24 LUGLIO : SAN ŠARBEL MAKHLUF (m)

dal sito:

http://www.ayletmarcharbel.org/Italiano/SaintSharbelItalian.htm

SAN ŠARBEL MAKHLUF

MONACO LIBANESE MARONITA

(1828-1898)

Vita di San Šarbel Makhluf (1828- 1898)

È definito « l’Eremita del Libano ». È venerato ancora oggi, dopo cent’anni dalla sua morte. San Šarbel Makhluf nacque a Bka’-kafra nel nord del Libano l’8 maggio 1828 da Brigida Šidiac e Antun Zaärur. Era l’ultimo di cinque fratelli: due maschi, Hanna e Bešara e due sorelle, Kaunet e Wardeh. Il suo nome di battesimo è Yussef (Giuseppe). Suo padre era un semplice contadino, viveva del raccolto dei suoi campi. Rimasto orfano del padre a tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno. A 14 anni già si ritirava in una grotta appena fuori del paese a pregare per ore (oggi è chiamata la grotta del santo). Era un ragazzo semplice che accudiva il gregge di famiglia; a ventidue anni decise di entrare in mona­stero. Yussef, senza salutare nessuno, nemmeno la madre, una mattina dell’anno 1851 si diresse al Monastero di Nostra Signora di Maifuq per farsi religioso. Alla fine del suo noviziato, prese il nome di Šarbel, martire di Antiochia del II secolo. A Maifuq il lavoro dei novizi consisteva nel selezionare i rami di gelso da cui i contadini locali, donne comprese, raccolgono in un secondo tempo i bachi da seta.[1] Durante questa operazione, una giovane, per provocare il monaco, gli getta un baco sul volto. Il gesto, all’apparenza banale, fa capire a Šarbel che Maifuq non è abbastanza isolato dal mondo perché vi possa realizzare il suo ideale monastico. La notte stessa fugge di nascosto per rifugiarsi, alle prime luci dell’alba, presso il Monastero di San Marone di Annaya. Il registro del monastero di Maifuq riporta: “entrò per la prova Yussef di Bka’-kafra. Fu chiamato Sharbel; nell’agosto del 1851 si è sfratato”. Il verbo arabo indica l’abbandono volontario del monastero.
Ad Annaya Šarbel trascorre il secondo anno di noviziato ed emette i voti solenni il primo di Novembre 1853. In seguito fu trasferito al Monastero dei Santi Cipriano e Giustina di Kfifan, nel Batrun, per proseguire gli studi teologici dove San Nimatullah Al-Hardini diventa il suo direttore spirituale e insegnante di teologia morale. Fu ordinato sacerdote a Bkerke, Sede Patriarcale, il 23 luglio 1859.
Dopo sedici anni di rigoroso ascetismo ad Annaya nel Monastero di San Marone e dopo il miracolo della lampada,[2] il 15 febbraio 1875, i suoi superiori gli permi­sero di ritirarsi nell’Eremo dei Santi Pietro e Paolo posto a 1350 metri di altezza su una collina di fronte al monastero. Lì visse per il resto dei suoi giorni, in preghiera e contemplazione, digiunando fre­quentemente e svolgendo lavori manuali, quali coltivare le vigne del monastero, e nutrendosi sempre in modo parco.[3] Era sempre assorto in preghiera, se non veniva interpellato non parlava mai, a chi veniva a visitarlo e a chiedergli consiglio gli porgeva la risposta facendogli leggere qualche brano della vita di qualche santo o qualche brano del vangelo o dell’imitazione di Cristo. È considerato sempre come un monaco esemplare dotato di un’obbedienza angelica e di un raccoglimento straordinario. Il suo pensiero era sempre rivolto verso l’Assoluto fino al punto di rifiutare di vedere sua mamma per tutta la vita ed altri suoi parenti. Il suo fu un distacco radicale. Visse i suoi voti religiosi di obbedienza, castità e povertà in modo eroico.
“Šarbel dimostrò di possedere sin dall’inizio doti straordinarie e virtù eroiche, ed una fervida spiritualità. Un giorno, ad esempio, salvò due monaci da un serpente velenoso, chieden­do semplicemente alla creatura di andare via”.[4]
Basta che egli spargesse un po’ di acqua benedetta e le cavallette scappavano via e non mangiavano più il raccolto.
Tutti erano convinti che egli rimanesse attivo anche dopo la sua morte: perché sia i suoi confratelli sia quelli che lo conoscevano apprezzavano la sua spogliazione totale dalla vita terrena per amore di Cristo e di Maria.
Mentre celebrava la Santa Messa, il 16 dicembre 1898, al momento dell’elevazione dell’Ostia Consacrata e del calice e la recita della preghiera eucaristica, lo colse una crisi apoplettica; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di dolorosa agonia finché il 24 dicembre, a mezzanotte, ritornò alla casa del Padre.
“La sua tomba fu immediatamente circondata da una “straordinaria luminosità” che durò per quarantacinque giorni, mentre l’interesse del pubblico continuò a crescere. Alcuni pellegrini tentarono addirittura di rubare parte delle sue spoglie: ne conseguì che le autorità decisero di riaprire la tomba, e così vi trovarono il corpo galleggiante nel fango, ma completamente privo di segni di deterioramento “come se fosse stato seppellito quello stesso giorno”. Si notò che un liquido simile al sangue tra­sudava dal suo corpo. Si conserva ancora il panno impregnato di questo liquido e, secondo la testimonianza dei monaci, è responsabile di molti casi di guarigio­ne avvenuti negli anni; inoltre, durante il secolo scorso, la sua tomba è stata aper­ta ben quattro volte (l’ultima volta nel 1955), ed in ogni occasione si è potuto constatare come questo corpo sangui­nante possieda ancora la sua flessibilità, come fosse ancora vivo”.[5]

Ecco un’altra testimonianza:
“A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari sulla sua tomba. Questa fu aperta e il corpo fu trovato intatto e morbido. Rimesso in un’altra cassa, fu collocato in una cappella appositamente preparata, e dato che il suo corpo emetteva un sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana. Nel 1927, essendo iniziato il processo di beatificazione, la bara fu di nuovo dissotterrata. Nel febbraio del 1950 monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido. Supponendo un’infiltrazione d’acqua, davanti a tutta la Comunità monastica fu riaperto il sepolcro: la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore asciugò con un amitto il sudore rossastro dal viso del Beato Šarbel ed il volto rimase impresso sul panno.
 Sempre ad aprile del 1950, le autorità religiose, con una apposita commissione di tre noti medici, riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. Fuori la folla implorava con preghiere la guarigione di infermi portati lì da parenti e devoti. Molte furono le guarigioni istantanee che ebbero luogo in quell’occasione. Si sentiva da più parti gridare Miracolo! Miracolo! Fra la folla vi era chi chiedeva la grazia pur non essendo cristiano o non cattolico.
 Il Papa Paolo VI, il 5 dicembre 1965, lo beatificò davanti a tutti i Padri Conciliari durante il Concilio Ecumenico Vaticano II e lo elevò alla gloria degli altari il 9 ottobre 1977”.[6]

Il mistero del volto [7]
“Un altro mistero lo riguarda: nessuno ha mai visto il volto di San Šarbel dopo il suo ingresso nel monastero, tranne ovviamente i suoi confratelli. Nessuno lo ha mai ritratto, né fotografato in vita. Aveva sempre il cappuccio calato sugli occhi. Eppure oggi abbiamo di lui una immagine che lo rappresenta con gli occhi volti in basso, con un viso dolce illuminato da una bontà ultraterrena e da una mistica pensosità, incorniciato da una auste­ra e saggia barba bianca ed un semplice cappuccio da frate.
Da dove proviene dunque questa immagine? L’8 maggio 1950, cioè mezzo secolo dopo la sua morte, in coincidenza con la sua data di nascita, quattro missionari maroniti scattarono una foto di gruppo insieme al custode presso la sua tomba.
Durante lo sviluppo apparve un sesto personaggio, un monaco dalla barba bianca, a mezzo busto, con il cappuccio e gli occhi abbassati. Non vi era alcun fotomontaggio ed i monaci più anziani riconobbero in quel volto San Šarbel con i tratti degli ultimi suoi giorni di vita mortale. San Šarbel Makhluf rimane dunque una tra le figure più meravigliose ed intense della fede universale, ed un esempio di rettitudine e profusione di un mistico amore che ha pochi eguali nella storia dell’umanità”.
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[1] Cfr. Patrizia Cattaneo, Sono qui per guarirti! Charbel il Santo Amico, Roncade, Edizioni Segno, 2005, p.76-77.
[2] “Una sera un domestico del monastero di Annaya gioca un tiro mancino al padre. Di nascosto riempie d’acqua la lampada di Šarbel e gliela porge. Questi l’accende e la lampada brucia. L’inserviente spaventato si pente, corre dal superiore e gli confessa la bravata, esortandolo a rilevare il prodigio. Il superiore trova Padre Šarbel con la lampada accesa, ignaro di tutto. La sequestra e constata che in essa non c’è traccia d’olio. La lampada arde con l’acqua! Un segno divino che il superiore registra nella memoria”. In Patrizia Cattaneo, Op. cit. p. 86.
[3] “La cella di Padre Šarbel è di sei metri quadrati. L’anacoreta indossa sempre la stessa tonaca in estate e nel rigido inverno delle montagne libanesi e, sotto le vesti, porta il cilicio. Dorme su un tappeto di pelo di capra con un asse di legno per guanciale. Una lampada ad olio, una brocca d’acqua, una scodella di legno, uno sgabello per tavolo ed un sedile di pietra costituiscono tutto il suo mobilio. Dorme tre ore per notte, prega e lavora incessantemente. Recita il salterio sette volte al giorno, celebra la messa nella chiesetta dell’eremo e prega quotidianamente per le anime del purgatorio. Egli venera teneramente la gran Madre di Dio, soprattutto con la recita del rosario […] si nutre una sola volta al giorno, verso le tre pomeridiane, di una misera zuppa di legumi, senza mai toccare carne, né frutta. Coltiva la vigna, ma non assaggerà mai un solo acino d’uva. Fugge il denaro come la peste, rifiuta le offerte e, se costretto ad accettare, le consegna immediatamente ai superiori. Pratica quattro volte l’anno il digiuno totale, a imitazione dei Padri del Deserto. Esce raramente, solo per vistare qualche ammalato, per ordine del superiore. Cammina col cappuccio calato sul volto, senza mai rivolgere lo sguardo ad alcuno”. Cfr. Ibidem, p. 80-82.

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Cfr. Antonio Borrelli, San Jerbello (Sarbel, Charbel) Giuseppe Makhluf Sacerdote, reperibile in www.santiebeati.it/dettaglio/3585

Publié dans : SANTI, SANTI :"memorie facoltative" |le 23 juillet, 2011 |Pas de Commentaires »

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