Omelia (29-05-2011): Commento su At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1 Pt 3,15-18; Gv 14,15-21
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http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22183.html
Omelia (29-05-2011)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie – famiglie)
Commento su At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1 Pt 3,15-18; Gv 14,15-21
Se qualcuno ci chiedesse: « Tu puoi dire di avere una speranza che ti fa vivere? Di questa speranza sapresti confidarmi il segreto? » Quanti di noi sarebbero capaci di rispondere con le parole di Pietro: » Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori » Nella vita di tutti i giorni una persona diventa la ragione della nostra speranza quando la sua speranza ci conforta, ci dona e ci promette amore. Solo allora riusciamo a vedere che Gesù è la nostra speranza perché, con gli occhi della fede, noi lo vediamo come conforto, datore di gioia, di amore e di doni. Fra questi ultimi il più grande è certamente il dono dello Spirito che ci consola in ogni nostra avversità, ci aiuta a mantenere vivo in noi il suo ricordo e « a testimoniare nelle opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede ».
Separarci da una persona che ci è cara e dagli amici ci rende sempre tristi. Anche se sappiamo che li portiamo nel nostro cuore tuttavia abbiamo timore che, presto o tardi, finiremo per dimenticarli o che loro si dimentichino di noi perché il mondo fra noi e loro stenderà un velo che non potrà essere rimosso facilmente. Bisogna avere molta fede per superare questo scoglio. Fede non sempre raggiungibile in questo mondo, aotato al presto e subito, che fa tutte le cose di corsa. È necessario imparare a fermarsi, ripensare e meditare ciò che lo Spirito suggerisce, guardare con gli occhi del cuore, liberarci dei nostri egoismi e della nostra sete di possesso, anche se questo comporta una lotta con noi stessi e tutto questo non è facile.
Chiesa-madre e Chiesa locale ( At 8, 5-8. 14-17).
Malgrado le difficoltà e le grazie alle persecuzioni, la prima comunità cristiana extra Gerusalemme fa esperienza della vita e della gioia di Cristo. Giovanni e Pietro, inviati dal collegio apostolico, vanno a visitare la chiesa locale di Samaria, fondata dal diacono Filippo, in una terra i cui abitanti erano disprezzati dai giudei. Pietro e Giovanni pregano lo Spirito santo affinché scenda su quei battezzati. Lo Spirito scese sui samaritani e ciò vedendo gli Apostoli, finalmente, capirono che Cristo era veramente venuto non solo per portare la salvezza ai giudei ma anche a tutti gli uomini che esistevano ed esisteranno sulla faccia della terra.
Grandi sono le opere del Signore (Sal 65, 1-3a; 4-5; 6-7a; 17-20).
I prodigi compiuti da Dio, quando liberò il popolo dall’Egitto, vengono ricordati dal salmista e costituiscono la nostra lode pasquale. Di noi che, per mezzo del Battesimo, abbiamo attraversato il Mar Rosso e tramite la quaresima il deserto di Sin.
Una testimonianza e non una crociata ( 1Pt 3, 15-18).
Pietro incoraggia i fratelli, trascinati davanti ai tribunali, dicendo che la Pasqua di Cristo è al centro della fede cristiana e che per essa i fedeli possono « rendere ragione » della loro speranza al cospetto di tutti. Il Vangelo deve essere annunciato con dolcezza, rispetto degli altri, gioia derivante dalla fede, « pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi »: è la fede della Chiesa, non già la Chiesa in quanto tale e tanto meno il laico cristiano o la gerarchia, che deve trionfare. È evidente che, il brano di questa lettera porta con sé la novità dell’evangelo: i comandamenti non sono un obbligo che dia luogo ad una dovuta ricompensa ma un’esigenza del cuore per l’amore ricevuto.
Non siamo più orfani ma adottati per intercessione dell’Unigenito ( Gv 14, 15-21).
Nel brano evangelico della odierna domenica abbiamo ascoltato la promessa dello Spirito Santo fatta da Gesù ai discepoli durante i così detti « discorsi di addio ». Gesù, nel lasciarli per tornare al Padre, promette ai discepoli « un altro consolatore perché rimanga con voi per sempre » il quale vi difenderà da qualsiasi forma di male contro di voi. La promessa può tradursi in questi termini: « Allorché io ritornerò al Padre, cesso di essere il vostro consolatore e pregherò il Padre perché mandi a consolarvi il Paraclito, l’Amore che intercorre fra noi. Sarà Lui che mi farà presente tra voi e vi trasformerà in Eucaristia e noi, Padre, Figlio e Spirito santo abiteremo in voi Chiesa ».
REVISIONE DI VITA
- Le nostre preoccupazioni quotidiane ci impediscono di avvertire l’atto d’amore che l’altro ha per noi?
- Riteniamo che la buona novella sia appannaggio esclusivo del clero e che qualche deroga noi possiamo prendercela?
- Lo spirito consolatore è alla radice della nostra vita cristiana? Lo invochiamoa sostegno del nostro matrimonio?

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