« IO SONO IL BUON PASTORE »

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« IO SONO IL BUON PASTORE »

di PRIMO GIRONI

« Io sono il buon pastore »  

L’immagine biblica del « pastore » contribuisce a illuminare la figura di Gesù e a caratterizzare la sua missione 

L’immagine del pastore che nel Vangelo secondo Giovanni contribuisce a una comprensione più profonda e intensa della persona e della missione di Gesù, va collocata innanzi tutto nell’orizzonte della Bibbia. Questo orizzonte delimita il piccolo mondo dell’uomo biblico, che si restringe attorno alla tenda del pastore, al pozzo, al pascolo e al gregge.

«Abele pastore di greggi»
La Bibbia apre la narrazione della storia della nostra salvezza con la figura di Abele « pastore di greggi » (Genesi 4,2). Con questa immagine viene delineata la presenza dell’uomo nel mondo creato da Dio, come « custode/pastore » della creazione e chiamato a prendersi cura di quanto Dio gli ha affidato. Pensiamo allo stupore dell’orante del Salmo 8 di fronte a questo suo ruolo di « pastore » della creazione: «Tutto hai posto sotto i suoi piedi: tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare» (Salmo 8,7-9). Nel Vangelo secondo Giovanni è Gesù a ricevere tutto nelle « sue mani », per non « perdere » nulla di quanto il Padre gli ha affidato (vedi Giovanni 6,39; 13,5).
La prima immagine che la Bibbia ci offre dell’uomo/pastore è perciò quella che descrive la cura amorevole con cui egli custodisce il creato e quanto esso contiene.
Anche i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe vengono presentati con i tratti del « pastore »: la storia della salvezza affonda le radici accanto ai loro greggi, nei loro incontri presso i pozzi dell’acqua e sotto le tende che li riparano dal caldo torrido del deserto e dal freddo pungente delle lunghe notti stellate.
Lo stesso Mosè, prima di estendere la sua custodia e la sua opera in favore del popolo di Israele schiavo in Egitto, ha vissuto l’esperienza del « pastore »: «Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero» (Esodo 3,1).

«Il popolo che è il suo gregge»
L’immagine del pastore, custode di quel microcosmo che è l’ambiente vitale dell’uomo della Bibbia, conosce un successivo sviluppo nella predicazione dei profeti. Sono i profeti a cogliere nel gregge e nel pastore uno dei modi di parlare del Dio di Israele e del suo popolo. Nella loro predicazione il gregge è diventato il popolo della Bibbia e il pastore è ora il Dio di Israele. I capitoli 34-37 del libro del profeta Ezechiele scorrono sotto i nostri occhi con un alternarsi continuo tra la cura amorevole di Dio/Pastore e la situazione di sofferenza e di abbandono del gregge che è il suo popolo: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare… andrò in cerca della pecora perduta… fascerò quella ferita e curerò quella malata» (vedi Ezechiele 34,13-16).
All’orizzonte di questa promessa si delinea già la predicazione di Gesù, che alla predicazione dei profeti attinge le immagini, le parole, i gesti, le azioni che lo caratterizzano come « pastore » dell’uomo del vangelo e dell’uomo di ogni tempo.

«II Signore è il mio pastore»
La tenda, il gregge, il pozzo, i pascoli, l’acqua, il pastore e il suo bastone, il cammino nel deserto tra i pericoli e i gli animali feroci hanno fornito all’orante dei Salmi le parole e le immagini per la sua preghiera e il suo canto. Infatti anche il libro dei Salmi contiene l’immagine del pastore che, mentre guida il suo gregge camminandogli avanti per aprirgli la strada, diventa anche l’immagine dello stesso orante che compie il proprio cammino interiore, spirituale verso Dio.
Tutti conosciamo la ricchezza compositiva del Salmo 23 (« Il Signore è il mio pastore ») e il suo radicamento nell’esperienza quotidiana del pastore con il suo gregge. Ma ciò che va maggiormente conosciuto è il messaggio che questo Salmo ci trasmette: come il ritmare del bastone del pastore sul terreno rassicura il gregge e gli fa sentire la presenza del pastore (e tutta la sua cura, il suo amore, la sua premura e la sua protezione) lungo il suo cammino o durante la sosta presso il pozzo o al pascolo, così l’orante dei Salmi lungo il suo cammino interiore sente il ritmare della Parola di Dio e da essa riceve guida, orientamento, nutrimento, sicurezza.

«Io sono il buon pastore»
Giungiamo così al capitolo 10 del Vangelo secondo Giovanni, dove l’immagine del pastore confluisce nella persona e nella missione di Gesù. È stato molto lungo e complesso il percorso tracciato dalla figura del pastore, tanto che al tempo di Gesù (sia al momento della sua nascita sia durante il suo ministero) i pastori erano esclusi dalla società e considerati ai margini della vita sociale e religiosa, quasi esseri deformi, degradati, privi di bellezza. Questo potrebbe spiegare perché l’evangelista Giovanni superi una simile concezione negativa del pastore, dichiarando che Gesù è il pastore « quello bello » (come indica il termine greco kalòs, « bello », che noi traduciamo abitualmente con « buono »).
Definendosi « pastore bello/buono », Gesù si riallaccia all’immagine originaria che del pastore la Bibbia aveva fornito. In lui riaffiora Abele, perché Gesù esprime una grande cura e un grande amore per il creato e per l’uomo che in esso vive. Nel suo Vangelo, Giovanni ama chiamare il creato con il termine « mondo », sul quale Dio, mediante Gesù, riversa tutta l’intensità del suo amore di pastore: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Giovanni 3,16).
In Gesù il popolo di Israele è il gregge che ritorna alle origini, quando erano Abramo, Isacco e Giacobbe a guidarlo e a radunarlo attorno al pozzo, alla tenda, all’ovile e al pascolo. L’acqua della vita e il pane e il vino eucaristici sono ora il nuovo pozzo e il nuovo pascolo, la nuova tenda e il nuovo ovile dove il pastore Gesù riunisce i figli dispersi di Israele e l’umanità di ogni tempo (vedi Giovanni 11,51-52: «Gesù doveva morire per la nazione e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»).
In Gesù che guida e conduce al pascolo le sue pecore, che le strappa dalla rapacità del predatore e dalla mano del ladro, riaffiora la preghiera dell’orante dei Salmi che, guidato dal ritmare del bastone/Parola di Dio Pastore, ha la certezza di non mancare ormai di nulla («Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla», Salmo 23,1).
Infine in Gesù che nutre e conduce al pascolo le sue pecore e per esse offre la vita, la figura del Pastore si fonde con quella dell’Agnello che, con le sue carni immolate, diventa il nutrimento definitivo dell’umanità.

Primo Gironi

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