Archive pour juillet, 2011

San Benedetto da Norcia Abate, patrono d’Europa (11 luglio)

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/21200

San Benedetto da Norcia Abate, patrono d’Europa

11 luglio (e 21 marzo)

Norcia (Perugia), ca. 480 – Montecassino (Frosinone), 21 marzo 543/560

È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino. La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d’Europa (24 ottobre 1964). (Avvenire)

Patronato: Europa, Monaci, Speleologi, Architetti, Ingegneri
Etimologia: Benedetto = che augura il bene, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Coppa, Corvo imperiale
Martirologio Romano: Memoria di san Benedetto, abate, che, nato a Norcia in Umbria ed educato a Roma, iniziò a condurre vita eremitica nella regione di Subiaco, raccogliendo intorno a sé molti discepoli; spostatosi poi a Cassino, fondò qui il celebre monastero e scrisse la regola, che tanto si diffuse in ogni lugo da meritargli il titolo di patriarca dei monaci in Occidente. Si ritiene sia morto il 21 marzo.
(21 marzo: A Montecassino, anniversario della morte di san Benedetto, abate, la cui memoria si celebra l’11 luglio).
San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.
Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”.
La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.
Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta.
Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.

Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 9.04.2008)

La sua nobile famiglia lo manda a Roma per gli studi, che lui non completerà mai. Lo attrae la vita monastica, ma i suoi progetti iniziali falliscono. Per certuni è un santo, ma c’è chi non lo capisce e lo combatte. Alcune canaglie in tonaca lo vogliono per abate e poi tentano di avvelenarlo. In Italia i Bizantini strappano ai Goti, con anni di guerra, una terra devastata da fame, malattie e terrore. Del resto, in Gallia le successioni al trono si risolvono in famiglia con l’omicidio.
« Dovremmo domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce ». Lo dice nel XX secolo lo storico Jaques Le Goff. E la voce di Benedetto comincia a farsi sentire da Montecassino verso il 529. Ha creato un monastero con uomini in sintonia con lui, che rifanno vivibili quelle terre. Di anno in anno, ecco campi, frutteti, orti, il laboratorio… Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli “latini” e “barbari”, ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi e antichi padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispetto. Qui finisce l’antichità, per mano di Benedetto. Il suo monachesimo non fugge il mondo. Serve Dio e il mondo nella preghiera e nel lavoro.
Irradia esempi tutt’intorno con il suo ordinamento interno fondato sui tre punti: la stabilità, per cui nei suoi cenobi si entra per restarci; il rispetto dell’orario (preghiera, lavoro, riposo), col quale Benedetto rivaluta il tempo come un bene da non sperperare mai. Lo spirito di fraternità, infine, incoraggia e rasserena l’ubbidienza: c’è l’autorità dell’abate, ma Benedetto, con la sua profonda conoscenza dell’uomo, insegna a esercitarla « con voce grande e dolce ».
Il fondatore ha dato ai tempi nuovi ciò che essi confusamente aspettavano. C’erano già tanti monasteri in Europa prima di lui. Ma con lui il monachesimo-rifugio diventerà monachesimo-azione. La sua Regola non rimane italiana: è subito europea, perché si adatta a tutti.
Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola (ma non sappiamo con certezza se ne sia lui il primo autore. Così come continuiamo ad essere incerti sull’anno della sua morte a Montecassino). Papa Gregorio Magno gli ha dedicato un libro dei suoi Dialoghi, ma soltanto a scopo di edificazione, trascurando molti particolari importanti.
Nel libro c’è però un’espressione ricorrente: i visitatori di Benedetto – re, monaci, contadini – lo trovano spesso « intento a leggere ». Anche i suoi monaci studiano e imparano. Il cenobio non è un semplice sodalizio di eruditi per il recupero dei classici: lo studio è in funzione dell’evangelizzare. Ma quest’opera fa pure di esso un rifugio della cultura nel tempo del grande buio.

Autore: Domenico Agasso

Mat-13,01 Parable The sower (Van Gogh)

Mat-13,01 Parable The sower (Van Gogh) dans immagini sacre 19%20GOGH%20THE%20SOWER%20WITH%20THE%20BASKET

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-13,01_Parable%20The%20sower_Parabole%20Le%20semeur/index6.html

Publié dans:immagini sacre |on 9 juillet, 2011 |Pas de commentaires »

SALMO 64

dal sito:

http://www.perfettaletizia.it/bibbia/salmi/Salmo64.htm

SALMO 64

Al maestro del coro. Saldo. Di Davide. Canto
 
Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion,
a te si sciolgono i voti.
A te, che ascolti la preghiera,
viene ogni mortale.
Pesano su di noi le nostre colpe,
ma tu perdoni i nostri delitti.
Beato chi hai scelto perché ti stia vicino:
abiterà nei tuoi atri.
Ci sazieremo dei beni della tua casa,
delle cose sacre del tuo tempio.
Con i prodigi della tua giustizia,
tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza,
fiducia degli estremi confini della terra
e dei mari più lontani.
Tu rendi saldi i monti con la tua forza,
cinto di potenza.
Tu plachi il fragore del mare
il fragore dei suoi flutti,
il tumulto dei popoli.
Gli abitanti degli estremi confini
sono presi da timore davanti ai tuoi segni:
tu fai gridare di gioia
le soglie dell’oriente e dell’occidente.
Tu visiti la terra e la disseti,
la ricolmi di ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu prepari il frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.
Coroni l’anno con i tuoi benefici,
i tuoi solchi stillano abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia!

Commento

Il salmo è un inno di lode e di ringraziamento a Dio composto in occasione di un pellegrinaggio a Gerusalemme per l’annuale celebrazione della Pasqua Cf. Lv 23,5s). Il tempio è la meta di arrivo: “Ci sazieremo dei beni della tua casa, delle cose sacre del tuo tempio”.
Il salmo ha un grande respiro universalistico presentando Dio non solo quale salvezza di Israele, ma quale fiducia di tutte le genti, poiché gli uomini tendono nella preghiera al “Dio ignoto” (At 17,23), di cui ne colgono l’esistenza e la bontà: “Fiducia degli estremi confini della terra e dei mari lontani”. “I mari lontani” non sono solo distese di acqua, ma sono mari con isole (Cf. Ps 96,1).
Il salmista conosce il valore di incontro con Dio che il tempio offre, perciò prova una santa invidia per coloro che hanno un’opportunità costante di frequentarlo; cioè coloro che sono diventati gli abitanti di Gerusalemme: “Beato chi hai scelto perché ti stia vicino: abiterà nei tuoi atri”. Il tempio è quello eretto da Salomone poiché il salmo dice come Dio abbia fermato e fermi il tumulto dei popoli: è tempo di pace, di libertà, il momento del massimo splendore di Israele. Dio è in pace col suo popolo: “Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze. Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu prepari il frumento per gli uomini”. “Il fiume di Dio” è, con immagine poetica, il calare dell’acqua dal cielo; è la pioggia (Cf. Ps 103,3).
Questo salmo noi lo recitiamo in Cristo, così la casa del Signore è la chiesa dove è presente l’Eucaristia. Ed è beato chi ha lasciato tutto per seguire più da vicino il Signore poiché può “abitare nei suoi atrii”.
“In Sion”, nelle chiese, deve sempre innalzarsi la lode e i ringraziamento per la salvezza ricevuta in Cristo, per la sua presenza sull’altare. I voti, che uno puo’ aver fatto, di maggior partecipazione alla vita ecclesiale, apostolica, trovano il momento del loro scioglimento, o meglio la forza per essere adempiuti, nella partecipazione viva all’Eucaristia.

Omelia : Una Parola feconda (Is 55,10-11)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13134.html

Omelia (13-07-2008) 

don Marco Pratesi

Una Parola feconda (Is 55,10-11)

Il famoso passo si trova quasi alla fine della sezione del Secondo Isaia, nella quale il profeta rivolge un’ultima esortazione al popolo sfiduciato: la Parola che Dio ha pronunziato mediante il profeta si avvererà certamente. « Sì, voi partirete con gioia e sarete ricondotti in pace », si legge nel versetto immediatamente successivo alla nostra pericope. Evidentemente, la situazione del popolo in esilio è tale da non lasciare molto spazio alla speranza, e la Parola di Dio rischia di essere presa per una pia illusione. Ma non lo è, e a conclusione della sua profezia il profeta adduce due elementi a sostegno della sua veridicità. Primo: le vie di Dio non sono le vie umane (55,8-9). È un altro testo celebre che, letto nel suo contesto, rileva il fatto che Dio può salvare anche laddove umanamente non c’è salvezza. Secondo: la Parola di Dio non è detta mai a vuoto, ciò che Dio dice si realizza comunque. L’accostamento con la parabola del seminatore (Mt 13,4-9; Mc 4,3-9; Lc 8,5-8) può risultare fuorviante. Qui non si guarda alle disposizioni umane ma alla volontà divina: la salvezza si compirà comunque, per la forza intrinseca della Parola. Certo, questo richiede di essere creduto, c’è anche un appello alla conversione (55,6-8). La pioggia dà seme e pane. Sono i due estremi del processo: dalla semina al pane, in mezzo c’è tutta la fatica del lavoro dell’uomo (cf. 2Cor 9,10). Rimane tuttavia che la realizzazione del piano di Dio non dipende dalla risposta dell’uomo: niente è in grado di annullarlo. Con un’idea simile si era anche aperta la sezione del Secondo Isaia: « L’erba secca, il fiore appassisce, ma la Parola del nostro Dio sussiste in eterno » (40,8). Ancora si nota il contrasto tra la fragilità dell’uomo e la solidità di Dio. Tutta la profezia del Secondo Isaia sta in mezzo a questi due pilastri, incorniciata dalla fede incrollabile nella solidità del progetto salvifico di Dio, anche in situazioni senza speranza: « la tua parola, Signore, è stabile come il cielo » (Sal 119,89).
La pioggia scende dal cielo e vi torna, e così pure la Parola. Essa viene a noi ed entra nella storia, eventualmente « decodificata », captata dal profeta. La Parola efficace non è principalmente quella del Profeta, ma quella di Dio. La parola profetica, e più in generale rivelativa, è – se autentica – specchio di quella Parola che esce dalla bocca di Dio, agisce nella storia, per tornare infine a Dio. Il suo ritorno a Dio è ugualmente importante, poiché quanto non trova approdo in Dio finisce nel nulla. Una parola che non torni a Dio è semplicemente fiato che si perde nel niente (cf. Sal 94,11), come una navicella oramai abbandonata nello spazio. Dio è principio e fine, tutto parte da lui e sfocia in lui, trovando la sua collocazione definitiva in rapporto a lui. Pensiamo alla parola umana: la parola che abbiamo pronunziato forse non ritorna a noi, nel senso che alla fine la percepiamo come parola sostanziosa o vuota, reale o vana? In Dio la Parola nasce dal silenzio, da esso esce come Parola (ri)creatrice, e torna al silenzio come approdo e pienezza definitiva. Il cosmo intero, con la sua storia, è compreso in questo « viaggio di andata e ritorno » della Parola.
Perciò l’uomo non può vivere « di solo pane » (cf. Dt 8,3; Mt 4,4; Lc 4,4): senza la Parola egli sarebbe semplicemente sopraffatto dalle varie forze che agiscono nella storia, nell’impossibilità di scorgervi qualsiasi progetto complessivamente positivo.
I cristiani lo sanno: questa Parola si è fatta carne, è entrata nella storia (cf. Gv 1,1.14), e in essa rimane attivamente presente fino al completamento del progetto di Dio su di essa (cf. Mt 28,20). Continua a produrre seme per il seminatore del Vangelo (cf. Mc 4,14) e pane per chi di essa si vuol nutrire (cf. Gv 6,40.51). Il piano di salvezza del Signore regge l’urto della storia (cf. Sal 33,11) e la Parola è vittoriosa (cf. Ap 19,11-16). Dobbiamo avere il coraggio della Parola, che significa ascolto e annuncio. Un ascolto perseverante e un annuncio coraggioso della Parola portano certamente alla fruttificazione abbondante, secondo la chiamata, dei germi di bene celati nei solchi della nostra terra.

Omelia: La Parola che ti cambia la vita se accolta e vissuta

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13173.html

Omelia (13-07-2008) 

padre Antonio Rungi

La Parola che ti cambia la vita se accolta e vissuta

Celebriamo oggi la XV domenica del tempo ordinario dell’anno liturgico e la parola di Dio ci fa riflettere sull’efficacia della parola di Dio nel cuore e nella vita di chi crede o meno in Lui.
Il vangelo infatti ci riporta la parabola del seminatore che uscì a gettare la semente perché producesse il frutto. Di questa seminagione gli effetti furono diversi, come lo stesso testo biblico ci ricorda. Un brano molto sintetico ma particolarmente incisivo ed efficace per far capire ciò che Gesù voleva esattamente dire ai suoi discepoli, molte volte distratti da altre cose e poco attenti ai messaggi che il divino maestro inviava loro con la parola e con la vita. Da tutto il contesto interessante notare come Gesù colga qualsiasi occasione per istruire la gente, per fare catechesi. La situazione in cui si trova Gesù è particolarmente promettente e stimolante in quanto è in riva al mare e c’è tanta gente ce si raduna intorno a Lui. Occasione propizia per parlare di qualcosa che lascia il segno come d’altronde successe. E di che cosa parlare se non della stessa parola di Dio che comunica agli uomini attraverso la Sua Stessa Persona e attraverso la Sua Stessa Voce. Lì è Gesù che parla e lì è Dio che continua a parlare, come aveva fatto con gli antichi profeti. Ma qui siamo in una condizione e situazione nuova, del tutto unica e irripetibile, in quanto è lo stesso Figlio di Dio a parlare direttamente all’uomo e a suscitare nel suo cuore una risposta d’amore e d’impegno di vera ed autentica salvezza.
Di fronte a questo esempio di vita, c’è da domandarsi tra quali soggetti noi siamo. Se siamo il terreno buono e fertile che ha prodotto comunque una risposta di adesione a Gesù Cristo e al suo messaggio di salvezza, o ci dobbiamo collocare tra i vari luoghi improduttivi di cui ci dice Gesù relativamente ala fallimento della non accoglienza della sua proposta d’amore, di misericordia e di conversione.
Non possiamo non considerare quanto scrive il profeta Isaia qualche secolo prima della venuta di Cristo proprio in riferimento al Parola di Dio, traendo dalla natura delle immagini particolarmente efficaci per esprimere il suo pensiero e la parola di Dio ispirata e fissata nello scritto. Penso che sia davvero così. Chi ascolta con attenzione e predisposizione interiore la parola di Dio non può restare indifferente, non può rimanere uguale a stesso come prima senza modificare nulla nella sua vita. La parola di Dio, se ti tocca le corde più intime del cuore e della mente, ti modifica radicalmente, ti fa essere quella persona che lentamente cresce in sapienza e bontà, allontanandosi dal male e dalla falsità.
Dal canto suo san Paolo Apostolo, nel brano della lettera ai Romani che leggiamo oggi, ci ricorda il nostro eterno destino, facendoci prendere coscienza che anche le più terribili sofferenze di oggi o di un’intera vita sono ben poca cosa, temporalmente e concretamente, rispetto alla felicità eterna verso la quale siamo incamminati, nella misura in cui facciamo tesoro della parola di Dio e non solo l’ascoltiamo ma la pratichiamo. Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la vivono ogni giorno, cantiamo insieme nella liturgia eucaristica, come recitiamo insieme la preghiera iniziale della messa di oggi: « Accresci in noi, o Padre, con la potenza del tuo Spirito la disponibilità ad accogliere il germe della tua parola, che continui a seminare nei solchi dell’umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace e riveli al mondo la beata speranza del tuo regno ».
Come dire, un forte appello alla nostra responsabilità personale circa l’adesione alla parola di Dio che ascoltiamo durante le varie celebrazioni religiose o comunque possiamo personalmente meditare prendendo tra le nostre mani la Sacra Bibbia e leggendola sistematicamente. Se non lo possiamo fare personalmente, perché limitati nel tempo e nelle condizioni fisiche, valorizziamo tutte le occasioni che ci vengono dalla comunità parrocchiale ed ecclesiale, ma anche dai molteplici media che offrono anche servizi alla parola, come Internet, radio, televisione, giornali, stampa, riviste di ogni genere. Anche l’encomiabile iniziativa che la Rai ha preso per il prossimo autunno di leggere la Bibbia, partendo proprio con la disponibilità del Papa a fare questo, va apprezzata e valorizzata per approfondire il testo sacro e mettersi in sintonia con esso al fine della nostra personale santificazione e salvezza eterna. Capire ciò che il Signore vuole da ognuno di noi è il primo passo verso la beatitudine, passando per la purificazione del cuore e della mente, secondo quando ci dice proprio il brano evangelico di questa quindicesima domenica del tempo ordinario. Se il nostro cuore è ancora duro, arido, senza alcun valore morale non potrà mai dare una risposta produttiva alla parola che pure entra e tocca le sue corde. Se invece diventa sensibile e si predispone all’accoglienza libera e disinteressata della parola, esso darà frutti parziali, sufficienti ed anche ottimi se è libero da ogni cosa ed è concentrato solamente in Dio. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 9 juillet, 2011 |Pas de commentaires »

DOMENICA 10 LUGLIO – XV DEL T.O.

DOMENICA 10 LUGLIO – XV DEL T.O.

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A15page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Rm 8, 18-23
L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

http://www.bible-service.net/site/379.html

Romains 8,18-23
Un grand texte ! Paul vient d’évoquer la gloire de l’héritage à laquelle sont promis les enfants de Dieu (v. 17). Face à cette gloire, les souffrances du présent sont peu de chose : l’espérance d’un avenir meilleur en Dieu aide à porter le poids du fardeau d’aujourd’hui (v. 18). Paul élargit brusquement l’horizon. Ce n’est pas l’homme seulement qui attend et espère la libération, mais toute la création. L’homme est inséparable de l’ensemble de la création, l’humanité bien sûr, et avec elle tous les êtres créés, visibles ou invisibles. L’homme fait corps avec l’univers. Or le péché de l’homme a affecté tout le monde créé. Au lieu d’être libre pour louer Dieu, l’univers est asservi au néant (Qohélet 1,2). Pourtant, une espérance le soulève ; puisqu’il a été associé au péché de l’homme, il espère aussi être associé à sa libération. Cette espérance est fondée sur la présence rédemptrice de Jésus Christ au cœur de toute la création (Ephésien 1,10 ; Colossiens 1,16-17).

Romani 8, 18-23
Un grande testo! Paolo ha appena evocato la gloria dell’eredità alla quale sono promessi i figli di Dio (v. 17). Di fronte a questa gloria, le sofferenze del presente sono poca cosa: la speranza di un futuro migliore in Dio aiuta a portare il peso del carico d’oggi (v. 18). Paolo allarga bruscamente l’orizzonte. Non è l’uomo soltanto che attende e spera la liberazione, ma tutta la creazione. L’uomo è inseparabile dall’insieme della creazione, l’umanità certamente, e con essa tutti gli esseri creati, visibili o invisibili. L’uomo fa corpo con l’universo. Ma il peccato dell’uomo ha influito su tutti creati. Anziché essere libero di lodare Dio, l’universo è asservito al nulla (Qoelet 1,2). Tuttavia, una speranza lo solleva; poiché è stato associato al peccato dell’uomo, spera anche esso di essere associato alla sua liberazione. Questa speranza è fondata sulla presenza redentrice di Gesù Cristo nel cuore di tutta la creazione (Efesini 1,10; Colossesi 1,16-17).

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal primo libro dei re 16, 29 17, 16

Il profeta Elia al tempo di Acab, re d’Israele
Acab figlio di Omri divenne re su Israele nell’anno trentottesimo di Asa re di Giuda. Acab figlio di Omri regnò su Israele in Samaria ventidue anni. Acab figlio di Omri fece ciò che è male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori. Non gli bastò imitare il peccato di Geroboamo figlio di Nebat; ma prese anche in moglie Gezabele figlia di Et-Baal, re di quelli di Sidone, e si mise a servire Baal e a prostrarsi davanti a lui. Eresse un altare a Baal nel tempio di Baal, che egli aveva costruito in Samaria. Acab eresse anche un palo sacro e compì ancora altre cose irritando il Signore Dio di Israele, più di tutti i re di Israele suoi predecessori.
Nei suoi giorni Chiel di Betel ricostruì Gerico; gettò le fondamenta sopra Abiram suo primogenito e ne innalzò le porte sopra Segub suo ultimogenito, secondo la parola pronunziata dal Signore per mezzo di Giosuè, figlio di Nun.
Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Gàlaad, disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io». A lui fu rivolta questa parola del Signore: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. Ivi berrai al torrente e i corvi per mio comando ti porteranno il tuo cibo». Egli eseguì l’ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera; egli beveva al torrente.
Dopo alcuni giorni il torrente si seccò, perché non pioveva sulla regione. Il Signore parlò a lui e disse:
«Alzati, va’ in Zarepta di Sidone e ivi stabilisciti. Ecco io ho dato ordine a una vedova di là per il tuo cibo». Egli si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso perché io possa bere».
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». Elia le disse: «Non temere; su, fa’ come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra». Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia.

Responsorio    Cfr. Gc 5, 17-18; Sir 48, 1. 3
R. Il profeta Elia pregò intensamente che non piovesse, e non piovve; * poi pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia.
V. Sorse Elia, simile al fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola. Per comando del Signore chiuse il cielo;
R. poi pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia.

Seconda Lettura
Inizio del trattato «Sui misteri» di sant’Ambrogio, vescovo
(Nn. 1-7; SC 25 bis, 156-158)

Catechesi dei riti pre-battesimali
Ogni giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché, modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che si addice ai battezzati.
Ora è venuto il tempo di parlare dei misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che spiegato questa dottrina. C’è anche da aggiungere che la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa, anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione previa.
Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo significato, quando celebrando il mistero dell’apertura degli orecchi vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo mistero quando ha curato il sordomuto.
Successivamente ti è stato spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su ciò che hai riposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri. La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi. Presso il fonte tu hai visto il levita, hai visto il sacerdote, hai visto il sommo sacerdote. Non badare all’esterno della persona, ma al carisma del ministero sacro. E` alla presenza di angeli che tu hai parlato, com’è scritto: Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è l’angelo del Signore degli eserciti (cfr. Ml 2, 7). Non si può sbagliare, non si può negare. E’ un angelo colui che annunzia il regno di Cristo, colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo non dall’apparenza, ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha dato, pondera l’importanza del suo compito, riconosci che cosa egli fa.
Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso l’oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo, lo guarda diritto in faccia.

Responsorio    Cfr. Tt 3, 3. 5; Ef 2, 3
R. Anche noi un tempo eravamo insensati, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda. * Ma Dio ci ha salvati mediante un bagno di rinascita nello Spirito Santo.
V. Tutti noi, un tempo, abbiamo seguito i desideri della carne, eravamo per natura meritevoli della collera divina;
R. ma Dio ci ha salvati mediante un bagno di rinascita nello Spirito Santo.

The Jewish year

The Jewish year dans immagini sacre jewishyearwheel

http://www.torahtots.com/calendar/jewishcalendar.htm

Publié dans:immagini sacre |on 8 juillet, 2011 |Pas de commentaires »
1...89101112...14

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01