(SALMO 102 – COMMENTO EBRAICO)
dal sito:
http://www.nostreradici.it/titoli_festa.htm
(SALMO 102 – COMMENTO EBRAICO)
« Benedici il Signore, anima mia,
Signore, mio Dio, quanto sei grande!
Rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto…
Fai scaturire le sorgenti nelle valli
scorrono tra i monti;
ne bevono tutte le bestie selvatiche
e gli onagri estinguono la loro sete.
Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo,
cantano tra le fronde.
Dalle tue alte dimore irrighi i monti,
con il frutto delle tue opere sazi la terra.
Fai crescere il fieno per gli armenti
e l’erba al servizio dell’uomo,
perché tragga alimento dalla terra:
il vino che allieta il cuore dell’uomo;
l’olio che fa brillare il suo volto
e il pane che sostiene il suo vigore.
Si saziano gli alberi del Signore,
i cedri del Libano da lui piantati.
Là gli uccelli fanno il loro nido
e la cicogna sui cipressi ha la sua casa.
Per i camosci sono le alte montagne,
le rocce sono rifugio per gli iraci
Voglio cantare al Signore finché ho vita,
cantare al mio Dio finché esisto.
A lui sia gradito il mio canto;
la mia gioia è nel Signore ».
Sal 104. 1-2a. 10-18.33-34.
Data e nome della Festa
Tu bi-shevat, come Tish’a be-av, è una festa designata per la sua data: Tu.
Secondo il valore numerico della prima lettera (Tet=9) e della seconda (Waw=6) Tu è il quindicesimo giorno (9+6=15) del mese di Shevat. È I’undicesimo mese se si conta da Nissan (il mese della Pasqua) e quinto se si conta da Tishrì (il mese delle feste).
Shevat è il mese durante il quale, nell’ultimo anno di peregrinazione per il deserto, Mosè avrebbe ripetuto al popolo tutte le parole di Dio: « Nel quarantesimo anno, I’undecimo mese, il primo giorno del mese, Mosè parlò agli Israeliti, secondo quanto il Signore gli aveva ordinato di dir loro » (Dt 1,3). In questo discorso, Mosè annunzia I’ esilio come castigo dell’infedeltà, ma nello stesso tempo apre alla speranza della conversione e del ritorno.
Senso della festa
Secondo la Mishnah, Tu bi-Shevat è uno dei quattro giorni di Capodanno allora conosciuti: « Vi sono quattro inizi dell’anno.
Il primo di Nissan inizia l’anno di regno dei re e il ciclo delle feste di pellegrinaggio.
Il primo di Ellul è l’ inizio dell’anno per la prelevazione della decima degli animali.
Il primo Tishrì è per l’ inizio del computo degli anni, anni di maggese e giubilari, Rosh ha-Shanah.
Il primo di Shevat inizia il nuovo anno per gli alberi. Questa è l’ opinione di Shammai.
L’opinione della scuola di HilleI è che l’anno degli alberi inizia il quindici di Shevat. » (1)
La divergenza di parere tra i due era senz’altro dovuta alloro luogo di residenza. Hillel e i suoi discepoli vivevano a Gerusalemme e sulle colline della Giudea dove gli alberi, a una certa altitudine, fiorivano più tardi rispetto alla pianura in cui avevano le loro terre i seguaci di Shammai. La data che si impose fu Quella fissata da Hillel.
Come Rosh ha-Shanah è un giorno di giudizio per gli uomini, il quindici di Shevat, Capodanno degli alberi, è un giorno di giudizio per gli alberi: in esso Dio decide l’abbondanza dei frutti dell’ annata. Gli uomini, allora, pregano Dio, Creatore e Giudice, per la prosperità di queste creature che sono gli alberi.
Gravida d’acqua dopo la stagione delle piogge che di solito terminano in questo periodo, la terra permetterà agli alberi che saranno piantati di radicarsi e di portare frutto. Ed è sui frutti maturi, dopo questa data, che bisognerà prelevare la decima (Lv 19,23-25). Questo giorno è feriale, non è perciò che una festa a metà. Non se ne parla nella Bibbia, anche se vi abbondano le prescrizioni concernenti gli alberi.
È comunque molto antica dato che se ne fa menzione nella Mishnah. La data oscilla per noi tra la fine di gennaio e la metà di febbraio: ci troviamo a una svolta importante nella natura poiché sotto la morte apparente dell’albero si nasconde un nuovo dinamismo. La linfa sale e si prepara un’ esplosione di vita.
Il carattere festivo di questo giorno si sviluppò durante l’ esilio « galut », nel XVI secolo. Probabilmente per nostalgia della terra promessa, così lontana nello spazio, ma così vicina alla memoria del cuore.
I mequbbalim (2) di Safed, cittadina della Galilea, hanno introdotto un ulteriore significato della festa. Ytzchak ben Salmon Luria (1534-1572) e i suoi discepoli si sentivano molto vicini alla natura e andavano spesso nei campi ad osservare il cambio delle stagioni. Secondo la Torah, dicevano, l’ albero da frutto, l’ albero del campo è l’uomo stesso. Mangiare dei frutti significa espiare il peccato originale.
Gli alberi devono ricordarci l’ Albero della Vita che apporta al mondo la benedizione divina, Tu bi-Shevat è il momento per prepararci a ritrovare l’armonia dell’Eden, che permetterà la restaurazione spirituale del mondo « tikkun olam ».(3) Simboli e riti
Si tratta di una festa minore come tutte le altre feste di istituzione rabbinica. Nell’ufficio non viene recitata nessuna preghiera penitenziale, non ha alcuna referenza speciale nella liturgia e il digiuno è vietato.
Nelle comunità « ashkenazite » (4) originarie dell’est del Reno, vi è l’usanza di mangiare quindici frutti diversi, con una preferenza per quelli che vengono dalla terra d’Israele, recitando la benedizione: « Benedetto sei tu Signore nostro Dio, Re dell’Universo, che crei il frutto dell’albero ».
Alcune comunità « sefardite » hanno arricchito i riti e i costumi di Tu bi-Shevat, introducendo un vero servizio liturgico sul modello del « seder » di Pasqua. Si celebra una funzione attorno alla mensa familiare e si pronuncia la benedizione sul grano, l’orzo, l’uva, i fichi, i melograni, le olive e il miele, le sette specie con le quali è stata benedetta la terra d’Israele (Dt 8,8). Si consuma, quindi, il pasto rituale che comprende anch’esso quattro coppe di vino ed è accompagnato dalla lettura di passi della Scrittura, del Talmud, di poemi e di canti. Dopo aver mangiato i frutti, si recita questa preghiera di ringraziamento:
« Noi ti rendiamo grazie, perché tu sei, Signore nostro Dio e Dio dei nostri padri, Dio di ogni carne, nostro Creatore, Creatore dell’inizio; benedizioni e lodi al tuo Nome grande e santo, per la vita che ci hai donato e conservato. Continua ancora a donarci vita e a mantenerci in questa vita e riunisci noi dispersi nei tuoi santi atri per osservare i tuoi comandamenti, compiere la tua volontà e servirti con un cuore puro ».
Si recita poi il salmo 104 che è una lode al manifestarsi della grandezza di Dio nella creazione e i quindici salmi delle ascensioni (salI 120-134).
I sefarditi, inoltre, recitano in questo giorno, che chiamano « festa dei frutti », delle poesie speciali « complas ». I bambini hanno diritto a una festa a parte e ricevono in regalo un sacchetto di frutta « bolsa de frutas ».
La vigilia di Tu bi-Shevat, i sefarditi di Gerusalemme si riuniscono nelle sinagoghe o nelle « yeshivot », le scuole talmudiche. Leggono per tutta la notte passi della Torah, della Mishnah, del Talmud e dello Zohar, raccolti in un volumetto « Peri Es Hadar », il bel frutto, che contiene anche vari riferimenti alla vita agricola della terra santa.(5)
Un frutto tipico della festa è il carrubo detto anche « pane di san Giovanni » forse perché il Battista se ne nutriva nel deserto: la stessa parola greca ha il doppio significato di cavalletta e di carrubo.
Il ritorno del popolo ebraico in Israele ha dato un significato ulteriore a questa festa. I pionieri iniziarono a dissodare il deserto, a bonificare le paludi e a piantare alberi senza numero.
La festa fu l’ occasione per rinsaldare il legame del popolo con la terra, facendolo partecipare al rimboschimento. Ancora oggi, in questo giorno, i bambini delle scuole, i nuovi immigrati e gli ospiti stranieri « piantano alberi ».
La redenzione della terra in seguito al dissodamento del deserto e al rimboschimento di un suolo pietroso e spoglio, porta l’israelita ad elevare, con forza e con gioia, un canto di azione di grazie al Creatore: « Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato » (Dt 8, 10).
È consuetudine fare passeggiate nel paese. Una bella preghiera è recitata da alcune comunità:
« Sia questa la tua volontà, Dio nostro ed eterno e Dio dei nostri padri, che per la virtù di questi frutti che stiamo per consumare e su cui pronunciamo la benedizione, gli alberi si carichino di una profusione di frutti, crescano e fruttifichino dall’inizio dell’anno fino alla fine, per la felicità, la vita e la pace. » (6)
Agganci con la liturgia cristiana
Si tratta di una festa che non ha l’equivalente nel mondo cristiano. Tuttavia la Scrittura è piena di riferimenti agli alberi, dalle prime pagine fino alle ultime.
« E il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’ albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male » (Gen 2, 8-9).
L’albero della vita, precluso all’uomo dopo il peccato, lo ritroviamo in Ap 22, 2: « In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’ altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’ albero servono a guarire le nazioni.
« Questo albero di vita, questo albero unico, che si eleva tra la terra e il cielo e che ha squarciato il cielo per noi, è il legno spoglio della Croce. La liturgia della Passione ci invita a cantare:
O Croce fedele, albero venerato,
albero unico per la sua nobiltà.
Mai le foreste hanno prodotto fiori
e frutti simili.
Legno amatissimo, chiodi benedetti,
come è dolce il fardello che portate! »
(1) Hillel e Shammai, due saggi dell’epoca del secondo Tempio, vissuti nei primi anni dell’era cristiana, capi di due scuole che rivaleggiavano tra loro.
(2) Mequbbalim, seguaci della Qabbalah, tradizione, termine che indica l’insieme della dottrina esoterica e mistica ebraica.
(3) Colette Estin, Feste e Racconti Ebraici, Edizioni Dehoniane Roma, 1991, p.98.
(4) Ashkenazita è il rito « tedesco » degli ebrei provenienti dall’Europa centro-orientale, che si distingue da quello sefardita « spagnolo » seguito dalle comunità nord-africane e medio-orientali.
(5) Cahiers Evangile, Les fetes juives, Service Biblique Evangile et Vies, Edition du Cerf, Paris, 1993, p.113.
(6) Rina Geftman, L’offerta della sera, Piemme, Casale Monferrato, 1994, p.79.
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