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PASQUA: È LA VITA CHE TIENE LA MORTE IN SUO POTERE (Omelia)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26588?l=italian

PASQUA: È LA VITA CHE TIENE LA MORTE IN SUO POTERE

III Domenica di Pasqua, 8 maggio 2011

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 6 maggio 2011 (ZENIT.org).- Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: “…Gesù di Nazaret,…consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere” (At 2,14a.22-33).
Ed ecco, in quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro, ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.(…) Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. (…) Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, (…) Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24,14-35).

Confermando “ciò che era accaduto lungo la via” ai due discepoli in cammino verso Emmaus, Pietro annuncia all’assemblea degli Israeliti la verità sulla morte di Gesù di Nazaret : “Dio lo ha risuscitato liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere”.
Perché non era possibile che la morte tenesse Gesù in suo potere? Si meritavano, i discepoli, il rimprovero del Signore?
Essi, certo, avevano veduto morire il Signore e deporre il suo cadavere nella tomba, come poco tempo prima era accaduto a Lazzaro che però Gesù aveva liberato dal potere della morte; inoltre Gesù stesso aveva più volte detto loro che sarebbe stato ucciso per risuscitare dopo tre giorni; infine la testimonianza delle donne che lo avevano incontrato vivo, era assolutamente credibile.
Eppure tutto questo non bastò per comprendere che la fine ignominiosa del Signore non costituiva il fallimento delle speranze riposte in lui, ma il preludio necessario della sua risurrezione, come predetto dalle Scritture (ad es. il salmo 16/15). Sì, era davvero chiaro che la morte non poteva tenere in suo potere l’ “Autore della vita” (At 3,15), ma, insieme, non era possibile che la morte non tenesse in suo potere il cuore dei discepoli. La prima impossibilità dipendeva dalle Scritture (che non potevano essere smentite), la seconda dalla frontiera del limite umano, che non poteva essere oltrepassata senza l’intervento dello Spirito del Risorto.
Ora, tutto ciò che era scritto e che è avvenuto riguardo a Gesù, è scritto ed avverrà anche per ognuno di noi. Infatti: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo, a ogni uomo. (…) Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale e assimilato alla morte di Cristo, andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza. E ciò non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina. (…) Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte che, al di fuori del suo vangelo, ci opprime. Cristo è risorto distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita affinché, figli nel Figlio, esclamiamo nello Spirito: Abbà, Padre!” (Cost. past. “Gaudium et spes”, n. 22).
Torniamo per un momento sul Calvario con il Signore crocifisso e ormai morto.
Quando il “buon ladrone” che aveva creduto in Gesù e nel suo regno, vide arrivare il soldato incaricato di farlo morire subito mediante la frattura violenta delle gambe (cosa che provocava la morte per asfissia, dato che le gambe sollevavano il corpo sui chiodi permettendo al crocifisso di respirare), con tutta probabilità trasalì di gioia, ma non per la fine imminente delle sue atroci sofferenze. Gesù gli aveva promesso poco prima: “Oggi con me sarai nel Paradiso” (Lc, 23,43) ed egli, certamente, non vedeva l’ora di morire per raggiungerlo, avendo creduto alle sue parole.
Pur finendo crocifisso quale malfattore, quest’uomo realizzò in pienezza la propria vita, cosa che gli sarebbe stata impossibile se una norma “pietosa” avesse permesso di accelerarne in croce la morte prima di potersi rivolgere a Gesù. Prima della sua promessa egli si trovava in potere della morte, ma appena udì e credette alle sue parole, egli sconfisse la morte grazie alla speranza riposta in Lui (Rm 8,37).
Così fu il primo a sperimentare la verità di queste parole di Benedetto XVI: “La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.(…) Qui compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. (…) Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nova” (Enciclica “Spe salvi”, n. 1-2).
Quando si vive come se non ci fosse il Dio di Gesù Cristo, vale a dire senza la speranza della Vita eterna, la verità del valore assoluto, divino, inalienabile della vita, non può essere riconosciuta, poiché non se ne conosce la meta trascendente. Ciò è vero, ad esempio, negli stati di vita più poveri, come il concepito nel grembo, il malato sofferente ed inguaribile, o la persona in stato cronico di “coscienza sommersa”.
Per questo non c’è che una “battaglia” da fare a favore della vita umana: quella per farne conoscere la verità tutta intera, quella che solo il Vangelo della risurrezione rivela.
———
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

« Alla scuola del Cuore di Gesù » (30) (Escrivà-Apostolo Paolo)

dal sito:

http://www.escriva.it/Fabrodat16.htm

« Alla scuola del Cuore di Gesù » (30)

Si può dire che Cammino dal primo testo fino al termine del libro è tutto un fiorire del nome di Gesù, discepolo anche in questo, Escrivá, dell’Apostolo Paolo.

È da Cristo che prende inizio la vita di un vero apostolo che deve purificare il mondo: « Incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore » (Cammino, n. 1). Più avanti ricorda: « Nel regalarti quella « Storia di Gesù », scrissi come dedica: « Cerca Cristo, trova Cristo, ama Cristo »" (ibidem, n. 382). E in un modo compendioso: « Diceva un’anima d’orazione: nelle intenzioni, Gesù sia il nostro fine; negli affetti, il nostro Amore; nella parola, il nostro argomento; nelle azioni, il nostro modello » (ibidem, n. 271). Il modello nel cammino della sofferenza (su cui torneremo più ampiamente): « Gesù soffre per compiere la Volontà del Padre… E tu, che pure vuoi compiere la Santissima Volontà di Dio, seguendo i passi del Maestro, potrai lamentarti se trovi per compagna di viaggio la sofferenza? » (ibidem, n. 213).
È l’unica via sicura: « Mettiti nelle piaghe di Cristo Crocifisso. – Lì apprenderai a custodire i tuoi sensi, avrai vita interiore, e offrirai continuamente al Padre i dolori del Signore e quelli di Maria, per pagare i tuoi debiti e tutti i debiti degli uomini » (ibidem, n. 288). Secondo l’esortazione dell’Apostolo: « Induimini Dommum Iesum Chrintum, rivestitevi del Signore Nostro Gesù Cristo, diceva San Paolo ai Romani (31). – E’ nel Sacramento della Penitenza che tu e io ci rivestiamo di Gesù Cristo e dei suoi menti » (ibidem, n. 310). Con amorosa confidenza: « Gesù Cristo è tuo amico. – L’Amico. – Con un cuore di carne, come il tuo. – Con gli occhi dallo sguardo amabilissimo, che piansero per Lazzaro… – E così come a Lazzaro, vuoi bene a te » (ibidem, n. 422).
Un’identica e costante presenza del Signore si avverte in Solco e in Forgia: « Perdonare. Perdonare con tutta l’anima e senz’ombra di rancore! Atteggiamento sempre grande e fecondo. – Questo è stato il gesto di Cristo mentre veniva inchiodato alla Croce: « Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno », e da lì vennero la tua salvezza e la mia » (Solco, n. 805); « Non mettere il cuore in nulla che sia caduco: imita Cristo, che si fece povero per noi, e non aveva dove posare il capo. – Chiedigli di concederti, in mezzo al mondo, un distacco effettivo, senza attenuanti » (Forgia, n. 523).
Perciò raccomanda una speciale devozione all’umanità di Cristo: « E veramente amabile la Santa Umanità del nostro Dio! – Ti sei « messo » nella Piaga santissima della mano destra del tuo Signore, e mi hai domandato: « Se una sola ferita di Cristo lava, risana, acquieta, fortifica e infiamma e innamora, che mai faranno le cinque Piaghe aperte sul legno della Croce? »" (Cammino, n. 555). « Contempla e vivi la Passione di Cristo, con Lui: offri – con frequenza quotidiana – la tua schiena quando lo flagellano; porgi il tuo capo alla corona di spine. – Nella mia terra dicono: « Amore con amor si paga »" (Forgia, n. 442). E raccomanda la Via Crucis come una devozione « robusta e sostanziosa » (Cammino, n. 556). Di fronte a Gesù non si può rimanere indifferenti: « Gesù: dovunque tu sei passato nessun cuore è rimasto indifferente. – O ti si ama, o ti si odia » (ibidem, n. 687) e così accadrà ad ogni vero apostolo. Rileva perciò la stoltezza dei nemici di Cristo: « Non so perché ti spaventi. – I nemici di Cristo sono sempre stati poco ragionevoli. Dopo la risurrezione di Lazzaro avrebbero dovuto arrendersi e confessare la divinità di Gesù. – Ebbene, no: uccidiamo – dissero – colui che dà la Vita! E oggi, come ieri » (ibidem, n. 694).
Anche le omelie fioriscono a ogni paragrafo della presenza di Cristo. La meta è per tutti la più alta, l’imitazione di Cristo: « Non lasciatevi ingannare tanto facilmente dalla codardia e dalla comodità. Sentite, invece, l’urgenza divina che ciascuno di voi sia un altro Cristo, ipse Christus, lo stesso Cristo » (Amici di Dio, n. 6). È questo il cammino del cristiano al quale Cristo stesso ci ha invitati: « Ripercorri l’esempio di Cristo, dalla culla di Betlemme al trono del Calvario. Considera la sua abnegazione, le sue privazioni: fame, sete, fatica, caldo, sonno, maltrattamenti, incomprensioni, lacrime [...]. Gesù ha dato sé stesso, offrendosi in olocausto per amore » (ibidem, nn. 128-129). Viviamo pertanto la ricchezza spirituale del Vangelo: « Ti consiglio, nella tua orazione, di intervenire negli episodi del Vangelo come un personaggio tra gli altri. Cerca anzitutto di raffigurarti la scena o il mistero che ti deve servire per raccoglierti e meditare. Poi applica ad essa la mente, prendendo in considerazione l’uno o l’altro dei lineamenti della vita del Maestro: la tenerezza del suo Cuore, la sua umiltà, la sua purezza, il suo modo di compiere la Volontà del Padre ».
Non basta: « Quindi raccontagli tutto quello che in queste cose ti suole capitare, quello che senti, i fatti della tua vita. E presta attenzione, perché forse Egli vorrà indicarti qualche cosa: è il momento delle mozioni interiori, di renderti conto, di lasciarti convincere » (ibidem, n. 253). Soprattutto del mistero d’amore del Cuore di Gesù. E « l’amore divino fa sì che la seconda Persona della Santissima Trinità, il Verbo Figlio di Dio Padre, prenda la nostra carne, e cioè la nostra condizione umana, eccetto il peccato. E il Verbo, Parola di Dio, e Verbum spirans amorem (32), la parola dalla quale procede l’Amore. L’amore » – insiste – « ci si rivela nell’Incarnazione, nel cammino redentore di Gesù Cristo sulla nostra terra, fino al sacrificio supremo della Croce. E, sulla Croce, si manifesta con un nuovo segno: Uno dei soldati gli colpì il costato con una lancia e subito ne uscì sangue e acqua (Gv 19, 34).
Acqua e sangue di Gesù che ci parlano di una donazione realizzata sino in fondo, sino al consummatum est (Gv 19, 30): tutto è compiuto, per amore » (È Gesù che passa, n. 162). E reagisce perciò vivacemente a una supposta « crisi » postconciliare della devozione al Sacro Cuore di Gesù: « Tale crisi non esiste; la vera devozione è stata ed è tuttora (33) un atteggiamento vivo, pieno di senso umano e di valore soprannaturale. I suoi frutti sono, ieri come oggi, frutti saporosi di conversione e di donazione [...], di penetrazione amorosa dei misteri della Redenzione » (ibidem, n. 163). Anzi: « la pienezza di Dio ci viene rivelata e ci viene data in Cristo, nell’amore di Cristo, nel Cuore di Cristo. Perché è il Cuore di Colui nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (ibidem, n. 163).
Parlare del cuore di un uomo è parlare della qualità di tutta la sua persona, e « quando la Sacra Scrittura parla del cuore, non intende un sentimento passeggero che porta all’emozione o alle lacrime. Parla del cuore – come testimonia lo stesso Gesù – per riferirsi alla persona che si rivolge tutta, anima e corpo, a ciò che considera il suo bene » (ibidem, n.164).
Ecco allora, continua con precisione teologica, « che, considerando il Cuore di Gesù, scopriamo la certezza dell’amore di Dio e la verità del suo donarsi a noi. Nel raccomandare la devozione al Sacro Cuore, non facciamo che raccomandare di orientare integralmente noi stessi, con tutto il nostro essere – la nostra anima, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, le nostre fatiche e le nostre gioie – a Gesù tutto intero » (ibidem).
Allora la « vera devozione al Cuore di Gesù consiste in questo: conoscere Dio e conoscere noi stessi, guardare a Gesù e ricorrere a Lui che ci esorta, ci istruisce, ci guida. In questa devozione » – osserva con profondità – « non si dà altra superficialità che quella dell’uomo che, non essendo interamente umano [corsivo nostro], non riesce a cogliere la realtà del Dio incarnato » (ibidem). Ecco: « Gesù crocifisso, con il cuore trafitto dall’amore per gli uomini, è una risposta eloquente [...] alla domanda sul valore delle cose e delle persone » (ibidem, n. 165).
Il Cuore di Gesù è un cuore umano che si commuove e si affretta ad alleviare le sofferenze altrui come ha fatto con la vedova di Nain quando, preso da compassione, le si avvicina e dice: « Non piangere », e così davanti alla tomba di Lazzaro, riportando queste creature alla vita e restituendole all’affetto dei loro cari: anche noi « nella festa odierna dobbiamo chiedere al Signore di concederci un cuore buono, capace di commuoversi per il dolore delle creature, capace di comprendere che, per lenire le pene che accompagnano e non poche volte angustiano gli animi su questa terra, il vero balsamo è l’amore, la carità » (ibidem, n. 167).
E, dopo aver ricordato le maledizioni di Cristo, nell’ultimo giudizio, contro coloro che hanno trascurato le opere di misericordia, ha un’osservazione per i problemi concreti del terzo mondo: « Un uomo o una società che non reagiscano davanti alle tribolazioni e alle ingiustizie, e che non cerchino di alleviarle, non sono un uomo o una società all’altezza dell’amore del Cuore di Cristo » (ibidem). I cristiani devono perciò « lottare in questa guerra di pace contro il male, l’ingiustizia, il peccato, proclamando che l’attuale condizione umana non è quella definitiva e che l’amore di Dio manifestato nel Cuore di Cristo otterrà il glorioso trionfo spirituale degli uomini (ibidem, n. 168).
E bisogna ricordare che dal Cuore aperto di Cristo sulla Croce sono sgorgati i Sacramenti attraverso i quali Dio opera in noi e ci fa partecipi della forza redentiva di Cristo; e in particolare il sacramento dell’Eucaristia, la nostra Messa che rinnova in modo incruento il sacrificio del Calvario. E sappiamo così, come dice il titolo dell’omelia, che il Cuore di Gesù è la pace dei cristiani. « Perché, ricordiamolo ancora una volta, l’amore di Gesù per gli uomini è un aspetto insondabile del mistero divino, dell’amore del Figlio per il Padre e lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, il vincolo d’amore tra il Padre e il Figlio, trova nel Verbo un cuore umano [...]. Sappiamo che è così; sappiamo che l’Amore, dal seno della Trinità, si effonde su tutti gli uomini per mezzo dell’Amore del Cuore di Gesù » (ibidem, n. 169).
La conclusione: « Un cristiano che vive unito al Cuore di Gesù non può avere che questa meta: la pace nella società, la pace nella Chiesa, la pace nella propria anima, la pace di Dio che sarà perfetta quando verrà a noi il suo Regno » (ibidem, n. 170). Ogni cristiano, nel suo posto nel mondo, è un operaio per l’avvento del Regno futuro che invochiamo nel Pate
r.

DOMENICA 8 MAGGIO 2011 – III DI PASQUA

DOMENICA 8 MAGGIO 2011 – III DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqA/PasqA3Page.htm

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni, apostolo 6, 1-17

L’Agnello apre il libro di Dio
Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora.
Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada.
Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».
Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce:
«Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e verace,
non farai giustizia
e non vendicherai il nostro sangue
sopra gli abitanti della terra?».
Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.
Quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?

Responsorio    Cfr. Ap 6, 9. 10. 11
R. Vidi sotto l’altare di Dio le anime di coloro che furono immolati. Gridarono a gran voce: Fino a quando non vendicherai il nostro sangue? * E fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro fratelli, alleluia.
V. Venne data a ciascuno di essi una veste candida.
R. E fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro fratelli, alleluia.

Seconda Lettura
Dalla «Prima Apologia e favore dei cristiani» di san Giustino, martire
(Cap. 66-67; PG 6, 427-431)

La celebrazione dell’Eucaristia
A nessun altro è lecito partecipare all’Eucaristia, se non a colui che crede essere vere le cose che insegniamo, e che sia stato purificato da quel lavacro istituito per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e poi viva così come Cristo ha insegnato.
Noi infatti crediamo che Gesù Cristo, nostro Salvatore, si è fatto uomo per l’intervento del Verbo di Dio. Si è fatto uomo di carne e sangue per la nostra salvezza. Così crediamo pure che quel cibo sul quale sono state rese grazie con le stesse parole pronunciate da lui, quel cibo che, trasformato, alimenta i nostri corpi e il nostro sangue, è la carne e il sangue di Gesù fatto uomo.
Gli apostoli nelle memorie da loro lasciate e chiamate vangeli, ci hanno tramandato che Gesù ha comandato così: Preso il pane e rese grazie, egli disse: «Fate questo in memoria di me. Questo è il mio corpo». E allo stesso modo, preso il calice e rese grazie, disse: «Questo è il mio sangue» e lo diede solamente a loro.
Da allora noi facciamo sempre memoria di questo fatto nelle nostre assemblee e chi di noi ha qualcosa, soccorre tutti quelli che sono nel bisogno, e stiamo sempre insieme. Per tutto ciò di cui ci nutriamo benediciamo il creatore dell’universo per mezzo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo.
E nel giorno, detto del Sole, si fà l’adunanza. Tutti coloro che abitano in città o in campagna convengono nello stesso luogo, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti per quanto il tempo lo permette.
Poi, quando il lettore ha finito, colui che presiede rivolge parole di ammonimento e di esortazione che incitano a imitare gesta così belle.
Quindi tutti insieme ci alziamo ed eleviamo preghiere e, finito di pregare, viene recato pane, vino e acqua. Allora colui che presiede formula la preghiera di lode e di ringraziamento con tutto il fervore e il popolo acclama: Amen! Infine a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi.
Alla fine coloro che hanno in abbondanza e lo vogliono, danno a loro piacimento quanto credono. Ciò che viene raccolto, è deposto presso colui che presiede ed egli soccorre gli orfani e le vedove e coloro che per malattia o per altra ragione sono nel bisogno, quindi anche coloro che sono in carcere e i pellegrini che arrivano da fuori. In una parola, si prende cura di tutti i bisognosi.
Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché questo è il primo giorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos, creò il mondo, sia perché Gesù Cristo nostro Salvatore risuscitò dai morti nel medesimo giorno. Lo crocifissero infatti nel giorno precedente quello di Saturno e l’indomani di quel medesimo giorno, cioè nel giorno del Sole, essendo apparso ai suoi apostoli e ai discepoli, insegnò quelle cose che vi abbiamo trasmesso perché le prendiate in seria considerazione.

The book of Psalms, events and portraits – The Leviathan

The book of Psalms, events and portraits - The Leviathan dans immagini sacre 13%20THE%20LEVIATHAN
http://www.artbible.net/1T/Psa0000_Eventsportraits/pages/13%20THE%20LEVIATHAN.htm

Publié dans:immagini sacre |on 6 mai, 2011 |Pas de commentaires »

La preghiera di chi si fida : (Col 2, 6-12

dal sito:

http://www.terrasantalibera.org/PREGHIERA%20E%20RESPIRO.htm

Preghiera e respiro

Stefano Maria Chiari

15/09/2007

La preghiera di chi si fida : (Col 2, 6-12)

«Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell’azione di grazie.
Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà.
In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo.
Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti». (Col 2, 6-12)

La preghiera è il respiro dell’anima; come accade per il corpo, chi volesse vivere senza ossigeno, privandosi di un elemento principe nella dinamica delle funzioni fisiologiche dell’essere umano, resterebbe prima o poi privo di vita, così anche nel mondo dello spirito, colui che decida deliberatamente o per pigrizia o inerzia di prescindere dall’orazione finirebbe col giacere morto.
La ragione fondamentale di questo inevitabile esito risiede nella medesima struttura esistenziale dell’uomo; esso non possedendo alcun fondamento ontologico in se stesso, procede da Dio, nell’ordine dell’esistenza e delle sue finalità.
L’armonia tripartita (ma unitaria) della natura umana – costituita, come insegna San Paolo, da corpo, anima e spirito – implica necessariamente un equilibrio gerarchico delle sue parti costitutive: all’anima (psychè) deve soggiacere il corpo e la prima allo spirito (pneuma); a sua volta, quest’ultimo (nephesh) – creato per comunicare (vivendolo partecipativamente) con lo stesso Spirito di Dio nell’uomo (Rouah) – da Lui dipende totalmente, attingendo gioia piena, potenza di vita e di immortalità.
La preghiera si colloca proprio in quest’ottica comunicativa di effusione del cuore nel Cuore di Dio, subordinando il nulla del proprio essere al tutto infinito dell’Essere.

Lo stato originale di innocenza contemplava questa piena assonanza esistenziale: Dio e l’uomo in colloqui frequenti ed intimi, la natura umana, sovrana e signora dell’intero creato, capace di porre il nome agli animali, libera dalle pastoie del dolore e della morte e dal vincolo inesorabile di un servigio estremo, quello del ritorno alla terra, della polvere del proprio niente, chiaro segno del perduto dominio sugli elementi materiali della creazione.
L’uomo pecca e la corruzione del male commesso, rompendo l’armonia gerarchica menzionata, fraziona l’interiorità della persona (discorsività del pensiero, incapacità di concentrazione, dissonanze cognitive, illusioni legate alla errata percezione della propria corporeità) e proietta nel mondo sensibile la radice dell’essere stesso (la vita dello spirito), la quale, priva della sua unica Sorgente eterna ed infinita (Dio stesso), finisce con lo scagliare la sua ragion d’essere fuori del luogo ad essa deputato (la vita trinitaria), per restare assorbito e legato inesorabilmente al disfacimento progressivo della parte che di sé appartenga al transeunte.
L’uomo è ormai completamente servo del mondo creato (che invece era chiamato a dominare nell’amore), della materia nella quale egli si ingabbia sempre di più; peccato chiama peccato e il male paga con il male; ne ricava una vita precaria e una morte certa.
La corporeità cambia radicalmente il proprio modo di essere: da tempio vivo dello Spirito divino, diviene semplicemente «carne», che non mantiene la propria esistenza se non nell’ordine naturale (materiale).
In questo senso San Paolo parla di essa e della necessità di una sua mortificazione, ossia del bisogno estremo che le tendenze mortifere, che con sé medesima rechi, vengano uccise, purificate e sublimate nella divinizzazione che procede dallo Spirito Santo.
«Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono.
Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi.
Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca.
Non mentitevi gli uni gli altri.
Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.
Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti». (Col 3, 5-11).

Il combattimento contro la carne è dunque reviviscenza per il corpo; l’ascesi di mortificazione, tuttavia, non ha senso se non nella misura in cui implichi anche un’esperienza mistica attiva (alla quale tutti sono chiamati e mistica che non dipende da se stessi o dai meriti personali, ma essenzialmente dalla propria collaborazione all’iniziativa dello Spirito divino), un’apertura del cuore all’azione di Dio, che ci renda capaci di ricevere la vita divina e di vivere del Logos eterno del Padre; in altri termini che ci apra all’ascolto autentico della Parola e ci faccia atti alla ricezione trasformante della persona.
Per questo alle pratiche dell’ascesi deve essere associata quella dell’orazione.
La preghiera ed il sacrificio devono sempre agire congiuntamente, sotto la guida dello Spirito del Padre che predispone all’accoglienza, alla purificazione ed alla santificazione.
I diversi elementi dell’ascesi (digiuni, astinenze, veglia, continenza, elemosina, lavoro, ossia fatica fisica e dedizione corporale) devono procedere simultaneamente ed essere coronati e corroborati dall’interno da un’intensa vita di preghiera.
L’ascesi verte e riguarda l’essere intero: l’uomo, decaduto in tutte le sue facoltà, deve rialzarsi integralmente, mediante l’applicazione di ogni sua potenza unita all’azione dello Spirito di Dio.
Questo ritrovato equilibrio, in Cristo Signore ed in virtù dell’effusione del suo sangue, comporta e genera una profonda pace interiore: l’uomo che prega e si sacrifica, mortificando se stesso, con l’aiuto della grazia, diviene dimora stabile dell’Altissimo, imperturbabile.
Ora, si vede bene quale sia la necessità di una vita d’orazione: la preghiera è il mezzo principe per instaurare nuovamente un rapporto con Dio.
Questa possibilità esiste solo perché è Dio, che per primo cerca tale rapporto.
Se non fosse così a nulla varrebbero tutti gli sforzi dell’umano potere.
In quest’ottica dobbiamo collocare le esperienze «mistiche» delle religioni orientali, legate al compimento di pratiche ascetiche ed ancora nell’ambito di tale visione dobbiamo leggere le differenze profonde tra preghiera e meditazione yoga, per esempio.
L’iniziativa di Dio è il sigillo della preghiera cristiana, che resterebbe altrimenti sempre arenata all’insufficienza di mezzo inadeguato per accedere al Mistero.
Che dire, dunque, di una possibile fisiologia della preghiera?
Che ruolo può o deve avere il corpo nel percorso ascetico dello spirito in Dio?
Che utilità vi può essere nell’utilizzo di posizioni fisiche o di specifici esercizi respiratori?
Riteniamo che sia sempre valido un principio aureo di Sant’Ignazio di Loyola: avvalersi di tutto quel che sia utile per unirci di più a Dio, prescindere da tutto quel che allontana o divide da Lui.
E’ chiaro che anche universalizzare un metodo rischia di essere restrittivo per la sensibilità spirituale di ognuno.
Procediamo per gradi.

In primis, dobbiamo rilevare un’evidenza: è certo che i portamenti, le posizioni ed i movimenti del corpo possano favorire, o addirittura provocare, stati psichici, come è anche vero che ogni attività mentale comporti ripercussioni somatiche; il corpo, in modo sensibile o impercettibile o perfino involontario, partecipa ad ogni moto dell’anima, di qualunque natura esso sia (sentimentale, intellettivo o spirituale).
E’ altresì verissimo che uno stato timico a volte possa essere quasi localizzato organicamente: un particolare stato umorale può esercitare una specifica attrazione ed influenza su certe parti dell’organismo più che su altre.
Solo il pensiero errante e discorsivo – necessariamente non legato ad una individuabile vena timica e solitamente determinato dal meccanismo complesso delle associazioni d’idee autogene, e/o delle impressioni ricevute dall’ambiente esteriore e/o delle onde subcoscienti messe in moto a caso dalla meditazione – difficilmente è in grado di trovare una propria collocazione fisica «residenziale». Tanto assertiamo per mostrare come indubbiamente la preghiera abbia una influenza notevole anche sul corpo e non soltanto sullo spirito.
Conosce bene questo, chi, abbandonato ad un tempo di preghiera, al terminare la stessa, si ritrovi con un nuovo insospettato senso di benessere, di pace e di vigore, che, seppur passando per lo spirito, ha notevoli ripercussioni anche sul corpo; come è anche semplice sperimentare come uno stato fisico di trambusto (arrivare di corsa in chiesa, per esempio) non deponga a favore di una calma concentrazione, certamente utile al momento orante.
Come dunque potersi avvalere del corpo per pregare con maggiore efficacia?
Uno dei modi può essere proprio quello di controllare il respiro, calmandolo nel suo vagabondo errare.
Il consiglio che chi scrive si sente di dare non concerne l’acquisizione di una specifica tecnica o l’utilizzo si procedure tramandate dalla tradizione esicasta, ma quello di un prudente ascolto dei messaggi del corpo.
La posizione di chi si dedichi alla preghiera prolungata deve essere necessariamente quella che riesca a conseguire il migliore stato di concentrazione per l’orante; il respiro scandito, ma non forzato (1) ritmicamente aiuta da un lato a fissare il pensiero, a canalizzarlo, come sosteneva Evagrio, verso il centro d’attenzione prefissato, e dall’altro, a sedare l’eventuale nervosismo, anche latente, che possa disturbare l’avvenimento dell’incontro.
Occorre preliminarmente sapere che questo è il momento, il tempo sacro, preziosissimo, in cui l’uomo creatura si deve trovare con il suo Creatore, per essere pienamente se stesso.

Non esiste istante di maggior valore di quello in cui la persona «si perda» nelle Persone.
Per questo è assolutamente indispensabile, come recita la divina liturgia greco-cattolica di San Giovanni Crisostomo, «deporre ogni mondana preoccupazione».
L’orazione deve procedere mentalmente da uno spirito libero e da un cuore arreso del tutto al Pensiero divino.
Qualunque turbamento, di qualsiasi natura, quand’anche fosse lecito, deve sciogliersi come cera al fuoco dello Spirito dimorante nel cuore.
Presupposto di tale atteggiamento intimo è la consapevolezza brillante e rassicurante di sperare tutto da Dio ed in Dio, affidando tutto e confidando per tutto.
Del resto la stessa coroncina della Divina Misericordia di santa Faustina vede il suo culmine in  questa medesima fiducia filiale: «Gesù, confido in te».
Il corpo seguirà l’anima in questo percorso di totale rasserenamento; il battito cardiaco decelererà, il respiro diverrà regolare, una sensazione di benessere e di rilassatezza pian piano prenderanno possesso dell’orante; ma tutti questi segni restano sempre nella sfera dell’accidente.
Una preghiera efficace può anche nascere nelle corsie di un letto d’ospedale, nell’offerta silenziosa di un cuore fiducioso, che palpita all’interno di un corpo lacerato o martoriato dal dolore.
Elemento essenziale infatti non è tanto la tecnica che si abbia deliberato di adottare (o che lo Spirito abbia suggerito) per rendere più viva la Presenza, quanto la necessità impellente che tale preghiera «divenga respiro»; per usare una sorta di gioco di parole, il respiro può essere utile alla preghiera, ma soprattutto la preghiera che deve essere respirata.
In questo si torna forse allusivamente a certa prassi della fisiologia orante, ma da cui tranquillamente possiamo prescindere: la preghiera deve divenire stato abituale dell’uomo, comunque costui riesca a realizzare tale evento.
Quindi torniamo all’essenziale: primo, assenza di preoccupazioni o di distrazioni; offerta di quel che c’è dentro di noi.
Gesù dice di dare in elemosina quel che v’è dentro e tutto sarà puro.
Quindi effusione del cuore davanti al Signore (come recitano alcuni salmi), cioè fiducia estrema e totale nella bontà infinita ed imperscrutabile dell’eccellenza divina.

Secondo: fede forte, irremovibile, piena consapevolezza di essere alla presenza di Dio, che stabilmente dimora nell’anima in grazia; o che si occulta nelle Specie Eucaristiche.
Stare presenti a se stesso, per dimorare alla Presenza, sapendo che Dio prescinde dalla mia poca o molta capacità e che Lui è in grado di fare tutto.
Piena certezza della parola di Cristo: «Rimanete in me ed io in voi», «siete tempio dello Spirito Santo»; «il Padre lo amerà e noi verremo a lui»; «il regno di Dio è dentro di voi» ecc., sapere che Dio non mente; l’anima che lo cerca ed è in grazia (confessata e senza peccato grave) vive di Dio, anche nella incoscienza di questo persistere «dentro».
Fede nella permanenza di Cristo, che va adorato nel cuore (come dice San Pietro) e che prega in noi, come capo, per noi, come sacerdote ed è pregato da noi come Dio (come meravigliosamente sintetizza Sant’Agostino).

Terzo: fede di essere esauditi, secondo il compimento della sua volontà.
Abbandono alla volontà divina e piena certezza che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio»; quindi, pregare, sapendo che il Padre mai rifiuta cose buone e lo Spirito Santo, all’anima perseverante, umile e colma di amore.
Pregare, sapendo che se si chiede bene e come si conviene, si ottiene sempre il meglio per sé e per gli altri, anche quando questo non corrisponda al nostro volere.
Quarto: umiltà! Essa deve costituire sigillo interiore della preghiera e manifestazione esteriore di solennità sacra; riconoscimento dell’infinita maestà sovrana di Dio, di fronte alla quale l’adorazione del corpo e dello spirito deve essere sentita come ineluttabilmente obbligatoria.
Il timore di Dio, questo amore adorante e tremante dell’uomo che si scopre nudo, senza grazia, incapace di ottenere alcunché, se non gli viene concesso dalla mano amorosissima dell’Altissimo, deve percorrere come un onda tutto l’essere ed impregnare di sé la coscienza.
Per questo ben si colloca, in quest’ottica, un’invocazione di carattere penitenziale, che chieda misericordia a Dio, per l’iniquità di cui si è profondamente impastati e che rende immensamente indegni di chiamare a sé il Santo.
Dall’umiltà discende senza equivoci il bisogno di essere convertito.
Recidere la complicità con il male, nell’intimo di una orazione penitente e di una supplica continua e colma di speranza, può essere il farmaco più dolce per il peccatore incallito che voglia, però, redimersi (e tutti siamo peccatori, nessuno si chiami fuori).
Ma come può questa preghiera così praticata divenire abitudine dell’anima, perenne presenza dello Spirito Santo nel cuore?
Come può l’uomo pregare sempre, per beneficiare della potenza e della dolcezza e della misericordia infinita del Santo dei santi?
Forzando, per quanto possibile e con serenità, la volontà a compiere una preghiera attenta; non tralasciando mai questo momento sacro, esclusivamente dedicato a Dio; richiamando alla memoria, incessantemente, come sottofondo musicale che accompagni in ogni dove ed in ogni tempo, il Divino che ci circonda, in cui viviamo e ci muoviamo; saper scorgere dietro ogni circostanza o apparenza della vita la mano divina della Provvidenza.

L’esperienza della preghiera come respiro diviene allora quasi un simbolo: come l’aria non può non avvolgere e contenere la persona, così la luce santificante e la grazia divinizzante dello Spirito non può non voler possedere un’anima; Dio, nella sua libertà infinita, vuole certamente, ma l’uomo deve consentire questo lasciarsi possedere; deve aprirsi seriamente al mistero che lo trascende, sapendo scorgere sempre un segno dell’amore che Dio ha per lui.
Non esisterà mai una tecnica che obblighi Dio a donarsi; soltanto l’amore è in grado di «costringere l’Eterno».
La preghiera diviene respiro quando lo sguardo si volge con frequenza al Cuore di chi dimora nel cuore; chi ama, non fatica a pensare alla persona amata; anzi il pensiero sorge in lui spontaneo; quasi riesce a percepirne l’odore e a carpirne lo sguardo.
Così, chi trova Cristo, sa incrociare i suoi occhi, oltre il visibile percorso dell’esistenza, nella certezza di sentirsi amato, voluto, protetto e benedetto.
Le giaculatorie possono essere di aiuto in tal senso; ponti attraverso i quali giungere al faccia a faccia nelle tenebre (per usare un’espressione ripresa da Beata Elisabetta della Trinità) in un istante, un momento, un attimo.
Altro mezzo può essere quello di un’attenzione parallela che ci consenta di vivere ad un tempo in qualunque luogo o accadimento, però assaporando intimamente (senza che ciò significhi sentire sensibilmente, ma soltanto prenderne coscienza) la dolcezza estrema del soffiare di Dio nell’anima.
Tutto questo premesso, non possiamo che evincere la seguente verità: «la preghiera nasce in un atto di fede che ci mette a confronto con l’Increato, il Dio personale e vivente: essa non dipende da alcun artificio e non può essere conquistata nè con l’astuzia nè con la violenza; è libero dono di sè, da una parte e l’altra. Il corpo non è dunque un organo produttore, ma un criterio oggettivo; ciò che si esige da esso, come pure dal pensiero discorsivo, è il silenzio ed il ritorno all’unità; è attivo, ma non creatore: è, come tutto nell’uomo, una terra fertile in attesa del seme; parte integrante dell’uomo totale, anche esso porterà i suoi frutti di santità, poichè è chiamato alla trasfigurazione, alla resurrezione e alla vita eterna» (2).

In questo netta è, pertanto, la differenza che intercorre tra un autentico atteggiamento orante e la pratica di un esercizio yoga.
«Nello yoga indiano, il fine dell’asceta è l’annullamento totale della propria individualità in Icvara, se si accetta la versione teista delle tecniche yogiche, e nella vacuità (vuoto), secondo la versione buddhista.
L’asceta, nella fase detta di samadhi (= unione), tende a passare dalla samadhi detta con sostegno a quella senza sostegno. E, mentre nella prima ha fissato il pensiero in un punto dello spazio o in un’idea (concentrazione in un solo punto, ekagratà), nella seconda deve annullare ogni precedente stadio di pensiero.
Ancora più esplicitamente, nello yoga buddhistico, quale è esposto nei testi del Dìghanikaya, il monaco, attraverso i quattro ultimi stadi di coscienza (samapatti), deve raggiungere la ‘regione della non-esistenza’, cioè una condizione che è totale soppressione di ogni presenza meditante e conoscitiva (…) lo yoga tende alla soppressione mentale e fisica del meditante, e, nelle sue forme tibetane, all’abolizione progressiva di tutte le figure divine, come forme ingannevoli della conoscenza (una sorta, cioè, di fagocitazione mentale degli dèi, come inutili schermi fra il meditante e la realtà» (3).
Nella preghiera cristiana, l’uomo deve riconoscere la propria creaturalità sia in relazione alla propria assoluta dipendenza da Dio (che, quindi, non è in grado di raggiungere da sè) sia come oggettivo riconoscimento del fatto che, pur peccatore, per superare il suo stato di decadenza, non deve rinnegare il proprio essere (quindi annullare se stesso), ma ottenere la divinizzazione di quel che è, per grazia e misericordia.
In appendice, un’ultima considerazione.
Esistono parole verbali, che debbano di preferenza utilizzarsi nella preghiera?
Ad una domanda simile, rispose Gesù.
Cosa insegnò?

Monte degli Ulivi, Gerusalemme, una delle decine di tabelle, scritte in tutte le lingue, che si trovano all’interno del chiostro della Chiesa del Pater, attigua alla Grotta del Pater, dove la tradizione vuole che N.S. Gesù Cristo abbia predicato per la seconda volta l’orazione al Padre ai suoi discepoli (nota e foto di www.jerusalem-holy-land.org)
 
Non sprecare parole, non pensare che la ripetizione cieca di un mantra possa essere di qualche ausilio; ma pregare il Padre, con la più bella preghiera mai scritta o inventata.
Il «Padre nostro» è preghiera eccelsa, contenente in sé tutto quel che si debba chiedere o domandare, nel debito ordine e secondo il divino compiacimento.
Il Pater è preghiera ricchissima, che può terminare anche solo al suo principio: «Padre».
Così pregava Gesù; non serviva altro.
Non posizioni yoga, non particolari respirazioni, non astrusi ragionamenti di canali energetici, in grado di migliorare l’equilibrio interno dell’essere.
Padre!
Così come chiunque può già esaurire e far consistere tutta la propria orazione nel pronunciare semplicemente il nome dolcissimo di Gesù oppure di Maria Santissima.
«Carissimi, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo. Da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce pubblicamente Gesù, non è da Dio, ma è lo spirito dell’anticristo. Voi avete sentito che deve venire; e ora è già nel mondo». (1Giovanni 4:1-6)

Stefano Maria Chiari

Temi sapienziali nella Bibbia ebraica (Barbaglio)

dal sito:

http://www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Db.Sintesi?num=112

Temi sapienziali nella Bibbia ebraica

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio

Verbania Pallanza, 16 novembre 1996

La corrente e la letteratura sapienziale presente nella bibbia ebraica non riguarda solo uno o più momenti particolari della storia di Israele, come nel caso della profezia, ma accompagna tutta questa storia. Si ritrova infatti non solo nei testi cosiddetti sapienziali, ma è diffusa ovunque (es. la storia di Giuseppe nella Genesi, alcuni salmi, ecc.) la corrente sapienziale all’interno della bibbia ebraica. Mentre il profeta è l’uomo della parola, l’apocalittico l’uomo della visione e il narratore storico l’uomo della interpretazione teologica, il sapiente è « il riflessivo », è colui che è capace di individuare quali vie percorrere per raggiungere una esistenza « ben riuscita », risultati positivi.
Mentre il profeta, l’apocalittico e il teologo della storia si collocano dalla parte della rivelazione divina, hanno come destinatari il popolo di Israele e pongono l’attenzione sulle grandi svolte di Israele, il sapiente fa leva sulla ragione e sulla esperienza umana, ha come destinatario ogni uomo, ogni soggetto e pone l’attenzione sull’esistenza a questo mondo di ciascun individuo, sul suo nascere, vivere e morire.
il concetto di sapienza
La sapienza è anzitutto una conoscenza di come vanno le case al mondo, ed è una conoscenza pratica, è l’arte di pilotare la propria esistenza nel mare burrascoso del mondo per giungere alla vita ben riuscita.
Vi è poi una sapienza popolare e una sapienza colta, presente nelle corti e nelle scuole.
È rintracciabile una sapienza ottimistica ed una pessimistica che si pone come critica della prima.
La sapienza, a differenza della profezia, non è peculiare di Israele, ma ha una dimensione internazionale. La si ritrova in Edom, in Egitto, in Mesopotamia.
la sapienza ottimistica dei Proverbi
La sapienza del libro dei Proverbi è la sapienza secolare, più laica rispetto a quella del Siracide.
Il sapiente osserva come vanno le cose a questo mondo, invita a prenderne atto e a regolarsi di conseguenza.
L’appello a farsi sapiente è fatto da chi scrive, altre volte è attribuito ad un sapiente, come ad esempio a Salomone, il re sapiente per eccellenza, oppure alla sapienza personificata. Nella letteratura sapienziale non ci si imbatte in comandi. Il sapiente consiglia, esorta, sollecita, sprona, vuole persuadere non comandare.
La motivazione al vivere secondo sapienza è essenzialmente di tipo utilitaristico: c’è un rapporto di causa ed effetto tra sapienza e riuscita nella vita, successo, ricchezza, onore, ecc. È una visione ottimistica, che si fonda sull’idea di un Dio retributore che premia, in questa vita, il giusto, e punisce l’empio, lo stolto.
Si esaltano i valori dell’amicizia, della laboriosità, della morigeratezza nel bere, del non lasciarsi sedurre dalla adultera o dalla donna straniera.
Il confronto con l’ottimismo sapienziale dei Proverbi non può che essere dialettico, teso a raccogliere valori e limiti di una visione a volte troppo utilitaristica, privatistica, che confonde la sapienza con l’astuzia, con lo spirito levantino. La nostra cultura è diversa, accentua altri valori ed ha altri limiti.
critica del Qoelet alla sapienza ottimistica
Secondo il Qoelet, tutto è inconsistente, tutto è vuoto, anche la sapienza. Certamente è preferibile l’essere sapienti rispetto all’essere stolti, ma tutto alla fine è parificato dall’essere destinati alla morte: sapiente e stolto, uomo e bestia.
Il destino di morte che tutti e tutto accomuna non fonda una visione nichilista. All’uomo spetta il compito di accontentarsi di cogliere quel bene limitato che la vita quotidiana offre (il mangiare, il bere, il godere dei beni…).
critica di Giobbe alla retribuzione qui e ora
Giobbe, innocente, ha quel destino che l’ortodossia del tempo, rappresentata dagli amici, riteneva proprio del malvagio.
Contesta la risposta della sapienza tradizionale che ricercava nel suo comportamento insipiente e malvagio la causa delle disgrazie. Reagisce duramente agli amici, che fanno calcoli con i loro dogmi e non con la realtà che li smentisce. Se la prende con Dio, che chiama in causa in quanto garante del dogma della retribuzione in questa vita.
Dio chiude la bocca a Giobbe facendo leva sulla propria strapotenza. La domanda di Giobbe non ha risposta. Rimane il perché.
Il perché rinvia alla domanda su quale Dio. Il Dio retributore e onnipotente che domina tutto? E allora come conciliarlo con le tragedie umane, con Auschwitz? Oppure il Dio del Gesù crocifisso, il Dio di Alexamenos che adora il crocifisso dalla testa d’asino, il Dio della debolezza, dell’impotenza e della dissennatezza della croce?
Il crocifisso, massimo segno di stupidità e stoltezza per gli uomini è sapienza per Dio, come dice Paolo.

Maria, Immacolata Concezione

Maria, Immacolata Concezione dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 5 mai, 2011 |Pas de commentaires »
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