Archive pour juin, 2011

il dono dell’Eucarestia

il dono dell'Eucarestia dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 15 juin, 2011 |Pas de commentaires »

Lo Shofar

dal sito:

http://www.chabad.org/holidays/JewishNewYear/template_cdo/aid/5008/jewish/Lo-Shofar.htm

Lo Shofar

Lo Shofar, come vi sarà noto, è un semplice corno d’ariete. Durante tutto l’anno è nascosto nell’Arca Santa nella sinagoga, o in un altro posto indicato, e non vi rivolgiamo attenzione. Ma quando viene il mese di Elul, lo shofar emerge dal suo posto nascosto, ad interpretare un ruolo prominente durante i Giorni Solenni. Il suono dello Shofar (Tekiath Shofar; è il punto culminante del servizio di Rosh-Hashanah, e fa la sua apparizione finale alla conclusione di Yom Kippur.
Esaminiamo lo Shofar più da vicino. Forse potremmo scoprire cose che non sapevamo prima. Ad esempio, vi siete mai soffermati a pensare che è uno dei più antichi strumenti a fiato usati dall’uomo? Secondo un’opinione si può paragonare nel tempo al flauto a linguetta (nominato « ugav » nella Bibbia), ma esso non ha nessun ruolo con temporaneo nel servizio divino. Lo Shofar, invece, è lo stesso che abbiamo usato per migliaia di anni. Attraverso la storia dell’umanità, nuovi strumenti sono stati inventati, altri vecchi scartati, e potremmo trovarne eventuale traccia solo nei musei. Non è notevole che rimaniamo attaccati al nostro vecchio Shofar?
Certamente, considerando lo Shofar come strumento musicale, non possiamo dirne molto; non produce toni morbidi e delicati, come una tromba moderna o altri strumenti a fiato. Ma dopo tutto lo Shofar per noi, non è uno strumento musicale. Non viene utilizzato per piacere o per svago. Tutto al contrario. Ha un senso profondo. E’ un richiamo alla penitenza, che annunzia i Dieci Giorni di Pentimento, inizianti con Rosh-Hashanah e culminanti con Yom Kippur. II suo messaggio, nelle parole del grande Maimonide è:
« Svegliatevi o dormienti, e meditate sulle vostre azioni, ricordatevi del vostro Creatore e tornate a Lui. Non siate come quelli che distorcono la realtà, perdono i loro anni nell’inseguimento e alla ricerca di cose vane dalle quali non trarre né profitto, né liberazione. Guardate bene le vostre anime e considerate i vostri atti. Abbandonate le vostre cattive inclinazioni e pensieri, e tornate a D-o, così che Egli possa esercitare la grazia su voi ».
In questo consiste la più importante funzione dello Shofar. l suoni dello Shofar infondono un sacro timore, e toccano il nostro cuore con un’acuta vibrazione, provocando pentimento, implorazione, e umiltà. Infatti, il vero suono dello Shofar, donatoci dalla tradizione, richiama quello di singhiozzi rotti a sospiri. Tali suoni sono tre: Tekiah (il richiamo diretto ), Shevarim ( tre richiami a singhiozzo ), e Teruah (nove o più suoni a singhiozzo). Vengono suonati nel seguente ordine:

1. Tekiah – Shevarim – Teruah Tekiah
2. Tekiah – Shevarim – Tekiah
3. Tekiah – Teruah – Tekiah.

In ogni caso i suoni vengono ripetuti tre volte, componendo trenta suoni in tutto. Nell’insieme, non meno di cento suoni dello Shofar vengono emessi nel corso del servizio mattutino di Rosh Hashanah (il sopracitato gruppo di suoni è ripetuto tre volte risultante così in novanta, più una singola volta in finale).
Rosh Hashanah è chiamato il giorno del suono dello Shofar. In questo giorno è obbligatorio per ogni ebreo sentire lo Shofar. Ma come già menzionato, lo Shofar viene suonato durante tutto il mese di Elul, per via della preparazione per il Giorno d’Espiazione. (Nella mattina prima di Rosh Hashanah ciò non avviene per porre un intervallo). Un singolo lungo richiamo alla fine del servizio di Yom Kippur riporta la conclusione del Giorno d’Espiazione.
Il nostro Shofar, come già menzionato, è un corno d’ariete. I nostri saggi spiegano che è un promemoria dell’Akedah (il sacrificio di Yitzchak, quando un montone impigliatosi con le coma ad un cespuglio, fu preso da Abraham e offerto in olocausto del proprio figlio). L’Akedah non ci serve solo come ispirazione di autosacrificio nel servizio di D-o, ma anche come speciale raccomandazione presso il Tribunale Celeste per garantirci la misericordia per il merito di Abraham nostro patriarca se non per i nostri meriti.
Siccome lo scopo dello Shofar è di inspirarci con umiltà e pentimento, possiamo ben capire perché abitualmente lo Shofar non è riccamente decorato. Decorazioni ed ornamenti non lo rendono disadatto finché sono sulla parte esterna. Ma se a poco a poco penetrano le pareti del corno esso diventa inservibile.
Forse questo ci può servire come lezione sull’importanza della semplicità e umiltà. Come lo Shofar, che diventa inservibile se 1′oro e l’argento dei suoi ornamenti penetrano l’ossatura dello stesso, così anche noi diventiamo insignificanti esseri umani se permettiamo all’oro e 1′argento di diventare così importanti nelle nostre vite al punto di penetrarci nelle ossa e prenderne possesso, dominando le nostre menti, ed anime.
Anticamente, lo Shofar era suonato in occasioni molto solenni. Principalmente troviamo lo Shofar menzionato in connessione con la Rivelazione del Monte Sinai, quando « La voce dello Shofar era estremamente forte, e tutto il popolo che era nel campo tremava. »
Così lo Shofar che sentiamo in Rosh Hashanah ci dovrebbe ricordare della nostra accettazione della Torah e mantenimento delle mizvoth.
Era uso suonare lo Shofar quando la guerra incalzava contro un nemico pericoloso. Così, lo Shofar di Rosh Hashanah dovrebbe servirci come guida nella battaglia, per muovere guerra contro il nostro nemico interiore, le nostre cattive inclinazioni e passioni.
Lo shofar veniva suonato nell’anno del Giubileo, annunciando libertà dalla schiavitù e dalle miserie. Lo Shofar che sentiamo di Rosh Hashanah dovrebbe essere il segnale dello scuotimento dall’impurità, così da poter cominciare una nuova vita con un cuore puro rivolto al servizio di D-o, e al prossimo.
Questo è il motivo per cui il nostro popolo viene chiamato « Yodei Teruah », il popolo che capisce ed apprezza il suono e il messaggio dello Shofar.
Rendendoci completamente partecipi del messaggio dello Shofar, meriteremo di sentire « II Grande Shofar » che annuncierà la nostra completa Redenzione e ritorno a Zion.
I nostri saggi dicono di due corni dell’ariete dell’Akedah, il sinistro venne suonato sul Monte Sinai, ma il destro – « II Grande Shofar » – sarà suonato per annunciare la venuta del Messia.

Publié dans:EBRAISMO |on 15 juin, 2011 |Pas de commentaires »

Temi della predicazione paolina

dal sito:

http://www.homolaicus.com/storia/antica/atti_apostoli/commenti2/5.htm

Temi della predicazione paolina

In Paolo riviviamo la stessa contraddizione presente nelle tribolazioni di Gesù: ambedue furono infatti perseguitati per essere uccisi (anche se Paolo riesce a scampare davanti ai Giudei), sebbene portassero per strade e villaggi un messaggio di pace! Vediamo infatti quali erano i temi principali dei discorsi sociali di Paolo, al di là della sua dottrina teologica:
Riguardo all’amore fraterno […] vi esortiamo, fratelli, a farlo ancora di più e a farvi un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno. (1Tessalonicesi 4:9-12)
[…] Vivete in pace tra voi. Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. (1Tessalonicesi 5:13-15)
Nell’ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, (Efesini 4:26)
Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. (Efesini 4:31-32)
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. […] Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. […] Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. (Romani 12:9-21)
Questo richiamo alla docilità del comportamento e alla pace in qualsiasi situazione viene fatto discendere dal volere e dalle caratteristiche proprie della divinità:
Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, (1Tessalonicesi 5:9)
Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione […]. (1Tessalonicesi 5:23)
Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo […]. (2Tessalonicesi 3:16)
Divinità che sarebbe corsa poi a far giustizia dei patimenti dei suoi fedeli:
È proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono (2Tessalonicesi 1:6)
Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco, perché presso Dio non c’è parzialità. (Romani 2:9-11)
Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. (Romani 12:19)
A queste esortazioni di vivere in pace e tranquillità si aggiungono quelle alla sottomissione sociale:
Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; […] E voi, mariti, amate le vostre mogli, […] Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. […] Schiavi, obbedite ai vostri padroni […] prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini. […] Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, […]. (Efesini 5:21-6:9)
Esorta gli schiavi a esser sottomessi in tutto ai loro padroni; li accontentino e non li contraddicano, non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore. (Tito 2:9-10)
Ricorda loro di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlar male di nessuno, di evitare le contese, di esser mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini. (Tito 3:1-2)
Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto. (Romani 13:1-7)
Gli incitamenti alla pace sociale si ripetono in molte Lettere e invitano i fedeli a rimanere docili gli uni verso gli altri e verso i superiori, per far rispettare l’ordine costituito. Com’era possibile che tali esortazioni guadagnassero a Paolo una condanna a morte da parte dei Romani, come ci viene tramandato dai primi padri della Chiesa?
[Eusebio] cita Dionisio di Corinto (ca. 170), il quale aveva affermato che Pietro e Paolo « furono martirizzati nello stesso tempo » […] La testimonianza di Eusebio relativa alla morte di Paolo durante la persecuzione di Nerone è generalmente accettata. [1]
Eppure Clemente di Roma, considerato collaboratore di Paolo, parla del martirio di Pietro ma non di Paolo di cui invece riferisce che:
Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell’occidente e resa testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo il più grande modello di pazienza. [2]
C’è qualcosa che non combacia con le evidenze storiche. Se di Gesù sappiamo che fu messo a morte dai Romani come sobillatore sociale, ora dobbiamo spiegare perché Paolo venne « perseguitato » dai Giudei mentre andava in giro a predicare la pace.
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[1] Cfr. AA.VV. ‘Grande Commentario Biblico’, Brescia, Editrice Queriniana, 1973. 46:44.
[2] Cfr. Monasterovirtuale

Omelia per il 15 giugno 2011 – prima lettura: 2Cor 9,7

 dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/4447.html

Omelia (18-06-2003)

Eremo San Biagio

Commento 2Cor 9,7

Dalla Parola del giorno
Dio ama chi dona con gioia.

Come vivere questa Parola?
L’esortazione di Paolo ai cristiani di Corinto riguarda quell’impegno della carità che è, come si è visto, la prova concreta di un amore non parolaio. Ma qui l’apostolo esplicita un altro aspetto importante del farsi prossimo nel dono di sé. È l’aspetto del « donare con gioia ». Dice l’apostolo: « Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia ». Intanto emerge l’importanze che il dono sia anzitutto una decisione libera che ha radici nell’interiorità. Che uno decida nel suo cuore significa che è fuori da ogni costrizione, cioè dall’operare per forza, perché ha paura del giudizio altrui, perché tutti lo vedono e lo sanno, perché teme il confronto con quelli che danno con più larga mano di lui. Ma c’è di più! La decisione che matura nel cuore è decisamente non volontaristica, dunque non forzata (e perciò triste) ma impregnata dalla gioia di chi sperimenta, nel cuore abitato da Dio, l’onda continua del suo amore. « La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena ». Questo desiderio di Gesù si attua in chi, proprio perché cerca la sua gioia nel Signore (cf Sl 37,4) fa un’esperienza che è di fondo per la crescita umano-cristiana della persona. Ed è codificata negli Atti, come espressione detta da Gesù: « C’è più gioia nel dare che nel ricevere » (At 20,35). Come potrebbe Dio non amare chi facendo questa esperienza, veste di gioia il suo amare?
Oggi, nella mia pausa contemplativa, sosto a lasciarmi interpellare nel profondo. È sempre per una spinta, meglio per una decisione del cuore, che io mi do e vengo operando con amore? Oppure vivo spesso la risacca delle imposizioni dettate dal mio ego (fare bella figura, non sottostare a confronti, essere a posto con l’ambiente, con le consuetudini sociali e religiose che vogliono che io dia qualcosa)?
Signore Gesù, ti prego! Ch’io sia il « fanciullino » del Regno dal cuore limpido e libero. Ch’io impari a donare e a donarmi, non per forza ma solo per amore, per la gioia di farti piacere.

La voce di una Santa attualissima
Hai lavorato tanto in questi giorni? Hai fatto tutto bene? Ma lo hai dato dal tuo intimo? Tutto il tuo prodigarti, che senso ha avuto per te? Hai dato con amore, con rispetto? Non cercate cose grandi, fate soltanto cose piccole con grande amore, gioiosamente.
Madre Teresa di Calcutta

Omelia (15-06-2011): E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22773.html

Omelia (15-06-2011)
Movimento Apostolico – rito romano
E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà

Nel discorso della Montagna troviamo tutta la saggezza, l’intelligenza, la sapienza infinita di Gesù Signore. Noi siamo per i divieti, le proibizioni, gli aggiornamenti. Continuamente decretiamo ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è antico e ciò che è moderno nella nostra religione. Così facendo attestiamo al mondo intero la nostra stoltezza. Siamo stolti ed insipienti perché non imitiamo Cristo Gesù.
Il Signore quando è venuto sulla nostra terra si è trovato dinanzi ad un popolo che aveva fatto della religione la sua fede. Non era riuscito a fare invece della fede la sua religione. Cosa fare per trasformare la religione in fede? Non certo abrogandola, decretando la sua non bontà, dichiarando la non conformità alla volontà del Padre. Gesù ha preso questa religione e ha dato ad essa un solo principio di verità. Fate tutto, ma secondo verità. Continuate ciò che state facendo, ma vivetelo con una verità nuova, che è poi quella giusta e santa, che dona valore eterno a tutte le opere che noi compiamo. Cambiare opera non serve. L’opera in se stessa è neutra alla fede. Ma anche cambiando opera, essa verrebbe vissuta con il veleno di morte che la religione ha iniettato in essa. Con la saggezza di Gesù tutto si può rinnovare e santificare.
Principio nuovo per la santificazione di ogni manifestazione religiosa dell’uomo è uno solo: fare ogni cosa per la gloria di Dio, mai per l’esaltazione dell’uomo, per nutrire la sua superbia, accrescere la sua invidia, espandere la sua gelosia, aumentare la sua concupiscienza, rendersi gradito e accetto agli uomini. Se togliamo tutti questi motivi di peccato, vi rimarrà solo il motivo giusto, quello santo. Il peccato però non si toglie modificando, abrogando, aggiornando le pratiche religione, vietandone alcune, promuovendone altre. La pratica religiosa, purché non sia immorale in se stessa, è sempre neutra per rapporto alla fede.
Il peccato dal cuore lo toglie solo Cristo Signore attraverso la mediazione della sua Chiesa. È questa l’opera urgente che la Chiesa deve compiere, assolvendola con zelo, amore, grande disponibilità, spirito di sacrificio, intensa attività pastorale. Una volta che il peccato è tolto e la verità comincia ad irradiarsi nel cuore, allora anche la religione inizia a viversi senza peccato, perché la si vivrà senza superbia, invidia, gelosia, ignoranza, prepotenza, concupiscienza, rivalità, ricerca di se stessi. La si vivrà come momento solenne perché una più grande gloria salga al nostro Dio e Signore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, liberateci da ogni peccato.

Crocifissione con la Trinità

Crocifissione con la Trinità dans immagini sacre fe588c0edf3a6cc8eee260609a34df54

http://www.sanmichelearcangelo.com/site_italiano/index.php?page=shop.browse&category_id=40&option=com_phpshop&Itemid=6

Publié dans:immagini sacre |on 14 juin, 2011 |Pas de commentaires »

Il Monte Athos: Maria, unica donna ammessa sulla Santa Montagna

http://www.stpauls.it/madre03/0204md/0204md06.htm

IL MONTE ATHOS

Maria, unica donna ammessa sulla Santa Montagna

di Giorgio Gharib

La Vergine Maria è la vera Regina del Monte Athos, « datole in proprietà da suo Figlio », secondo la tradizione. – Le icone della Panaghìa qui venerate sono un bene comune di tutta l’ortodossia.

Il Monte Athos, da sempre chiamato « giardino della Panaghìa », professa e manifesta una speciale relazione con la Madre di Dio che regna sovrana su un territorio da dove viene esclusa ogni altra donna; e questo, sembra, fin dalle origini monastiche del sacro Monte.

La popolazione athonita, composta da soli monaci, detti familiarmente « calogeri », ha l’anima impregnata di devozione e di amore per la Madre di Dio. La Madonna, invocata di preferenza con il nome di Panaghìa, Tuttasanta, è considerata la Padrona della Santa Montagna, la vera Regina di questa repubblica monastica, la vera proprietaria di uomini e di luoghi.

I calogeri raccontano volentieri molte leggende per avvalorare questa speciale presenza della Panaghìa nei luoghi del Monte Athos e nei loro cuori.

In questo mondo tutto proiettato verso le realtà celesti, la Vergine è onnipresente: realtà profonda, questa, attinta ad una vita liturgica eminentemente mariana come quella bizantina, illuminata da una vita di santità svolta sotto una reale presenza della Vergine e nutrita da una grande mole di tradizioni e leggende che fanno da sfondo all’anima e all’immaginario della popolazione monastica.

Icone mariane dell’Athos

Bisogna anche evocare il mondo delle icone, che per l’Oriente cristiano costituisce un modo di rendere visibile il mondo invisibile. I monaci vivono, infatti, a contatto diretto con una infinità di icone, che spaziano su tutto il mondo della Bibbia, dei Vangeli e della storia della Chiesa. Molte di queste rappresentano la Madre di Dio nella sua realtà storica, per la convinzione radicata nella tradizione dell’Oriente cristiano di possedere per loro tramite riproduzioni, se non l’originale stesso, del ritratto fatto dal vivo dall’evangelista Luca. Le icone mariane vi sono venerate qui da secoli, e ad esse si attribuiscono continui prodigi, quasi tutti connessi alla storia più che millenaria dell’Athos.

Le icone più celebri, la cui fama di miracoli e prodigi è patrimonio di tutto il mondo ortodosso, sono custodite di solito nel katholikón, o chiesa centrale di ogni Monastero, e si presentano alla vista dei fedeli coperte di oro e pesanti gioielli, illuminate dalla debole luce dei ceri e delle lampade a olio. Fra le più venerate spicca quella detta dell’Axion éstin, che si trova nella chiesa di Karyes, capitale amministrativa della Repubblica monastica.

Nel monastero della ‘Grande Lavra’, il primo Monastero fondato all’Athos nel 963, come già riferito, troneggia l’icona della Theotókos Vimatarìssa (o del sacrestano), chiamata anche Ktitorìssa (dei fondatori). Nel monastero di Vatopedi si venera l’icona della Panaghìa Antiphonìtria (colei che ha interdetto). Un antico racconto dice infatti che questa immagine si sarebbe rivolta all’imperatrice Galla Placidia (+ 452), intimandole di non entrare nella chiesa; e così sarebbe nato il divieto d’ingresso per le donne all’Athos.

Le icone mariane dell’Athos portano una infinità di nomi la cui origine è legata ad un fatto miracoloso e ad uno speciale intervento di Maria in favore di un Monastero o di un monaco. Così l’icona più famosa del Monastero di Ivìron è chiamata Portaitìssa, cioè Portinaia o « colei che custodisce la porta ». L’icona del monastero Dionisiou porta il nome Myrrovlitìssa, o « colei che esala il profumo di mirra »; ma è più nota come Vergine dell’Akathistos: viene difatti identificata con l’icona portata in processione nel 625, durante l’assedio di Costantinopoli, dal patriarca Sergio attorno alle mura; egli stesso poi, in segno di gratitudine, avrebbe cantato in piedi in onore della Madonna il famosissimo inno.

L’elenco delle icone della Panaghìa venerate sul Monte Athos comprende molti nomi di icone divenute bene comune di tutta l’ortodossia. Tra le altre, menzioniamo le seguenti come più note:

Panaghìa Koukouzelíssa, di Giovanni Koukouzélis

Panaghìa Vimatirìssa, detta anche Ktitorìssa, o Antiphonìtria, « Colei che ha risposto »

Panaghìa Eleovrytis, « Colei che fa scorrere olio »

Panaghìa Tricheroùsa, « dalle tre mani »

Panaghìa Papadikí, del Papàs

Panaghìa Phovera Prostasía, « della Terribile Protezione »

Panaghìa Gerondìssa, dell’Anziano

Panaghìa Proangellómeni, « Colei che avverte »

Panaghìa Epakouoùsa, « Colei che esaudisce »

Panaghìa Gorgoepìkoos, « Colei che esaudisce prontamente »

Panaghìa Kathrèptis, « Specchio »

Panaghìa Niotìssa, « Insulare »

Panaghìa Odigìtria, « Colei che mostra la via »

Panaghìa Glykophiloùsa, « del dolce bacio », ecc.

Queste e altre icone, alcune delle quali sono venerate anche in Occidente, saranno da noi presentate in seguito, nel contesto dei Monasteri athoniti in cui sono custodite e venerate.

Una visita a Maria sull’Athos?

I monaci del Monte Athos, per giustificare lo specialissimo legame che esiste tra il Monte e la Madre di Dio, ricorrono a molte testimonianze contenute sia nei libri di storia monastica sia nei racconti di apparizioni di cui poterono beneficiare alcuni celebri monaci vissuti sulla Santa Montagna.

Una prima tradizione, riferita dai Patria, specie di raccolta di testi leggendari sulle origini dei Monasteri dell’Athos, riferisce che gli Apostoli, radunati nel Cenacolo dopo la Risurrezione e l’Ascensione di Cristo, avrebbero deciso di mandare missionari per diffondere il Cristianesimo nel mondo conosciuto di allora. La Madonna stessa, in quella occasione, espresse il desiderio di partire e le fu assegnato il compito di andare in Georgia e sull’Athos. Le fu però comunicato, tramite Gabriele, di rimandare la partenza; la Madonna obbedì fino al giorno in cui ricevette da Lazzaro, allora Vescovo di Cipro, l’invito di recarsi da lui, prima della sua morte. Durante il viaggio da Efeso con Giovanni l’evangelista, una violenta tempesta spinse il battello verso l’Athos e costrinse la Madre di Dio a sbarcare nella penisola, non lontano dal luogo in cui sorse poi il monastero di Ivìron. Affascinata dalla bellezza del luogo, la Panaghìa richiese il Monte in dono al Figlio Gesù. Allora si udì una voce: « Questo luogo sia tua eredità e tuo giardino; e sia porto di salvezza per coloro che vogliono salvarsi ».

Monastero di Grigoriu.

In quell’occasione Maria avrebbe pronunziato queste parole: « Questo monte mi è stato dato in eredità da mio Figlio e Dio ». Si mette anche nella bocca di Maria la seguente preghiera (che si ritroverà più tardi nella vita di Pietro Athonita): « Figlio mio e Dio, benedici questo luogo e riversa la tua misericordia su questo monte e sui suoi abitanti sino alla fine del mondo, per il tuo e per il mio nome. Fa’ che siano facilmente rimessi i loro peccati e salvali dalla dannazione eterna. Ricolmali di ogni bene nel secolo presente e della vita eterna; glorifica questo luogo al di sopra di ogni altro e diffondi qui le tende di questi tuoi fedeli da un capo all’altro, dal settentrione al meridione, e salvalo da ogni assalto di nemici visibili e invisibili ».

Leggenda di Galla Placidia

Un’eco lontana della predizione della Vergine è percepibile in racconti più tardi scritti sempre con l’intenzione di riaffermare con forza lo specialissimo legame esistente tra il Monte Santo e la Madre di Dio. E ancora, verso il 1855, un monaco aghiorita, Giacomo di Nea Skiti, riproducendo nella sua monumentale ‘Storia dell’Athos’ (Athonias) la predizione della Madre di Dio a Pietro, aggiungeva che sulla donazione del Monte Santo alla Vergine da parte di Cristo « esistono molti libri manoscritti nelle biblioteche dei Monasteri athoniti in lingua greca e slava ». Ciò facendo, egli ribadiva la realtà « storica » di questa donazione che era invece contestata da altri dotti.

Fra le numerose leggende che si riferiscono a questo argomento, basti citarne solo una, riguardante Galla Placidia (386-452), la figlia di Teodosio I, che voleva rendere visita al suo fratello, l’imperatore Arcadio di Costantinopoli, e si fermò all’Athos; venne in pellegrinaggio al monastero di Vatopedi che il suo padre aveva fondato. I monaci le andarono incontro, la ricevettero con i dovuti onori e la portarono in grande pompa nel Monastero e nella chiesa. I calogeri entrarono dalle grandi porte di bronzo; l’imperatrice, invece, insistette per entrare da una porta più stretta situata al nord. Ma nel momento stesso in cui si apprestava a attraversare la porta, sentì di colpo una voce simile al tuono che proveniva dall’icona vicinissima della Panaghìa, che diceva: « Fermati! Non fare un passo di più! Cosa fai qui, tu una donna? Tu sei sì una regina, ma qui regna un’altra Regina. Esci dalla chiesa: i piedi di una donna non calpesteranno mai più questo territorio! ».

I calogeri raccontano che, a partire da quel giorno, l’ingresso della Santa Montagna fu severamente interdetto a tutte le donne. E questa che abbiamo raccontato è, nel Monte Athos, la tradizione monastica relativa alla straordinaria proibizione. Lo stesso divieto, come abbiamo visto in precedenza, è stato invocato più tardi da Sant’Atanasio dell’Athos, il fondatore della ‘Grande Laura’.

Senza dubbio, ragioni ascetiche rigide e il desiderio di massima osservanza della castità a cui è votato il monaco sono all’origine di tale divieto. Esso potrebbe ricondursi forse già ad una decisione dell’Imperatore Basilio I il Macedone (897-886), il quale, in una crisobulla dell’885, in seguito a molte difficoltà ed ingerenze esterne negli affari dei Monaci, riservò a loro soli il diritto di abitare la Santa Montagna, negandolo ai laici e persino ai Pastori delle Chiese. In seguito, oltre che alle donne, il divieto si estese anche agli animali di sesso femminile.

Publié dans:LUOGHI DEL SACRO |on 14 juin, 2011 |Pas de commentaires »
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