Archive pour avril, 2011

Omelia (27-10-2005) – seconda lettura, dalla Lettera ai Romani

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/5471.html

Omelia (27-10-2005)

Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?

Come vivere questa Parola?
Queste parole di Paolo sono il cuore della lettera ai Romani. Qui è la sfida gioiosa a tutto quello che tenterebbe di presentarci la pratica cristiana (in sostanza il cammino di santificazione) come qualcosa di troppo arduo, pesante, opprimente le povere nostre forze umane. In realtà si tratta di mettere bene a fuoco una cosa: il cammino del credente non è un sentiero solitario dove devi parare colpi a destra e a sinistra, tenere a bada le tentazioni e sforzarti, solo soletto, di mettere in pratica le virtù. La santità non è anzitutto la pratica del bene, ma in primo luogo è un vivere insieme a Colui che è il Sommo Bene. Se nelle nostre giornate ci sfugge la certezza di questa costante presenza del Signore che ci ha talmente amati da non risparmiare il suo Figlio Gesù, è impossibile dare un senso positivo alla vita. Invece appena la fede diventa la costante persuasione che il Signore è qui, più intimo a me di me stesso, e vuol darmi insieme a questa sua misteriosa presenza anche tutti gli aiuti necessari per vivere il suo progetto che è salvezza e santità di vita, tutto diventa possibile, significativo ed esprime quella vittoria sul male e sulla morte che l’uomo d’oggi ha estremo bisogno di sperimentare.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, prenderò maggiore coscienza che Dio è diverso da me: è il Tre volte Santo! Solo se mi apro a piena fiducia in Lui divento « più che vincitore in virtù di Colui che mi ha amato », perché unisco la mia volontà alla sua che è volontà di Bene, e conosco e vivo una profonda pace.

Chi, Signore, potrà separarmi dal tuo amore? Né tribolazione, né angoscia, né persecuzione. Dammi di essere unito a te e di volere quello che tu vuoi, e tutto sarà bene, tutto sarà bene.

La voce della fondatrice dei Focolarini
Quante volte molti desiderano farsi santi, ma non sanno come imbroccare la strada. Ecco una via alla santità buona per tutti. La volontà di Dio nel presente.
Chiara Lubich

Omelia (10-04-2011): Guarda come lo amava!

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22095.html

Omelia (10-04-2011)

mons. Gianfranco Poma

Guarda come lo amava!

Ci avviamo alla conclusione del cammino quaresimale che culminerà nel grande triduo pasquale con la celebrazione del mistero pasquale, della morte e della risurrezione di Gesù, centro della fede cristiana: la Liturgia rende presente « per noi » il mistero pasquale, perché con Cristo, viviamo l’Amore con cui il Padre ci ama nel nostro essere deboli, fragili, peccatori, fino alla morte, per introdurci nella vita senza fine.
Nella quinta domenica di quaresima leggiamo, dal Vangelo di Giovanni (11,1-45), il racconto della risurrezione di Lazzaro. Dopo l’esperienza della fede della donna samaritana e dell’uomo cieco dalla nascita, la storia di Lazzaro mette la fede di fronte alla domanda più angosciante: perché la morte? Perché la drammaticità della morte per i figli che Dio proclama di amare? Come è possibile credere nell’amore di un Padre che non salva il proprio figlio dalla morte?
Questo racconto della risurrezione di Lazzaro è stupendo nella ricchezza con cui descrive le reazioni dei diversi personaggi, è drammatico nel porre le domande più radicali che nascono nel cuore di ogni uomo che sa ascoltarsi, è coraggiosamente meraviglioso nello scendere nell’intimità misteriosa dell’umanità abitata dal Figlio di Dio: si tratta di una pagina costruita in modo raffinato, tanto che potrebbe essere trasferita immediatamente sulla scena, con i movimenti veloci che si succedono, le personalità perfettamente delineate, i discepoli e la gente che li accompagna con le diverse reazioni, il dramma che si svolge fino alla soluzione che rimane comunque avvolta in un velo di mistero. Del resto, dall’inizio Gesù ha proclamato: « Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato », e alla fine: « Padre, ti ringrazio…perché credano che tu mi hai mandato ». Come nell’evento del cieco, tutto è finalizzato alla fede, all’incontro con il Figlio di Dio, alla gloria di Dio: per entrare nella gloria di Dio occorre passare attraverso l’oscurità della morte, con tutta l’angoscia che questo comporta. La « risurrezione » di Lazzaro ci porta al limite estremo entro il quale il Figlio di Dio entrato nella vita e nella storia dell’uomo, può parlare e comunicare all’uomo che muore l’amore del Padre: ma rimane sempre « al di qua », quindi nell’ombra di una luce che continua a rimanere « oltre ».
Tutto si svolge nel clima intenso dell’amore: « le sorelle, Maria e Marta, mandarono a dire a Gesù: Signore, ecco, colui al quale vuoi bene, soffre. » E nota l’evangelista: « Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro ». Ma immediatamente ci introduce in un’esperienza di amore che è fatto di attenzioni concrete, di affetto, di tenerezza, di commozione, di sofferenza e di pianto, e poi, di qualcosa di infinitamente più grande, che viene dall’ « alto »: l’Amore » è lasciar passare attraverso tutto ciò che è umano, l’intensità del dono del Padre. Le sorelle dicono: Signore, colui al quale « vuoi bene », soffre, ma Gesù « ama » Marta e Maria e Lazzaro. Alla notizia della sofferenza di Lazzaro, Gesù rimane fermo, apparentemente indifferente: forse allora non è vero che lo ama? E invece lo ama veramente, di un amore totale, che non ha paura di mettere in questione la sua stessa vita: da questo momento ciò che accade non fa’ che mettere in evidenza l’amore di Gesù per Lazzaro, un Amore che i discepoli stessi ancora non capiscono perché è il riflesso della luce di cui risplende il Figlio di Dio. Comincia così il cammino della fede, di fronte al problema della sofferenza e della morte: se Gesù è il Figlio di Dio, perché non si muove per evitare la sofferenza di colui che egli ama? E’ la domanda che non può non turbare nel profondo Gesù stesso: « Padre, se vuoi, passi da me questo calice! » Per questo, l’amore di Gesù per Lazzaro che soffre, deve illuminarsi alla luce misteriosa dell’Amore di Colui che rimane nel silenzio e che Gesù continua a chiamare « Padre »: « Ma non la mia, ma la tua volontà si faccia ». E Gesù ci rivela che l’Amore passa attraverso la volontà misteriosa del Padre. « Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto »: insiste Marta nella sua fede ancora in cammino. E’ certa che Gesù ama suo fratello, è certa che Gesù è il Messia, è certa che il Padre lo ascolta: la sua fede ancora circoscritta a questo ambito di vita le dà la certezza che la sua presenza avrebbe impedito la morte. Ma Lui non c’era. « Io sono la risurrezione e la vita »: Gesù già parla di una vita « altra » che Marta ancora non comprende, ormai tutto è rimandato alla fine.
L’ingresso sulla scena di Maria apre orizzonti nuovi e misteriosi: è lei che da questo momento diventa il personaggio principale (solo uno studio attento di ogni singola espressione ci fa cogliere l’intensità del significato della sua presenza). « C’è il Maestro e chiama te », le va a dire Marta, di nascosto. E’ come se Gesù avesse bisogno di Maria, per condividere con lei l’esperienza di una vita che nasce soltanto da un ineffabile Amore. Quando sente di essere chiamata da lui, Maria « subito è risorta ed è andata da lui » che si trova ancora là, dove Marta gli era andata incontro, dove ha incominciato la sua esperienza di fede. Adesso è Gesù che chiama Maria, la fa risorgere e lei subito lo incontra: ciò che Marta cerca a Maria è donato. I Giudei che l’hanno vista « risorgere », pensavano che andasse a piangere alla tomba: ma lei andava da Gesù. L’evangelista ci ha già detto che Maria è colei che ha compiuto i gesti che esprimono tutto l’amore per colui che per lei ha dato la vita: la fede di Maria in Gesù è l’affidamento totale in lui. Maria crede l’Amore che Gesù le dona. Quando lo vide si gettò ai suoi piedi e disse: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto ». Sono le stesse parole di Marta, ma in bocca a Maria hanno un significato diverso: per lei, l’essere con Gesù, gustare il suo Amore, è essere nella vita. Ma essere con Gesù come è possibile? Ed appare a questo punto il problema della morte. Nel momento nel quale Maria sente l’Amore di Cristo che la fa vivere, lo abbraccia, sente che pure le sfugge. « Se tu fossi stato qui…! »: e Maria piange e con lei piangono anche gli altri. E Gesù « si turbò profondamente e si commosse…e scoppiò in pianto »: siamo qui nel cuore del mistero di Dio, dell’uomo, di Cristo. « Guarda come lo amava! », « Ma non poteva fare che non morisse? »: ma perché Gesù piange?, perché questo radicale turbamento di Gesù? perché se l’Amore di Dio è la vita dell’uomo, l’uomo muore? Perché bisogna che cada tutto ciò che separa l’uomo da Dio, perché l’Amore di Dio sia tutto per l’uomo. Bisogna che Gesù muoia, discenda e sperimenti l’angoscia del nulla della morte per essere risuscitato dall’infinito Amore del Padre, ed essere per sempre con Lui nella pienezza della vita: bisogna che Gesù chiami Maria, pianga con lei, si commuova, condivida l’angoscia, si turbi per l’impotenza di Dio di fronte alla morte, ma perché lei cominci a pregustare la bellezza di un Amore che solo passando attraverso la morte raggiunge la sua infinita pienezza. Lazzaro esce dal sepolcro chiamato dalla voce di Gesù, ma ha ancora i piedi e le mani legati con bende e il viso avvolto da un sudario: questa è ancora la vita precedente. Il suo ritorno alla vita è per dirci che non è questa la vita nella quale gustiamo in pieno l’Amore: bisogna morire per andare « oltre » e incontrare e gustare la Vita. « Guarda come lo amava »: l’Amore che Dio ha per noi è misteriosamente più potente del « potere di non farci morire ». Nel « fremito interiore di Gesù », nel suo commuoversi, nel suo piangere con Maria sta l’onnipotenza di Dio che ci ama fino a fare del nostro nulla, dei figli che vivono la sua vita infinita.

DOMENICA 10 APRILE 2011 – V DI QUARESIMA A

DOMENICA 10 APRILE 2011 – V DI QUARESIMA A

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/quaresA/QuarA5Page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Rm 8, 8-11
Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 1, 1 – 2, 4

Il Figlio erede dell’universo, esaltato al di sopra degli angeli
Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato? (Sal 2,7).
E ancora:
Io sarò per lui padre
ed egli sarà per me figlio? (2 Sam 7, 14).
E di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice:
Lo adorino tutti gli angeli di Dio (Sal 96, 7).
E mentre degli angeli dice:
Egli fa i suoi angeli pari ai venti,
e i suoi ministri come fiamma di fuoco (Sal 103, 4),
del Figlio invece afferma:
Il tuo trono, Dio, sta in eterno
e:
Scettro d’equità è lo scettro del tuo regno;
hai amato la giustizia e odiato l’iniquità,
perciò ti unse Dio, il tuo Dio,
con olio di esultanza più dei tuoi compagni (Sal 44, 7-8).
E ancora:
Tu, Signore, da principio hai fondato la terra
e opera delle tue mani sono i cieli.
Essi periranno, ma tu rimani;
invecchieranno tutti come un vestito.
Come un mantello li avvolgerai,
come un abito,
e saranno cambiati;
ma tu rimarrai lo stesso,
e gli anni tuoi non avranno fine (Sal 101, 26-28).
A quale degli angeli poi ha mai detto:
Siedi alla mia destra,
finché io non abbia posto i tuoi nemici
come sgabello dei tuoi piedi? (Sal 109, 1).
Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?
Proprio per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno a quelle cose che abbiamo udito, per non andare fuori strada. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza così grande? Questa infatti, dopo essere stata promulgata all’inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l’avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi e miracoli d’ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà.

Responsorio    Cfr. Eb 1, 3; 12, 2
R. Cristo Gesù, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza, sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, * ora siede alla destra di Dio nell’alto dei cieli.
V. Autore e perfezionatore della fede, egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce;
R. ora siede alla destra di Dio nell’alto dei cieli.

Seconda Lettura
Dalle «Lettere pasquali» di sant’Atanasio, vescovo
(Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)

Celebriamo la vicina festa del Signore con autenticità di fede
Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era
atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l’appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo «(Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. Ger 6, 16).
Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli atri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli
apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19, 27).
Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.

Migranti italiani in Atlantico 1906

Migranti italiani in Atlantico 1906 dans immagini varie migranti-italiani-atlantico-1906
http://redbiancoenero.wordpress.com/

Publié dans:immagini varie, MIGRANTI |on 8 avril, 2011 |Pas de commentaires »

UN “CORTILE DEI GENTILI” LONTANO DELL’ATEISMO PRATICO DELL’IRONIA (Ravasi)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26249?l=italian

UN “CORTILE DEI GENTILI” LONTANO DELL’ATEISMO PRATICO DELL’IRONIA

Il Card. Ravasi presenta alcune manifestazioni culturali promosse dalla Santa Sede

ROMA, venerdì, 8 aprile 2011 (ZENIT.org).- “Il Cortile dei Gentili” è stato un incontro di alto livello che ha permesso un confronto con figure di grande rilievo, lontane dell’ateismo pratico della banalizzazione e dell’ironia. E’ quanto ha detto questo venerdì il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, nel tracciare un bilancio dell’iniziativa lanciata a Parigi dal suo Dicastero vaticano.
Il porporato è intervenuto infatti questo venerdì in Sala Stampa vaticana per illustrare la partecipazione della Santa Sede alla Fiera internazionale del libro a Santo Domingo, che si svolgerà nel Parco della Cultura della capitale della Repubblica Dominicana dal 4 al 22 maggio prossimi.
Durante la conferenza, il Cardinale Ravasi si è detto “felice” che i non credenti siano stati invitati anche all’incontro interreligioso di Assisi, in programma il 27 ottobre di quest’anno nella città natale di san Francesco, per i 25 anni da quel primo storico appuntamento con i leader religiosi di tutto il mondo, convocato nel 1986 da Giovanni Paolo II.
Il  »Cortile dei Gentili » è un’iniziativa di dialogo tra credenti e non credenti fortemente voluta da Papa Benedetto XVI e inaugurata lo scorso 24 marzo a Parigi, con una due giorni di incontri nella sede dell’Unesco e in luoghi simbolo dello spazio laico sul tema Illuminismo, religione, ragione comune, per ribadire che la fede e la teologia sono tra i maggiori vettori di conoscenza e cultura.
Dalla città simbolo della laicità
Il Cardinal Ravasi ha confidato che “l’esito positivo a Parigi non era così scontato” e che è stata scelta proprio la capitale parigina in quanto “città simbolo della laicità quasi assoluta”. Nei dibattiti svoltisi tra l’atmosfera di Notre Dame e le sede istituzionali, ha precisato il porporato, “mi sono accorto che il dialogo era molto più aperto che in Italia”.
Il porporato ha poi raccontato della grande accoglienza ricevuta in particolare alla Sorbona e all’Unesco: “Un’atmosfera difficile da immaginare. Con figure di grande rilievo”, e con relatori spesso apertamente non credenti.
“Nell’unico momento che avevo libero arrivando in Nunziatura – ha proseguito Ravasi – ho ricevuto una richiesta dall’editore francese Blonde e dal filosofo Luc Ferry che mi ha detto: ‘Vorrei fare un libro con lei’. E cosa ancora più significativa il libro sarà sul Vangelo di Giovanni e sarà letto dalle due parti”, vale a dire dal punto di vista dei credenti e no. Un dialogo che confluirà, in seguito, in un libro che verrà pubblicato anche in italiano.
Sulla scorta dell’esperienza parigina, ha continuato, prenderanno il via altre iniziative simili non soltanto a Stoccolma, ma anche a Praga, Barcellona, Quebec, Bucarest, Chicago. Per quanto riguarda altri continenti, ci sono ancora delle perplessità. A questo proposito ha raccontato di aver convocato tutti gli ambasciatori asiatici presso la Santa Sede: “tra le diverse iniziative ho proposto anche quella del Cortile dei Gentili, ma non si sono mostrati particolarmente interessati”.
Per ora quelli che hanno aderito fanno più che altro parte di “una élite formata in università europee e americane”.
“Invece in America Latina mi viene in mente di più la questione delle sette e di altre religioni”, ha precisato”, rivelando poi che “il Consiglio Episcopale Latinoamericano e del Caribe (CELAM) sta studiando la tematica in modo particolare in certi strati sociali dove questa presenza è significativa”. In questo continente, ha spiegato infatti, esistono “piuttosto forme di nazionalismi sacrali ed emblematici diversi dall’ateismo, tipo le religiosi primordiali”.
In merito sempre al Cortile dei Gentili e all’approccio da seguire con i giovani, il porporato ha precisato: “Non è come se i giovani fossero una énclave. Fanno parte del nostro mondo sono pur sempre i figli delle nostre generazioni”. Vale a dire, “più che giovani coscientemente laici, esiste una grande fetta di loro che vive in questo stato di superficialità creata dallo stile della generazione precedente”.
Bloggers in Vaticano
Il Cardinale ha poi parlato dell’incontro dei bloggers in Vaticano, una iniziativa prevista per il 2 maggio prossimo e promossa dai Pontifici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni Sociali con l’obiettivo “di permettere un dialogo tra bloggers e rappresentanti della Chiesa, per condividere le esperienze di coloro che sono attivi in questo campo e per meglio capire le esigenze di tale comunità”; ma anche per “presentare alcune delle iniziative che la Chiesa sta attivando per il mondo dei nuovi media, sia a Roma, sia a livello locale”.
“Nelle due sessioni previste – si legge in un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede –, diversi relatori presenteranno alcuni punti centrali, per avviare una discussione aperta a tutti i partecipanti. Nella prima, cinque bloggers, rappresentanti le diverse aree linguistiche, affronteranno temi specifici di importanza generale”.
“Nella seconda – continua la nota –, ci sarà la testimonianza di persone impegnate nelle strategie comunicative della Chiesa, che presenteranno le loro esperienze di lavoro con i nuovi media, e anche le iniziative per un incontro efficace tra la Chiesa e il mondo dei bloggers”. Un altro aspetto importante dell’incontro “sarà quello di offrire l’opportunità di nuovi contatti, di scambi informali tra i partecipanti e di aprire nuove piste di interazione”.
Il Cardinal Ravasi ha riconosciuto che in genere si sa che i bloggers sono “un po’ provocatori”, tuttavia “non possiamo sottrarci a questo orizzonte”, ricordando poi che “a novembre scorso il Pontificio Consiglio per la Cultura sull’argomento ha aperto un incontro in Campidoglio per far capire che non era soltanto qualcosa di intra-ecclesiastico”.
“Come si fa a ignorare i bloggers?”, si è domandato. “Sono soggetti fondamentali nella nuova comunicazione, perché con loro non cambia soltanto la comunicazione ma cambiano anche le persone”.
L’invito è aperto a tutti, ma, per partecipare, bisogna inviare un email a
blogmeet@pccs.it con un link al proprio blog. Lo spazio è limitato a 150 posti, e quindi per avere una rappresentanza di tutta la blogosfera, i pass e i dettagli per l’evento saranno assegnati secondo criteri linguistici e geografici, la tipologia del blog (istituzionale, privato, multiautore o personale), le tematiche e la tempestività dell’iscrizione.
Per l’occasione, è previsto, un servizio di traduzione simultanea in italiano, spagnolo, francese, polacco e inglese.
“Habemus Papam”
Interpellato sulla nuova pellicola dal titolo “Habemus Papam” del regista Nanni Moretti, attesa nelle sale cinematografiche per il 15 aprile prossimo, il Cardinal Ravasi ha confessato: “il film non l’ho visto” anche se “già sei o sette anni fa Nanni Moretti venne da me e mi presentò una idea. Allora c’era un testo ma era un brogliaccio”. Per il porporato era “significativo il fatto che sin dall’inizio abbia voluto interloquire con me” anche se poi ha preso le distanze dal progetto “per non interferire nella libertà dell’artista e non dare un avallo ufficiale”.

Per una teologia della pace

dal sito:

http://www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Db.Sintesi?num=36

Per una teologia della pace

sintesi della relazione di Armido Rizzi

Verbania Pallanza, 10-11 gennaio 1987

Oggi siamo sempre più consapevoli della necessità e dell’urgenza di una cultura della pace, non perché la violenza si sia manifestata solo oggi ma perché la violenza ha raggiunto un eccesso tale da non poter più essere giustificata. La violenza sia della natura (catastrofi, inondazioni, carestie) sia quella prodotta dagli uomini ha sempre accompagnato la storia dell’umanità, ma sempre lo spirito umano è riuscito a darle almeno un senso parziale, in qualche modo a giustificarla. Oggi si sono verificati due avvenimenti in cui la violenza ha raggiunto una tale dimensione da non poter più essere giustificabile, anche parzialmente.
Da una parte Hiroshima ci ha reso coscienti della possibilità della distruzione dell’intera umanità (il troppo quantitativo); dall’altra Auschwitz ci ha mostrato la violenza fine a se stessa, la violenza senza giustificazioni (il troppo qualitativo), la volontà pura di negazione dell’altro.
La novità essenziale: la distruzione non scaturisce dal puro gioco di forze o dall’istinto belluino, ma dalla volontà umana. È la soggettività violenta.
il cuore violento e le radici della violenza umana
Il racconto biblico di Adamo, del giardino di Eden e della colpa originaria narra che l’uomo è nel mondo buono di Dio di cui può disporre (albero della vita) a condizione di accettare l’ordine di valori (albero della conoscenza del bene e del male), che Dio ha già inscritto nel mondo stesso. In questo testo viene narrato non il peccato accaduto una volta, ma l’essenza stessa del peccato. Nel testo ci sono due formule (la scienza del bene e del male e l’essere come Dio) che hanno reso possibili due letture.
Nella prima lettura l’uomo viene tentato a mangiare il frutto dell’albero proibito, cioè a porre un atto in cui afferma sé come creatore di un nuovo ordine di valori: bene e male non sono già posti nelle cose e in me stesso, ma sono quelli che io produco disegnando e realizzando i miei progetti. L’uomo rifiuta di accettare che ci sia un orizzonte di bene e male con cui confrontarsi e da cui lasciarsi misurare, ma diventa egli stesso misura di tutto, creatore di valori. L’uomo può ad esempio disattendere all’imperativo del « non uccidere » e uccidere per affermare i propri progetti.
Questa prima lettura dell’essenza del peccato originale, pur valida, è insoddisfacente, perché non presenta una vera appropriazione della scienza del bene e del male, ma solo una rimozione, un disattendere.
Una seconda lettura esprime l’essenza del peccato originale nell’essere come Dio, proprio nell’appropriazione del principio del bene e del male. L’istanza di bene e di male non solo viene disattesa, ma viene assorbita dentro la volontà di potenza dell’uomo, dentro tutto ciò che l’uomo può desiderare e progettare. Il principio etico non viene cancellato o disatteso, ma diventa un momento, una componente della propria volontà di potenza. L’uomo non dice: non devo, ma posso; ma dice: posso ed è giusto che faccia così.
Non solo faccio così (prima lettura), ma è giusto che faccia così, perché ne ho il diritto. Non solo il potere fare una cosa ma il diritto di poterla fare. È il soggetto di diritto.
Il mio volere e potere viene a identificarsi con ciò che è giusto, è davvero l’appropriarsi della conoscenza del bene e del male, è il « sarete come Dio ».
L’esperienza fondamentale del Dio della bibbia è quella del Dio giusto, la cui parola in quanto tale è bene, è giustizia, è verità. L’essenza del peccato è appropriarsi di questo Dio, è ingabbiarlo dentro di me, per cui sono io che decido quando è giusto e quando è ingiusto.
Per lo più la violenza umana è sorretta, legittimata, giustificata dalla consapevolezza che è bene, giusto comportarsi in un certo modo. È il significato della favola del lupo e dell’agnello. Il lupo-uomo deve trovare una giustificazione per fare violenza e mangiare l’agnello. Non si limita a rendere lecito il suo atto, lo rende obbligatorio, un dovere a cui non può sottrarsi, un’offesa da lavare, un onore da riscattare.
Lo sguardo del Dio giusto lo posso disattendere, senza cancellarlo. Il peccato originale è invece il far proprio lo sguardo di Dio. Lo sguardo che mi dice di non uccidere, di non ferire, di non intorbidare l’acqua, lo faccio diventare mio e lo rivolgo all’altro accusandolo di avere intorbidato l’acqua. Qui si costituisce la violenza propriamente umana, la violenza etica: il principio etico di trascendenza su di me diventa principio etico della mia trascendenza sugli altri, per cui di fronte agli altri e alle cose io sono soggetto di diritto. Gli altri diventano strumenti disponibili per i miei progetti, o, se non accettano di essere strumenti, nemici da abbattere. E quando non riesco ad esercitare effettivamente questo mio sapermi soggetto di diritto, mi ripiego nel vittimismo percependo il mondo come persecutore.
Inoltre la gloria di Dio è il povero che vive. Il bisogno del povero, fragile, impotente, viene avvolto e sorretto dallo sguardo di Dio che ci dice che non ci appartiene e che ne siamo responsabili.
Ora appropriarsi del bene e del male significa non solo espropriare Dio alla fonte, ma anche l’altro, ogni uomo in quanto povero. L’altro diventa un dato (occasione o ostacolo) dentro i miei progetti.
Vivo l’altro come strumento o come nemico.
Certamente anch’io, in quanto povero ed essere bisognoso, ho i miei diritti, « miei » in quanto anche in me è presente lo sguardo di Dio. Non è mio diritto come genitivo possessivo, ma è il diritto che mi avvolge.
Abitualmente la favola del lupo e dell’agnello ha vigenza generale. Difficilmente uno opera per il proprio vantaggio confessando a sé e agli altri che lo fa per il proprio vantaggio.
L’uomo moderno si è costituito sempre di più trasformando i diritti dell’uomo in diritti individuali, in « i miei diritti ». Questo vale anche a livello delle nazioni: la guerra giusta è sempre quella che faccio io, difendendo il mio diritto dall’ingiusto aggressore.
Il gesto con cui Adamo si appropria della conoscenza del bene e del male è l’inizio della storia che noi conosciamo, una storia attraversata dalla duplice inimicizia, l’uomo che si fa nemico di Dio nell’atto in cui si fa nemico dell’altro uomo.
La buona notizia, l’evangelo è che Dio riconcilia l’uomo a sé e riconcilia gli uomini tra loro. Dio rovescia il rovesciamento che l’uomo ha fatto del proprio essere.
Gesù, pace di Dio con l’uomo e pace tra gli uomini
Il NT è la narrazione di quello che Dio ha fatto in Gesù per riconciliare l’uomo a sé e per ricostituire l’uomo nella sua capacità di essere con gli altri.
In Gesù Dio riconcilia l’umanità a sé
Innanzitutto Gesù è un essere paradossale in cui si uniscono i poli estremi della santità e del peccato. È insieme – risulta questo aspetto dalle lettere di Paolo – l’innocente, il santo, colui che non conosce il peccato ed è colui che è coinvolto come nessun altro nella vicenda di peccato dell’umanità.
Ma non c’è simultaneità tra le due facce, ma una si alimenta dell’altra: Gesù è santo proprio perché condivide radicalmente la condizione umana, nella sua adesione radicale alla volontà di Dio. Mentre un certo monachesimo ha inteso la santità come fuga mundi, come una presa di distanza dal partecipare a un mondo di peccato, come progressivo distacco dal mondo per avvicinarsi a Dio, Gesù aderisce a Dio sprofondandosi, in obbedienza, nell’esistenza del mondo. Si siede a tavola con i peccatori e muore in croce, esprimendo così la massima adesione alla storia umana peccatrice e la massima distanza da Dio. Proprio nell’essere maledetto, nello sperimentare l’abbandono di Dio vive la massima adesione al Padre che gli chiede di fare così.
La resurrezione non è l’ultimo gradino di una salita, ma è un ribaltamento: il maledetto diventa il benedetto.
La ragione della scelta di Gesù è stata forse quella di rovesciare il soggetto di diritto, il soggetto padronale, l’uomo che si è appropriato del divino per autoaffemarsi riducendo tutto a strumento da usare o a ostacolo da abbattere. Gesù, in solidarietà con il mondo perduto, dice di sì a quello che il Padre gli chiede, restituendo al Padre la divinità. Come dice Paolo, Gesù è l’anti-Adamo.
La scelta di Gesù di essere radicalmente obbediente alla volontà del Padre ci dice che ciò che si realizza attraverso di lui è il disegno di Dio sull’umanità. Dire che l’identità di Gesù è l’obbedienza radicale al Padre è dire in modo più evangelico il dogma di Calcedonia che Gesù è Dio, che Gesù è la mano tesa di Dio verso l’uomo perduto. La storia di Gesù è la storia di Dio sul mondo.
Perché Dio per riconciliare a sé l’umanità non è ricorso ad un gesto di liberalità, ma ha richiesto la fedeltà che ha comportato la croce? Forse una riposta la troviamo nell’analogia con l’esperienza del rapporto tra perdono e pentimento. Il pentimento è espressione del disagio per il male fatto all’altro, ma, a differenza del rimorso, è anche offerta di riconciliazione, è già un rispondere alla offerta di perdono, un volere risarcire il male fatto recuperando il tempo perduto.
Il perdono è causa del pentimento, non l’effetto. Il pentimento è cogliere l’offerta di perdono per ricostituire interamente l’amicizia.
Il rapporto tra perdono e pentimento sul piano individuale mostra quello che è avvenuto sul piano universale nella storia di Gesù. Dio dona il perdono e Gesù è in seno all’umanità la coscienza penitente. Gesù è il grande penitente che prende su di sé il peccato del mondo, la maledizione, la croce perché è convinto che è giusto.
L’umanità che il Padre ha riconciliato a sé in Gesù riceve ora da Dio, individualmente, il suo spirito, cioè la capacità di vivere come Gesù, non come soggetti di diritto, padroni del mondo, ma come obbedienza a Dio e al diritto del povero e quindi come solidarietà e giustizia.
L’amore di Dio si è manifestato in questo, nell’aver amato l’uomo quando l’uomo era suo nemico. In Gesù è avvenuto il riavvicinamento dell’umanità a Dio, in modo tale che, qualunque cosa l’uomo faccia, l’ultima parola non sarà il no dell’uomo, ma il sì di Dio. Dio dona all’uomo un cuore di carne (Ezechiele), che Paolo chiama spirito: lo spirito è la soggettività di Dio che diventa soggettività dell’uomo, capacità di vivere la storia secondo la vocazione originaria.
« beati i costruttori di pace »: evangelo e cultura di pace
Tratti essenziali di un soggetto di pace.
L’essere soggetti di pace non deriva ultimamente da fattori psichici, sociali, istintuali. Nell’ottica biblica l’uomo è libertà in quanto responsabilità. L’uomo non è, ma è chiamato a farsi di fronte alla scelta tra bene e male, tra vita e morte, tra essere per o essere contro, tra promuovere e uccidere. Credere in Gesù Cristo vuol dire credere che la storia umana è tenuta sempre aperta dal sì di Dio, dallo spirito di Dio, aperta verso la possibilità di un mondo di pace. Credere in Gesù Cristo è credere nell’uomo, non per le sue risorse psichiche o culturali ma per la presenza dello spirito del risorto che riapre continuamente la storia.
Secondariamente il dono dello spirito, il cuore nuovo donatoci da Dio, non è una realtà già tutta compiuta. La nostra appartenenza di base è la storia peccatrice (qui è il senso del battesimo). Il cuore nuovo è un dono iniziale e insieme un compito, è il dono di un compito, è la conversione continua. Le strutture sociali (e questo è il compito di una cultura di pace) possono essere in sintonia con il cuore nuovo, ma non lo possono produrre. Il cuore nuovo, costruttore di pace, è sempre un atto di libertà
Terzo. Il gesto fondatore del cuore costruttore di pace è un cuore che consente di lasciarsi pacificare dentro di sé, di accettare di spogliarsi del cuore padronale, del soggetto di diritti. Nel cuore padronale c’è la violenza originaria di chi già in cuor suo ha costituito l’altro come nemico e quindi come legittimamente aggredibile. Dobbiamo abbattere dentro di noi il gesto fondatore dell’altro come nemico. Può darsi che effettivamente l’altro sia nemico, ma ciò di cui dobbiamo spogliarci è il cuore padronale che non tiene conto di ciò che realmente l’altro è. Occorre rifarci uno sguardo capace di vedere le cose come sono.
Quarto. Il superamento del cuore padronale e del cuore vittimista che arma la mano è quanto c’è di più arduo. Non si fa pace senza far penitenza. La croce fondamentale che dobbiamo portare sulle spalle è la rinuncia all’inflazionamento dell’io, riaprendo la strada dall’io all’altro.
Quinto. Anche la non violenza va posta sotto il segno della responsabilità. Io sono chiamato a costruire positivamente la pace e per questo devo evitare il ricorso a strumenti violenti. Però devo farmi carico (Bonhoeffer) del male che c’è nel mondo arrivando a condividerlo anche nella forma della violenza, nel senso che la non violenza diventa la minor violenza possibile. Il cuore padronale fa violenza senza problemi, il cuore pacificato con la consapevolezza di essere partecipe del peccato del mondo.
Sesto. Una cultura della pace integra il cuore pacificato. Dal centro della libertà buona si dilata la cultura della pace, dal primo cerchio dei rapporti interpersonali, al secondo dei rapporti sociali (con il superamento dello spirito corporativo), al terzo cerchio della politica sia statuale che internazionale. Ad ogni livello la cultura della pace ha problematiche specifiche.
Settimo. La chiesa muove verso Gerusalemme, visione di pace. Compito della chiesa è quello di dire a tutti che il loro fine ultimo è quello di essere momenti della universale fraternità, che la volontà di pace di Dio nella storia è il fine ultimo della
storia stessa.

Omelia (08-04-2011): Chi mi ha mandato è veritiero, e voi non Io conoscete

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22036.html

Omelia (08-04-2011)

Movimento Apostolico – rito romano

Chi mi ha mandato è veritiero, e voi non Io conoscete

Gesù è prudente. Sommamente prudente. Mai sfida quanti gli sono ostili e vogliono fargli del male. Mosso dallo Spirito Santo, sa quando restare, quando muoversi, quando ritirarsi, quando giungere e quando partire. Sa anche se deve fare una cosa pubblicamente, assieme agli altri, oppure segretamente, da solo o con poche persone. Questa somma prudenza gli consente di fare sempre bene le cose del Padre suo.
Oggi in Gerusalemme non entra pubblicamente. Avrebbe attirato l’attenzione dei molti. Vi entra quasi di nascosto. Sa dove poter parlare e si intrattiene con quanti erano venuti alla festa. Subito nascono le voci su Lui. Esse sono di pura immaginazione, grande invenzione, somma ignoranza. Di Cristo, del Messia di Dio, tutto è detto dalla Scrittura Antica. Da essa si potrebbe già ricavare un Vangelo. Di Isaia si dice che questo profeta scrisse il Vangelo senza il Vangelo, prima del Vangelo. La profezia di Michea dice che Il Messia di Dio viene da Betlemme, la città di Davide.
Anche la sua origine eterna è profetizzata dalle antiche profezie. I suoi giorni sono dall’eternità. Questo oggi Gesù dice a quanti lo stanno ascoltando. lo non sono venuto da me stesso. Non mi sono fatto Messia di Dio. E Dio che mi ha mandato. E Lui che mi ha costituito Messia. E Lui che vuole che io instauri sulla terra il suo regno. Voi però non avete pensieri veri su di me, perché non conoscete Dio e non conoscendo Lui come sorgente della mia missione, non potete conoscere neanche me.
Gesù vede che attorno a Lui vi è una grande confusione. Essa è della mente prima e del cuore dopo. La confusione storica è sempre confusione nella verità rivelata, che è prima della storia e che la stessa storia rende conoscibile e comprensibile. La fede senza la verità rivelata è solo generatrice di più grande confusione storica. Senza la conoscenza della verità rivelata non si sa chi è da Dio e chi è da Satana, chi è dal bene e chi dal male, chi è dalla terra e chi dal Cielo.
Tutta l’opera di Cristo Gesù nel Vangelo secondo Giovanni è finalizzata a togliere questa confusione storica sulla sua Persona e la sua missione, svelando ai Giudei la loro ignoranza di Mosè e della Scrittura, che era vera ignoranza di Dio. Oggi la confusione storica è infinita. Se non partiamo dall’insegnamento della verità rivelata, questa confusione non solo non diminuirà, crescerà ogni giorno di più, fino a divenire un buio etico e veritativo universale. Non basta più una sola persona. Occorre la mobilitazione di tutti i credenti in Cristo Gesù. Ma come si fa a unire i credenti in Lui senza la verità della Scrittura? Se questa verità da essi stessi è negata e messa fuori gioco? La nostra posizione oggi è veramente drammatica. La verità è negata.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi di Dio, dateci la verità di Cristo.

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