I PROFETI – ZACCARIA: dove sta Dio?
dal sito:
http://www.apostoline.it/riflessioni/profeti/zaccaria.htm
I PROFETI - ZACCARIA: dove sta Dio?
di LUIGI VARI, biblista
Nel cammino fatto fin qui, abbiamo parlato spesso della Parola che Dio rivolge al profeta, o al suo popolo. Si ha quasi l’impressione di un filo diretto che permette una comunicazione pienamente soddisfacente. È vero che spesso l’incomprensione entra come parte determinante del rapporto; ma, più che incomprensione, abbiamo parlato di disobbedienza. Può allora nascere un problema in ognuno di noi, un problema fortemente attuale. Noi che non facciamo comunemente esperienza di una parola che ci viene rivolta direttamente, come facciamo ad esercitare il nostro ruolo di profeti? È vero che abbiamo la Bibbia, e nella Bibbia i Vangeli; ma essi non sembrano colmare l’assenza di Dio caratteristica della nostra esperienza di uomini e di donne di inizio secolo XXI. Quelle parole, qualora vengano solo ripetute, ci danno il senso di un’antichità preziosa, mai anticaglia, eppure lontana, più bella, ma meno pratica. È come se ci venisse portata da ammirare una vecchia e preziosa macchina da scrivere, certamente ne riconosceremmo la bellezza, ma mai penseremmo di sostituire con essa il nostro piccolo computer.
Possiamo veramente parlare di un « silenzio di Dio », e noi capiamo che cosa sia essere portatori di una parola; ma che cosa significa essere « profeti del silenzio »? Una situazione non dissimile da quella vissuta dal profeta Zaccaria, impegnato nei primi anni del 500 a. C. in mezzo al popolo che era rientrato in patria e si era messo a ricostruire il tempio dopo la lacerante esperienza dell’esilio. L’esilio, comunque si vedano le cose, fu vissuto come esperienza dell’assenza di Dio. Il Tempio, luogo della Gloria di Dio, era distrutto, Gerusalemme, la città di Dio, era devastata, il popolo deportato… dove sta Dio? Se durante l’esilio, come abbiamo visto, ci sono stati profeti che hanno tenuto viva la fede, ora, dopo il ritorno, si rischia l’avvilimento, il « lasciarsi cadere le braccia », perché Dio non parla più.
Zaccaria vive in questa situazione la sua profezia che non è negazione della difficoltà, ma fede determinata nel fatto che non è possibile che Dio taccia. Cambiano i modi con cui Dio si fa presente nella nostra vita, ma non possiamo pensare che egli smetta di essere presente.
Nasce così la profezia di Zaccaria che si sviluppa in visioni; cioè in simboli da interpretare, in segni da decifrare. Si tratta di credere che le Parola continua ad esserci e sforzarsi di trovarla nei fatti, nelle cose della vita.
Dio è presente nella nostra storia
Sono otto le visioni della profezia di Zaccaria.
La prima visione è quella dei cavalieri (1,8-17), una visione che dà l’impressione che non possa succedere nulla: « Abbiamo percorso tutta la terra: tutta tranquilla » (1,11), al punto che l’angelo del Signore si scoraggia « fino a quando rifiuterai di avere pietà di Gerusalemme (…) sono ormai settanta anni » (1,12). L’esperienza di quiete è, però, illusoria, non è vero che il Signore si dimentica della sua città; infatti la seconda visione mostra le corna egli operai, le corna rappresentano i nemici di Israele, ma ecco è arrivato il momento di distruggere i distruttori, per questo infatti sono mandati gli operai. Il disegno positivo di Dio si chiarisce nella terza visione sempre più segnata dalla speranza, essa mostra una fune per misurare, la fune serve ai muratori per ricostruire le mura; questa ricostruzione è superiore a quella che gli uomini possono desiderare: nuove mura per una città più grande e ancora insufficienti per contenere la gente: « gioisci, esulta, Figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te (…). Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore, e diverranno suo popolo ed egli dimorerà in mezzo a te e tu saprai che il Signore degli eserciti mi ha mandato a te » (2,14-15). La città ricostruita non basta, occorre che essa sia governata e, dopo una quarta visione che parla del sommo sacerdote Giosuè, abbiamo la quinta visione del candelabro e i due olivi, una specie di teoria del buon governo. Si va avanti così fino all’ottava visione, nel tentativo di comprendere i fatti della storia, di non perdere il filo della presenza di Dio, unico filo con il quale è possibile costruire la speranza. Questa speranza viene espressa dai discorsi che fanno da quadro alle visioni.
« Cambiare » perché cresca la speranza
Nei discorsi (cc. 7 e 8) abbiamo la promessa di un cambiamento: « Gerusalemme sarà chiamata Città della fedeltà e il monte del Signore degli eserciti Monte santo » (8,3), cambiamento che significherà situazione di gioia, nata dall’armonia: « Vecchie e vecchi siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme (cioè si potrà vivere la vita arrivando alla vecchiaia, senza distruzione di giovani vite a causa della violenza), ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze » (8,4-5). Una voglia di tranquillità che nasce da una pace realizzata, è il modo con cui il popolo del paese ha voglia di Dio. Una tranquillità per nulla statica, ma che nasce da un cambiamento totale, infatti il cambiamento del nome (Gerusalemme sarà chiamata Città della fedeltà) indica, per la legge che in Oriente il nome identifica la persona, la nascita di una reale novità.
Cambiare, questa è la condizione per far crescere la storia in chiave di speranza. Cambiare: « ecco che cosa dovete fare: parlate con sincerità ciascuno con il suo prossimo: veraci e sereni siano i giudizi che terrete alle porte delle vostre città (la porta è un po’ la piazza della città, là ci si incontrava, si facevano affari e si tenevano anche giudizi, come in un tribunale) » (8,16). Cambiare diventa un imperativo e una responsabilità di ciascuno.
Queste parole che abbiamo ora letto potrebbero essere pronunciate con grande attualità, nelle nostre piazze. Ma chi crede che veramente si possa cambiare? Chi pensa che rapporti limpidi possano sostituirsi alle manovre torbide che andiamo leggendo sui giornali e che sappiamo essere, al di là delle finte meraviglie, una questione assolutamente ordinaria? Nel turbine dello scarico delle responsabilità, mentre i beneficiari di una società gestita con criteri spesso indecorosi, si aggirano come se fossero arrivati solo adesso, risuona forte il comando di Zaccaria: « ciascuno… ».
Io penso che essere uomini di fede, oggi, sia accogliere quell’invito a cambiare, sia rifiutare il compromesso, la furbizia, il depravato meccanismo delle « conoscenze », per avere rapporti limpidi. Ecco ancora la parola, la profezia che ci disorienta. Ancora la difficoltà di scegliere fra speranza: seguire la Parola, e disperazione: seguire « il proprio buon senso »… Eppure sentiamo l’urgenza di dare credito alla Parola, sentiamo l’urgenza di dover dare questa testimonianza. Se noi crediamo che oggi il desiderio di Dio diventa desiderio di cambiamento, dobbiamo permettere a chi cerca di trovare, allora… « in quei giorni dieci uomini di tutte le lingue afferreranno un giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi perché abbiamo compreso che Dio è con voi » (8,23). Lo troveranno in qualcuno di noi un « giudeo » che si lasci afferrare il mantello? Solo nella misura in cui ciascuno di noi deciderà di cambiare.
(da « Se vuoi »)
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