Archive pour août, 2011

Lo stupore di essere amati – II parte (Divo Barsotti)

DIVO BARSOTTI

Lo stupore di essere amati

II PARTE

Modena, 25 febbraio 1973

Il termine ultimo delle virtù teologali
In un certo senso, le virtù teologali ancora sussistono, la fede e la speranza, cambiando, raggiungono la loro perfezione ultima che non è più fede ma visione, che non è più speranza, ma possesso. Nella speranza, tu ancora aspetti Dio: ma se vivi in paradiso, devi possedere non puoi aspettare. La vita eterna è l’esercizio perfetto delle virtù teologali nel loro conseguimento ultimo; però durante la vita presente esse non solo hanno modo di crescere senza limite, ma debbono crescere ogni giorno di più, se Dio vive in te. Perché quaggiù tu non puoi mai dire di possedere Dio: lo possiedi soltanto nella misura che tu lo cerchi.
E quello che diceva Pascal: « Non mi cercheresti, se tu non mi avessi trovato ». E le parole di Pascal sul mistero di Gesù sono simili a quanto aveva detto già nel IV secolo san Gregorio di Nissa: « Si possiede Dio soltanto nella misura che lo si cerca quaggiù ». Si possiede Dio nella misura di questo dinamismo interno che ci spinge ad una ricerca continua, perché tanto più lo possediamo quanto più ci rende desiderosi di possederlo e l’anima nostra è ardente di desiderio e di speranza nel protendersi verso Dio. Così, vivere per noi vuoi dire crescere sempre.
Ecco perché vi dicevo che non si invecchia mai nella vita spirituale: nella vita naturale si raggiunge un certo limite, poi si decade. Qui invece non c’è una decadenza, ma c’è sempre un salire, un ascendere. E, si noti bene, tanto più ascendiamo, tanto più facile è il salire.
Tu credevi che fosse il contrario? No. E così.
 
Verso la semplicità …
Soltanto quando abbiamo poca virtù, il camminare nel rispondere a Dio costa fatica. Invece quanto più ci assimiliamo a Dio, tanto più diviene un volo tutta la vita, senza fatica. E quali distanze immense tu puoi percorrere in un solo atto d’amore, in un solo atto di speranza, quando tu sia santa! Questo lo si rileva particolarmente nei santi: all’inizio la loro conversione è faticosa, impegnata in tutti gli esercizi delle virtù morali, nella mortificazione, nell’obbedienza. Poi, la vita diviene sempre più semplice, sempre più pura, perché all’anima non costa più nulla il vivere soltanto di Dio anzi: Dio assume sempre più l’anima in un modo così pieno, così puro da far divenire tutto limpido, chiaro, sereno, pacifico, semplice anche nella preghiera. Tutta la nostra vita interiore ci dà come un senso di beatitudine, non solo di dolcezza, ma di pienezza, di forza spirituale. Tu vivi questo e resti senza parole. Tu hai il sentimento soltanto di questa presenza che ti riempie di sé, e in questo rimani. E poi vieni come strappata a te stessa: non vedi più che Lui. Tutta la nostra vita è Lui solo e ci dimentichiamo di noi stessi. E una vita sempre più piena di Lui, di Lui solo: non esiste più che il Signore. Qualunque cosa tu faccia, ovunque tu sia, c’è sempre Lui, il tuo Dio. La tua vita è tutta invasa, investita da questa presenza che, quanto più è reale, tanto più elimina quello che a questa presenza si oppone.
 
…per fare la volontà di Dio…
Si noti bene: « quello che a questa presenza di oppone », perché Dio si fa presente nel vostro dovere, si fa presente in quello che è la sua volontà. Per questo il Signore, entrando nella vostra vita, non può farvi dimenticare i vostri doveri: non sarebbe Dio. Non dovete illudervi in questo: la vita divina non ci separa mai da quello che è il nostro dovere, da quello che ci chiede il nostro stato, da quello che è la nostra situazione, perché lì è la sua volontà. E la volontà di Dio è Dio. Perciò la presenza divina implica, per voi, un adempimento più perfetto dei vostri doveri, il compimento ancora più pieno di quelle che sono le vostre incombenze, i vostri lavori di ogni giorno. Non vi è un urto, una tensione fra le due cose: Dio è la sua volontà.
Comunque, però, è Dio solo che riempie. Anche la presenza dei vostri cari, l’attuazione dei vostri doveri, altro non sono che il segno della presenza di Dio per voi. E in questa presenza voi vi dimenticate di voi stessi, sempre di più, e non vi rimane che Lui: « Ti sposerò ».
Ritornerò, dunque, alle parole del profeta Osea. Si diceva che Dio vive in noi nella misura che cresce in noi la speranza, questo desiderio di Lui sempre più vivo. Proprio come dice san Pietro nella Prima Lettera: una « speranza viva » perché è nella speranza che noi viviamo quaggiù sulla terra. Di qui deriva che, invece di invecchiare, si ringiovanisce sempre. E vivendo che cresce in noi la speranza.
 
…nella continua novità dello Spirito Altra cosa è un desiderio che risponde ad una natura sensibile, che può essere soltanto nel giovane; altra cosa è questo desiderio, questa speranza di Dio che cresce sempre più nell’anima, anche quando il corpo decade. La speranza cresce perché non vai verso la morte; vai verso la vita; non vai verso la fine, vai verso l’amore; non vai verso il buio della tomba, vai verso la luce incommutabile di Dio. L’anima nostra si apre in un senso di sorpresa sempre nuovo. Non lo provate anche voi quando pregate? Un certo senso di stupore si rinnova sempre in noi nel contatto con Dio. Se lo abbiamo conosciuto una volta, la nostra vita spirituale diviene una continua sorpresa. Ed è proprio questa sorpresa che denota la giovinezza. Chi è capace di meraviglia e di stupore? Il bambino e il poeta. Chi vive la vita religiosa, vive in questo continuo stupore di essere amato, amato per nulla.
Ecco il crescere della speranza, ecco il crescere di questa sorpresa dell’anima nel sentirsi sempre nuova nel contatto di Dio. Nella misura che cresce in te la speranza, cresce il dono di Dio; ed Egli, l’Infinito, si dona totalmente e non si può dividere: scava in te abissi sempre più profondi perché tu possa sempre più riceverlo. E come può scavare in te questi abissi? Come può donarti questa capacità sempre nuova e sempre più grande, del possesso divino? Attraverso la speranza che cresce e che diviene la vera bellezza della vita presente.
Ecco perché, più che chiedere il possesso, chiedete la speranza che rende più grande la fame. Tanto mangi, tanto più ti viene fame; tanto più bevi, tanto più cresce la tua sete di ricevere il tuo Dio. Questo fa la speranza cristiana, questo fa il dono di Dio nella vita presente. Cresce in noi il desiderio di Dio nella misura che Egli si dona: tutta la vita non è che un dilatarsi dell’anima ad accogliere sempre più il dono dell’amore infinito.
E così la vita spirituale: un crescere continuo nel desiderio, nella speranza, nell’amore. Possiamo giudicare da questo se viviamo o non viviamo. Nella vita umana si può rimanere fermi, nella vita spirituale no: si vive soltanto nella misura che si cresce. È un indice preciso, perciò, per capire se viviamo veramente in Dio. Non è il crescere nelle pratiche di pietà, nell’aumentare le opere buone, nel prolungare le preghiere, nel moltiplicare i sacrifici: si tratta di crescere nell’amore, nel desiderio, nella volontà di donarsi a Dio, di accogliere Dio, senza più riposo. Questo dobbiamo vivere.
 
Solamente Dio è…
Come è meravigliosa la vita se cresce in noi continuamente questo desiderio e questa speranza di Dio! E che giovinezza fiorisce in questo crescere continuo delle nostre capacità di accogliere in noi il Signore! In questo cammino sono giovani soltanto quelli che da tanti anni camminano. Tanto più vanno avanti, tanto più l’anima, liberata da ogni vita parassitaria, liberata da tutto quello che nel giovane è motivo di dissipazione, si ferma in un solo amore e in questo soltanto si dilata e respira, nella luce di Dio, nel tendere a Lui solo. Quante sono le persone anziane che vivono soltanto di Dio, di semplicità, di amore, di pace! Non hanno più dispersioni, neanche, forse, nel lavoro; le compiono altri, e sono messe da parte per far posto ai giovani, anche se sono amate. Quale sarebbe la vita di queste anime se non avessero Dio? Sarebbe la desolazione, il vuoto, l’amarezza, la tristezza della vita che si spegne, la paura della morte. Invece, se un’anima è religiosa, aperta alla grazia divina, in una vita pura, semplice, serena, piena di Dio, è veramente il sacramento di una presenza divina.
Io credo siano queste le anime più grandi davanti al Signore, quelle che salvano la Chiesa. Non sono i cardinali che possono dare il voto al Papa ma se mai i cardinali che hanno 90 anni e che vivono nascosti in un pensionato, nel silenzio, messi fuori ormai da tutto. E questo può essere vero anche per noi. Ma allora Dio riempie tutta la vita. Queste anime non si preoccupano di quello che è umano, non posseggono nulla tranne il Signore.
 
…e sarà il contenuto della nostra vita
E proprio questo che chiede il Signore quando, chiamandoci alla sua intimità, ci dice questa parola che è, semplicemente, un futuro: « Ti sposerò ». Tutta la vita è tesa verso il futuro, verso un futuro che trova poi il suo adempimento nella presenza pura dell’eternità. Questo futuro rimane per te aperto; è un futuro che è un invito, è una forza che ti porta sempre più verso Dio; nella fedeltà, nella benevolenza, nell’amore.
Che cosa possiamo dare a Dio? E Lui che è fedele, benevolo verso di noi; è Lui clic dimentica tutto il nostro passato e non ha per noi altro che amore; è Lui che si dona tutto a noi e riempie il nostro vuoto. E noi non abbiamo altro da offrirgli che una pura capacità, affinché Egli la riempia. Egli non può davvero ottenere nulla da noi; Egli non ci chiede nulla. Soltanto il nostro nulla è proporzionato al tutto di Dio. Ed è proprio nell’affondare nel proprio nulla che l’anima deve aprirsi ad una speranza vitale. Apriamoci tutti a questa promessa di gioia, e questa promessa di amore che il Signore ci fa.
Dobbiamo vivere questo.
Il profeta Osea ci dice: « Ti sposerò ». Sul piano umano il rimandare le cose dà fastidio, ma sul piano divino il rimandare conviene ed è bello perché ti rende sempre più creditore di Dio. Egli ti deve dare ancora di più; tanto ti darà quanto più lunga sarà stata l’attesa, quanto più ansioso sarà stato il desiderio, quanto più vasta sarà stata la tua speranza nell’accogliere il suo dono. Quello che Egli ci dà, ce lo dà soltanto perché cresca in noi il desiderio e la speranza di riceverlo ancora. Viviamo in questo continuo processo di una speranza che cresce, di un desiderio che sempre più ci dilata per ricevere Dio.
« Ti sposerò ». Ecco quello che ci dice oggi il profeta Osea.
 
Seconda meditazione
Essere con lo sposo…
Ricordate il Vangelo di stamani? Praticamente abbiamo fatto due meditazioni sulla Prima Lettura presa dal profeta Osea: il Signore guarda al suo popolo come lo sposo alla sposa: « Ecco, la attirerò a me, e la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore… Ti farò mia sposa per sempre nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore. »
Ma ho detto anche che il Vangelo di stamani ha un rapporto stretto con la Prima Lettura. Infatti il tema fondamentale delle due letture è l’alleanza dell’uomo con Dio, veduta come un’alleanza di nozze, come un mistero nuziale, e inoltre perché in queste nozze quello che l’anima vive è, prima, una grande speranza che dilata l’anima stessa, la certezza dell’amore divino, e poi, come si diceva durante la Messa, questa intimità col Signore che noi dobbiamo conservare gelosamente: un raccoglimento, un’attenzione, una disponibilità a Lui che ci ama, che dona alla nostra vita un’atmosfera di serenità, di pace e di gioia. In fondo, è proprio questa gioia l’argomento fondamentale del Vangelo.
Che cosa dice il Vangelo? Descrive i farisei che rimproverano Gesù perché i suoi discepoli non fanno i digiuni che la tradizione aveva stabilito: proprio i discepoli, che vivevano più vicini al Signore, non facevano i digiuni! E Gesù, rimprovera forse i discepoli? Oh. no! Che cosa Egli dice? « Non si digiuna fintanto che lo sposo è presente ».
 
…come lo erano i discepoli…
E allora, se noi viviamo in questo raccoglimento, se noi viviamo in questa disponibilità onde ci apriamo ad accogliere continuamente Dio che ci ama: siamo davvero con i discepoli. Non solo san Marco ci conferma questo, ma anche san Giovanni nel Quarto Vangelo: alle Nozze di Cana quelli che non sono discepoli di Gesù si scandalizzano. Come è possibile pensare ad un Messia, ad un salvatore il quale, invece di far sì che queste anime religiose abbiano il viso lungo tre palmi, nella penitenza e nel digiuno, abbiano ad avviarsi alle nozze con tanta gioia? Abbiano a bere il vino buono alla fine del banchetto, il vino preparato proprio da Gesù? Lo scandalo è davvero grande!
Gesù vuole le gioia. L’Evangelista san Giovanni ci vuole persuadere di questo, perché questa è l’intenzione del Signore: portare la gioia.
Il Nuovo Testamento si differenzia dal Vecchio Testamento e lo mostra sempre di più nel corso dello svolgimento dei fatti. Lo vediamo già nell’intimità che i discepoli hanno col Maestro. col Figlio di Dio. Dio, finalmente, si è unito a noi per sempre. E non sarà mai infedele. Se Egli si è donato, se Egli ci ha scelti, se è venuto a noi e noi ci siamo consacrati a Lui, non possiamo avere più alcun timore. Egli rimane con noi ed è la nostra gioia, la nostra vita.
 
…nella gioia…
Uno dei doveri fondamentali del cristiano è quello di essere, sempre, nella gioia. Ricordate quello che diceva san Francesco d’Assisi e che ripeteva san Francesco di Sales: « Un santo triste è un triste santo ». La santità è sempre unita a questa esperienza di una presenza divina la quale colma la vita, la illumina, la fa sicura. Che cosa volete di più di quello che Dio vi dona, se Dio è con voi? C’è qualche cosa che voi possiate desiderare e che non vi abbia già dato? Che cosa, dunque, s’impone per l’anima?
Certo, la nostra gioia, e lo dice il Vangelo di oggi, nasce dal fatto che lo Sposo è con noi. Questo dovete tenerlo presente. E non si digiuna fintanto che lo Sposo è con noi. Una volta che noi ci siamo consacrati a Lui, la nostra vita non può conoscere che la gioia, una gioia sempre più pura, sempre più grande, perché, non solo la vita non ci allontana da Lui, ma la vita è tutto un cammino che deve portare sempre più ad essere uniti al Signore. Al contrario di separarci da Dio, via via che viviamo, andiamo incontro alla festa ultima dell’amore, della comunione perfetta, della vita del cielo. Allora, non soltanto non diminuisce la gioia col passare degli anni, ma cresce perché sempre più imminente diviene il trionfo di questa comunione d’amore che è la vita del cielo. Di qui ne deriva che il cristiano non solo conosce la gioia, ma la vede crescere giorno per giorno perché non vi è mai nessun motivo per perderla, o anche solo vederla diminuire. Il cammino è un cammino di speranza che cresce; la speranza è in ordine al dono che Dio ci fa e in questo dono, l’anima sperimenta la presenza di Dio: e vibra, e sussulta, si apre, si dilata nell’amore.
 
…per donarla al mondo
Noi dobbiamo vivere questo. Sapete perché il cristianesimo, fin dalle origini, ha travolto tutte le difficoltà, e le difficoltà c’erano in un clima di persecuzioni, in un mondo pagano ancor più corrotto di quello di oggi; ed ha convertito il mondo in breve tempo? È stato come una marea che è avanzata ed ha inondato tutta la terra, sommergendo ogni cosa: la potenza di Roma, gli eserciti, il potere politico; nulla poteva arrestare l’avanzata cristiana, neppure la sapienza dei Greci. Quale era la forza che travolgeva e conquistava? I miracoli sono un nulla in confronto di quello che è stata la vittoria dei primi cristiani. Usavano forse le armi? Pietro aveva una spada, ma il Signore gli disse subito: « Mettila nel fodero ». Che cosa avevano allora? Forse la cultura? No, era povera gente. Che cosa? Nulla! Nulla sul piano umano; non parlo delle virtù soprannaturali. Ma avevano la gioia.
Il mondo è assetato di gioia; il mondo vuole la gioia. E i cristiani l’avevano anche in mezzo alle persecuzioni. Uno dei testi fondamentali e più sicuri degli « Atti dei martiri », che risale al 150 circa, narra la morte di san Carpo. Di che cosa si parla in questi « Atti »? Si dice che i cristiani venivano bruciati vivi, a fuoco lento; eppure erano pieni di gioia anche morendo. È un miracolo tale questa gioia, pur nel tormento, nella privazione di tutto, nell’essere privati di ogni diritto, che ci fa pensare tristemente al cristianesimo di oggi che non riesce neppure a conquistare i nostri figliuoli. Siamo un po’ troppo nervosi, abbiamo sempre un volto triste; c’è sempre nebbia in noi, anche se fuori c’è il sole, una nebbia interiore che rende opaca l’anima. Ma come è possibile tutto questo, se Dio è con noi? Come è possibile se Dio ci ama? Come è possibile se a Dio crediamo realmente e ci abbandoniamo a questo amore? Anche se fossimo in fin di vita, non dovremmo che cantare, come san Francesco. Gli disse Frate Elia: « Padre, mi permetto farle un appunto: lei canta sempre, ma la gente che ascolta ne riceve scandalo, perché sa che lei è per morire: quando si va verso la morte, ci aspetta il giudizio di Dio! ». « Ma lasciami cantare in pace e vattene » gli rispose il Santo, « come posso non cantare se vado incontro al mio Signore? ».
 
Siamo già in paradiso:
Quanto più abbiamo motivo di lamentarci, tanto più deve crescere in noi la gioia, perché possediamo una vera ricchezza, perché viviamo una vita che il mondo e le cose non possono compromettere. Dio è fedele, Dio è tutto per noi, Dio ci ama. Sì, il paradiso è tutto nostro; l’infinito è tutto nostro. Che volete che sia per noi la vita che il mondo ci può offrire, l’amore degli uomini? Anche se tutto ci mancasse, noi tutto possediamo se Dio è nostro. E Dio è nostro; è tutto per noi. Ricordate la preghiera di san Giovanni della Croce? « Miei sono i cieli, mia è la terra, mia la Madre di Dio, miei gli angeli ed i santi, perché Gesù è tutto mio, è tutto per me ». Nel ricevere il Signore non riceviamo già il paradiso? Nel possesso di Dio, non possediamo già un bene immenso, infinito, eterno? Ecco la gioia cristiana. La sicurezza, la certezza, l’esperienza di questa presenza di Dio ci riempie e trabocca su tutto l’universo.
Possediamo il Signore! Dio è con noi! Lo Sposo è con noi, quindi non possiamo digiunare. Nella presenza dello Sposo, tutta la vita è una festa. Non ci sono giorni di lavoro; tutto è feria. Tutto è una festa che continua sempre. Dobbiamo vivere questa gioia tranquilla che ci riempie, ci lievita dentro, ci solleva a Dio e trabocca su quelli che ci sono vicini. Questo è il nostro messaggio.
Si dice che dobbiamo rendere una testimonianza, ma quale testimonianza potremmo rendere a Dio, se non avessimo la gioia? Dio non è forse la vita? Non è forse la beatitudine dei santi stessi? Fintanto che diamo testimonianza con la nostra tristezza, non diamo una testimonianza di Dio. Anche se diamo una testimonianza con le nostre virtù, col nostro impegno, non è ancora una testimonianza di Dio. Dio si fa presente nel cuore dell’uomo principalmente nella sua gioia.
 
viviamo come i santi…
I santi sono coloro che vivono nella beatitudine stessa.
Io vi chiedo questo: siate dei testimoni della gioia divina, prima nella nostra famiglia in modo che, anche coloro che voi amate e vi sono più vicini imparino da voi quanto dolce e soave sia il conoscere Dio, il vivere con Lui, e quale sia la via per giungere alla vera felicità, quale il cammino che porta alla pace ed alla gioia. Tutti gli uomini cercano la pace e la gioia. Se noi fossimo veramente testimoni della presenza divina, noi saremmo come un faro che illumina tutto, come un centro cui converge ogni anima. Voi lo vedete; basta che sorga un santo ed è un richiamo per tutti. Pensate a quello che è stato padre Pio, a quello che è stato il Santo Curato d’Ars nel secolo passato, a quello che ora è Madre Speranza: gli uomini si accorgono di una presenza divina! Gli uomini convergono a questa gioia ed hanno bisogno di questa pace che vive nel cuore dei santi.
Che meraviglia, se voi vivete con gioia nella presenza di Dio che rende colma la vostra vita interiore, pacifica tutte le vostre potenze, dona una dolcezza indicibile al vostro cuore! Tutta la vostra vita può divenire una testimonianza della presenza divina. Ecco quello che la Comunità vi chiede e vuole da voi; quello che soprattutto gli uomini pretendono da voi.
La carità, come la santità, ha un duplice volto: guarda a Dio e guarda ai fratelli. La vostra vita diviene un dono di amore, da vivere in umiltà, in fedeltà verso il Signore e in dedizione verso i fratelli, i vostri familiari, tanto che, per essi, il vostro volto sia testimonianza del paradiso di Dio che è nel vostro cuore. Ricordate quello che dice santa Elisabetta della Trinità: « Il paradiso è qui, nel vostro cuore ». Noi siamo quindi, per gli uomini, il segno del sacramento del Padre. Gli uomini debbono vedere nel nostro sguardo il Signore, la presenza di un mistero, la bellezza spirituale che incanta, che attira, che crea un’atmosfera di stupore e di attenzione che rende l’anima disponibile a Dio.
 
…per essere rivelatori del Padre!
I santi, non soltanto posseggono il Signore, ma lo donano nella misura che inducono l’anima a questo religioso stupore, a questa attenzione al mistero presente che fa sentire la realtà di un altro mondo ben più vasto e luminoso e vivo, senza più preoccupazioni, dolori, affanni. Liberati improvvisamente da tutto, si trovano nella presenza di Dio. Ecco la testimonianza che il Signore chiede anche a voi, ecco la bellezza che vi offre: è come un fiore che si apre alla luce. Voi dovete averla questa bellezza spirituale che cresce aprendo il cuore a Dio ed accogliendolo: così Egli vive nella vostra vita. Oh, allora, nella presenza di Dio, il vostro sguardo si illumina, il vostro sorriso ha qualcosa di celeste. Tutto il vostro cammino, il vostro vivere diviene segno di un’altra presenza, di un mondo divino. Questo voi dovete essere.
Con tale pensiero, ritorniamo alla meditazione di stamani: una vita di continua speranza che ci ringiovanisce ogni giorno di più e finisce col trasformarci in Colui che amiamo. L’amore è così: o ci trova simili o ci rende simili. Noi dobbiamo diventare sorgente di pace anche per gli altri, di dolcezza e di amore. Lasciate che il Signore abbia ogni dominio su di voi. Non mettete riserve al suo amore.
« Possiedimi, o Dio, nel tuo amore, nella tua gloria, nella tua volontà, così perfettamente come possiedi te stesso ». Se così pregherete e così diverrete, sarete davvero sacramento di Dio.

U.S.F.P.V.

Publié dans:MEDITAZIONI |on 18 août, 2011 |Pas de commentaires »

Il profeta Elia – un suono dolce e sommesso

Il profeta Elia - un suono dolce e sommesso dans immagini sacre 579843214

http://predicareilvangelo.wordpress.com/category/sermoni/page/5/

Publié dans:immagini sacre |on 17 août, 2011 |Pas de commentaires »

LE SUORE DI CASABLANCA (di padre Renato Zilio)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-27581?l=italian

LE SUORE DI CASABLANCA

Comunita di religiose che sanno farsi vere testimoni di un Dio che ama in terra d’Islam

di padre Renato Zilio*

CASABLANCA, martedì, 16 agosto 2011 (ZENIT.org).- Il quartiere di rue Jaâfar si presenta povero, popolare, trascurato. Già da lontano, tuttavia, una piccola siepe che cinge il pianterreno di un abitato vi attira: è tutta fiorita,  crea un altro clima, anzi, si fa messaggio. Povertà e bellezza possono abitare insieme. Ed è qui che abitano anche loro, le Piccole sorelle di Gesù. Nate nel deserto dell’Algeria come un dono di Dio – quando il deserto sa farsi fecondo – ne portano sempre le caratteristiche quasi i cromosomi di un carisma: semplicità, essenzialità, preghiera e fraternità. Sono distribuite in piccole comunità nel Marocco, ben radicate in mezzo alla gente, seppure di tante nazionalità parlano arabo come tutti e vivono il mistero di Nazareth in terra d’Islam. Oltre la contemplazione e la fratellanza universale, ereditate da Charles de Foucauld.
L’Islam non è un’ideologia, vi dicono, ma sono persone che esse incontrano ed amano quotidianamente. E questo traspare in ogni occasione: la vicina di casa secca il suo miglio sulla loro terrazza altrimenti sparirebbe, un’altra invece i suoi panni, per non perderli, e poi la piccola sorella, ultima arrivata, desiderosa di fare un duro lavoro di strada… cioè la pulizia del quartiere, per conoscere la gente. Il senso del servizio nelle piccole cose le rende grandi: è la regola d’oro del Maestro per i discepoli che predilige. Per me, allora, partire da loro sarà  invocare il dono della conversione del cuore. Indimenticabili testimoni di Dio queste Piccole sorelle!
In un altro quartiere vivono le clarisse. È un po’ difficile trovarle, dovrete suonare al campanello di qualche vicino, prima. Un muro alto, bianco, che sembra di recente costruzione, nessuna iscrizione fuori come già facessero parte dell’invisibile: è il monastero delle suore messicane. Ma sarà anche una scoperta sorprendente: appena varcata la soglia, una badessa messicana vi accoglie con un sorriso dolce e spirituale e poi sedendovi, come per un cenno segreto, altre sei si metteranno a sedervisi accanto. Una vi porterà un piccolo vassoio con una bibita e qualche biscotto, un’altra vi sorprenderà con un flash per una foto-ricordo, una terza vi presenterà il libro d’oro per raccogliere un messaggio. In questo monastero, oasi mistica di preghiera latinoamericana, sarete accolti come un re. La bella accoglienza marocchina, così, si coniuga sorprendentemente con il carisma monastico vissuto qui. Solo due restano di guardia nel silenzio della cappellina accanto alla Virgen de Guadalupe, le altre sette vi fanno corona: la fraternità qui ha la precedenza.
Soavi scendono, allora, le parole di madre Julia, che vi rivela il segreto della loro gioia: il desiderio di Chiara d’Assisi di venire un giorno nella terra dell’Islam, come fu per Francesco. Il desiderio risale a otto secoli fa e il giorno è oggi, con loro. “Il nostro impegno è la preghiera vissuta in questo Paese con i voti di castità, povertà, obbedienza e clausura!”, vi dirà, misurando le parole.
Dalle loro mani, poi, escono biscotti e piccole tortillas rotonde, che discretamente entrano nelle case musulmane. Fino a quando qualcuno, raccontano loro, dirà in famiglia: “Abbiamo finito i biscotti delle hermanitas, delle suore!” ed eccolo, allora, di nuovo al monastero. Queste “donne che pregano” sono una grazia per i cristiani, ma anche testimoni di Dio per il popolo musulmano che le sfiora. Sono segno, in fondo, dell’importanza vitale della presenza di Dio nell’esistenza di un essere umano. Volate qui da altro mondo venticinque anni fa, esse non temono la solitudine, ma piuttosto dimenticare il privilegio del sogno di Chiara: essere preghiera in terra musulmana. 
In un altro quartiere vi sorprenderà una bella chiesa gotica con le sue altissime guglie, diventata stranamente una moschea. Le statue in parte sono state staccate o sbrecciate dalla pietra e i fedeli musulmani vi entrano con noncuranza, distendendosi su stuoie tra pilastri gotici e volte a sesto acuto. Il quartiere, svuotato della presenza francese, aveva a suo tempo visto naturale questa scelta. Rimane in piedi, però, un altro segno vivente di Cristo: a due passi da qui le suore di Madre Teresa. Verrà ad aprirvi una giovane con un bimbo tra le braccia e poi un’altra con un pancione, un’altra ancora… sono venticique ragazze-madri accolte qui con i loro piccoli.
Vivono come in una grande famiglia, imparano a stare insieme, a trovare un piccolo lavoro, a far crescere il loro bambino. Ad affrontare una vita, in fondo, che per la società musulmana è una vergogna e una maledizione. Ma per le suore di Madre Teresa sono proprio loro, in fondo, a pronunciare quelle parole scritte in grande in cappella accanto al Cristo crocifisso: “I thirst”. Hanno sete di dignità. Una religiosa vi spiegherà, poi, il lungo cammino di riconciliazione con le rispettive famiglie, quando la mamma della ragazza si presenterà forse un giorno per vedere il bambino… Oppure vi dirà quando recentemente, rimandata a casa dall’ospedale, una ragazza partoriva dalle suore mezz’ora prima della messa e una suora indiana faceva ogni cosa benissimo… portando, poi, in cappella il neonato per una benedizione. “Entrare in una chiesa cristiana, ancora prima di una moschea!”, sentivi, allora, esclamare qualcuna, ma poi aggiungere: “Ogni vita è sacra, un dono di Dio: oggi qui l‘abbiamo veramente compreso!”.
Nel popolare quartiere di Hanfa c’è il nido delle suore Francescane missionarie di Maria. Grande, bello, spazioso, tanto da diventare il porto di arrivo di una ventina di esse, vecchie combattenti in prima-linea, in tanti posti diversi in Marocco per quaranta, cinquanta o più anni. All’entrata, vi sorride sulla parete la loro foto-ritratto in grande con una simpatica scritta di benvenuto: un’idea geniale! Poi per i corridoi, alla spicciolata, le incontrerete in carrozzina, appoggiandosi a un bastone o ancora ben dritte nel portamento. Suor Gabrielle da sempre infermiera, ultimamente sulle montagne dell’Atlas, vi dirà di amare tanto i bambini e i malati, aggiungendo quasi come un testamento: “Bisogna amare, accettare fino in fondo gli altri come sono!”. Suor Teresa, portoghese, vi confida, invece, con una punta di orgoglio che il Re l’anno scorso le ha fatto avere tramite il vescovo la medaglia d’onore “Issan Alaouite” insieme a tante altre suore, dopo quarant’anni di servizio negli ospedali: prima volta nella storia! Suor Miriam con la convinzione delle sue settantasette primavere vi annuncerà che il lavoro più importante per un missionario è convertire se stesso: così, fu per lei. Accanto a suor Olga, napoletana, ormai in compagnia del suo Alzheimer, un’altra sorella dall’accento francese le canta con tenerezza il suo pezzo preferito: “O sole mio…”.
A pranzo, poi, alcune ragazze ospiti intonano: “Aggiungi un posto a tavola…”, come preghiera d’inizio, ma una suora belga subito la senti esclamare: “Da noi lo si canta ai funerali!”. Sì, come invito al Signore a fare posto per chi sta arrivando… Nonostante tutto, la serenità e la speranza qui sono regine. E sembra quasi che ogni giorno ognuna canticchi in cuor suo, rivolta a Dio, questo stesso, bel ritornello: Aggiungi un posto a tavola. Per ricevere, finalmente, l’abbraccio del Signore che hanno servito fino alla fine. Nella terra musulmana, che hanno immensamente amato.
Ah… benedette suore di Casablanca!

———
*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l’Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista « Presenza italiana ». Dopo l’esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d’Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.

Gmg: 50 giovani cattolici dalla Turchia, nel ricordo di don Santoro e mons. Padovese (articolo di Radio Vaticana, link)

RADIO VATICANA – 17.8.11

Gmg: 50 giovani cattolici dalla Turchia, nel ricordo di don Santoro e mons. Padovese

articolo:

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/articolo.asp?c=513081

Creation of the World – Style: Symbolism – All Mikalojus Ciurlionis artworks for Creation of the World

Creation of the World - Style: Symbolism - All Mikalojus Ciurlionis artworks for Creation of the World dans immagini sacre creation-of-the-world-vii-1906

http://www.wikipaintings.org/en/mikalojus-ciurlionis/creation-of-the-world-vii-1906

Publié dans:immagini sacre |on 16 août, 2011 |Pas de commentaires »

Isacco della Stella: « Inviato alle pecore perdute di Israele »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20110816

XX Domenica delle ferie del Tempo Ordinario – Anno A

Meditazione del giorno
Isacco della Stella (? – circa 1171), monaco cistercense
Sermone 35, 3° per la 2° domenica di Quaresima ; SC 207 (trad. it.)

« Inviato alle pecore perdute di Israele »

        « Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele » In altre parole : Egli è stato inviato a colui al quale è stato promesso. « Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furon fatte le promesse. Non dice la Scrittura: « e ai tuoi discendenti » … ma « e alla tua discendenza » » (Gal 3,16). La promessa fatta nel tempo si compie nel suo tempo e, per gli ebrei, a cominciare dagli ebrei, come sta scritto : « …perché la salvezza viene dai Giudei » (Gv 4,22). È a loro che Cristo, nato da loro nella carne, è stato inviato alla fine dei tempi; è a loro che era stato promesso all’inizio del tempo, che a loro era stato predestinato prima di tutti i tempi. Predestinato per gli ebrei ed i pagani, nato dai soli ebrei senza intermediari nella carne, è stato presentato alla sua nascita nella carne a coloro ai quali era stato promesso…
      Ma il nome  « Israele » significa « uomo che vede Dio » : si applica dunque di diritto ad ogni spirito ragionevole. In questo senso si può capire che « la casa d’Israele » comprende anche gli angeli, questi spiriti predestinati alla visione di Dio…Mentre queste novantanove pecore…, sulla montagna della visione e della gioia del loro pastore, ossia del Verbo di Dio, riposano su pascoli erbosi e camminano verso acque tranquille (Sal 23,2), il buon Pastore è disceso dal Padre quando è giunto « il tempo della misericordia » (Sal 102,14). È stato inviato misericordiosamente nel tempo, lui che…era stato promesso fin dall’eternità; è venuto a cercare l’unica pecora che si era smarrita (Lc 15,4s)…
      Il buon pastore è stato quindi inviato per consolidare ciò che era rotto, per fortificare ciò che era debole (cfr Ez 34,16).  Ciò che era rotto e debole, era il libero arbitrio dell’uomo. In passato, volendo superare se stesso, è caduto; non avendo la forza di sostenersi, è precipitato e si è rotto…, totalmente incapace di rialzarsi. Consolidato, infine, e riconfortato da Cristo stesso…, ma non completamente rinvigorito finché non è collocato tra le altre novantanove pecore su pascoli erbosi, è portato tra le braccia del pastore, che : « …porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri » (Is 40,11).

UNA PAROLA CHE FA VIVERE (sulla lettura di San Paolo in Chiesa, bello!)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-25405?l=italian

UNA PAROLA CHE FA VIVERE

di padre Renato Zilio*

ROMA, lunedì, 31 gennaio 2011 (ZENIT.org).-

La osservo avanzare lentamente, fare un lieve inchino, presentarsi all’ambone. “Lettera di san Paolo…”. Maria, emigrata già dagli anni ’60, inizia a leggere, ma solo dopo un lunghissimo respiro. Non legge, proclama. Lentissimamente. Pronuncia una parola dopo l’altra, articolandola come se dovesse raccontare qualcosa a un bambino con un’inflessione, un respiro e un ritmo senza tempo, sospesi nell’aria. Non c’è assolutamente fretta o voglia di concludere. Ogni parola per un bambino è come una finestra che illumina un avvenimento, un sentimento o un’emozione dentro. Sarà importante, allora, prendersi il tempo di affacciarsi.
Per san Paolo ogni parola è un messaggio, come un frutto gonfio di vita rivolto a una comunità riunita. Maria si ferma ogni tanto con un silenzio interminabile. Benefico. “Ogni parola autentica nasce dal silenzio e dal silenzio è custodita”. Pare quasi di capire che ogni parola dell’apostolo è scavata nell’abisso della sua anima, nell’esperienza di lotta di un essere itinerante, migrante come lei. Come lui. Ma c’è anche l’amore alla nostra lingua. Nel mare di un’altra che all’estero ti circonda, la lingua materna è una terra di salvezza. Un incontro con quello che eri una volta, la tua origine stessa.
Pare di ascoltare da lei la lettera di un figlio che scrive dal fronte. Ogni parola viene pesata, sollevata, guardata e riguardata, gustata fino in fondo. È Paolo di Tarso dal fronte delle prime comunità e dello Spirito che le anima. Comunità raccolte da lui, ma fatte di mille pezzi diversi che Paolo amava come colei che le genera, come una madre. E assomigliano tanto alla nostra comunità di oggi, fatta di calabresi e di friulani, di gente del sud e del nord messi insieme, con qualcuno del posto. Guardo con stupore questa assemblea composita di emigranti della nostra terra, che proprio qui assaporano la parola “unità” e “comunione” in nome di Dio.
E così penso al disagio che provo, a volte, nel rientrare al paese, alla mia parrocchia, e vivere precisamente l’inverso. La Parola di Dio in una celebrazione sembra qualcosa di letto velocemente, come una vecchia poesia che si impara a scuola e si ripete meccanicamente. Sembra quasi una parola che scivola via senza sapore, senza amore. Non vi avverti la fibra dell’apostolo. Il fuoco dello Spirito. Non vedi l’ansia o i mille volti di un popolo di Dio finalmente riunito. Sono i nostri, semplicemente. E per di più con lo stesso pastore da tantissimi anni.
Penso, allora, alla Parola di Dio vissuta qualche tempo fa in terra africana. Dopo il canto, i tamburi, le voci, le mani, il loro ritmo con due colpi e due pause, un lunghissimo grido corale si alzava al punto più alto e tutto, infine, si spegneva d’incanto. Si piombava subito in un silenzio perfetto, immobile. Una miriade di volti neri ti fissava, allora, dall’assemblea con gli occhi ben aperti. Lunghi momenti di attesa, mentre una vera emozione ti prende. Poi, la parola esce dal lettore. Viene offerta con gesto lento come gustandola prima, ruotandola nel palato, assaporandola. Parola calma, sonora e solenne. Vedi subito dagli occhi e dal silenzio come ognuno la riceve: la attende, la gusta, gli risuona nelle tempie, gli fa brillare lo sguardo, scende nell’anima, in profondità. Comprendi allora concretamente che cosa vuol dire una “civiltà della parola” come questa, africana. La parola qui è sacra. E sintesi di cuore, di corpo e di mente. E ancor più dell’amore di Dio, fattosi Parola lui stesso. Essa si posa nella vita di ognuno dopo l’ascolto e la penetra per darne forza, bellezza e coraggio.
E ciò mi fa pensare ancora a un missionario conosciuto all’estero e i gruppi biblici che organizzava di sera tra gli emigrati di Ciociaria. Ed era leggere, commentare e lasciare emergere ciò che essi stessi stavano scrivendo con la loro vita: il loro esodo e la loro resistenza, il coraggio e la fede vissuti in terra straniera, come gli ebrei sui fiumi di Babilonia. Era per il missionario stimolare l’un l’altro con un “sì, ma questo sei tu, Salvatore, raccontaci…”, oppure: “E quella volta cosa è capitato invece a te, Concetta, racconta…”. Faceva risorgere la Parola in tante storie vissute. In avvenimenti concreti e preziosi di malattie, di sorprese o imprevisti, alla maniera semplice e popolare dei nostri emigranti. Vedevi quanto straordinario era per loro prenderne coscienza. Comprendere, finalmente, la dignità della loro esistenza, “una storia sacra” scritta ai nostri giorni. Nelle lacrime, nelle gioie o nelle conquiste di gente che un giorno si era messa in cammino, essi avevano incontrato Dio. Senza saperlo.
———
*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l’Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista « Presenza italiana ». Dopo l’esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d’Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.

Publié dans:LITURGIA, LITURGIA - EUCARESTIA |on 16 août, 2011 |Pas de commentaires »
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