Archive pour mai, 2011

Omelia sulla prima lettura di domenica 22 maggio 2011 (Atti 6,1-7) : Comunione e missione

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/12500.html

Omelia (20-04-2008)

(sulla prima lettura Atti 6,1-7)

don Marco Pratesi

Comunione e missione

La lettura ci presenta un episodio nel quale per la prima volta nella comunità cristiana, oramai cresciuta, si crea una tensione, un malcontento, che riguarda non singoli, ma gruppi. Da un lato i cristiani provenienti dal giudaismo palestinese (qui detti « ebrei »), dall’altro quelli provenienti dalla diaspora, quindi di lingua e cultura ellenistica, ma abitanti in Gerusalemme (« ellenisti »). Due gruppi di mentalità diversa, che faticano a capirsi su un problema ben preciso: la gestione degli aiuti alle vedove della comunità.
Si noti che questo contrasto non viene affatto censurato da Luca. Non c’è una parola di condanna. L’emergere di conflitti fa parte dell’esperienza comunitaria: non appena si esce dall’isolamento per mettersi alle prese con altri, il conflitto può verificarsi, e di fatto spesso si verifica. Dove i conflitti non esistono non c’è comunità, oppure essi sono mascherati, repressi o gestiti in modo autoritario. Il problema non è far sparire i conflitti, ma gestirli in modo che – sfida davvero degna del popolo della Pentecoste – essi servano alla comunione e alla crescita. È quanto accade in questo caso: Luca nota alla fine che la comunità incrementa la sua forza di richiamo (v. 7).
È una comunità dove non ci si limita a lamentarsi, ma ci si rende disponibili al servizio. I sette prescelti sembrano – a giudicare dai nomi – esponenti proprio di quel gruppo dal quale era partita la lagnanza, che sarà poi determinante nel portare la Parola fuori dalla Giudea (con il martirio di Stefano, la conseguente diaspora e l’opera evangelizzatrice di un altro dei sette, Filippo).
Osserviamo l’importanza del ministero apostolico, servizio all’unità che si attua in primo luogo mediante uno stile comunitario. Gli Apostoli convocano e sollecitano la comunità, che dal suo interno, nel vivo della trama dei suoi rapporti interpersonali, esprime le persone adatte al nuovo ministero. In secondo luogo è servizio che si realizza grazie a una chiara consapevolezza del proprio compito e della propria chiamata: la preghiera e il servizio della Parola. Di questa consapevolezza fa parte anche la convinzione che la Chiesa ha facoltà di strutturarsi e organizzarsi come crede più confacente al mandato missionario ricevuto dal Signore.
Dall’episodio emerge un popolo che vive una comunione ordinata, nella quale ciascuno trova e svolge il proprio compito, senza perdere di vista l »unità; dove le differenze non sono negate o represse, ma vissute nell’ambito della comunione, diventando quindi motivo di ricchezza. L’impulso missionario verrà proprio dal gruppo degli ellenisti (cf. At 6-8), prima della comparsa della gigantesca figura di Paolo (cf. At 9).
A queste condizioni la Parola di Dio può essere efficacemente testimoniata e annunziata, generando nuovi figli alla fede. Per dispiegarsi nella storia, in una società che oscilla tra l’individualismo e la soluzione violenta dei conflitti, il movimento della Parola ha bisogno di una comunità ministeriale luogo di unità nelle diversità che, retta dal servizio pastorale degli Apostoli, vive la comunione per la missione.

Omelia (22-05-2011) [domenica] : Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22499.html

Omelia (22-05-2011)

Movimento Apostolico – rito romano

Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me

La fede che gli Apostoli hanno in Dio deve essere anche fede in Cristo Gesù, senza alcuna differenza. Cristo Gesù è nel Padre. Il Padre è in Cristo Gesù. Il Padre vive totalmente in Cristo. Cristo vive totalmente nel Padre. Non vi è separazione, allontanamento, distacco, incomprensione, distanza. Cristo e il Padre sono una cosa sola. Lo sono sul piano operativo ed anche dell’unità di natura. La differenza è solo nella Persona: Il Padre è Padre perché ha generato Cristo Gesù nell’eternità. Gesù è il Figlio Unigenito del Padre che si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Anche sul piano della volontà sono una cosa sola.
Il Padre parla e il Figlio ascolta. Il Padre vuole e il Figlio obbedisce. Il Padre comanda e il Figlio realizza ogni mistero d’amore e di verità del Padre. Per questa obbedienza perfetta, senza neanche il limite della morte cruenta sulla Croce, Gesù può dire che chi vede Lui vede il Padre. È realmente così: Cristo Gesù è la perenne teofania umana del Padre. Chi ascolta Gesù ascolta il Padre. La Parola di Gesù è Parola del Padre. Anche le opere di Gesù sono opere del Padre. Basta vedere Cristo e si è dinanzi alla presenza del Padre. Questo mistero di unità, perfettissima comunione si compie solo in Cristo Gesù. Nessun altro uomo realizza questa unità. Neanche la potrebbe realizzare, perché ogni altro uomo è semplicemente un uomo. Cristo è Dio nella sua natura e Persona. Lui è Persona divina della stessa sostanza del Padre. Non due sostanze, ma una sola. Non una sola Persona, ma due: il Padre e il Figlio che vivono in unità eterna con lo Spirito Santo, la Terza Persona della Beata ed unica Trinità.
Gesù vuole che la stessa unità, comunione, obbedienza, carità, ascolto che vi è tra Lui e il Padre vi sia anche tra i Discepoli e Lui. Lui è la voce del Padre sulla nostra terra. Loro dovranno essere la voce di Gesù. Lui è l’opera del Padre in mezzo al suo popolo. Loro dovranno essere l’opera di Gesù nel mondo intero. Lui vive di totale obbedienza al Padre suo. Anche loro devono vivere di piena e perfetta obbedienza a Gesù Signore. Questa unità e comunione sarà vera se loro con Gesù formeranno un solo corpo. Non due corpi, ma uno solo. Formeranno un solo corpo se si lasceranno trasformare da Cristo e rivestiranno la sua santità, che è obbedienza ad ogni suo volere e compimento di ogni sua Parola. Trasformandosi in Parola vivente di Gesù, loro realizzeranno quest’unità e compiranno le stesse opere di Gesù.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci una cosa sola con Gesù.

DOMENICA 22 MAGGIO 2011 – V DI PASQUA

DOMENICA 22 MAGGIO 2011 – V DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqA/PasqA5Page.htm

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Massimo di Torino, vescovo
(Disc. 53, 1-2. 4; CCL 23, 214-216)
 
Cristo è luce
La risurrezione di Cristo apre l’inferno. I neofiti della Chiesa rinnovano la terra. Lo Spirito Santo dischiude i cieli. L’inferno, ormai spalancato, restituisce i morti. La terra rinnovata rifiorisce dei suoi risorti. Il cielo dischiuso accoglie quanti vi salgono.
Anche il ladrone entra in paradiso, mentre i corpi dei santi fanno il loro ingresso nella santa città. I morti ritornano tra i vivi; tutti gli elementi, in virtù della risurrezione di Cristo, si elevano a maggiore dignità.
L’inferno restituisce al paradiso quanti teneva prigionieri. La terra invia al cielo quanti nascondeva nelle sue viscere. Il cielo presenta al Signore tutti quelli che ospita. In virtù dell’unica ed identica passione del Signore l’anima risale dagli abissi, viene liberata dalla terra e collocata nei cieli.
La risurrezione di Cristo infatti è vita per i defunti, perdono per i peccatori, gloria per i santi. Davide invita, perciò, ogni creatura a rallegrarsi per la risurrezione di Cristo, esortando tutti a gioire grandemente nel giorno del Signore.
La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non conosce tramonto. Che poi questo giorno sia Cristo, lo dice l’Apostolo: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 12). Dice: «avanzata»; non dice che debba ancora venire, per farti comprendere che quando Cristo ti illumina con la sua luce, devi allontanare da te le tenebre del diavolo, troncare l’oscura catena del peccato, dissipare con questa luce le caligini di un tempo e soffocare in te gli stimoli delittuosi.
Questo giorno è lo stesso Figlio, su cui il Padre, che è giorno senza principio, fa splendere il sole della sua divinità.
Dirò anzi che egli stesso è quel giorno che ha parlato per mezzo di Salomone: «Io ho fatto sì che spuntasse in cielo una luce che non viene meno» (Sir 24, 6 volg.). Come dunque al giorno del cielo non segue la notte, così le tenebre del peccato non possono far seguito alla giustizia di Cristo. Il giorno del cielo infatti risplende in eterno, la sua luce abbagliante non può venire sopraffatta da alcuna oscurità. Altrettanto deve dirsi della luce di Cristo che sempre risplende nel suo radioso fulgore senza poter essere ostacolata da caligine alcuna. Ben a ragione l’evangelista Giovanni dice: La luce brilla nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta (cfr. Gv 1, 5).
Pertanto, fratelli, tutti dobbiamo rallegrarci in questo santo giorno. Nessuno deve sottrarsi alla letizia comune a motivo dei peccati che ancora gravano sulla sua coscienza. Nessuno sia trattenuto dal partecipare alle preghiere comuni a causa dei gravi peccati che ancora lo opprimono. Sebbene peccatore, in questo giorno nessuno deve disperare del perdono. Abbiamo infatti una prova non piccola: se il ladro ha ottenuto il paradiso, perché non dovrebbe ottenere perdono il cristiano?  

Omelia per il 21 maggio 2011 – prima lettura (primo viaggio missionario, Antiochia)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20110521.shtml

Omelia (29-04-2007) 

don Marco Pratesi

Noi ci rivolgiamo ai pagani (Atti 13,46)

La prima lettura ci riporta al primo viaggio missionario di Paolo. Siamo ad Antiochia di Pisidia, e per la prima volta la missione cristiana si rivolge decisamente ai pagani (i precedenti episodi sono fatti isolati).
Il Risorto, costituito Signore (Kyrios) dal Padre, è dotato di ogni potere (Mt 28,18), tra cui la capacità di aprire la mente dei discepoli all’intelligenza della Scrittura (Lc 24,45). In questo caso, un testo di Isaia (49,6) apre la comunità alla chiara consapevolezza di una missione universale: Dio la chiama ad essere luce delle genti.
Israele era primo destinatario di questa luce, alla quale era stato lungamente preparato a partire da Abramo. Aveva gli strumenti per accogliere quella luce definitiva che gli apriva il senso ultimo della Legge.
Israele inoltre, accogliendo in Gesù il proprio Messia, doveva essere anche lo strumento di questa luce ultima, escatologica, in mezzo ai popoli.
Di fatto, Israele ha adempiuto a questa missione: non dimentichiamo che gli apostoli e molti dei primissimi cristiani erano Israeliti. Però solo in una sua parte, in un resto (Rm 11,4-5). Come vediamo in questa lettura, la reazione di alcuni all’annunzio è la contraddizione fino alla persecuzione. Si sentono scavalcati, si mettono in competizione, nasce gelosia e rivalità.
Questo rifiuto non è certo la causa della missione ai pagani; ne cambia però la modalità. La Chiesa, nei suoi apostoli, testimoni qualificati del Risorto, invita i Giudei alla fede in Gesù, per portarla insieme al mondo. Di fronte al rifiuto, non può che continuare la propria missione senza di loro: « noi ci rivolgiamo ai pagani » (v. 46). Va da sé che questo non ha nulla a che vedere con un disconoscimento della ricchezza della tradizione religiosa d’Israele né, peggio, con un atteggiamento di superiorità e disprezzo.
C’è un piano di Dio sulla storia, che nessuno può annullare (Sal 33,11). La corsa della Parola (2Ts 3,1) è inarrestabile. Il rifiuto non blocca Dio e il suo progetto, e anzi per certi versi gli apre nuove porte. Spesso la Parola trova un rifiuto laddove ci aspetteremmo accoglienza, e viceversa viene accolta da chi non sembra averne titolo. È l’esperienza di Gesù, i primi che diventano ultimi e viceversa, che si ripete per la sua Chiesa.
Ogni uomo è posto davanti alla grazia di Dio (v. 43), e decide liberamente quale atteggiamento tenere di fronte ad essa. Chi rifiuta, rende vano per sé il piano della salvezza. Chi accetta, sperimenta da subito la gioia (vv. 48 e 52) e pone la sua vita nella prospettiva dell’eternità (vv. 46 e 48).
Attenzione: si tratta di un’accettazione che non va mai data per scontata, che non può mai diventare motivo di superbia. Per evitare che di fatto si muti in concreto seppur inavvertito rifiuto, essa va continuamente coltivata con cura e verificata con umiltà.
S. Paolo lo dice chiaro e tondo ai cristiani provenienti dal paganesimo, e in essi a tutti noi: « non t’insuperbire, ma temi » (Rm 11,20). I doni di Dio bisogna saperli custodire. Occorre « perseverare nella bontà di Dio » (Rm 11,22), rimanere saldamente attaccati a quella grazia, vivere di e in quella gratuità. Solo così e a tale condizione possiamo essere autenticamente quanto Dio ci chiede: luce del mondo. 

Omelia (21-05-2011) : Io sono nel Padre e il Padre è in me

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22498.html

Omelia (21-05-2011) 

Movimento Apostolico – rito romano

Io sono nel Padre e il Padre è in me

Gesù insegna la perfetta identità che vi è tra Lui e il Padre. Chi conosce Cristo conosce il Padre. Chi vede Cristo vede il Padre. Chi ascolta Cristo ascolta il Padre. Chi crede in Cristo crede nel Padre. È una conoscenza non solo spirituale, è anche storica, quasi fisica. Dio non ha corpo. Lui è purissimo spirito. E tuttavia vedendo Cristo è come se si vedesse la fisicità o corporeità del Padre, tanto grande è l’identità tra Cristo e Dio. « Io e il Padre siamo una cosa sola ». La differenza c’è ed è nella dualità delle Persone: uno è Padre e l’altro è Figlio. Il Padre genera il Figlio nell’eternità. Il Figlio è generato dal Padre sempre nell’eternità. Il Figlio si incarna. Il Padre non si incarna. L’incarnazione è propria del Figlio. E tuttavia l’identità di operazione rimane, a causa dell’obbedienza perfettissima di Gesù al Padre suo che è nei cieli.
Filippo non comprende il discorso di Gesù. Gli chiede che mostri fisicamente il Padre, che lo faccia vedere loro con la manifestazione di una vera teofania: « Signore, mostraci il Padre e ci basta ». Gesù gli risponde che è Lui stesso la manifestazione o rivelazione del Padre. È lui la teofania di Dio sulla nostra terra. Questa teofania è così perfetta a motivo della verità che il Padre è tutto nel Figlio e il Figlio è tutto nel Padre. Tra Padre è Figlio non è vi solo l’unità dell’unica natura divina. Padre, Figlio e Spirito Santo sussistono nell’unica e sola sostanza eterna e divina. Tra Padre e Figlio vi è anche una solo operazione. Cristo Gesù è lo strumento attraverso il Quale il Padre compie ogni sua opera. Non è Cristo l’Agente, ma il Padre. Cristo è il Mediatore.
Questa verità Gesù vuole che i suoi discepoli la constatino attraverso due eventi che caratterizzano tutta la sua vita sulla terra. Gesù per tutta la sua permanenza sulla nostra terra mai ha proferito una sola parola che non fosse Parola di Dio. Gesù prestava la bocca e il Padre suo parlava. Non c’è una sola parola proveniente dall’uomo in Lui. Ogni Parola discende su di Lui dal cuore del Padre suo, per la comunione dello Spirito Santo. Questa unità dovremmo viverla anche noi, discepoli di Gesù. Tutte le nostre parole dovrebbero essere Parola di Dio.
Altro evento è questo: nessuna opera di Gesù è opera di Gesù. Tutte le opere di Gesù sono opere del Padre. Le opere manifestano l’essenza di una persona. Nessuna persona finora ha compiuto le opere fatte da Cristo Gesù. Mai avrebbe potuto. Non vi era questa perfetta identità tra lui e Dio. In Cristo Gesù questa perfetta identità esiste per cui tutte le suo opere sono opere del Padre. Poiché tra Cristo Gesù e ogni suo discepolo vi potrà essere la stessa identità che vi è tra Cristo e il Padre – tranne che l’identità di sola natura divina, anche se il cristiano è reso partecipe di essa – anche loro possono fare le opere di Gesù. Anzi ne possono fare di più grandi.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a vedere Dio in Cristo Gesù sempre. Angeli e Santi del Cielo, fate che in ogni cristiano il mondo veda Gesù Signore. 

San Bernardino da Siena

San Bernardino da Siena dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 20 mai, 2011 |Pas de commentaires »

20 MAGGIO: S. BERNARDINO DA SIENA (1380-1444)

dal sito:

http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1506

S. BERNARDINO DA SIENA (1380-1444)
 
Canonizzato nel 1450, cioè a soli sei anni dalla morte, nacque nel 1380 a Massa Marittima, dalla nobile famiglia senese degli Albizzeschi. Vestito l’abito francescano dell’Ordine dei Minori, divenne uno dei principali propugnatori della riforma dei francescani osservanti. Evangelizzò le folle con la parola e con l’esempio e diffuse la devozione al santissimo nome di Gesù, esercitando instancabilmente il ministero della predicazione con grande frutto per le anime. Stenografati con un metodo di sua invenzione da un discepolo, i discorsi in volgare di Bernardino sono giunti fino a noi. Anche dopo la sua morte, avvenuta ad Aquila, nel 1444, Bernardino continuò la sua opera di pacificazione. Infatti il suo corpo dentro la bara cominciò a versare sangue e il flusso si arrestò soltanto quando le fazione della città si rappacificarono.
Bernardino, il più illustre e popolare predicatore italiano del secolo XV, nacque a Massa Marittima, in territorio di Siena, F8-9-1380, dalla nobile famiglia degli Albizzeschi. Essendo rimasto orfano ancora in tenera età, fu educato alla virtù dalle sue piissime zie. A dodici anni andò a continuare i suoi studi a Siena. In quel tempo « s’innamorò di una bellissima dama » dipinta sulla porta Camollia. Era la SS. ma Vergine. A diciassette anni s’iscrisse alla Confraternita dei « Disciplinati di Santa Maria », istituita nell’ospedale della Scala e composta da gentiluomini di provata serietà di costumi. Durante la peste scoppiata nel 1400, con altri dodici giovani, egli si dedicò al servizio degli infermi con tanto ardore da cadere gravemente malato per quattro mesi.
A ventun anni Bernardino si ritirò in casa di un amico dove, per conoscere la sua vocazione, si diede a straordinarie penitenze. Un giorno, mentre pregava davanti al crocifisso, sentì dirsi: « Tu mi vedi spoglio di tutto e inchiodato a una croce per tuo amore; bisogna dunque, se mi ami, che anche tu ti spogli di tutto e conduca una vita crocifissa ». L’8-9-1402, dopo aver donato i suo beni, del valore di oltre mille fiorini, ad una religiosa del monastero di Santa Chiara a Massa, vestì l’abito dei Frati minori nel convento di San Francesco. Dopo due mesi di noviziato chiese di essere trasferito a quello dell’Osservanza di Colombaio, in mezzo ai boschi, sul Monte Amiata. Colà, non contento delle austerità della regola, tutti i giorni aggiunse nuove penitenze alle veglie, ai digiuni e alle flagellazioni, così da dare ai confratelli la sensazione di avere un corpo di bronzo, non di carne e ossa. Quando scendeva a questuare a Siena, ogni tanto gli capitava di ricevere da qualche monello sassate ai piedi scalzi. Invece di affliggersene diceva al compagno; « Lasciamoli fare; essi ci offrono materia di inerito e occasione di guadagnare il cielo ». Una donna sposata un giorno ebbe l’ardire d’invitarlo al male. Bernardino le fece passare la mattana flagellandola con la sua disciplina.
I superiori, dopo che Bernardino ebbe fatto la professione religiosa e dopo che fu ordinato sacerdote (1404), lo elessero guardiano del Colombaio tant’era perfetta la sua osservanza della regola, e lo abilitarono alla predicazione. Un venerdì, dopo essere stato molte ore davanti al crocifisso, fu visto denudarsi le spalle, caricarsi di una pesante croce e dirigersi coi frati al vicino paese di Seggiano. Il popolo, credendolo impazzito, accorse, ma Bernardino parlò ad esso della Passione del Signore con tale accento da provocarlo al pianto. In quel tempo S. Vincenzo Ferreri predicava in Piemonte trascinandosi dietro folle enormi. Bernardino volle andarlo ad ascoltare ad Alessandria. Il Ferreri disse allora con accento profetico: « Io torno ad evangelizzare la Francia e la Spagna perché c’è tra voi un frate Minore che predicherà per tutta l’Italia la parola di Dio come non si è mai sentito ».
Bernardino crebbe, sì, con la vocazione dell’oratore, ma fino al 1417 non suscitò grandi entusiasmi perché la sua voce era aspra e arrochita. Pregò il Signore di volergliela addolcire e fu esaudito. Mentre una notte pregava, vide scendere dal ciclo un globo luminoso, toccargli la gola e sparire. Iddio gli concesse, oltre a una straordinaria e personalissima eloquenza, l’intelligenza delle Scritture, la conoscenza delle miserie del mondo e dei rimedi da applicarvi, l’eleganza della dizione e del gesto, l’arguzia e soprattutto uno zelo e un fuoco ammirabili che, unitamente al dono dei miracoli, soggiogavano gli uditori e convertivano i peccatori.
Nel 1417 Bernardino era Guardiano del convento di Fiesole. Durante una sua assenza, un novizio, già canonico regolare di Lucca, si mise a correre per due notti di seguito intorno al chiostro, mosso da una forza interna, e a gridare: « Frate Bernardino, Frate Bernardino, non tenete più nascosti i talenti di Dio. Andate e predicate in Lombardia ». L’esile frate cominciò nella quaresima del 1418 la sua predicazione carismatica a Milano, signoreggiata dal duca Filippo Visconti. Il primo giorno interruppe il sermone a metà. Quando il popolo seppe che non era riuscito a proseguirlo perché aveva visto l’anima di Tobia, una sua lontana parente, separarsi dal corpo a Siena e salire al cielo, corse più numeroso ad ascoltarlo. Il santo predicava d’ordinario dopo la messa, ma anche la mattina prestissimo, contro i vizi del tempo quali l’usura, il gioco, le vanità femminili, le divisioni tra guelfi e ghibellini, gli odi e le ingiustizie sociali.
Per oltre trent’anni egli tenne gli stessi discorsi nelle principali città d’Italia settentrionale e centrale, e i frutti che ne ottenne furono quasi ovunque molto consolanti. La sua parola era avvalorata da frequenti prodigi. A Mantova (1420), dopo la predica, il barcaiolo non lo volle trasportare fino al convento di Santa Maria delle Grazie. Bernardino distese allora sul Mincio il suo mantello, vi montò sopra con il compagno di fatiche e partì. A Verona predicò per tutto l’inverno del 1422 dopo aver risuscitato un uomo che era stato ucciso incidentalmente. A Vicenza lo andarono ad ascoltare in piazza 20.000 persone. A Venezia ottenne dai magistrati la fondazione di una Certosa e di un lazzaretto per gli appestati. A Ferrara indusse i cittadini, all’inizio del 1424, a moderare il lusso nell’abbigliamento e a Bologna, chiamatevi a predicare la quaresima dal vescovo Nicolò Albergati, flagellò con toni apocalittici i vizi dell’usura e del gioco dalla scalinata di San Petronio essendo troppo piccola la vastissima chiesa per contenere gli uditori.
I bolognesi furono convertiti all’amore del prossimo per mezzo della devozione al nome di Gesù, che Bernardino aveva già propagata nel Veneto a risanamento delle ferite lasciate dallo scisma d’Occidente, conclusosi nel Concilio di Costanza con l’elezione di Martino V (1417). Sulle carte da gioco volle che fosse stampato il trigramma del nome greco di Gesù, YHS, circondato da dodici raggi serpeggianti, che indicavano i dodici articoli del credo, intercalati da otto raggi minori, diritti, che indicavano le otto beatitudini.
A Firenze, nell’estate del 1424, al termine della sua predicazione, fu acceso un grande rogo nel quale le donne gettarono i loro vani ornamenti e sulla facciata di Santa Croce fu dipinto il trigramma, recante attorno alla raggiera il detto: « Al nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nel ciclo, sulla terra e negli abissi » (Fil. 2, 10). Perché i cristiani avessero sempre sotto gli occhi quel nome, egli li esortò a scolpirlo o a disegnarlo anche sulle porte delle case, sui vessilli, sui libri, sugli aratri, sulle culle e persino sulle pentole. A Siena ( 1425) ebbe tra gli uditori il celebre umanista Enea Silvio Piccolomini, futuro Pio II. I magistrati fecero dipingere il trigramma propagato dal santo sulla faccia del Palazzo Pubblico e alle di lui esortazioni riformarono gli statuti della repubblica. Bernardino era convinto « che molto meglio si può vivere senza pane che senza giustizia ». A Viterbo (1427), mentre predicava durante la quaresima contro l’usura, ricevette l’ordine di recarsi a Roma per rispondere ad un’accusa di eresia.
Martino V, che aveva incontrato Bernardino a Vercelli, ordinò un processo in San Pietro a carico di lui perché gli era stato detto da invidiosi emuli domenicani e agostiniani che predicava delle novità e favoriva un culto superstizioso propagando tavolette con sopra dipinto il trigramma nel nome di Gesù. S. Giovanni da Capestrano accorse da Napoli in difesa del confratello, dove era stato chiamato dalla regina Giovanna II d’Angiò a predicare contro gli ebrei. Il trionfo di Bernardino fu pieno perché non gli fu difficile dimostrare che insegnava quanto era contenuto nel Vangelo e negli scritti dei dottori della Chiesa.
Il papa volle che Bernardino si fermasse a Roma perché vi combattesse le pratiche pagane del popolo. In ottanta giorni egli tenne 114 sermoni e operò miracoli a gloria del nome di Gesù. In quel tempo Siena, essendo rimasta senza pastore, richiese Bernardino come Vescovo. Il santo rifiutò perché un’altra era la sua missione. Ambrogio Traversari da Firenze gli scrisse per scongiurarlo di non accettare nessuna dignità. A Siena Bernardino vi tornò quasi subito per metter pace tra le fazioni, poi andò a spargere il seme della parola di Dio in Toscana, in Lombardia, nelle Romagne e nelle Marche. Alla morte di Martino V (+1431) seppe che i senesi stavano per unirsi al duca di Milano per combattere contro Firenze. Egli corse tra i suoi concittadini e li convinse a rinunciare alla guerra.
L’elezione di Eugenio IV portò al santo altri affanni. I soliti suoi avversari invece di disarmare, erano arrivati silenziosamente a Roma con un’altra citazione contro di lui, ma il papa, informato dall’ambasciatore della repubblica senese, ne arrestò il corso con una bolla ( 1432) in cui fece i più ampi elogi della dottrina e della vita di Bernardino. A Roma egli vi tornò, ma per accompagnare l’imperatore Sigismondo, il quale nel giorno della sua incoronazione (1433) giurò di difendere la Chiesa e fare sciogliere il concilio di Basilea. Dopo di che, invece di pensare a riposarsi, il santo si raccolse per tre anni nel convento di Capriola, presso Siena, da lui costruito nel 1405, per redigere in latino tutti i suoi sermoni. Dopo due anni di vita errante, nel 1438 fu eletto vicario generale della stretta osservanza, favorita dal papa e sostenuta da S. Giovanni da Capestrano, S. Giacomo della Marca e il B. Alberto da Sarteano, che nel 1435 aveva trattato a Costantinopoli i preliminari del concilio di Ferrara-Firenze a nome di Eugenio IV.
Bernardino fu costretto a rallentare le sue corse apostoliche per visitare tutti i conventi dell’Osservanza e per fondarne dei nuovi. Il primo anno scese fino a L’Aquila, nel regno di Napoli. Mentre predicava sul piazzale di Collemaggio il popolo vide una stella lucente girargli attorno alla testa. L’8-6-1439 a Siena ricevette una lettera di Alberto da Sarteano il quale, arrivato a Firenze con il papa e l’imperatore d’Oriente Giovanni VII Palcologo, lo invitava al concilio colà trasferito da Ferrara. A Santa Maria Novella Bernardino predicò e, benché ignorasse il greco, fu inteso anche da chi lo parlava. Ne ripartì poco tempo dopo per Milano dove il Visconti tentò di farselo amico offrendogli 500 dicati. Bernardino li accettò per liberare dei debitori insolventi dalle carceri, ma continuò a predicare con libertà contro le ingiustizie dell’orgoglioso duca. A Firenze esortò i cittadini a resistere a Niccolò Piccinino, capitano di ventura al soldo del Visconti. Le sue bande furono difatti sconfitte ad Anghiari il 29-6-1440.
Nel 1442 il papa permise che Bernardino cedesse la carica di Vicario dell’Osservanza ad Alberto da Sarteano. Egli poté così riprendere su più vasta scala la sua predicazione benché da diciassette anni soffrisse di emorroidi e da dieci di renella. Dovunque passava creava Confraternite di laici oranti e raccomandava ai frati Conventuali l’osservanza dell’antica regola. Ritornò a Milano benché fosse stato messo al bando dal duca. A Padova mentre parlava dì S. Giuseppe la gente vide una croce luminosa librarsi su di lui. Presentendo vicina la sua fine, dopo una breve sosta a Capriola, andò a predicare la quaresima del 1444 nella sua città natale. In quel tempo un lebbroso fu guarito calzando i sandali del taumaturgo.
A Siena, nell’ultimo sermone che tenne dalla soglia del duomo, trattò della giustizia e del buon governo, poi, credendosi chiamato a predicare nel regno di Napoli, retto da Alfonso I d’Aragona, non riuscendo più a camminare a piedi per il gonfiore delle gambe, salì sopra un asinelio e il 30-4-1444 s’incamminò verso L’Aquila, ovunque accolto con venerazione. Nel convento dell’isola del Trasimeno trascorse tre giorni in colloquio con il suo discepolo, S. Giacomo della Marca. A Piediluco (Temi) fu assalito da dissenteria. A due miglia da L’Aquila, la sera del 19 maggio, non fu più capace di stare in sella. Disteso sopra un mucchio d’erba, all’incombere della notte, vide venirgli incontro un eremita lacero e con tre corone sulla testa. Capi che era Celestino V che quel giorno gli aquilani festeggiavano come loro santo patrono.
Dopo aver passato la notte insonne nel convento di S. Silvestre, il morente fu portato in barella a L’Aquila, nel convento di S. Francesco. Fu posto nella cella che era stata di S. Giovanni da Capestrano. In essa morì verso sera, disteso per terra sopra il mantello. Il suo corpo rimase esposto per 26 giorni all’entrata della chiesa e operò 32 miracoli. Non era ancora stato seppellito quando si verificò in città una sommossa popolare. Bernardino, che aveva sempre desiderato di dare una libbra del suo sangue per il bene della pace, cominciò allora a emettere dalle narici una fontana di sangue che colmò la bara e si riversò per la chiesa. Alla notizia del miracolo la sommossa si sedò e i condannati a morte furono rimessi in libertà.
Il corpo di Bernardino da Siena è venerato incorrotto nel mausoleo della basilica omonima, iniziata a L’Aquila quattro anni dopo la canonizzazione di lui. Gli era stata decretata da Niccolò V nella Pentecoste del 1450 in seguito alle richieste di Alfonso I d’Aragona, della repubblica senese e di S. Giovanni da Capestrano, che a prova della santità del confratello si diceva disposto a subire la prova del fuoco.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 251-257
http://www.edizionisegno.it/

Publié dans:SANTI, Santi - biografia |on 20 mai, 2011 |Pas de commentaires »
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