Traccia di comprensione per Is 40,1-11;
dal sito:
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Traccia di comprensione per Is 40,1-11;
don Raffaello Ciccone
Lettura del profeta Isaia 40, 1-11
Il testo di Isaia costituisce l’inizio del « libro della Consolazione » (cc 40-55). Si chiama così la predicazione svolta da un anonimo profeta a Babilonia tra il 550 e il 539 a.C. (la cui parola è raccolta sotto i testi del più antico Isaia) dopo le prime vittorie di Ciro il grande che, poi, entrerà vittorioso come liberatore nella grande città di oppressione e libererà i popoli schiavi.
Il profeta annuncia il ritorno a Gerusalemme, dall’esilio a Babilonia, sconfitta da Ciro. Il testo che stiamo leggendo sintetizza e annuncia, nello stesso tempo, i temi stessi della sezione (cc40-55): la consolazione e la sua causa (1-2), il nuovo esodo (3-5), la parola di Dio è efficace (6-8), il Signore è re e pastore (9-11).
Davvero il popolo di Dio ha subìto doppio castigo, prima deportato dai Babilonesi, e poi rispedito in patria dai Persiani, ma in realtà loro servi, con in più la preoccupazione di dover sopravvivere, mancando due punti di riferimento fondamentali nella Gerusalemme ancora distrutta: la mancanza del tempio dove Dio abita e la mancanza delle mura dove il popolo può vivere con sicurezza.
Il profeta è incoraggiato a parlare al cuore di questo popolo con parole che risvegliano la fiducia e fanno intravvedere più profondamente l’amore che Dio porta, immutabile e profondo. Nel frattempo è interessante ripensare al significato ebraico della parola « consolare »: è creare le condizioni per il superamento concreto della situazione di afflizione (ad es., Isacco si consola della perdita di sua madre, prendendo moglie; un marito consola la moglie per la perdita di un figlio, donandole una nuova gravidanza), ma Dio ha bisogno che gli si prepari una strada. Il cammino di liberazione è sempre impostato sulla forza di Dio e sulla collaborazione della libertà umana. Questa deve colmare carenze e abbassare eccessi, e quindi porre le condizioni per poter accogliere la presenza di Dio.
I versetti 6-8 parlano della fragilità dell’uomo, paragonato a erba che il vento secca. Il popolo è come erba, i potenti sono come erba, ma la parola di Dio dura sempre. Questa dà la vita, e vivifica e sostiene l’uomo, sia esso il popolo o il suo oppressore (l’interpretazione profetica dell’esilio è che esso è stato voluto da Dio che si è servito di Babilonia per convincere il popolo del suo peccato e così convertirsi).
Ma nelle mani di Dio il deserto diventa il luogo di una marcia trionfante, che pur richiede una preparazione interiore: occorre avere fede e speranza per potersi mettere in cammino in un deserto, luogo faticoso e pieno di pericoli. Occorre fidarsi di questa parola e obbedirgli: la via da preparare non è solo quella fisica, ma soprattutto del cuore, là dove risuona il lieto annuncio.
La figura di ciò è il Signore che viene con braccio potente e si presenta come un re
vittorioso che porta con sé il suo bottino, cioè il popolo liberato. Il Signore è raffigurato anche come un pastore che si prende cura amorevole del suo gregge. In particolare, è attento alla vita che si presenta negli agnellini incapaci ancora di camminare e nelle pecore che faticano a camminare perché hanno da poco partorito. E’ lui che porta a Gerusalemme il popolo che fatica a camminare nelle vie del Signore e che ha bisogno di continua cura. E’ il Signore che si manifesta nei profeti inviati e, in questo caso, per annunciare la consolazione.
Nelle vicende di Gesù questo testo è ripensato come la profezia su Giovanni Battista, nuovo profeta, disponibile e capace, per la sua coerenza, ad invitare ad aprire una strada accessibile, nel deserto.
Il popolo cammini nella forza del Signore e accolga la sua Parola « (vv 3-5), e, nello stesso tempo, incontri con facilità, su queste strade, la presenza di Dio che gli si fa incontro.
Posted by Gabriella at 16:04

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