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S. BERNARDINO DA SIENA (1380-1444)
Canonizzato nel 1450, cioè a soli sei anni dalla morte, nacque nel 1380 a Massa Marittima, dalla nobile famiglia senese degli Albizzeschi. Vestito l’abito francescano dell’Ordine dei Minori, divenne uno dei principali propugnatori della riforma dei francescani osservanti. Evangelizzò le folle con la parola e con l’esempio e diffuse la devozione al santissimo nome di Gesù, esercitando instancabilmente il ministero della predicazione con grande frutto per le anime. Stenografati con un metodo di sua invenzione da un discepolo, i discorsi in volgare di Bernardino sono giunti fino a noi. Anche dopo la sua morte, avvenuta ad Aquila, nel 1444, Bernardino continuò la sua opera di pacificazione. Infatti il suo corpo dentro la bara cominciò a versare sangue e il flusso si arrestò soltanto quando le fazione della città si rappacificarono.
Bernardino, il più illustre e popolare predicatore italiano del secolo XV, nacque a Massa Marittima, in territorio di Siena, F8-9-1380, dalla nobile famiglia degli Albizzeschi. Essendo rimasto orfano ancora in tenera età, fu educato alla virtù dalle sue piissime zie. A dodici anni andò a continuare i suoi studi a Siena. In quel tempo « s’innamorò di una bellissima dama » dipinta sulla porta Camollia. Era la SS. ma Vergine. A diciassette anni s’iscrisse alla Confraternita dei « Disciplinati di Santa Maria », istituita nell’ospedale della Scala e composta da gentiluomini di provata serietà di costumi. Durante la peste scoppiata nel 1400, con altri dodici giovani, egli si dedicò al servizio degli infermi con tanto ardore da cadere gravemente malato per quattro mesi.
A ventun anni Bernardino si ritirò in casa di un amico dove, per conoscere la sua vocazione, si diede a straordinarie penitenze. Un giorno, mentre pregava davanti al crocifisso, sentì dirsi: « Tu mi vedi spoglio di tutto e inchiodato a una croce per tuo amore; bisogna dunque, se mi ami, che anche tu ti spogli di tutto e conduca una vita crocifissa ». L’8-9-1402, dopo aver donato i suo beni, del valore di oltre mille fiorini, ad una religiosa del monastero di Santa Chiara a Massa, vestì l’abito dei Frati minori nel convento di San Francesco. Dopo due mesi di noviziato chiese di essere trasferito a quello dell’Osservanza di Colombaio, in mezzo ai boschi, sul Monte Amiata. Colà, non contento delle austerità della regola, tutti i giorni aggiunse nuove penitenze alle veglie, ai digiuni e alle flagellazioni, così da dare ai confratelli la sensazione di avere un corpo di bronzo, non di carne e ossa. Quando scendeva a questuare a Siena, ogni tanto gli capitava di ricevere da qualche monello sassate ai piedi scalzi. Invece di affliggersene diceva al compagno; « Lasciamoli fare; essi ci offrono materia di inerito e occasione di guadagnare il cielo ». Una donna sposata un giorno ebbe l’ardire d’invitarlo al male. Bernardino le fece passare la mattana flagellandola con la sua disciplina.
I superiori, dopo che Bernardino ebbe fatto la professione religiosa e dopo che fu ordinato sacerdote (1404), lo elessero guardiano del Colombaio tant’era perfetta la sua osservanza della regola, e lo abilitarono alla predicazione. Un venerdì, dopo essere stato molte ore davanti al crocifisso, fu visto denudarsi le spalle, caricarsi di una pesante croce e dirigersi coi frati al vicino paese di Seggiano. Il popolo, credendolo impazzito, accorse, ma Bernardino parlò ad esso della Passione del Signore con tale accento da provocarlo al pianto. In quel tempo S. Vincenzo Ferreri predicava in Piemonte trascinandosi dietro folle enormi. Bernardino volle andarlo ad ascoltare ad Alessandria. Il Ferreri disse allora con accento profetico: « Io torno ad evangelizzare la Francia e la Spagna perché c’è tra voi un frate Minore che predicherà per tutta l’Italia la parola di Dio come non si è mai sentito ».
Bernardino crebbe, sì, con la vocazione dell’oratore, ma fino al 1417 non suscitò grandi entusiasmi perché la sua voce era aspra e arrochita. Pregò il Signore di volergliela addolcire e fu esaudito. Mentre una notte pregava, vide scendere dal ciclo un globo luminoso, toccargli la gola e sparire. Iddio gli concesse, oltre a una straordinaria e personalissima eloquenza, l’intelligenza delle Scritture, la conoscenza delle miserie del mondo e dei rimedi da applicarvi, l’eleganza della dizione e del gesto, l’arguzia e soprattutto uno zelo e un fuoco ammirabili che, unitamente al dono dei miracoli, soggiogavano gli uditori e convertivano i peccatori.
Nel 1417 Bernardino era Guardiano del convento di Fiesole. Durante una sua assenza, un novizio, già canonico regolare di Lucca, si mise a correre per due notti di seguito intorno al chiostro, mosso da una forza interna, e a gridare: « Frate Bernardino, Frate Bernardino, non tenete più nascosti i talenti di Dio. Andate e predicate in Lombardia ». L’esile frate cominciò nella quaresima del 1418 la sua predicazione carismatica a Milano, signoreggiata dal duca Filippo Visconti. Il primo giorno interruppe il sermone a metà. Quando il popolo seppe che non era riuscito a proseguirlo perché aveva visto l’anima di Tobia, una sua lontana parente, separarsi dal corpo a Siena e salire al cielo, corse più numeroso ad ascoltarlo. Il santo predicava d’ordinario dopo la messa, ma anche la mattina prestissimo, contro i vizi del tempo quali l’usura, il gioco, le vanità femminili, le divisioni tra guelfi e ghibellini, gli odi e le ingiustizie sociali.
Per oltre trent’anni egli tenne gli stessi discorsi nelle principali città d’Italia settentrionale e centrale, e i frutti che ne ottenne furono quasi ovunque molto consolanti. La sua parola era avvalorata da frequenti prodigi. A Mantova (1420), dopo la predica, il barcaiolo non lo volle trasportare fino al convento di Santa Maria delle Grazie. Bernardino distese allora sul Mincio il suo mantello, vi montò sopra con il compagno di fatiche e partì. A Verona predicò per tutto l’inverno del 1422 dopo aver risuscitato un uomo che era stato ucciso incidentalmente. A Vicenza lo andarono ad ascoltare in piazza 20.000 persone. A Venezia ottenne dai magistrati la fondazione di una Certosa e di un lazzaretto per gli appestati. A Ferrara indusse i cittadini, all’inizio del 1424, a moderare il lusso nell’abbigliamento e a Bologna, chiamatevi a predicare la quaresima dal vescovo Nicolò Albergati, flagellò con toni apocalittici i vizi dell’usura e del gioco dalla scalinata di San Petronio essendo troppo piccola la vastissima chiesa per contenere gli uditori.
I bolognesi furono convertiti all’amore del prossimo per mezzo della devozione al nome di Gesù, che Bernardino aveva già propagata nel Veneto a risanamento delle ferite lasciate dallo scisma d’Occidente, conclusosi nel Concilio di Costanza con l’elezione di Martino V (1417). Sulle carte da gioco volle che fosse stampato il trigramma del nome greco di Gesù, YHS, circondato da dodici raggi serpeggianti, che indicavano i dodici articoli del credo, intercalati da otto raggi minori, diritti, che indicavano le otto beatitudini.
A Firenze, nell’estate del 1424, al termine della sua predicazione, fu acceso un grande rogo nel quale le donne gettarono i loro vani ornamenti e sulla facciata di Santa Croce fu dipinto il trigramma, recante attorno alla raggiera il detto: « Al nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nel ciclo, sulla terra e negli abissi » (Fil. 2, 10). Perché i cristiani avessero sempre sotto gli occhi quel nome, egli li esortò a scolpirlo o a disegnarlo anche sulle porte delle case, sui vessilli, sui libri, sugli aratri, sulle culle e persino sulle pentole. A Siena ( 1425) ebbe tra gli uditori il celebre umanista Enea Silvio Piccolomini, futuro Pio II. I magistrati fecero dipingere il trigramma propagato dal santo sulla faccia del Palazzo Pubblico e alle di lui esortazioni riformarono gli statuti della repubblica. Bernardino era convinto « che molto meglio si può vivere senza pane che senza giustizia ». A Viterbo (1427), mentre predicava durante la quaresima contro l’usura, ricevette l’ordine di recarsi a Roma per rispondere ad un’accusa di eresia.
Martino V, che aveva incontrato Bernardino a Vercelli, ordinò un processo in San Pietro a carico di lui perché gli era stato detto da invidiosi emuli domenicani e agostiniani che predicava delle novità e favoriva un culto superstizioso propagando tavolette con sopra dipinto il trigramma nel nome di Gesù. S. Giovanni da Capestrano accorse da Napoli in difesa del confratello, dove era stato chiamato dalla regina Giovanna II d’Angiò a predicare contro gli ebrei. Il trionfo di Bernardino fu pieno perché non gli fu difficile dimostrare che insegnava quanto era contenuto nel Vangelo e negli scritti dei dottori della Chiesa.
Il papa volle che Bernardino si fermasse a Roma perché vi combattesse le pratiche pagane del popolo. In ottanta giorni egli tenne 114 sermoni e operò miracoli a gloria del nome di Gesù. In quel tempo Siena, essendo rimasta senza pastore, richiese Bernardino come Vescovo. Il santo rifiutò perché un’altra era la sua missione. Ambrogio Traversari da Firenze gli scrisse per scongiurarlo di non accettare nessuna dignità. A Siena Bernardino vi tornò quasi subito per metter pace tra le fazioni, poi andò a spargere il seme della parola di Dio in Toscana, in Lombardia, nelle Romagne e nelle Marche. Alla morte di Martino V (+1431) seppe che i senesi stavano per unirsi al duca di Milano per combattere contro Firenze. Egli corse tra i suoi concittadini e li convinse a rinunciare alla guerra.
L’elezione di Eugenio IV portò al santo altri affanni. I soliti suoi avversari invece di disarmare, erano arrivati silenziosamente a Roma con un’altra citazione contro di lui, ma il papa, informato dall’ambasciatore della repubblica senese, ne arrestò il corso con una bolla ( 1432) in cui fece i più ampi elogi della dottrina e della vita di Bernardino. A Roma egli vi tornò, ma per accompagnare l’imperatore Sigismondo, il quale nel giorno della sua incoronazione (1433) giurò di difendere la Chiesa e fare sciogliere il concilio di Basilea. Dopo di che, invece di pensare a riposarsi, il santo si raccolse per tre anni nel convento di Capriola, presso Siena, da lui costruito nel 1405, per redigere in latino tutti i suoi sermoni. Dopo due anni di vita errante, nel 1438 fu eletto vicario generale della stretta osservanza, favorita dal papa e sostenuta da S. Giovanni da Capestrano, S. Giacomo della Marca e il B. Alberto da Sarteano, che nel 1435 aveva trattato a Costantinopoli i preliminari del concilio di Ferrara-Firenze a nome di Eugenio IV.
Bernardino fu costretto a rallentare le sue corse apostoliche per visitare tutti i conventi dell’Osservanza e per fondarne dei nuovi. Il primo anno scese fino a L’Aquila, nel regno di Napoli. Mentre predicava sul piazzale di Collemaggio il popolo vide una stella lucente girargli attorno alla testa. L’8-6-1439 a Siena ricevette una lettera di Alberto da Sarteano il quale, arrivato a Firenze con il papa e l’imperatore d’Oriente Giovanni VII Palcologo, lo invitava al concilio colà trasferito da Ferrara. A Santa Maria Novella Bernardino predicò e, benché ignorasse il greco, fu inteso anche da chi lo parlava. Ne ripartì poco tempo dopo per Milano dove il Visconti tentò di farselo amico offrendogli 500 dicati. Bernardino li accettò per liberare dei debitori insolventi dalle carceri, ma continuò a predicare con libertà contro le ingiustizie dell’orgoglioso duca. A Firenze esortò i cittadini a resistere a Niccolò Piccinino, capitano di ventura al soldo del Visconti. Le sue bande furono difatti sconfitte ad Anghiari il 29-6-1440.
Nel 1442 il papa permise che Bernardino cedesse la carica di Vicario dell’Osservanza ad Alberto da Sarteano. Egli poté così riprendere su più vasta scala la sua predicazione benché da diciassette anni soffrisse di emorroidi e da dieci di renella. Dovunque passava creava Confraternite di laici oranti e raccomandava ai frati Conventuali l’osservanza dell’antica regola. Ritornò a Milano benché fosse stato messo al bando dal duca. A Padova mentre parlava dì S. Giuseppe la gente vide una croce luminosa librarsi su di lui. Presentendo vicina la sua fine, dopo una breve sosta a Capriola, andò a predicare la quaresima del 1444 nella sua città natale. In quel tempo un lebbroso fu guarito calzando i sandali del taumaturgo.
A Siena, nell’ultimo sermone che tenne dalla soglia del duomo, trattò della giustizia e del buon governo, poi, credendosi chiamato a predicare nel regno di Napoli, retto da Alfonso I d’Aragona, non riuscendo più a camminare a piedi per il gonfiore delle gambe, salì sopra un asinelio e il 30-4-1444 s’incamminò verso L’Aquila, ovunque accolto con venerazione. Nel convento dell’isola del Trasimeno trascorse tre giorni in colloquio con il suo discepolo, S. Giacomo della Marca. A Piediluco (Temi) fu assalito da dissenteria. A due miglia da L’Aquila, la sera del 19 maggio, non fu più capace di stare in sella. Disteso sopra un mucchio d’erba, all’incombere della notte, vide venirgli incontro un eremita lacero e con tre corone sulla testa. Capi che era Celestino V che quel giorno gli aquilani festeggiavano come loro santo patrono.
Dopo aver passato la notte insonne nel convento di S. Silvestre, il morente fu portato in barella a L’Aquila, nel convento di S. Francesco. Fu posto nella cella che era stata di S. Giovanni da Capestrano. In essa morì verso sera, disteso per terra sopra il mantello. Il suo corpo rimase esposto per 26 giorni all’entrata della chiesa e operò 32 miracoli. Non era ancora stato seppellito quando si verificò in città una sommossa popolare. Bernardino, che aveva sempre desiderato di dare una libbra del suo sangue per il bene della pace, cominciò allora a emettere dalle narici una fontana di sangue che colmò la bara e si riversò per la chiesa. Alla notizia del miracolo la sommossa si sedò e i condannati a morte furono rimessi in libertà.
Il corpo di Bernardino da Siena è venerato incorrotto nel mausoleo della basilica omonima, iniziata a L’Aquila quattro anni dopo la canonizzazione di lui. Gli era stata decretata da Niccolò V nella Pentecoste del 1450 in seguito alle richieste di Alfonso I d’Aragona, della repubblica senese e di S. Giovanni da Capestrano, che a prova della santità del confratello si diceva disposto a subire la prova del fuoco.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 251-257
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