Archive pour avril, 2011

Omelia (03-04-2011): Cristo è la luce della nostra vita

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22051.html

Omelia (03-04-2011)

don Roberto Rossi

Cristo è la luce della nostra vita

Domenica scorsa era la « domenica dell’acqua » (l’incontro di Gesù con la samaritana), questa domenica possiamo definirla « domenica della luce » (Gesù dà la luce degli occhi e della fede al cieco). Nel cammino quaresimale che ci porta a rinnovare insieme le promesse del nostro battesimo nella Veglia Pasquale, l’acqua e luce sono due simboli, presi dalla natura, che ci parlano di vita, ci portano alla vita eterna. « Cristo illuminerà », così finisce la seconda lettura. È Lui la luce del mondo, le nostre tenebre saranno illuminate da Cristo, solo Lui può aprire i nostri occhi alla luce. Il brano del cieco nato ci presenta la condizione degli uomini: chi accoglie la luce, Gesù Cristo e chi, invece, si mette in contrasto con Lui che è la luce del mondo. La luce di Cristo è un dono gratuito: questo è ciò che ci mostra Il vangelo della guarigione del cieco nato. Il cieco non aveva mai visto la luce e di conseguenza tutte le cose che prendono forma proprio dalla luce; forse aveva già sentito parlare di Gesù. Le sue tenebre lo avvolgevano e non sapeva dove incontrare il Signore. È Gesù che prima lo vede, poi si mette accanto a lui, fa del fango che gli spalma sugli occhi. Questo uomo avvolto dalla oscurità rappresenta la nostra vita. Anche noi siamo nelle tenebre, nelle difficoltà, nei problemi che ci assillano. Dio che ci conosce personalmente è vicino a chi ha il cuore ferito, a chi è ammalato e tocca ciascuno per riportarlo alla luce. Ci fa capaci di vedere la realtà e cosi distinguere il bene e il male e poter scegliere cosa veramente desideriamo. Tutto è dono gratuito di Dio. Il cieco non vede, ma sente il tocco della mano, sente la voce di Gesù che gli ordina di andare a lavarsi nella piscina di Siloé. Alla iniziativa di Dio il cieco deve fare qualcosa, deve obbedire alla parola di Dio, non deve giustificarsi per il fatto che non vedendo non può dirigersi alla piscina. Deve rischiare di camminare ancora nel buio, di inciampare, di cadere, se si fida della parola del Signore che l’ha toccato con amore, solo allora può sperimentare la potenza dell’azione divina nella sua esistenza e cominciare a vedere. Perché la luce entri e ci illumini è necessario la nostra parte: ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica. Egli fa quello che Gesù gli ordina di fare però ancora non l’ha visto. Dio agisce sempre cosi, ci riporta alla vita piena e ci lascia liberi. Per quell’uomo che ora ci vede, c’è un cammino crescente nell’illuminazione, nella comprensione della persona di Gesù: prima dichiara davanti ai giudei che « Gesù è un profeta », che egli viene da Dio. Con questa dichiarazione pubblica viene rifiutato, anche i genitori non lo difendono. Assumere la fede fino in fondo è compromettente. In un secondo momento Gesù stesso si presenta davanti a lui e dice chi è. Solo allora vede con gli « occhi nuovi » Colui che l’ha guarito e nasce la vera fede: « si prostrò e l’adorò ». La luce piena entra in noi quando avviene l’incontro personale con Gesù Luce.
Fidiamoci di Dio anche se non vediamo chiaramente la strada da percorrere.
(pensieri dalla Comunità Missionaria di Villaregia)

DOMENICA 3 APRILE 2011 – IV DI QUARESIMA

DOMENICA 3 APRILE 2011 – IV DI QUARESIMA

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/quaresA/QuarA4Page.htm

Seconda Lettura  Ef 5, 8-14
Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:
«Svégliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà».

http://www.bible-service.net/site/379.html

Éphésiens 5,8-14
L’extrait de la lettre aux Éphésiens, proposé ce jour, semble très coloré par la perspective sous-jacente des passages de l’évangile johannique qui sont lus durant ces dimanches de Carême : identification de la lumière au Christ qui vient pour la révélation, manifestation de la lumière attirant à elle ce qui participe de la lumière et rejetant ce qui est des ténèbres, procès et combat de la vérité contre le mensonge… Éphésiens 5 met ici en évidence un fil conducteur de l’enseignement baptismal, l’opposition ténèbres / lumière, que renforcent l’opposition apocalyptique caché / démasqué et l’opposition temporelle autrefois / maintenant. De même que la venue du Christ départage un avant et un après dans l’histoire du monde, de même, pour chacun, en est-il de son baptême. La lumière s’identifie au Christ en personne et elle est résurrection ; la prédication du baptême s’est greffée sur celle de la Croix et de la résurrection.

Efesini 5, 8-14
L’estratto della lettera agli Efesini, proposto questo giorno, sembra molto illuminante a causa della prospettiva, sottogiacente, dai passaggi del vangelo giovanneo che sono letti durante queste domeniche di quaresima: identificazione della luce a Cristo che viene per la rivelazione, manifestazione della luce che attira ad essa coloro che partecipano della luce e rigetta coloro che sono nelle tenebre, processo e combattimento della verità contro la menzogna… Efesini 5 mette qui in evidenza un filo conduttore dell’insegnamento battesimale, l’opposizione tenebre/luce, che rinforza l’opposizione apocalittica nascosto/ manifestato e l’opposizione temporale un tempo/ora. Così la venuta di Cristo accorda il precedente e il dopo nella storia del mondo, ugualmente, per ciascuno, l’essere del suo battesimo. La luce si identifica a Cristo in persona ed essa è risurrezione;; la predicazione del battesimo si inserisce su quella della Croce e della risurrezione.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del Levitico 8, 1-17; 9, 22-24

La consacrazione dei sacerdoti
Un giorno il Signore disse ancora a Mosè: «Prendi Aronne insieme ai suoi figli, le vesti, l’olio dell’unzione, il giovenco del sacrificio espiatorio, i due arieti e il cesto dei pani azzimi; convoca tutta la comunità all’ingresso della tenda del convegno». Mosè fece come il Signore gli aveva ordinato e la comunità fu convocata all’ingresso della tenda del convegno. Mosè disse alla comunità: «Questo il Signore ha ordinato di fare».
Mosè fece accostare Aronne e i suoi figli e li lavò con acqua. Poi rivestì Aronne della tunica, lo cinse della cintura, gli pose addosso il manto, gli mise l’efod e lo cinse con la cintura dell’efod, nel quale avvolse l’efod . Gli mise anche il pettorale, e nel pettorale pose gli Urim e i Tummin. Poi gli mise in capo il turbante e sul davanti del turbante pose la lamina d’oro, il sacro diadema, come il Signore aveva ordinato a Mosè. Poi Mosè prese l’olio dell’unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacrò. Fece sette volte l’aspersione sull’altare, unse l’altare con tutti i suoi accessori, la conca e la sua base, per consacrarli. Versò l’olio della unzione sul capo d’Aronne e unse Aronne, per consacrarlo. Poi Mosè fece avvicinare i figli d’Aronne, li vestì di tuniche, li cinse con le cinture e legò sul loro capo i turbanti, come il Signore aveva ordinato a Mosè.
Fece quindi accostare il giovenco del sacrificio espiatorio e Aronne e i suoi figli stesero le mani sulla testa del giovenco del sacrificio espiatorio. Mosè lo immolò, ne prese del sangue, bagnò con il dito i corni attorno all’altare e purificò l’altare; poi sparse il resto del sangue alla base dell’altare e lo consacrò per fare su di esso l’espiazione. Poi prese tutto il grasso aderente alle viscere, il lobo del fegato, i due reni con il loro grasso e Mosè bruciò tutto sull’altare. Ma il giovenco, la sua pelle, la sua carne e le feci, bruciò nel fuoco fuori dell’accampamento, come il Signore gli aveva ordinato.
Aronne, alzate le mani verso il popolo, lo benedisse e, dopo aver fatto il sacrificio espiatorio, l’olocausto e i sacrifici di comunione, scese dall’altare. Mosè e Aronne entrarono nella tenda del convegno; poi uscirono e benedissero il popolo e la gloria del Signore si manifestò a tutto il popolo.
Un fuoco uscì dalla presenza del Signore e consumò sull’altare l’olocausto e i grassi; tutto il popolo vide, mandò grida d’esultanza e si prostrò con la faccia a terra.

Responsorio   Cfr. Eb 7, 23. 24; Sir 45, 6. 7
R. Nell’antica alleanza vi furono sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo; * Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.
V. Dio innalzò Aronne e gli diede il sacerdozio tra il popolo; lo onorò con splendidi ornamenti.
R. Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.

Seconda Lettura
Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino, vescovo
(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)

Cristo è via alla luce, alla verità, alla vita
Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un’altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell’esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
Hai domandato un consiglio di vita. Di quale vita, se non di quella di cui è stato detto: «E’ in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Dunque mettiamoci subito all’opera, seguiamo il Signore: spezziamo le catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà spezzare tali catene, se non ci aiuta colui al quale fu detto: «Hai spezzato le mie catene»? (Sal 115, 16). Di lui un altro salmo dice: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore rialza chi è caduto»(Sal 145, 7. 8).
Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre»? (Gv 8, 12). Sì, perché il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» (Sal 84, 12) ed egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso. Chi oserebbe, infatti, sperare ciò che Dio non si fosse degnato o di promettere o di dare?
Vedremo a faccia a faccia. L’Apostolo dice: Ora conosciamo in modo imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (cfr. 1 Core 13, 12). E l’apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.
Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? Se il Signore tuo Dio ti avesse detto: Io sono la verità e la vita, tu, desiderando la verità e bramando la vita, cercheresti di sicuro la via per arrivare all’una e all’altra. Diresti a te stesso: gran cosa è la verità, gran bene è la vita: oh! se fosse possibile all’anima mia trovare il mezzo per arrivarci!
Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.
Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!
Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.
Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.

buona notte

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Veronica spicata

http://www.floralimages.co.uk/index_1.htm

Publié dans:immagini...buona notte...e |on 1 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Omelia 2 aprile 2011 prima lettura Osea 6,1-6

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22041.html

Omelia (02-04-2011)

Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra.

Come vivere questa Parola?
Un gioiello questo invito dalla pagina sacra! Un gioiello incastonato nell’incantevole quadro
della primavera che, anche quando inonda la terra di pioggia, è preziosa nel suo essere e nei suoi doni.
Affrettiamoci – dice il profeta Osea. È un invito pressante di chi sa che la posta in gioco è qualcosa di molto importante, di assolutamente necessario al cammino di chi ha fede. Si tratta di conoscere il Signore. E la conoscenza di lui è qualcosa di estremamente dinamico e non finisce mai. Non può finire. Perché, essendo il Signore l’infinito nel mistero di tre persone talmente amanti da essere un solo mistero di amore infinito, come tu puoi pretendere di esplorarlo fino in fondo? Non c’è fondo per Dio. Ma proprio per questo non c’è pericolo di imbattersi in ciò che è risaputo, ribadito, invecchiato, obsoleto. Quel che ci tiene giovani in cuore sempre, è proprio questo essere sempre alla scoperta della novità di Dio. Se ti concedi alla Sacra Scrittura, all’Eucaristia, a una sana relazionalità non solo con le persone ma con tutto il creato, non solo cresci nella conoscenza di questa realtà ma – se lo fai con cuore puro – cresci nell’intima conoscenza del Signore. Non solo un amico, un’amica, ma quell’extracomunitario, quella persona un po’ noiosa, quel barbone e il cane e il gatto e la formica e il filo d’erba: tutto proprio tutto ti farà incontrare Dio.

Signore Gesù, conoscere in senso biblico vuol dire unirsi. Ti prego, attraverso tutti e tutto, dammi di essere in comunione con te.

La voce di una santa
Signore, tu sei la Vita che voglio vivere, la Luce che voglio riflettere, il Cammino che conduce al Padre, l’Amore che voglio amare, la Gioia che voglio condividere e seminare attorno a me. Gesù, Tu sei tutto per me. Ricordamelo: senza di Te non posso nulla.
Madre Teresa di Calcutta

Omelia (02-04-2011): O Dio, abbi pietà di me peccatore

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/21935.html

Omelia (02-04-2011)

Movimento Apostolico – rito romano

O Dio, abbi pietà di me peccatore

Ogni qualvolta la santità di Dio viene esclusa dalla religione, questa attesta la sua corruzione e sovente anche la sua perversione. Rivela non solo la sua inutilità, quanto anche la pericolosità per tutti coloro che la seguono. Essa non è più strumento e via per il conseguimento del più grande bene. Diviene una strada di perdizione e di rovina spirituale e morale per quanti la praticano.
Chi vuole convincersi di questa verità è sufficiente che legga quanto Gesù dice di questa religione nella quale è assente il raggiungimento della santità del Padre suo: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità » (Cfr Mt 23,13-28). Questa religione è deleteria perché ha escluso Dio dal suo seno.
Il fariseo che sale al tempio per pregare non ha il Signore come fonte, principio, fine della sua giustizia e neanche la pienezza della Legge e dei Profeti. Se Dio non è fonte, principio, fine della nostra vita di fede, speranza, carità, la nostra giustizia è falsa e la nostra santità peccaminosa. Nessun uomo potrà mai essere il metro della nostra giustizia, la misura della nostra santità. Quella di Dio è un’altezza infinita, divina, eterna, universale. Verso questa altezza noi dobbiamo camminare. Essa dobbiamo raggiungere. Con essa sempre misurarci e confrontarci. Ci scopriremo sempre umili, piccoli, incipienti, mai arrivati, sempre in cammino. Ci sentiremmo peccatori. Non giudicheremmo nessun uomo. Tra peccatori ci aiuteranno ad andare sempre avanti.
Il pubblicano vede il suo peccato. Sa che solo Dio è il Santo e solo a Lui chiede un po’ di santità. Se tu, Signore, mi dai un po’ della tua santità, io sarò santo. Se tu mi farai giusto, io vivrò da persona corretta e onesta. Se tu mi dai un po’ della tua carità, io inizierò ad amare. Per quest’uomo Dio è fonte, principio, fine della sua intera vita. Per questo torna a casa giustificato, perché si è immerso nella sorgente della santità di Dio e da essa si è lasciato lavare da ogni sozzura di male e di peccato.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a vederci sempre da Dio e in Lui. Angeli e Santi, insegnateci la vera umiltà, la vera fede, la vera giustizia, il vero amore.

God gives the law and covenants to his people (in riferimento al Vangelo di oggi)

God gives the law and covenants to his people  (in riferimento al Vangelo di oggi) dans immagini sacre 09%20TOURS%20MOSES%20RECEIVING%20THE%20LAW

http://www.artbible.net/firstestament_fr.html

Publié dans:immagini sacre |on 1 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Paolo a Roma: Collaboratori della Chiesa nell’annuncio del Vangelo

dal sito:

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=4741

Paolo a Roma: Collaboratori della Chiesa nell’annuncio del Vangelo
di Andrea Lonardo

Paolo, anche dalla prigione, continua ad inviare lettere. Non si sente solo nella sua fatica apostolica, ma continuamente travasa la sua esperienza personale nel seno della Chiesa, accogliendo insieme l’aiuto e la testimonianza dei fratelli in Cristo.
È straordinario, in questa prospettiva, il piccolo biglietto a Filemone, nel quale Paolo si rivolge appunto a Filemone, chiamato «nostro caro collaboratore», alla sorella Appia, ad Archippo ed alla comunità che si riunisce nella loro casa, per presentare la situazione dello schiavo Onesimo fuggitivo, ma ora disposto a ritornare sui suoi passi.
Paolo si definisce nella lettera «vecchio e ora anche prigioniero in Cristo» (Flm 9). Il biglietto potrebbe essere stato scritto a Roma, oppure, secondo altri studiosi, in una prigionia efesina della quale gli Atti non hanno conservato memoria. Questa seconda ipotesi è stata avanzata a motivo del fatto che Filemone è un colossese e un invio della lettera da Roma presupporrebbe un lungo tragitto dell’epistola. Certo è che l’apostolo, comunque lontano e in carcere, sente il suo legame personale ed ecclesiale con le diverse comunità e a queste si rivolge, per venire in aiuto della difficile situazione in cui versa lo schiavo Onesimo.
Paolo non solo ha dei fratelli nelle lontane chiese da lui fondate, ma ne ha altri che gli sono vicini anche nella prigionia. La finale della stessa lettera a Filemone contiene i saluti che Paolo rivolge. Ed egli non è solo a ricordarsi di Filemone e degli altri colossesi, ma: «Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori» (Flm 1,23-24).
Come il lontano Filemone, così anche i fratelli che sono compagni di prigione con lui o comunque vicini a Paolo in catene, vengono chiamati synergoí, “collaboratori”. Paolo utilizza questa espressione molte volte nel suo epistolario. Essa ha innanzitutto una qualificazione teologica: si tratta di una collaborazione che non è semplicemente una vicinanza puramente affettiva a Paolo in quanto persona, ma è un servizio svolto a partire da una chiamata che proviene da Dio stesso ed esercitata con la grazia e la forza del Signore.
Nel suo epistolario, Paolo afferma esplicitamente di se stesso, utilizzando la stessa espressione «Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio» (1 Cor 3,9). E ancora «E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio» (2 Cor 6,1), ma attribuisce poi lo stesso titolo ad altri: «Abbiamo inviato Timoteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede» (1 Ts 3,2).
Un secondo aspetto del termine è che esso indica delle persone che svolgono un servizio che è ecclesiale, che è un servizio di comunione nella chiesa. Essi non semplicemente aiutano Paolo a titolo personale, perché gli è cara la figura dell’apostolo, ma sono “collaboratori” poiché gli è cara la Chiesa stessa. Proprio la preposizione syn, “con”, contenuta nel termine synergoí (“coloro che lavorano insieme”) indica espressamente questa loro caratteristica.
Ma essi vivono questa fatica in una prospettiva missionaria, perché ogni uomo possa giungere ad ascoltare e ad accogliere il Vangelo del Signore Gesù. “Collaboratori” sono espressamente chiamati Aquila e Priscilla (Rm 16,3) che hanno annunciato il Vangelo nelle diverse città in cui erano giunti, dopo l’espulsione da Roma avvenuta a motivo dell’editto dell’imperatore Claudio
Nel termine “collaboratore” appare così evidente sia il primato di Dio, sia la comunione ecclesiale che è il contesto di ogni servizio, sia la coscienza che la Chiesa esiste per l’annuncio del Vangelo e non per se stessa. Per questi motivi, proprio questo termine potrebbe essere oggi nuovamente utilizzato ad indicare e caratterizzare il servizio svolto nella comunità cristiana dai laici che assumono delle specifiche responsabilità nell’edificazione della Chiesa e nell’annuncio del Vangelo.
È divenuto abituale, in tempi recenti, l’utilizzo nel linguaggio comune del termine “operatori”, ma esso sembra sottolineare esclusivamente l’aspetto pratico, operativo, e, inoltre, non ha nessun radicamento nella tradizione ecclesiale. Precedentemente è stato in voga il termine “ministeri”, ma esso sembra attirare troppo l’attenzione sul servizio liturgico e, comunque, accentua una prospettiva intra-ecclesiale (alcune annotazioni per un uso non indiscriminato del termine “ministeri” sono venute dall’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici di Giovanni Paolo II n. 23). L’espressione “animatori”, in alcuni casi, è stata utilizzata al posto delle precedenti, ma essa mette in ombra che è lo Spirito colui che anima la vita della Chiesa e, comunque, anche questo termine, non appartiene al linguaggio ecclesiale della tradizione.
Proprio il termine “collaboratori” è, invece, frequentemente usato nel Nuovo Testamento ed è, forse, adatto ad esprimere la ricchezza teologica del servizio svolto nella Chiesa. L’espressione è stata, nel magistero recente, utilizzata dall’esortazione apostolica post-sinodale “Christifideles laici” di Giovanni Paolo II che la utilizza nel titolo del n. 61: “Collaboratori di Dio educatore”.

21 aprile 2009

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