dei neonati e dei lattanti hai voluto far uscire la Lode. Qual è
questa Lode? Gli Angeli hanno cantato: Gloria a Dio nel più alto dei Cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà! Questa è senza dubbio una Lode Sublime; ma non sarà completa se non quando Colui che deve venire avrà
detto: Lasciate che i piccoli vengano a me, perché il Regno dei Cieli è di quelli che loro assomigliano; pace agli uomini, anche a quelli che non hanno ancora l’uso della propria volontà: ecco il Mistero della Mia Misericordia ». Dio si è degnato di fare per gli Innocenti immolati per il Suo Figliuolo ciò che fa tutti i giorni con il Sacramento della Rigenerazione, così spesso applicato ai bambini che la morte prende con sé fin dai primi giorni di vita; e noi, Battezzati nell’acqua, dobbiamo render Gloria a questi neonati, Battezzati nel proprio sangue, e associati a tutti i Misteri dell’Infanzia di Gesù Cristo. Dobbiamo anche congratularci con essi, insieme con la Chiesa, dell’innocenza che la morte Gloriosa e prematura ha loro conservata. Purificati così dal Sacro Rito che, prima dell’istituzione del Battesimo, cancellava il peccato originale, visitati in anticipo da una Grazia Speciale che li preparò all’Immolazione Gloriosa per la quale erano destinati, hanno abitato questa terra e non vi si sono macchiati. Che la società di questi
teneri agnelli sia dunque per sempre con l’Agnello senza macchia, e questo mondo, indurito nel peccato, meriti misericordia unendosi, con le Sue Lodi, al Trionfo di questi Eletti della terra che, simili alla colomba dell’Arca,
non vi hanno trovato dove posare i piedi!  »Tuttavia, in questo Gaudio del Cielo e della terra, la Santa Romana Chiesa
non perde di vista la desolazione delle madri che videro così strappati dal seno, e immolati dalla spada dei soldati, i diletti pegni della loro tenerezza. Ha raccolto il grido di Rachele, e non cerca di consolarla se non compatendo la sua afflizione. Per Onorare quel materno dolore, consente a sospendere oggi una parte delle manifestazioni della gioia che inonda il suo cuore nell’Ottava di Cristo Nato. Non osa rivestire nei suoi Paramenti Sacri il colore della Porpora dei Martiri, per non richiamare troppo vivamente quel sangue che zampilla fino sul seno delle madri; si proibisce anche il
colore Bianco che denota la letizia e non si addice a così pungente dolore. Riveste il colore Viola, colore di lutto e di rimpianti. Oggi, anzi, se la Festa non cade di Domenica, giunge fino a sospendere il Canto del Gloria in
Excelsis, che pure le è tanto caro in questi giorni in cui gli Angeli l’hanno intonato sulla terra; rinuncia al Festoso Alleluia nella Celebrazione del Sacrificio e infine si mostra, come sempre, ispirata da quella delicatezza Sublime e Cristiana di cui la Sacra Liturgia è mirabile Scuola. Ma dopo questo omaggio reso alla tenerezza materna di Rachele e che diffonde
su tutto l’Ufficio dei Santi Innocenti una dolce malinconia, essa non perde di vista la Gloria di cui godono i Beati bambini; e Consacra alla loro Solenne Memoria un’intera Ottava come ha fatto per Santo Stefano e per San
Giovanni. Nelle sue Cattedrali e nelle Chiese Collegiali essa Onora anche, in questo giorno, i bambini che invita ad unire le loro Innocenti Voci a quelle dei Sacerdoti e degli altri Ministri Sacri. Concede loro particolari distinzioni, finanche nel Coro stesso; gode dell’ingenua letizia di quei giovani cooperatori di cui si serve per abbellire le sue Solennità; in essi,
rende Gloria al Cristo Bambino, e all’Innocente Coorte dei Teneri Rampolli di Rachele. A Roma, la Stazione ha luogo oggi nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura, il cui tesoro si Gloria di possedere parecchi corpi dei Santi Innocenti. Nel
XVI secolo, Sisto V ne tolse una parte, per collocarli nella Basilica di Santa Maria Maggiore, presso il Presepio del Salvatore.

MESSA
La Santa Chiesa esalta la Sapienza di Dio, che ha saputo sventare i calcoli della politica di Erode, e riportar gloria dalla crudele immolazione dei bambini di Betlemme, elevandoli alla Dignità di Martiri di Cristo, di cui Celebrano le Grandezze in una Riconoscenza Eterna.

« Dalla bocca dei neonati e dei lattanti, o Dio, hai fatto uscire la Lode per confondere i tuoi nemici »

VANGELO (Mt 2,13-18). – In quel tempo: Un Angelo del Signore apparì a Giuseppe in sogno e gli disse: Levati, prendi il Bambino e Sua Madre, e fuggi in Egitto; e stai là finché non t’avviserò, perché Erode cercherà del Bambino per farlo morire. Egli, alzatosi, durante la notte, prese il Bambino e la Madre di Lui e si ritirò in Egitto, ove stette fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quanto era stato detto dal Signore per il Profeta: Dall’Egitto ho richiamato il Mio Figlio. Allora Erode, vedendosi burlato dai Magi, s’irritò grandemente e mandò ad uccidere tutti i Fanciulli (maschi) che erano in Betlem e in tutti i suoi dintorni, dai due anni in giù, secondo il tempo che aveva rilevato dai Magi. Allora si adempì ciò che era stato detto per bocca del Profeta Geremia: Un grido si è udito in Rama di gran pianto e lamento: Rachele che piange i figli suoi e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Il Santo Vangelo narra con la Sua Sublime Semplicità il Martirio degli Innocenti. Erode mandò ad uccidere tutti i bambini. Questa ricca Messe per il Cielo fu mietuta, e la terra non se ne commosse. I lamenti di Rachele salirono fino al Cielo, e presto il silenzio ricadde su Betlemme. Ma le Beate Vittime venivano raccolte dal Signore, per formare la Corte del Suo Figliuolo. Gesù, dalla Sua culla, Li Contemplava e Li Benediceva; Maria compativa le loro brevi sofferenze e il dolore delle madri; la Chiesa che sarebbe presto nata doveva Glorificare, per tutti i secoli,
quell’Immolazione di Teneri Agnelli, e fondare le più belle Speranze sul Patrocinio di quei bambini diventati d’un tratto così Potenti sul Cuore del Suo Celeste Sposo.

Beati Bambini, noi rendiamo omaggio al vostro Trionfo, e ci felicitiamo con voi perché siete stati scelti come Compagni di Cristo nella culla. Quale Glorioso risveglio è stato il vostro, allorché dopo essere passati per la
spada, avete conosciuto che presto la Luce Abbagliante della Vita Eterna sarebbe stata la vostra Eredità. Quale riconoscenza avete Testimoniata al Signore che vi sceglieva così fra tante migliaia di altri bambini, per Onorare con la vostra Immolazione la culla del Suo Figliuolo! La Corona ha cinto la vostra fronte prima della battaglia; la Palma è venuta da sé a posarsi nelle vostre deboli mani, prima che aveste potuto fare uno sforzo per raccoglierla: è così che il Signore si è mostrato Pieno di Munificenza, e ci ha fatto vedere che è Padrone dei Suoi Doni. Non era forse giusto che la Nascita del Figlio del Sommo Re fosse segnata da qualche Magnifica Elargizione? Noi non ne siamo gelosi, o Martiri Innocenti! Glorifichiamo il Signore che vi ha scelti e plaudiamo con la Chiesa alla vostra inenarrabile felicità.

O Fiori dei Martiri, permettete che riponiamo in voi la nostra fiducia, e che osiamo supplicarvi, per la ricompensa gratuita che vi è stata concessa, di non dimenticare i vostri fratelli che combattono in mezzo ai rischi di questo mondo di peccato. Anche noi desideriamo quelle Palme e quelle Corone nelle quali si allieta la vostra innocenza. Lavoriamo duramente ad assicurarcele, e spesso ci sentiamo sul punto di perderle per sempre. Lo stesso Dio che ha Glorificato voi è anche il nostro fine; in Lui solo anche noi troveremo il riposo; pregate affinché possiamo giungere fino a lui.

Chiedete per noi la semplicità, l’infanzia del cuore, l’ingenua fiducia in Dio che va fino in fondo nel compimento dei Suoi Voleri. Otteneteci di sopportare con calma la Sua Croce, quando ce la manda e di desiderare unicamente il Suo Piacere. In mezzo al sanguinoso tumulto che venne ad interrompere il sonno, la vostra bocca infantile sorrideva ai carnefici; le vostre mani sembravano scherzare con quella spada, che doveva trapassarvi il cuore; eravate graziosi di fronte alla morte. Otteneteci di essere anche noi dolci verso la tribolazione, quando il Signore ce la manda. Che essa sia per noi un Martirio, per la tranquillità del nostro coraggio, per l’unione della nostra volontà con quella del Sommo Re e Signore, il quale prova soltanto per ricompensare. Che gli strumenti di cui egli si serve non ci tornino
odiosi; che la Carità non si spenga nel nostro cuore e che nulla turbi quella pace senza cui l’Anima del Cristiano non potrebbe piacere a Dio.

Infine, o Teneri Agnelli Immolati per Gesù, voi che lo seguite dovunque egli va perché siete Puri, concedeteci di accostarci all’Agnello Celeste che vi conduce. Portateci a Betlemme insieme con voi; onde non usciamo più da quel
soggiorno di pace e d’innocenza. Presentateci a Maria, la Madre nostra, ancora più tenera di Rachele; ditele che siamo i Suoi Figli, e che siamo i vostri fratelli; e come ha compatito i vostri dolori d’un istante, si degni di aver Pietà delle nostre Misere Lodi.

* * *
In questo quarto giorno dalla Nascita del Redentore visitiamo la stalla e Adoriamo l’Emmanuele. Consideriamo la Misericordia che l’ha portato a farsi Bambino per avvicinarsi a noi, e restiamo attoniti nel vedere un Dio cosi
vicino alla Sua creatura. « Colui che è inafferrabile anche per la sottile intelligenza degli Angeli – dice il Pio Abate Guerrico nel suo quinto Sermone sulla Natività di Cristo – si è degnato di rendersi palpabile ai
materiali sensi dell’uomo. Dio non poteva parlarci come ad Esseri Spirituali, carnali come siamo; il Suo Verbo si è fatto carne, affinché ogni carne potesse non soltanto intenderlo, ma anche vederlo; non avendo potuto il mondo conoscere la Sapienza di Dio, questa Sapienza si è degnata di farsi follia. Signore del Cielo e della terra, tu hai dunque nascosto la Tua Sapienza ai sapienti e ai prudenti del mondo, per rivelarla ai piccoli. Le altezze dell’orgoglio hanno orrore dell’Umiltà di questo Bambino; ma ciò che è alto agli occhi degli uomini è abbominevole al cospetto di Dio. Questo Bambino si compiace solo con i bambini; riposa solo con gli Umili e i cuori pacifici. Che i piccoli si Glorino dunque in Lui, e Cantino: Ci è nato un Bambino; mentre Lui, da parte Sua, si felicita dicendo per bocca di Isaia:
Eccomi, Io e i miei piccoli che il Signore mi ha dati. Infatti, per dargli una compagnia proporzionata alla Sua Età, il Padre ha voluto che la Gloria dei Martiri cominciasse con l’Innocenza dei bambini volendo lo Spirito Santo
mostrare con ciò che il Regno dei Cieli è soltanto di quelli che loro somigliano ».

[1] Si calcola sulla ventina il numero delle vittime (P. Lagrange, Ev. de S.
Matth., p. 33).
da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale -
Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 154-160

San Giovanni Apostolo ed Evangelista

San Giovanni Apostolo ed Evangelista dans immagini sacre san-giovanni

http://www.certosini.info/lezion/Santi/27%20dicembre%20San%20Giovanni%20Apostolo.htm

Publié dans:immagini sacre |on 27 décembre, 2011 |Pas de commentaires »

SAN GIOVANNI APOSTOLO – FESTA IL 27 DICEMBRE

http://www.chiesamadresglapunta.it/index.php?option=com_content&view=article&id=42&Itemid=37

SAN GIOVANNI APOSTOLO

Giuseppe Cutuli

San Giovanni, apostolo ed evangelista, è tradizionalmente identificato come l’autore del Vangelo di Giovanni, delle tre Lettere di Giovanni e della Apocalisse, facenti parte del Nuovo Testamento della Bibbia cristiana. Giovanni nasce secondo la tradizione a Betsaida di Galilea (nel nord della Palestina), località situata sulle sponde del lago di Genezareth detto anche Mar di Galilea. Betsaida significa « casa della pesca ». Figlio di Zebedeo e di Salomè, si dedica alla pesca come suo padre che sembra, a detta dei Vangeli, non essere stato un semplice pescatore ma un vero e proprio imprenditore della pesca in quanto aveva alle sue dipendenze delle maestranze. Nei vangeli capita talvolta di incontrare un riferimento ai « figli di Zebedeo » e cioè a Giovanni e Giacomo. Giovanni avrebbe incontrato Gesù di Nazaret quando già era uno dei discepoli di un maestro delle scritture, Giovanni il Battista, precursore e profeta di Gesù, imparentato, stando alle fonti cristiane, con lo stesso Gesù essendo Elisabetta, madre di Giovanni, parente di Maria, la madre di Gesù. Il Battista indicò Gesù con queste parole: « Ecco l’agnello di Dio », dopodiché fu lo stesso Giovanni il Battista a spingere i suoi due discepoli a lasciarlo per poter seguire il nuovo maestro. Presumibilmente doveva avere meno di venti anni quando avvenne questo incontro. (San Girolamo, « De Viris Illustribus »). Tutto questo accadeva vicino a Betania sul Giordano.
Giovanni e Andrea fratello di Pietro (anch’egli in quel tempo sarebbe stato discepolo del Battista) furono i primi due apostoli del maestro di Nazaret. Gesù iniziava allora a diffondere il suo insegnamento, che, secondo alcune recenti ipotesi, risentiva anche della visione dell’ebraismo propria degli esseni nome che in ebraico significa « i medici », « i terapeuti ». Subito dopo, secondo le fonti cristiane, si aggiunsero a questi primi due apostoli rispettivamente Simon Pietro fratello di Andrea e Giacomo fratello di Giovanni. In seguito i due figli di Zebedeo vennero soprannominati per la loro impetuosità « i figli del tuono » dallo stesso Rabbi Gesù. Giovanni viene descritto dai Vangeli di carattere risoluto (Marco 3,17; Luca 9,54), e non alieno da ambizioni (Marco 10, 35-37); le fonti ci dicono che era il più giovane fra i discepoli. Giovanni si rivelerà in seguito colui che più di ogni altro, anche tra quelli più intimi del maestro, avrà capito il vero senso di questo nuovo regno: il « Regno del Figlio dell’Uomo » opponendosi ad ogni sorta di interpretazione mondana della figura della persona di Gesù pur mantenendosi radicalmente fedele alla concezione di Dio quale vero uomo anche in funzione antignostica, cioè di coloro i quali invece, trasportati anche dalla polemica nel loro tentativo di combattere quelle che loro definivano le rozze concezioni cristiane della Grande Chiesa che aveva fatto scempio del pensiero aristocratico del Rabbi di Nazareth, continuavano a mantenere separati e in una contraddizione irriducibile lo spirito e la materia. Le scritture cristiane ci dicono che Giovanni non abbandonò mai il maestro nemmeno nell’ora ultima delle persecuzioni tanto da essere presente sotto la croce dove concluse i suoi 33 anni nel mondo, oltre alla madre di Gesù, Maria di Nazareth, a Maria Maddalena e alla sua stessa madre Salomé, ciò che ha fatto dire ad alcune discepole di Gesù dei millenni seguenti che le « apostole » dimostrarono di avere più coraggio degli stessi apostoli nominati ufficialmente quali « apostoli » da Gesù stesso, sennonché c’è un’eccezione: Giovanni appunto che stette accanto al maestro e amico fino alla fine. Secondo la tradizione cristiana, durante l’ultima cena posò il capo sul petto di Cristo. Testimone della trasfigurazione e dell’agonia del Signore, era presente ai piedi della croce, dove Gesù gli affidò la Madre. Insieme a Pietro vide il sepolcro vuoto e credette nella resurrezione del Signore.
Dopo la morte di Gesù si sarebbe stabilito a Gerusalemme con gli altri della comunità dei nazareni, come venivano chiamati dagli altri professanti la religione ebraica e considerati come una semplice setta dell’ebraismo. Avvennero di lì a poco, secondo le fonti neotestamentarie, la resurrezione e l’ascensione del loro maestro. Segue poco dopo quell’altro avvenimento straordinario per questa comunità che viene chiamato come l’evento della Pentecoste. Già prima della crocefissione del « Rabbi » gli apostoli più vicini al maestro e quindi più intimi erano sempre stati Pietro, Giacomo, Andrea e Giovanni. In particolare quest’ultimo verrebbe chiamato in alcuni testi del Nuovo Testamento il prediletto del Signore (Giovanni 13,23; 19,26, 20,2; 21,7).
Paolo di Tarso racconta che dopo la morte del maestro, le colonne della chiesa di Gerusalemme sarebbero stati appunto questi quattro apostoli. Dopo la Pentecoste Giovanni è sempre a Gerusalemme e dagli Atti degli apostoli risulta come una delle figure più autorevoli della Chiesa nascente ed è nominato subito dopo Pietro (Atti 3, 1-11; 4, 13-19; 8, 14), quando tra il 36 e il 38 ci sarebbe stata una prima ondata di persecuzioni. Gli scritti cristiani ci dicono che in quella occasione Pietro e Giovanni vennero incarcerati e flagellati, in quanto agli occhi delle autorità civili sarebbero stati ritenuti i principali responsabili della comunità. Dopo le persecuzioni subite a Gerusalemme, Giovanni si recò, stando alle scritture, con Pietro in Samaria, dove avrebbe svolto un’intensa opera di evangelizzazione (Atti 8, 14-15). Le fonti cristiane ci parlano di una seconda ondata di persecuzioni. Pietro lascia Gerusalemme e la guida della comunità passa a Giacomo il Minore, mentre nel 44 Giacomo di Zebedeo (detto anche Giacomo il Maggiore) fratello di Giovanni subisce il martirio. Giovanni rimarrà ancora a Gerusalemme dove condividerà la storia di questa comunità sino a che il rinnovarsi e l’intensificarsi delle persecuzioni lo costringeranno a stabilirsi, insieme a Maria di Nazaret, a Mileto, dove era presente una comunità di nazareni. Alcuni anni prima, nel 52, a Efeso, dove era una importante comunità ebraica, era giunto Paolo di Tarso, primo missionario della buona novella, e qui si era stabilito per circa tre anni. Partito poi da qui, vi lasciò i coniugi Aquila e Priscilla che proseguirono il lavoro da lui iniziato nell’evangelizzare la città e la regione intera (Atti degli Apostoli).
A questo primo viaggio di Paolo fece seguito un suo secondo ed ultimo viaggio in questa città, dopodiché si avviò verso l’ultima tappa della sua opera di missionario, Roma, dove secondo la tradizione cattolica già era Pietro; affidò quindi la comunità a Timoteo suo discepolo di lunga data (lettere di Paolo a Timoteo). Dopo la morte di Timoteo vescovo di Efeso, Giovanni si trovò ad ereditare tutto il lavoro svolto nella chiesa di Efeso da Paolo e dai suoi collaboratori. Giovanni infatti, sembra anche a seguito di una visione in cui lo stesso Gesù gli apparve, partì da Mileto dove altrimenti forse sarebbe rimasto per il resto della sua vita e cominciò a governare la chiesa di Efeso e le altre comunità cristiane dell’Asia Minore. Recandosi a Efeso, portò con sé Maria di Nazaret madre di Gesù, poiché gli era stata affidata dallo stesso Gesù nel momento del suo commiato dalla Terra. Ricerche archeologiche condotte alla fine del secolo scorso, sulla base delle visioni della stigmatizzata monaca agostiniana Anna Caterina Emmerich (1774 – 1824), hanno permesso il ritrovamento a circa 9 Km a sud di Efeso della casa dove la tradizione dice che abitò e morì Maria di Nazaret. Giovanni giunse nella città di Efeso che contava allora circa 200 mila abitanti.
Questi basavano la loro economia vivendo del commercio e del traffico portuale. In questa grande città l’apostolo svolse la sua opera di evangelizzatore e di guida delle comunità tutte dell’Asia Minore che facevano riferimento a lui quale testimone, come amava definirsi. Accadde però che nell’anno 89 si scatenò una nuova ondata di persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell’imperatore Domiziano. Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte (sul luogo venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo). Di lì a poco questa pena però verrà commutata in quella dell’esilio nell’isola di Patmos, dove Giovanni soggiornò a lungo. In ricordo di ciò all’apostolo Giovanni sarà dedicata la cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano. A Patmos Giovanni riuscì a convertire quasi tutta l’isola. Durante la sua permanenza a Patmos acquisì il titolo di Giovanni il veggente: fu infatti a Patmos che dettò ai suoi discepoli le visioni che ebbe sulla fine del mondo e il trionfo del regno del figlio dell’uomo che costituiranno il nucleo di quel libro, l’Apocalisse che chiude la serie dei libri che costituiscono la Bibbia cristiana. Dopo la morte dell’imperatore Domiziano nel 96, sotto l’imperatore Nerva, Giovanni fece ritorno a Efeso. Morì in tardissima età, si dice intorno ai cento anni, ad Efeso nel periodo in cui regnava l’imperatore Traiano (98-117).
Riguardo alla morte di Giovanni è stato tramandato un racconto secondo il quale fu Giovanni stesso che sentendo arrivare la sua ultima ora, nel giorno di Pasqua, si scavò una fossa dopodiché vi si sdraiò e così morì. All’ultimo periodo della sua vita terrena, trascorso nuovamente ad Efeso, risale invece l’elaborazione del Vangelo secondo Giovanni e delle tre lettere. Il Vangelo secondo Giovanni è stato scritto originariamente in greco. Il testo, tuttavia, contiene latinismi ed ebraismi. Questo vangelo è molto diverso rispetto agli altri: ci sono molte meno parabole, meno miracoli, non vi è accenno all’Eucaristia, al Padre nostro, alle beatitudini. Probabilmente il testo è stato scritto da più persone e in tempi diversi, per essere completato intorno all’anno 100. Il famoso « Prologo » o « Inno al Logos » dà inizio a questo vangelo: ci è pervenuto nei reperti risalenti all’anno 200 del Papiro 66 detto anche Papiro Bodmer II attualmente conservato a Ginevra.
Alcuni hanno formulato l’ipotesi che il prologo giovanneo sia una rielaborazione di un inno al logos preesistente. «In principio era il Logos e il Logos che era in principio era presso Dio e Dio era il Logos questi, il Logos, in principio era presso Dio. Tutto ciò che è venuto ad essere è venuto ad essere per mezzo del Logos che era in principio e senza il Logos che era in principio nulla sarebbe venuto ad essere di ciò che è venuto ad essere. Nel Logos che in principio era la vita e questa vita era la vera luce degli uomini e questa luce splende ancora nelle tenebre poiché le tenebre non sono mai riuscite ad offuscarla in maniera definitiva.» (Giovanni 1,1-5) A partire da San Girolamo l’utilizzo che Giovanni fa del termine « Logos » viene reso con la traduzione in latino « Verbum »; da allora anche in italiano per lo più il concetto greco-giovanneo di Logos viene assimilato a « il Verbo ».
Come si può notare il resoconto-testimonianza della buona notizia così come viene riportata nell’interpretazione che Giovanni ne dà, alla luce della sua grande capacità riflessiva, inizia con le stesse parole con cui inizia l’interpretazione della storia riportata dalla Bibbia ebraica dalla quale lui stesso proviene e alla quale è stato formato sin dall’infanzia: « Bereshit » che in greco fa « En Archè » ovvero « In Principio ». In questo modo il prologo giovanneo che annuncia il tema portante tutta la visione giovannea del logos che era in principio, ripete lo schema della genesi riallacciandosi così a tutta la tradizione dell’ebraismo dell’antico testamento, ma rielaborandola dal punto di vista di quanto lui aveva sperimentato nel corso della sua feconda oltre che lunga esistenza, e in questa continuità riflessiva introduce quello che è il tema centrale del quarto vangelo, ovvero l’incarnazione di questo logos. Benché sia sempre stato visto con interesse e alta considerazione negli ambienti cristiani definiti gnostici, tuttavia Giovanni non esiterà a polemizzare anche con essi ribadendo la sua posizione sulla questione dell’incarnazione del logos che era in principio: Gesù non solo come vero Dio ma anche come vero uomo. Gli gnostici, pur ribadendo la divinità della persona Gesù tenevano in poco conto l’umanità di Gesù se non addirittura la negavano, giungendo ad affermare che Gesù era spiritualmente talmente al di sopra dei suoi aguzzini – definiti esseri puramente materiali, totalmente condizionati dalla materia che per loro equivaleva a « ignoranti » – che pur inchiodato sulla croce non avrebbe minimamente sofferto. La questione dell’incarnazione del Dio Vivente non è una questione marginale: il farsi uomo di Dio e il farsi Dio dell’uomo sono infatti il vero novum storico rappresentato dall’evento Gesù di Nazaret. La parola « Apocalisse » è parola di origine greca che significa letteralmente « Rivelazione ».
Il testo giovanneo, che riporta le visioni avute dall’ultimo apostolo sopravvissuto durante il suo forzato esilio nell’isola, venne messo in scritto da lui medesimo o, presumibilmente, sotto sua dettatura da alcuni suoi collaboratori e discepoli, durante il lungo esilio nell’isola di Patmos. L’autore esordisce nella forma di sette lettere inviate alle sette comunità giovannee dell’Asia minore, facenti parte, per così dire nel linguaggio attuale, della diocesi del vescovo di Efeso Giovanni. Si tratta delle chiese di Efeso, Tiatira, Smirne, Sardi, Filadelfia, Pergamo, Laodicea. Mentre nell’ »Inno al Logos » contenuto nel suo Vangelo, Giovanni tratta delle origini della storia di questo mondo, in questo testo tratta dell’ultima fase della storia di questo mondo e della sua imminente e inevitabile fine. È questo il tema che Giovanni tratta con la sua rivelazione sia pure in un linguaggio visionario e simbolico che a dura prova ha messo le capacità interpretative di tutti coloro che lungo i secoli si sono avvicinati e avvicendati a questo enigmatico testo. Di 404 versetti, 278 contengono almeno una citazione dell’Antico Testamento. I libri che hanno maggiormente influenzato l’Apocalisse sono i libri dei Profeti, principalmente Daniele, Ezechiele, Isaia, Zaccaria e poi anche il libro dei Salmi ed Esodo. Dell’abate e monaco cistercense in rotta con il suo ordine Gioacchino da Fiore ci è pervenuto un « Commentario dell’Apocalisse » e un « Tractatus super quattuor evangelia ». Tommaso d’Aquino scrisse un « Commentario al vangelo di Giovanni »
Chiamato fin da tempi remoti con l’appellativo di Aquila spirituale, San Giovanni Evangelista viene rappresentato in molti luoghi di culto con il simbolo dell’aquila. Se ne celebra la festa il 27 dicembre. San Giovanni Evangelista è stato un soggetto molto raffigurato nella storia dell’arte.

Publié dans:SANTI APOSTOLI, SANTI EVANGELISTI |on 27 décembre, 2011 |Pas de commentaires »
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