Assumption of Mary – Archdiocese of Boston

dal sito:
http://www.nostreradici.it/giudeocristiani.htm
CRISTIANI DI ORIGINE GIUDAICA, UN’ESPERIENZA SEPOLTA?
2.3. L ‘ambiente giudeocristiano dell’apocrifo «Transitus Mariae»
L’accenno a Maria nell’apocrifo di Giovanni apre una nuova problematica particolarmente interessante, quella del ruolo della Madre di Cristo nella letteratura attribuibile all’ambiente giudeocristiano. Il racconto degli ultimi giorni della vita di Maria, della sua dormizione morte e dell’assunzione al cielo, ha trovato un’accoglienza tutta particolare nella letteratura cristiana di edificazione. Oggi conosciamo ben 67 apocrifi che hanno a tema il racconto, chiamato Transitus Mariae. Essi hanno avuto uno straordinario successo di diffusione in varie recensioni nelle chiese di Oriente e di Occidente. Gli studi sull’apocrifo della Dormizione hanno raggiunto una nuova svolta con la monografia di F. Manns dedicata allo studio storico-letterario del manoscritto greco della Biblioteca Vaticana.17 L’ autore adduce prove convincenti, a livello sia linguistico che contenutistico, per la sua datazione tra il II e IV sec., sicuramente prima del concilio di Nicea. L’ ambiente di origine dell’apocrifo è da cercare in Palestina, nelle comunità vicine all’insegnamento dell’apostolo Giovanni, di cultura e mentalità giudaica.18 Ma Manns distingue tra la data d’origine del racconto e la tradizione che ne ha veicolato il contenuto a livello orale: questa risalirebbe certamente a un periodo più remoto. L’ apocrifo fa uso dei simboli legati alla festa delle Capanne (succot) e presenta Maria come una donna che osserva le prescrizioni della Legge: ad es. fa il bagno rituale in una miqueh (ambiente per i bagni rituali prescritti per le varie circostanze) nella vigilia della festa. Il linguaggio teologico dell’apocrifo, che è quello della comunità giovannea, risulta molto vicino alla Bibbia e all’ermeneutica dei midrashim. Il racconto dell’assunzione di Maria al cielo segue da vicino lo schema assunzionista comune agli apocrifi dell’ AT come la Vita di Adamo e di Eva, il Testamento di Abramo e il Testamento di Giobbe. Tutto questo farebbe pensare all’apocrifo della Dormizione di Maria come a un Testamento ispirato a Gv 19,27. L’ambiente delle «comunità giovannee in Palestina», conclude Manns, «ha conservato un vivo interesse per la sorte finale di Maria, fino a metterne per iscritto il racconto, approfondendo le Scritture alla maniera dei midrashim e ricorrendo a motivi apocalittici propri della letteratura giudaica».19
Queste conclusioni sono importanti in quanto rimettono in questione la tradizionale definizione degli apocrifi, e in quanto aprono il discorso sulla tradizione cristiana orale coltivata negli ambienti giudaici. Infatti, è proprio sulla base del racconto della Dormizione che si dovrebbe ridefinire la categoria « apocrifo ». Il termine non va cioè inteso come il contrario di « canonico », bensì come un’espressione letteraria diversa da quella « canonica », spesso complementare a quella e appartenente agli ambienti cristiani ortodossi. Questi scritti, intaccati ben presto da errori dottrinali, sono stati poi esclusi, in tempi successivi, dalla letteratura religiosa della Grande Chiesa.
Per quanto riguarda l’apocrifo in questione, esso sarebbe da attribuire a cristiani provenienti dalla sinagoga, ed esprimerebbe, con il ricorso a categorie e generi letterari giudaici, un’ antica tradizione delle comunità cristiane di Gerusalemme, che avevano una venerazione particolare per Maria, celebravano la sua Dormizione e conservavano il ricordo della sua tomba.
Si può allora affermare che l’apocrifo ci trasmette dei ricordi autentici sulla fine della vita di Maria a Gerusalemme? È difficile poterlo dimostrare in un racconto midrashico, dove possono sì esistere dati storici autentici, ma essi essendo subordinati, in questo tipo di narrazione, alla finalità didattica, non si lasciano punto individuare con certezza. Resta però il fatto che alcuni dati, estrapolati dall’involucro narrativo-Ieggendario, hanno trovato curiosamente conferma, anche se non in senso assoluto, nelle ricerche archeologiche. Così H. Hagatti, studiando la disposizione e la struttura della tomba di Maria a Gerusalemme, vi ha trovato gli elementi raccontati nell’apocrifo?O Da parte sua, l’archeologo benedettino H. Pixner, scavando sotto la chiesa della Dormizione, che conserva il ricordo della casa dove abitava Maria, ha trovato sotto il tempio i resti di una povera casa giudaica del I sec., con una piccola vasca da bagno per le abluzioni rituali. Identificando questi resti con la casa di Maria, egli vi vede la conferma dell’apocrifo che parla del bagno rituale che Maria aveva fatto nella sua casa alla vigilia della festa delle Capanne 21
Ovviamente, le interpretazioni dei dati accostati in questo modo sono rischiose, in quanto non oggettivamente controllabili, ma esse pongono la domanda circa il valore storico della tradizione orale conservata nelle comunità cristiane giudaiche e sottostante al materiale apocrifo.
H. Pixner difende in varie pubblicazioni la tesi dell’esistenza di un’haggadah, cioè di un’interpretazione giudaica delle Scritture, di carattere cristiano, che provava, sulla base scritturistica, il compimento delle promesse veterotestamentarie nella persona di Gesù, il Messia. Questa haggadah avrebbe avuto all’origine i fatti della vita di Gesù conservati da Maria stessa e dai suoi parenti, e sarebbe stata tramandata nell’ambiente del gruppo familiare di Gesù, abitante a Gerusalemme.22 Alcuni elementi dell’ haggadah della famiglia del Salvatore avrebbero trovato posto nei vangeli canonici di Matteo e di Luca; altri invece finirono nei vari racconti apocrifi. A conferma di questo vi sarebbe il fatto che il Transitus Mariae, pur escluso dal canone, è stato tenuto nella Chiesa sempre in grande considerazione sia per lo sviluppo dei dogmi, che per la liturgia e per l’iconografia.
dal sito:
http://www.kolbemission.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/145
San Massimiliano Kolbe – Cenni biografici
Massimiliano Kolbe – al battesimo Raimondo – nasce l’8 gennaio del 1894 a Zdunska Wola non molto lontano da Lodz (Polonia), figlio di Giulio e Maria Dabrowska.
Nella sua adolescenza, si sente affascinato dall’ideale di San Francesco d’ Assisi ed entra nel seminario minore dei Francescani conventuali di Leopoli.
Dopo il noviziato è inviato a Roma, al Collegio Internazionale dell’Ordine, per gli studi ecclesiastici. Nell’anno 1915 consegue il diploma in filosofia e nel 1919 in teologia.
Mentre l’Europa è sconvolta dalla Prima Guerra Mondiale, Massimiliano sogna una grande opera al servizio dell’Immacolata per l’avvento del Regno di Cristo.
La sera del 16 ottobre 1917, fonda con alcuni compagni la « Milizia dell’Immacolata ». Il suo fine è la conversione e la santificazione di tutti gli uomini attraverso l’offerta incondizionata alla Vergine Maria.
Nel 1918 è ordinato sacerdote e nel 1919, completati gli studi ecclesiastici, ritorna in Polonia per iniziare a Cracovia un lavoro di organizzazione e animazione del movimento della Milizia dell’Immacolata.
Come strumento di collegamento tra gli aderenti al movimento fonda la rivista « Il Cavaliere dell’Immacolata ».
Nell’anno 1927 stimolato dal notevole incremento di collaboratori consacrati e dal crescente numero di appartenenti alla M.I., trasferisce il centro editoriale a Niepokalanow, o « Città dell’Immacolata », vicino Varsavia, dove saranno accolti più di 700 religiosi, che si dedicano all’utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale per evangelizzare il mondo.
Nell’anno 1930 con altri quattro frati, parte per il Giappone, dove fonda « Mugenzai no Sono » o « Giardino dell’Immacolata », nella periferia di Nagasaki, e stampa una rivista mariana. Questa « città » rimase intatta quando nel 1945 esplose, a Nagasaki, la bomba atomica.
Nel 1936, rientra in Polonia, sollecitato dalla crescita della comunità religiosa e dall’espansione dell’attività editoriale: undici pubblicazioni di cui un quotidiano di grande ripercussione nella classe popolare con una tiratura 228.560 copie e il Cavaliere con un milione di copie.
Il primo settembre del 1939, scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Anche Niepokalanow è bombardata e saccheggiata. I religiosi devono abbandonarla. Gli edifici sono utilizzati come luogo di prima accoglienza per profughi e militari.
Il 17 febbraio 1941 Padre Kolbe è arrestato dalla Gestapo e incarcerato nel carcere Pawiak di Varsavia. Il 28 maggio dello stesso anno è deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, nel quale gli viene assegnato il numero 16670.
Alla fine di luglio avviene l’evasione di un prigioniero. Come rappresaglia il comandante Fritsch decide di scegliere dieci compagni dello stesso blocco, condannandoli ingiustamente a morire di fame e di sete nel sotterraneo della morte.
Con lo stupore di tutti i prigionieri e degli stessi nazisti, Padre Massimiliano esce dalle file e si offre in sostituzione di uno dei condannati, il giovane sergente polacco Francesco Gajowniezek.
In questa maniera inaspettata ed eroica Padre Massimiliano scende con i nove nel sotterraneo della morte, dove, uno dopo l’altro, i prigionieri muoiono, consolati, assistiti e benedetti da un santo.
Il 14 agosto 1941, Padre Kolbe termina la sua vita con un’iniezione di acido fenico. Il giorno seguente il suo corpo è bruciato nel forno crematorio e le sue ceneri sparse al vento.
Il 10 ottobre 1982, in Piazza San Pietro,Giovanni Paolo II dichiara « Santo » Padre Kolbe, proclamando che « San Massimiliano non morì, ma diede la vita…. »
dal sito:
http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20030114_basilio_it.html
BASILIO IL GRANDE
Bellezza del mare
« E Dio vide che era bello ». La Scrittura non intende affermare che il mare abbia offerto agli occhi di Dio uno spettacolo affascinante. Il Creatore, infatti, non contempla con gli occhi la bellezza della creazione, ma osserva i fenomeni con la sua ineffabile sapienza.
È davvero uno spettacolo magnifico quello offerto dalla distesa del mare biancheggiante di spuma, mentre vi regna una calma sovrana; ovvero quando la superficie delle acque, increspata da un venticello leggero, mostra a chi guarda un colore purpureo o azzurro. Gradevole è anche contemplare il mare, non quando flagella con violenza la terra vicina, ma quando l’abbraccia con pacifici amplessi.
Ciò nondimeno, non è da ritenersi, secondo quanto afferma la Scrittura, che la vista del mare fu per Dio bella e gradevole: lì, invece, il mare è giudicato bello in rapporto all’insieme della creazione. Anzitutto perché l’acqua del mare costituisce la fonte e l’origine di tutta l’umidità della terra… Essa, infatti, riscaldata dai raggi del sole, si trasforma in vapore acqueo che, levandosi sempre più in alto e raffreddandosi quando manchi la rifrazione dei raggi dal suolo, producendo nello stesso tempo la fresca ombra delle nubi, genera la pioggia e rende più fertile la terra. Di ciò, nessuno che abbia visto riscaldare dei recipienti, può dubitare. Questi infatti, in origine pieni di liquido, spesso rimangono vuoti quando tutto ciò che veniva riscaldato si sia dissolto sotto forma di vapore. Anzi, si può anche vedere come l’acqua del mare venga bollita dai marinai che, raccogliendone il vapore a mezzo di spugne, provvedono in qualche modo, ove fosse necessario, alla carenza d’acqua.
Il mare è anche bello (ma in modo diverso secondo il punto di vista di Dio) perché circonda le isole, offrendo loro ornamento e sicurezza; e perché congiunge terre assai distanti fornendo ai naviganti spostamenti veloci. Dalla loro bocca ci fa conoscere storie di avvenimenti, prima ignorati, procura ricchezze ai mercanti, facilmente rimedia alle necessità della vita: infatti, a coloro che posseggono in sovrabbondanza una quantità di cose, offre la possibilità di esportare quelle superflue in un altro luogo; per coloro che, invece, ne scarseggiano, fa sì che possano procurarsi ciò che manca loro.
Donde proviene a me la possibilità di ammirare attentamente tutta la bellezza del mare, quale si manifestò in origine all’occhio del Creatore? D’altronde, se al cospetto di Dio il mare è bello e gradevole quanto gli apparirà più bella questa assemblea in cui la voce confusa di uomini, di donne e di fanciulli, simile a quella dell’onda che s’infrange sulla riva, si rivolge a Dio nelle nostre preghiere?
Una tranquillità profonda la conserva nella pace non potendo gli spiriti della malizia turbarlo con le loro dottrine eretiche. Diventate dunque, degni della approvazione del Signore, osservando rigorosamente questa disciplina, nel nostro Signore Gesù Cristo. »
Basilio il Grande, Esamerone, 4,6-7
dal sito:
http://www.perfettaletizia.it/archivio/anno-A/XX_del_tempo_ordinario.htm
14 AGOSTO – XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Omelia
L’oracolo presentato dalla prima lettura ha un’apertura universale. La salvezza è data non solo ad Israele, ma anche agli altri popoli che avranno come centro di riferimento e di salvezza il monte di Dio: “il mio monte santo”. L’oracolo, scritto nel post-esilio, fa intendere che l’esilio aveva attuato non solo la purificazione del resto di Israele, sopravvissuto alle distruzioni Assire e Babilonesi, ma anche la conquista di tanti stranieri alla fede in Dio. A Gerusalemme era ritornata solo una piccola parte degli Israeliti che avevano conosciuto un forte aumento numerico in terra d’esilio; la maggior parte era rimasta in terra straniera, nella diaspora. L’oracolo parla di una futura unione dei popoli che si avrà sul “monte santo” dove il tempio sarà chiamato “Casa di preghiera per tutti i popoli”. Questo oracolo si attuerà con la venuta del Messia. Da lui uscirà la parola della salvezza e da lui il sangue della liberazione dalla schiavitù del peccato (1Pt 1,19; Ap 1,5).
Le parole di Gesù alla donna cananea sembrerebbero in contraddizione con l’apertura della salvezza a tutte le genti, ma non è così.
Le parole di Gesù vanno intese alla luce di disegno di Dio: Israele era chiamato ad accogliere il Messia, e Israele unito al Messia sarebbe diventato il popolo accogliente di tutti i popoli, per formare un solo popolo di Dio. Le parole: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele”, non sono di durezza verso la donna, ma presentano il progetto antecedente alla Pasqua. Gesù infatti, in ottemperanza a questo disegno, aveva inviato i discepoli alle pecore perdute della casa d’Israele con il comando di non andare fra i pagani e di non entrare nelle case dei Samaritani (Mt 10,5). Voi mi direte: “Ma se Gesù non fosse morto sulla croce non si sarebbe operata la salvezza?”. Si sarebbe operata perché alla salvezza sarebbe bastato davanti al Padre anche il solo sangue della circoncisione. Ma le cose non sono andate affatto così. I suoi (Gv 1,11), anche se preparati da secoli ad accoglierlo, anche se preparati da Giovanni Battista, preferirono le tenebre alla Luce.
La Cananea con la sua umiltà rispetta il disegno di Gesù, ma pur afferma con parole toccanti che tale disegno è rivolto anche a lei: “E’ vero, Signore – disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. La Cananea vide giusto, la salvezza era anche per lei. Rifiutato dai capi del popolo, Gesù proprio attraverso la croce creò la facilità dell’accesso dei pagani alla fede. Infatti, senza problemi di appartenenza nazionale, apparve ai pagani la missione universale di Gesù: Gesù re di tutti i popoli. Noi, olivo selvatico, siamo innestati nella radice, che sono i patriarchi di Israele, e siamo rami vivi, mentre gran parte di Israele divenne rami morti (Cf. Rm 11,16s). Il popolo di Dio è uno solo, ma vi sono ora due tronconi: uno vivo, che è la Chiesa, e uno morto, che è l’attuale Israele.
Ne segue che quando noi recitiamo i salmi, recitiamo i salmi non del solo popolo ebreo, ma anche pienamente nostri. Anzi, noi li recitiamo nel loro “sensus plenior”, che è dato da Cristo; infatti, i salmi tendono a Cristo, e Cristo dà ad essi, con la sua realtà – parola e sacrificio – il senso pieno.
Quando noi leggiamo gli eventi dell’Esodo, non leggiamo eventi che appartengono al solo popolo ebreo, ma che appartengono anche a noi, anzi noi ne comprendiamo il segno anticipatore del vero esodo che è quello dalla schiavitù del peccato, le cui catene sono nelle mani del faraone dell’abisso.
Sappiamo, però, che il troncone morto rivivrà, non della vita che aveva prima nella terra promessa, ma di quella nuova segnata dalla risurrezione di Cristo, come nella seconda lettura abbiamo ascoltato: “Che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?”.
Paolo, domenica scorsa, ci rivelava la sua continua sofferenza per i suoi connazionali, e la sua sofferenza sia anche la nostra. Oggi l’apostolo ci rivela la sua speranza di suscitare la loro “gelosia”. E, notate, la gelosia che Paolo vuole suscitare non è invidia. E’ la gelosia per i propri doni, per quelli che Dio ha dato ad Israele e che gli rimangono; “infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. La gelosia che Paolo ha la speranza di suscitare è quella che nasce dal vedere come quei doni sono ora vivi di vita nuova in Cristo presso i Gentili entrati a far parte della Chiesa. Paolo vuole che i suoi connazionali provino gelosia per questo e quindi riflettano su quanto Dio ha loro dato e vedano che le Scritture parlano di Cristo e così credano in lui e vivano in lui.
Paolo si spese per il Vangelo e per questo fu costantemente uomo aperto al futuro; non solo per quanto riguarda il cielo, la risurrezione, i cieli e terra nuovi, ma il futuro degli uomini qua in terra. Egli aveva come orizzonte di continuo impegno la civiltà dell’unità dei popoli in Cristo.
Vedete, fratelli e sorelle, il cristiano è sempre un uomo impegnato per il futuro, aperto al futuro, non solo a quello del cielo, ma anche a quello della storia; anzi, non si è aperti veramente al futuro del cielo, se non si è impegnati per il futuro in Cristo della terra. Una comunità cristiana chiusa nel presente non è più cristiana. Oggi quanta gente è chiusa nel presente! Pensa a se stessa, al proprio benessere. Vedete, quando una società concepisce i figli come un peso, quando una coppia non vuole “logorarsi” con i figli, allora si oscura il futuro e il futuro arriverò pieno di buio. Il buio è la conseguenza del rifiuto di Cristo, perché Cristo è la Luce del mondo, il futuro della terra.
Tanti sono i futuristi che hanno presentato i loro progetti sul futuro della terra! Ma quale futuro ci presentavano e ci presentano? Un futuro tecnologico; elettronico, della fusione nucleare, dei voli spaziali, degli sbarchi su altri pianeti, di robot che ci servono a tavola. Questo il futuro trionfalmente presentato!
Ma quanto al futuro umano, non sanno più cosa dirci, o se ce lo dicono ci presentano dei disegni sociali disumani. Sono diventati incerti i futuristi! Non sanno più cosa affermare per allontanare le perplessità, le ombre, le preoccupazioni, circa il futuro dell’uomo. Non sanno altro che dirci: ricerca, ricerca. La ricerca, ci dicono, supererà ogni crisi economica. La ricerca, non la solidarietà, l’amore, l’impegno, il sacrificio quando le circostanze lo richiedessero. La ricerca, e non quella medica che è altamente positiva, ma quella per progettare nuove esigenze, nuovi consumi. Ma quali saranno queste nuove esigenze, questi nuovi costumi, se si scarta Cristo?
Fratelli e sorelle, rimaniamo dunque uomini del futuro, cioè veri cristiani. Uomini del futuro in Cristo, anche se tale futuro non lo vedremo fiorire ai nostri giorni. Fiorirà, un giorno: Cristo è morto sulla croce per la riconciliazione del mondo, e allora non dubitiamo che le nazioni, dopo clamorosi fallimenti, si apriranno a Cristo e saranno nell’unità della Chiesa.
Il troncone morto “risorgerà”, e così sarà la fine dei tanti e tanti dolori che questo ha comportato e comporta (1Ts 2,15). Amiamo il futuro della terra sulla terra. Amare il futuro è amare tutti gli uomini, non solo quelli che sono in cielo o nel purgatorio e quelli che ora sono sulla terra, ma anche quelli che saranno fino alla fine del mondo. Amen. Ave Maria. Vieni Signore Gesù.