Archive pour novembre, 2011

La nascita di Gesù nel silenzio (G. Claudio Bottini, SBF Jerusalem)

dal sito:

http://198.62.75.1/www1/ofm/sites/TSbtbott1.html

La nascita di Gesù nel silenzio

G. Claudio Bottini

Studio Biblico Francescano, Gerusalemme
 
Chi non ha mai ascoltato, e forse anche cantato, con commozione melodie natalizie come: « Che magnifica notte di stelle /… Quale pace divina, solenne / hai prescelto o Bambino— In notte placida / per muto sentier /… Nell’aura è il palpito / d’un grande mister — Fermarono i cieli / la loro armonia »? Sono versi che esprimono lo stupore attonito e la trepida attesa con cui tutto l’universo dovette accompagnare la venuta al mondo di Gesù, Figlio di Dio e di Maria. 
Probabilmente molti pensano che si tratti solo di un ingenuo abbellimento poetico del quadro natalizio: dinanzi al Dio Bambino tutti gli uomini tornano fanciulli in un mondo di sogno. Forse non tutti sanno che questo « motivo » è antichissimo e non è soltanto ispirato dalla poesia 
1. La tradizione apocrifa
Si sa che attorno al Natale son fioriti racconti popolari e leggende che, prendendo spunto dai Vangeli canonici, hanno dato origine a dei complessi cicli letterari. 
L’apocrifo « Protovangelo di Giacomo » o « Natività di Maria », molto antico e tanto diffuso, raccontando la nascita di Gesù, riferisce questa visione di Giuseppe: « Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell’aria e vidi l’aria colpita di stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l’alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso » (XVII 2-3; L. Moraldi, Apocrifi del N.T., Torino 1971,83). 
Questo tema della sospensione della vita nell’universo si ritrova pure in due testi gemelli sul vangelo della natività, in parte dipendenti dal « Protovangelo ». I codici « Arundel 404″ « Hereford 0.3.9″ riportano la tradizione nel racconto che ne fa l’ostetrica chiamata da san Giuseppe per assistere la Madonna: « Nel più grande silenzio, in quel momento si sono fermate, tremanti, tutte le cose: infatti cessarono i venti, non dando più il loro soffio, non s’è più mossa alcuna foglia degli alberi, non s’è più udito alcun rumore di acque, non scorsero più i fiumi, non ci fu più il flusso del mare, tacquero tutte le fonti di acqua, non risuonò più alcuna voce umana: c’era un grande silenzio. In quel momento, lo stesso polo cessò l’agile movimento del suo corso. Le misure delle ore erano quasi tramontate. Con timore grande, tutte le cose tacevano stupite, mentre noi eravamo nell’attesa della venuta della maestà, del termine dei secoli » (72; Moraldi, 139 e 181 ). 
Anche il « Vangelo armeno delI’infanzia » conosce il miracolo cosmico e lo racconta con vivacità: « E mentre (Giuseppe) camminava, vide che la terra si era sollevata e che il cielo si era abbassato, e alzò le mani come per toccare il punto in cui essi si congiungevano. E vide intorno a sé gli elementi intorpiditi e attoniti; i venti e l’aria del cielo, divenuti immobili, avevano interrotto il loro corso; gli uccelli e i volatili avevano trattenuto il loro volo. E, guardando a terra, vide una giara appena modellata: presso di essa era un vasaio che aveva impastato l’argilla e faceva il gesto di congiungere in aria le mani, ma quelle non si riavvicinavano. Tutti gli altri guardavano fisso in alto. Vide anche delle greggi condotte al pascolo: non avanzavano, non camminavano e non pascolavano. Il pastore brandiva il bastone e non poteva battere i montoni, ma teneva la mano sospesa in alto. Guardò pure un torrente in un burrone e vide dei cammelli che, passando di lì, tendevano la bocca sulle sponde del burrone e non mangiavano. Così, nel momento del parto della Vergine santa, tutti gli elementi restavano come immobili nel loro atteggiamento » (VIII, 10; C. Michel – P. Peeters, Evangiles Apochryphes, Paris 1911, 123s). Queste testimonianze mostrano che la tradizione era ampiamente diffusa e, di riflesso, che ad essa si dava importanza per il suo significato. Il fatto che la vita dell’universo si fermi come d’incanto al momento della nascita di Gesù indica la partecipazione cosmica, cioè di tutte le creature, all’avvenimento. 
Alla luce di paralleli rilevati in altre culture qualcuno ha parlato persino di derivazione di questo tema dalla religione indiana o dalla mitologia greca. Ma, a parte il fatto che un parallelo non implichi sempre e necessariamente una dipendenza, non sarebbe più spontaneo e più logico rifarsi alla tradizione biblica e giudaica antica? Gli studi recenti mostrano sempre più chiaramente che tanta parte della letteratura apocrifa cristiana ha attinto temi e metodo di interpretazione dal mondo biblico e giudaico. 
2. La tradizione biblica
Nella Bibbia assai spesso il silenzio e l’immobilità accompagnano le manifestazioni di Dio e i suoi interventi. Citiamo solo due testi, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare. 
Il Salmo 76,9s, parlando del giudizio salvifico di Dio, dice: « Hai fatto udire dai cieli la sentenza: la terra è sbigottita e tace, quando Dio si alza per giudicare, per recare salvezza agli umili della terra ». Il profeta Abacuc, contrapponendo la maestà del Dio vivente alla falsità degli idoli, proclama: « YHWH invece è nel suo santo tempio: faccia silenzio davanti a lui tutta la terra » (2,20; cf. pure Es 15,16; Lev 10, 3; Is 41,1; Sof 1,7; Zac 2,17; Apoc 8,1). In questi testi biblici il silenzio esprime, dunque, il timore, il rispetto e l’adorazione delI’uomo e della terra stessa dinanzi al Signore che si fa presente.
 
3. La tradizione giudaica antica
E’ noto che la tradizione giudaica ha arricchito e abbellito fatti e personaggi della Bibbia con commenti e tradizioni di carattere popolare. La aggadah, commento biblico di tipo edificante e esortativo, è presentata come una via per comprendere meglio la Parola divina e conoscerne l’Autore. Un detto rabbinico dichiara: « Se tu vuoi conoscere ‘Colui che parlò e il mondo esistette’ (Sal 33, 9), studia la aggadah, poiché attraverso di essa l’uomo conosce il Santo, Egli sia benedetto » (Sifré Deut 11,22). Un testo richiama l’attenzione, perché offre un interessante parallelo della leggenda natalizia degli Apocrifi. Il « Midrash Rabbâ », collezione di commenti al Pentateuco e ad altri libri biblici, descrivendo lo scenario nel quale Dio donò la Legge al suo popolo, riporta questa tradizione: « Rabbi Abbahu (300 ca.) diceva in nome di Rabbi Jochanan ( m. 279): Quando Dio diede la Legge nessun uccello cinguettava, nessun volatile volava, nessun bue muggiva, nessuno degli Ofanim (ruote del carro divino, cf. Ez 1,15ss) muoveva un’ala, i Serafini non dicevano ‘Santo, Santo, Santo’, il mare non mormorava, le creature tacevano, tutto l’universo era ammutolito in un silenzio senza respiro, e venne la voce: ‘Io sono il Signore tuo Dio’ (Es 20,2) » (Esodo Rabbâ 29,9 a 20,1). 
Poi il Midrash aggiunge che anche nella manifestazione di Dio sul monte Carmelo, al tempo di Elia (cf. 1 Re 18,20-40), tutto l’universo restò attonito, in silenzio. Quindi richiamandosi a Rabbi Simeone ben Lachish (250 ca.), il testo rabbinico conclude: « (Se vi fu silenzio allora), quanto più naturale che nel momento in cui Dio parlò sul monte Sinai, tutto l’universo restasse in silenzio, così che tutte le creature potessero conoscere che non vi era altro (Dio) al di fuori di Lui » (ivi). 
E’ interessante notare che in questa tradizione la sospensione cosmica della vita ha un chiaro significato teologico. Il silenzio e l’immobilità di tutte le creature del cielo e della terra manifestano all’uomo la rivelazione del Dio unico.
 
Conclusione
La leggenda natalizia apocrifa, letta sullo sfondo biblico e giudaico qui presentato, forse si comprende meglio nel suo linguaggio e significato. Al momento della nascita di Gesù a Betlemme tutte le cose sulla terra, arrestandosi in un improvviso silenzio, ne avvertono e ne rivelano la venuta nel mondo. Certo, un racconto popolare con caratteri leggendari, ma pure con un toccante significato teologico. La liturgia del tempo natalizio sembra aver raccolto, almeno in parte, questo tema. Facendo uso del senso accomodatizio essa applica all’Incarnazione del Verbo e alla nascita di Gesù questo testo del libro della Sapienza: « Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale » (18,14s; cf. Messale e Breviario romano, Tempo di Natale). 
Forse S. Ignazio di Antiochia, martire a Roma nel 107, ricordava anche questa tradizione scrivendo ai cristiani di Efeso: « E la verginità di Maria, come pure il parto di lei, furono nascosti al demonio e così anche la morte del Signore; tre misteri di gloria, che furono compiuti nel silenzio » (Efes. 19). I maestri della vita spirituale e i mistici di tutti i tempi hanno fatto proprio il tema poetico e biblico-teologico. Il silenzio, nella loro esperienza e dottrina, è l’atteggiamento con cui il cristiano deve ascoltare e accogliere la grande Parola, che il Padre ha detto in un silenzio eterno, cioè il Suo Figlio Gesù Cristo.

San Colombano

San Colombano dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 22 novembre, 2011 |Pas de commentaires »

Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, XIII, 1; XLIX,1 – L, 1.

dal sito:

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010627_clemente_it.html

Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, XIII, 1; XLIX,1 – L, 1.  
 
L’ umiltà
XIII, 1. « Coltiviamo, dunque, fratelli, sentimenti di umiltà mettendo da parte (Gc 1,21) ogni sorte di baldanza, boria, stoltezza ed ira e facciamo ciò che è scritto nella Bibbia. Dice infatti lo Spirito Santo: «Il saggio non si glori della sua saggezza, né il forte della sua forza, né il ricco della sua ricchezza, ma chi si gloria, si glori nel Signore, di ricercarlo e di praticare il diritto e la giustizia» (Cf. Ger. 9,23-24; 1Sam 2, 10; 1Cor. 1, 31; 2Cor. 10,17). Ricordiamo soprattutto le parole che il Signore Gesù disse quando insegnava la mitezza e la magnanimità. 2. Così infatti disse: «Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate per essere perdonati; come farete, così sarà fatto a voi; come date, così sarà dato a voi; come giudicate, così sarete giudicati; come praticate la benevolenza, così sarà praticata a voi; la misura con la quale misurate, con la stessa sarà misurato a voi» (Cf. Mt. 6,14-15; 7,1-2,12; Lc. 6,31,36-38). 3. Rafforziamoci in questo comandamento e in questi precetti, per procedere umili ed ubbidienti alle sue sante parole. Dice infatti la sua santa parola: 4. «A chi volgerò il mio sguardo, se non al mite, al pacifico e a chi teme le mie parole?» (Is. 66,2). »

La carità
XLIX, 1, « Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. 2. Chi può descrivere il vincolo della carità (Cf. Col. 3,14) di Dio? 3. Chi è capace di esprimere la maestà della sua bellezza? 4. L’altezza, cui conduce la carità, è ineffabile. 5. La carità ci unisce saldamente a Dio: «La carità copre una moltitudine di peccati» (Cf. 1Pt. 4,8; Giac. 5,20). La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non separa, la carità non fomenta ribellioni, la carità compie tutto nell’armonia. Nella carità arrivarono alla perfezione tutti gli eletti di Dio. Senza la carità nulla è gradito a Dio. 6. Nella carità il Signore ci ha accolto. Per la carità, che ebbe verso di noi, Gesù Cristo nostro Signore, secondo la volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne, la sua anima per la nostra anima.
L, 1. Vedete, carissimi, che cosa grande e meravigliosa è la carità, e la sua perfezione supera ogni commento. 2. Chi merita di trovarsi in essa, se non colui che Dio ha reso degno? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia di essere trovati nella carità, senza umane preferenze, irreprensibili. 3. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità, raggiungono la schiera di coloro che saranno manifestati all’avvento del regno di Cristo. 4. Infatti è scritto: «Entrate nelle vostre stanze per pochissimo tempo, finché passi la mia ira e il mio sdegno; mi ricorderò del giorno buono e vi farò uscire dai vostri sepolcri». 5. Siamo beati, o carissimi, se continuiamo a osservare i comandamenti di Dio nella concordia della carità, affinché per la carità ci siano rimessi i peccati. 6. E’ scritto: «Beati coloro, le cui iniquità sono state rimesse e i cui peccati sono stati coperti; beato l’uomo, del cui peccato il Signore non tiene conto e nella cui bocca non c’è 1′inganno» (Cf. Sal. 32(31),1-2; Rom. 4,7-8). 7. Questa beatitudine (Rm 4,9) è per coloro che Dio ha eletto per mezzo dì Gesù Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen! »

Preghiera

Ti preghiamo, o Signore,
d’essere nostro soccorso e nostro sostegno.
Salva quelli tra noi che sono nella tribolazione,
rialza i caduti,
mostrati ai bisognosi,
guarisci gli infermi,
riconduci i traviati del tuo popolo,
sazia gli affamati,
libera i nostri prigionieri,
solleva i deboli,
consola i pusillanimi;
conoscano tutte le genti che tu sei l’unico Dio
e che Gesù Cristo è il tuo servo,
e noi tuo popolo e pecore del tuo pascolo.

Non contare ogni peccato dei tuoi servi e delle tue serve,
ma purificaci nella purificazione della verità
e dirigi i nostri passi
per camminare nella santità del cuore
e fare ciò che è buono e gradito al tuo cospetto
e al cospetto dei nostri capi.

Sì, o Signore, fa’ splendere il tuo volto su di noi
per godere il bene nella pace,
per proteggerci con la tua mano potente
e scamparci da ogni peccato con il tuo braccio eccelso,
e salvarci da coloro che ci odiano ingiustamente.

Tu solo puoi compiere questi beni
e altri più grandi per noi,
a Te noi diamo lode per mezzo del gran sacerdote
e patrono delle anime nostre, Gesù Cristo,
per il quale a Te sia la gloria e la magnificenza
e ora e di generazione in generazione e nei secoli dei secoli.

Amen.

Clemens I, Papa, sec. I.

 a cura della Pontificia Facoltà Teologica «Marianum»
Roma                        

23 novembre : San Clemente Romano papa (mf)

dal sito:

http://www.enrosadira.it/santi/c/clementeromano.htm

23 novembre : San Clemente Romano papa (mf)
 
Clemente, romano, era un discepolo di San Paolo e suo collaboratore a Filippi. Fu nominato vescovo da San Pietro. La tradizione lo presenta figlio del senatore Faustino della gens Flavia, parente quindi dell’imperatore Domiziano. Quest’ imperatore nel 95 scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani. La persecuzione stessa fece molte vittime illustri come ad esempio il console Flavio Clemente, marito di Domitilla, nipote di Domiziano. Altra vittima di rilievo fu San Giovanni Evangelista che però uscì indenne dal martirio dell’olio bollente. Fu quindi esiliato nell’isola di Patmos dove scrisse la sua Apocalisse. Clemente fu Papa dall’88 al 97. Nel 96 scoppiò un conflitto nella chiesa di Corinto: un gruppo di giovani ecclesiasti contestò a diversi presbiteri la direzione della comunità di quella città. Clemente con una lettera li richiamò alla necessità di obbedire alle autorità tradizionali della chiesa, esortandoli a fuggire i falsi dottori. La lettera fu accolta con grande rispetto e diventò oggetto di meditazione nella celebrazione della messa domenicale (la famosa Lettera ai Corinti). E’ il primo testo che afferma la superiorità del vescovo di Roma su tutte le chiese sparse per il mondo. Sotto il pontificato di Clemente I il cristianesimo fece nuovi proseliti e si sviluppò sempre più in Oriente; a Roma Clemente stesso operò con impegno il suo apostolato. Nel 97 l’imperatore Nerva esiliò il Papa di cui parliamo nel Chersoneso. Nel Ponto Eusino egli svolse opera di apostolato, a Roma lo sostituì il pontefice Evaristo. Nella terra d’esilio Clemente I s’incontrò con circa 2000 cristiani condannati ai lavori forzati nelle cave di marmo e li incoraggiò ad aver fede; compì nuove conversioni e la notizia irritò il nuovo imperatore Traiano. Gli venne ordinato di sacrificare agli dei e Clemente ovviamente rifiutò. Venne eseguita la condanna; fu gettato nel mar Nero con un’ancora al collo. Questo avvenne nell’anno 100. Il Papa è autore di diversi miracoli. Ad esempio la leggenda narra che le acque del mare si aprissero una volta all’anno permettendo ai fedeli, una prima volta, di costruire una cappella intorno alle sue reliquie, e negli anni seguenti di scendere in processione, facendo ben attenzione ad uscire prima che le acque si richiudessero. Un anno una madre smarrì il suo unico figlioletto e l’anno dopo tornata in processione lo ritrovò sano e salvo. Nel 869 il corpo di San Clemente fu portato a Roma da San Cirillo e San Metodio e definitivamente tumulato nella sua basilica. A Collelungo (frazione di Casaprota) c’è una chiesa dedicata a San Clemente (patrono del paese), eretta secondo la tradizione sui resti della villa di Faustino, suo genitore. La chiesa oggi si trova all’interno del cimitero di Collelungo, a pochi km dal centro abitato, sopra una collina limitrofa. Nella chiesa dedicata al pontefice c’è un grande affresco che raffigura il Santo datato MDCXIII. All’interno della chiesa parrocchiale di Collelungo c’è invece un altare dedicato a San Clemente. L’altare stesso ha un busto del pontefice ed una tela antica che raffigura il Santo in ginocchio di fronte all’Eterno e ai suoi piedi si vede il castrum di Collelungo. All’interno della chiesa parrocchiale c’è anche una statua del Santo, un affresco del pontefice ed una pittura che raffigura il busto sempre di San Clemente.

[ Testo di Andrea Del Vescovo ]

Clemente di Roma ebbe molta autorità nell’antichità cristiana. Dei suoi scritti è però giunta sino a noi la sola Lettera ai Corinti. L’autore di questa lettera viene identificato sia da Origene, che da Eusebio e Girolamo, con il « collaboratore » di San Paolo, nominato nell’epistola ai Filippesi [4, 3]. Secondo Ireneo, Clemente sarebbe stato il terzo successore di Pietro sulla cattedra di Roma, nell’ordine dopo Pietro: Lino, Cleto e Clemente, ma Tertulliano afferma che Clemente fu ordinato dallo stesso Pietro. Epifanio spiega la contradizione affermando che Clemente fu sì consacrato da Pietro, ma per amore della pace venne scelto come primo successore di Pietro, Lino. La cosiddetta prima lettera di Clemente venne già utilizzata e citata nella lettera di San Policarpo, e fu evidentemente composta negli ultimi anni dell’impero di Domiziano o poco dopo. Il motivo della composizione di questa lettera ai Corinti, furono i disordini scoppiati nella comunità cristiana della città greca, dove alcuni giovani membri si erano ribellati ai presbiteri e li avevano destituiti.
Clemente I papa, romano, (88-97), santo, sue reliquie, unitamente a quelle di S. Ignazio, sono nell’urna posta sotto l’altare maggiore della chiesa a lui intitolata. Il corpo vi fu riposto, nel corso di una solenne cerimonia celebrata dal pontefice, nel giugno del 1727. I suoi resti, trovati in Crimea nel 862 da S. Cirillo furono, cinque anni dopo, qua sepolti dallo stesso santo. Fino al secolo scorso si esponeva un suo braccio nella sagrestia.
M.R.: 23 Novembre – Il natale di San Clemente primo, Papa e martire, il quale fu il terzo che tenne il Pontificato dopo il beato Pietro Apostolo, e, nella persecuzione di Traiano, relegato nel Chersoneo, ivi, precipitato in mare con un’ancora legata al collo, fu coronato col martirio. Il suo corpo, al tempo del Sommo Pontefice Adriano secondo, fu trasportato a Roma dai santi fratelli Cirillo e Metodio, ed onorevolmente sepolto nella chiesa, che già prima era stata edificata sotto il suo nome.

[Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

23 NOVEMBRE 2011 – SAN COLOMBANO (mf)

dal sito:

http://it.wikipedia.org/wiki/Colombano_di_Bobbio

23 NOVEMBRE 2011 – SAN COLOMBANO (mf)

San Colombano (Navan, 542 circa – Bobbio, 23 novembre 615) è stato un monaco, abate e missionario irlandese, noto per aver fondato numerosi monasteri e chiese in Europa.
È conosciuto anche con altri nomi, impropri e più rari, quali san Colombano di Luxeuil (in Francia) o san Colombano di Bobbio o san Columba il Vecchio. In gaelico è chiamato Colum.
Tramite le sue numerose fondazioni contribuì alla diffusione in Europa del monachesimo irlandese. Stabilì una regola monastica che in seguito si assimilò a quella benedettina e fu definitivamente abrogata anche formalmente nel 1448 da papa Niccolò V. Introdusse con il Paenitentiale l’uso della confessione privata in sostituzione di quella pubblica per il sacramento della penitenza.
Papa Benedetto XVI lo ha definito « santo europeo »[1]. Infatti, San Colombano stesso scrive in una lettera[2] che gli europei devono essere un unico popolo, un « corpo solo » che viene unito da radici cristiane in cui le barriere etniche e culturali vanno superate; inoltre usa per la prima volta l’espressione latina « totius Europae »[3][4].

È santo patrono dei motociclisti[5].

Biografia
Colombano nacque tra il 540 e il 543 nella cittadina di Navan, nel Leinster (Irlanda centro-orientale).
Secondo la leggenda agiografica della sua vita, la madre, in attesa della sua nascita, avrebbe visto un sole uscire dal suo seno per recare al mondo una grande luce.
Formazione e vita monastica in Irlanda [modifica]
Colombano andò a scuola presso un maestro laico (fer-lèighin), apprendendo a leggere e a scrivere. Come gli altri giovani si occupava inoltre dei lavori della famiglia (allevamento del bestiame, conciatura delle pelli, caccia e pesca) e apprese anche a cavalcare e ad usare l’arco e la spada.
A quindici anni decise di farsi monaco, nonostante l’opposizione della madre. Abbandonò la famiglia e si recò al monastero di Clinish Island (Cluane Inis, in gaelico), sull’isola di Cleen dei laghi Lough Erne, dove venne accolto dall’abate Sinneill, che aveva studiato nel monastero di Clonard con Columba di Iona (Columcille). Qui Colombano studiò le Sacre Scritture e apprese il latino.
La Targa di San Colombano in bronzo posta nel giardino dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio
Terminati gli studi si trasferì presso il monastero di Bangor (Irlanda del Nord), dove sotto la guida dell’abate Comgall si praticava una stretta disciplina ascetica e la mortificazione corporale. Secondo la tradizione monastica irlandese, Colombano decise di seguire la peregrinatio pro Domino, partendo per fondare altri monasteri e diffondere la fede cristiana.

Arrivo in Francia e monasteri in Borgogna
Partito da Bangor verso il 590, all’età di 50 anni, imbarcandosi con 12 monaci suoi compagni del monastero di Bangor: Gall (san Gallo), Autierne, Cominin, Eunoch, Eogain, Potentino, Colum (Colomba il giovane), Deslo, Luan, Aide, Léobard, e Caldwald.
Visitò l’isola di Man e la piccola isola di San Patrizio, che secondo la leggenda custodiva la tomba di Giuseppe di Arimatea sepolto assieme al Santo Graal[6].
Sbarcato quindi in Cornovaglia, visitò il monastero di Bodmin Moor fondato da san Gonion. Percorrendo l’antica strada romana che collegava Padstow con Fowey e Lostwithiel, visitò anche Tintagel e arrivò a Plymouth, da dove si imbarcò nuovamente per la Bretagna.
Approdò nella Francia merovingia nei pressi di Saint-Malo e di Mont-Saint-Michel, nel luogo dove in seguito venne posta una grande croce. Si recò quindi a Rouen, Noyon e Reims in Austrasia e passò in Burgundia dove regnava il re Gontrano. Grazie alle concessioni del re fondò tre monasteri (Annegray, Luxeuil e Fontaines).
Ad Annegray san Colombano e i suoi compagni riadattarono un antico castello diroccato, ed edificarono un monastero tra il 591 ed il 592, con una chiesa dedicata a san Martino di Tours. All’inizio i monaci vissero di elemosina e questue, ma in seguito si dedicarono anche alla coltivazione dei campi. San Colombano si ritirava nelle grotte dei dintorni per vivervi da eremita.
La comunità monastica si ingrandì e fu presto necessario creare un nuovo centro monastico a 8 miglia verso sud-est, presso le rovine della città termale di Luxeuil-les-Bains, dove venne costruito un monastero con una chiesa dedicata a San Pietro. Un altro monastero, con una chiesa dedicata a San Pancrazio, venne fondato anche a Fontaines.
San Colombano si trasferì nel 593 a Luxeuil, da dove diresse i tre monasteri con i suoi priori. Vi scrisse due regole, la Regula monachorum e la Regula cenobialis, e il Paenitentiale. La vita monastica era basata su pratiche ascetiche e sulla penitenza e comprendeva inoltre la pratica della lettura e scrittura quotidiane dei monaci, per alimentarne lo spirito: nei monasteri vennero anche fondati scriptoria.
I monasteri entrarono in conflitto agli inizi del VII secolo con l’episcopato francese: Colombano desiderava seguire le tradizioni della propria terra di origine ed ebbe particolare rilievo il differente calcolo della data della Pasqua. Colombano entrò in conflitto per questo motivo con il re merovingio della Burgundia Teodorico II, mentre Brunechilde, nonna del re, fu fortemente irritata dalle sue critiche sul proprio comportamento. Nel 609 Colombano fu espulso da Luxeuil e fu messo in carcere a Besançon, da dove però, allentatasi la sorveglianza riuscì a fuggire per tornare a Luxeuil. Nuovamente arrestato, nel 610 fu condotto in barca lungo la Loira verso Nantes, da dove avrebbe dovuto ritornare per mare verso l’Irlanda con i suoi dodici compagni.
Secondo la leggenda agiografica durante il viaggio, giunti presso Tours, essendogli stato negato dai soldati il permesso di visitare la tomba di san Martino, il battello si diresse miracolosamente verso l’approdo, dove si incagliò e i soldati riuscirono a muoverlo di nuovo solo dopo che gli fu concesso quanto desiderava. A Nantes l’assoluta mancanza di vento impedì la partenza verso l’Irlanda e quando la scorta si fu miracolosamente addormentata, Colombano, sfuggì di nuovo alla sorveglianza.
Neustria e Austrasia
Sfuggito al re burgundo, Colombano passò quindi in Neustria, verso Rouen, Soissons e Parigi. Qui regnava Clotario II, che gli concesse la sua protezione.
In Neustria santa Fara (Borgundofara), figlia di amici di Colombano, fondò l’abbazia femminile di Faremoutiers, mentre il santo e i suoi compagni e seguaci fondarono altri monasteri, tra i quali Remiremont, Rebais, Jumièges, Noirmoutier, Saint-Omer.
Colombano si spostò quindi nel 611 alla corte di Teodeberto II, re d’Austrasia, passando per le città di Coblenza, Magonza, Strasburgo, Basilea e Costanza. Il re lo invitò ad evangelizzare le terre ancora pagane dei Sassoni e degli Alemanni lungo il fiume Reno e Colombano fondò un nuovo monastero a Bregenz, sulla riva del lago di Costanza, l’eremo di Sant’Aurelia.

In Italia
Nel 612 Colombano decise di recarsi a Roma, per ottenere l’approvazione della propria regola da parte del papa Bonifacio IV. Lungo il cammino il suo discepolo san Gallo fu costretto a fermarsi perché ammalato e fondò in quel luogo l’abbazia di San Gallo.
Secondo la leggenda agiografica per essersi voluto fermare in seguito alla malattia, Colombano avrebbe imposto al discepolo di non celebrare più messa fino alla sua morte. Nel momento della morte di Colombano, Gallo avrebbe avuto in sogno la visione di Colombano che in forma di colomba bianca saliva al cielo e avrebbe celebrato dunque la sua prima messa in suo onore.
Colombano nel valicare le Alpi per giungere in Italia, attraversò il Passo del Settimo (o Septimer Pass).
Giunto a Pavia, Colombano si pose sotto protezione del re longobardo Agilulfo, che era tuttavia ariano, e della regina Teodolinda, che gli chiesero un suo intervento nella spinosa questione tricapitolina. In cambio il santo ottenne la possibilità di creare sul suolo demaniale un nuovo centro di vita monastica. Il luogo, segnalato da un certo Giocondo, venne esaminato dalla stessa regina Teodolinda, salita sulla vetta del monte Penice, la quale chiese al santo di dedicare alla Madonna la piccola chiesetta in cima alla vetta, futuro santuario di Santa Maria.
L’area si trovava nel cuore dell’Appennino in una zona fertile e molto produttiva, dove abbondavano acque correnti e c’era pesce in quantità. Nella zona si trovavano anche antiche terme e sorgenti, sia termali che saline da cui si traeva il sale. La scelta del luogo ne faceva un avamposto religioso e politico controllato dal regno longobardo verso le terre liguri, ancora bizantine. Con il documento del 24 luglio del 613 che donava a Colombano il territorio per fondarvi il nuovo monastero, vennero attribuiti a questo anche la metà dei proventi delle saline del luogo, che appartenevano in precedenza al duca Sundrarit.
Colombano giunse a Bobbio nell’autunno del 614 con il proprio discepolo Attala, riparò l’antica chiesa di San Pietro (situata dove ora vi è il castello malaspiniano) e vi costruì attorno delle strutture in legno, che costituirono il primo nucleo dell’abbazia di San Colombano.
Secondo la leggenda agiografica, nonostante la presenza di una fitta boscaglia, che ostacolava il trasporto dei materiali da costruzione, san Colombano avrebbe sollevato i tronchi come fuscelli, facendo il lavoro di trenta o quaranta uomini. La leggenda riferisce anche dell’episodio dell’orso e del bue, che fu in seguito numerose volte raffigurato nell’arte: un orso uscito dalla foresta avrebbe ucciso uno dei due buoi aggiogato all’aratro di un contadino, ma san Colombano avrebbe convinto l’orso a lasciarsi aggiogare all’aratro per terminare il lavoro al posto del bue ucciso.
Nella quaresima del 615 Colombano si ritirò nell’eremo di San Michele presso Coli, lasciando a Bobbio come suo vice Attala, e tornando al monastero solo alla domenica. Qui gli giunse la visita di Eustasio, suo successore a Luxeuil, inviato dal re Clotario II, il quale aveva nel frattempo riunito sotto il suo dominio i tre regni merovingi precedentemente esistenti e desiderava il suo ritorno in Francia.
Colombano morì a Bobbio, nell’abbazia che aveva fondato, all’età di 75 anni, la domenica 23 novembre del 615. Come secondo abate del monastero gli succedette Attala (615-627). La sua tomba si trova tuttora nella cripta dell’abbazia insieme a quelle degli abati suoi successori (Attala, Bertulfo, Bobuleno e Cumiano e di altri diciotto monaci e di tre monache.
Giona, monaco nell’abbazia di San Colombano a Bobbio, fu incaricato dall’abate Attala di scrivere una biografia in latino del santo che è la fonte principale per le vicende della sua vita.

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PRESENTAZIONE AL TEMPIO DELLA VERGINE (1550 – 1553) [Jacopo Tintoretto (1518-1594)]

PRESENTAZIONE AL TEMPIO DELLA VERGINE (1550 - 1553) [Jacopo Tintoretto (1518-1594)] dans immagini e testi, tintoretto_presentazione_tempio

dal sito:

http://www.madonnadellorto.org/desc_quadri/mdo_4.php

Parrocchia della Madonna dell’Orto
 
opere d’arte nella chiesa della Madonna dell’Orto:

PRESENTAZIONE AL TEMPIO DELLA VERGINE (1550 – 1553)

Jacopo Tintoretto (1518-1594)

Il dipinto, ispirato ai Vangeli apocrifi della Natività di Maria, era diviso in due comparti e costituiva la parte esterna delle portelle dell’antico organo qui ubicato; la parte interna delle portelle era costituita dalle tele poste nell’abside: IL MARTIRIO DI SAN PAOLO e LA VISIONE DELLA CROCE DI SAN PIETRO. Pietro e Paolo furono raffigurati uno accanto all’altro in quanto ritenuti i principali apostoli della Fede martirizzati nello stesso giorno dell’anno 64 in Roma.
E’ uno dei capolavori del Tintoretto e raffigura la Vergine bambina dinanzi al sommo sacerdote Zaccaria che solennemente l’attende alla sommità dei quindici gradini che salgono al Tempio. Il numero dei gradini, decorati con delicati arabeschi dorati (sembra che il Tintoretto si sia ispirato alla Scala dei Giganti in Palazzo Ducale), allude ai 15 salmi graduali (dal salmo 120 al salmo 134) che venivano recitati dai pellegrini che salivano a Gerusalemme.
Lo sguardo severo del sacerdote, che veste gli abiti pontificali, si contrappone alla dolcezza della bimba la cui figura è esaltata da un contorno di luce accentuato dalle oscure figure di mendicanti e storpi posti sul lato sinistro della scala, sopra i quali alcuni farisei stanno scrutando con aria attonita la giovane fanciulla. Alcune donne rivolgono lo sguardo alla fanciulla, quasi sollevata nello slancio prospettico della scala, indicata da una madre alla propria bimba all’inizio dei gradini.
Tutta la tensione dinamica del dipinto si concentra sulla bimba, leggermente decentrata rispetto all’insieme del quadro equilibrato dalla figura del vecchio in movimento posto sul lato sinistro e della donna in primo piano. Sul fondo si intravede un obelisco, simbolo della potenza, collocato in prossimità della Vergine quasi per anticipare la futura grandezza dell’umile Ancella del Signore.
La luce che irradia metà della composizione, in diagonale da sinistra a destra, dà una grande forza espressiva alla scena.
Per la bambina passavano intanto i mesi. Giunta che fu l’età di due anni, Gioacchino disse a Anna: « Per mantenere la promessa fatta, conduciamola al tempio del Signore, affinché il Padrone non mandi contro di noi e la nostra offerta riesca sgradita ». Anna rispose: « Aspettiamo il terzo anno, affinché la bambina non cerchi poi il padre e la madre ».
Gioacchino rispose: « Aspettiamo ». Quando la bambina compì i tre anni, Gioacchino disse: « Chiamate le figlie senza macchia degli Ebrei: ognuna prenda una fiaccola accesa e la tenga accesa affinché la bambina non si volti indietro e il suo cuore non sia attratto fuori del tempio del Signore ».
Quelle fecero così fino a che furono salite nel tempio del Signore. Il sacerdote l’accolse e, baciatala, la benedisse esclamando: « Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni. Nell’ultimo giorno, il Signore manifesterà in te ai figli di Israele la sua redenzione ». La fece poi sedere sul terzo gradino dell’altare, e il Signore Iddio la rivestì di grazia; ed ella danzò con i suoi piedi e tutta la casa di Israele prese a volerle bene
Dal Vangelo di Giacomo (apocrifo – sec. II)
 

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22 novembre : Santa Cecilia

dal sito:

http://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Cecilia

22 novembre : Santa Cecilia

Santa Cecilia (Roma, II secolo – Roma, III secolo) è stata una santa romana.
Il suo culto è molto popolare poiché Cecilia è la patrona della musica, dei musicisti e dei cantanti. Viene festeggiata il 22 novembre.

Secondo la tradizione, Cecilia sarebbe nata da una nobile famiglia a Roma. Sposata al nobile Valeriano, gli avrebbe comunicato il suo voto di perpetua verginità. La prima notte di nozze infatti ella gli disse: «Nessuna mano profana può toccarmi, perché un angelo mi protegge. Se tu mi rispetterai, egli ti amerà, come ama me». Valeriano accettò e si convertì al cristianesimo (in seguito anche il fratello di lui, Tiburzio, si convertì al cristianesimo), divenendo, come la moglie, un fedele di papa Urbano I. Ma la persecuzione verso i cristiani infuriava e i due vennero decapitati, probabilmente ad opera del Prefetto della città, Almachio. La testa di Cecilia, però, resiste ai colpi di spada: Dio le concesse di non morire prima di aver rivisto il Papa per l’ultima volta.
Cecilia venne sepolta nelle catacombe di San Callisto.
La Legenda Aurea narra che papa Urbano I, che aveva convertito il marito di lei Valeriano ed era stato testimone del martirio, «seppellì il corpo di Cecilia tra quelli dei vescovi e consacrò la sua casa trasformandola in una chiesa, così come gli aveva chiesto».[1]

CULTO
Nell’821 le sue reliquie furono fatte trasportare da papa Pasquale I nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere.
Nel 1599, durante i restauri della basilica ordinati dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati in occasione dell’imminente Giubileo del 1600, venne ritrovato un sarcofago con il corpo di Cecilia sorprendentemente in un ottimo stato di conservazione.
Il cardinale allora commissionò a Stefano Maderno (1566-1636) una statua che riproducesse quanto più fedelmente l’aspetto e la posizione del corpo di Cecilia così com’era stato ritrovato; questa è la statua che oggi si trova sotto l’altare centrale della chiesa.

PATRONA DELLA MUSICA
È quanto mai incerto il motivo per cui Cecilia sarebbe diventata patrona della musica. In realtà, un esplicito collegamento tra Cecilia e la musica è documentato soltanto a partire dal tardo Medioevo.
La spiegazione più plausibile sembra quella di un’errata interpretazione dell’antifona di introito della messa nella festa della santa (e non di un brano della Passio come talvolta si afferma). Il testo di tale canto in latino sarebbe: Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat dicens: fiat Domine cor meum et corpus meum inmaculatum ut non confundar (« Mentre suonavano gli strumenti musicali (?), la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa »). Per dare un senso al testo, tradizionalmente lo si riferiva al banchetto di nozze di Cecilia: mentre gli strumenti musicali (profani) suonavano, Cecilia cantava a Dio interiormente. Da qui il passo ad un’interpretazione ancora più travisata era facile: Cecilia cantava a Dio… con l’accompagnamento dell’organo. Si cominciò così, a partire dal XV secolo (nell’ambito del Gotico cortese) a raffigurare la santa con un piccolo organo portativo a fianco.
In realtà i codici più antichi non riportano questa lezione dell’antifona (e neanche quella che inizierebbe con Canentibus, sinonimo di Cantantibus), bensì Candentibus organis, Caecilia virgo…. Gli « organi », quindi, non sarebbero affatto strumenti musicali, ma gli strumenti di tortura, e l’antifona descriverebbe Cecilia che « tra gli strumenti di tortura incandescenti, cantava a Dio nel suo cuore ». L’antifona non si riferirebbe dunque al banchetto di nozze, bensì al momento del martirio.
Dedicato alla santa, nel XIX secolo sorse il cosiddetto Movimento Ceciliano, diffuso in Italia, Francia e Germania. Vi aderirono musicisti, liturgisti e altri studiosi, che intendevano restituire dignità alla musica liturgica sottraendola all’influsso del melodramma e della musica popolare. Sotto il nome di Santa Cecilia sorsero così scuole, associazioni e periodici.
Cecilia, in quanto patrona della musica e musicista lei stessa ha ispirato più di un capovolavoro artistico, tra cui l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, oggi a Bologna (una copia della quale, realizzata da Guido Reni, si trova nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Ricordiamo anche la Santa Cecilia di Rubens (a Berlino), del Domenichino (a Parigi), di Artemisia Gentileschi.
In letteratura, Cecilia è stata celebrata specialmente nei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, in un’ode di John Dryden poi messa in musica da Haendel nel 1736, e più tardi da Hubert Parry (1889). Altre opere musicali dedicate a Cecilia includono l’Inno a santa Cecilia di Benjamin Britten, un Inno per santa Cecilia di Herbert Howells, la nota Missa Sanctae Ceciliae di Joseph Haydn, una messa di Alessandro Scarlatti, la Messe Solennelle de Sainte Cécile di Charles Gounod, Hail, bright Cecilia! di Henry Purcell e l’Azione sacra in tre episodi e quattro quadri di Licinio Refice (su libretto di Emidio Mucci), Cecilia (1934), e « Cecilia, vergine romana » cantata di Arvo Part.

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