Ma Dio non si nasconde (Bruno Forte)

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_forte5.htm

Ma Dio non si nasconde   

Oggi il teologo Bruno Forte apre il « Festival Biblico 2007″
con una riflessione sullo «zim-zum»: la tesi « cabalistica » che immagina un Divino « auto-limitato » per lasciar spazio al creato. Idea affascinante, superata però dal farsi uomo del Figlio.

Bruno Forte
(« Avvenire », 29/5/’07)

«Il Dio biblico è ritiro, e il mondo accade perché egli si ritira»: il ritirarsi di Dio è «differenziazione creatrice», « kènosi » dell’amore eterno che consente all’essere finito di venire all’esistenza e di permanere in essa nella contingenza della libertà. È questo il motivo ispiratore della dottrina « giudaico-cabalistica » dello « zim-zum » divino, secondo la quale il mondo è potuto apparire proprio perché Dio si è nascosto e contratto. Per creare l’altro come « partner » dell’alleanza, l’Eterno accetta di raccogliersi in un atto di sovrana « auto-limitazione » in modo che la creatura possa esistere « al di fuori di Lui »: lo spazio dell’abbandono di Dio diventa l’ambiente vitale dell’autonomia dell’essere creato, la condizione della sua libertà di accettazione o di rifiuto del Creatore. Dio nasconde il Suo volto perché l’interlocutore del patto non resti accecato dalla Sua luce: Dio si ritrae perché il suo « ostendersi » non bruci come fuoco la differenza fra il finito e l’eterno. L’umiltà divina è la condizione della consistenza del mondo: la determinazione di Dio ad essere il Creatore si congiunge a questa libera auto-limitazione, che consente alla creatura di esistere. L’Eterno è veramente grande nella Sua umiltà!
Questa concezione non è esente da rischi: in particolare, sembra difficile armonizzarla con una prospettiva rigidamente monoteistica, perché, se il mondo è il risultato dell’auto-limitazione di Dio, la sua consistenza appare « limitante » per l’assolutezza divina. È per questo che la dottrina dello « zim-zum » resta marginale rispetto all’ortodossia ebraica, gelosa custode della trascendenza e della forza unificante del Regno del Signore nei confronti di ognuna delle Sue creature. Per la fede cristiana, invece, la Pasqua del Figlio offre una nuova possibilità di comprensione della dottrina dell’auto-limitazione divina: in quanto è l’evento che rivela la « storia della storia », mostrando l’insondabile profondità divina del divenire umano, la morte e resurrezione di Cristo narra – nell’atto stesso del suo comunicarsi – il mistero trinitario del Dio vivente quale dimora trascendente delle Sue creature, origine e grembo santo della vita in tutte le sue forme e i suoi rapporti. Pasqua consente di scrutare non solo l’inizio del mondo in Dio, ma Dio stesso come mistero del mondo. In modo peculiare, nell’evento pasquale è la « kènosi » del Verbo, il supremo abbandono del Figlio sulla Croce, a illuminare la Sua presenza nell’atto creatore di un riflesso a prima vista paradossale: l’amore in forza del quale il Figlio eterno ha spogliato se stesso, umiliandosi fino alla morte e alla morte di Croce (cfr. Fil 2,6ss.), lascia intravedere il suo presupposto eterno nel mistero insondabile dell’umiltà divina, condizione trascendente di possibilità della chiamata all’esistenza del mondo. Il Dio trinitario « fa spazio » in se stesso alla Sua creatura: l’assoluta gratuità dell’amore, che motiva il Padre a porre l’atto creatore, lo spinge ad auto-limitarsi perché la creatura esista nella libertà.
Questa auto-limitazione dice il rispetto che il Creatore ha per l’alterità della creatura, per il suo esistere nella libertà davanti all’offerta della vita, e si congiunge al rischio del possibile rifiuto che l’essere finito può opporre all’infinito Amore. L’auto-limitazione del Padre è così al tempo stesso l’umiltà del Figlio: il prezzo dell’amore divino sarà la consegna dolorosa della Croce. In obbedienza a Dio, il Verbo entrerà nell’esilio dei senza Dio, in un mistero di « kènosi », il cui presupposto eterno è la disponibilità del Figlio a lasciarsi « consegnare » alla morte per amore della creatura chiamata alla vita. All’umiltà donante del Padre corrisponde l’umiltà accogliente del Figlio: Dio si limita donando la vita e accettando la morte. L’unità di questa vita donata e di questa morte accettata è l’evento dello Spirito: l’auto-limitazione del Padre e la dolorosa consegna del Figlio si compio no nel vincolo del Loro infinito amore, come separazione che nasce dall’infinita comunione e la rivela nel segno del contrario. In questo senso articolato, ricco della profondità abissale del mistero trinitario, va interpretata l’invocazione che Francesco rivolge al Dio vivente nelle « Lodi di Dio Altissimo »: «Tu sei trino e uno, Signore Iddio… Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene… Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà…».
Se dunque la relazione in cui si compie la « contrazione » divina non è semplicemente quella fra Dio e il mondo, ma più in profondità quella fra il Padre e il Figlio, allora lo « spazio » ceduto dall’Eterno non è occupato da una creatura a Lui inferiore e ipoteticamente capace di « limitarLo », ma è pervaso da un’altra Presenza divina. La consistenza del mondo non esige un contrarsi del divino che faccia « spazio » all’altro alternativo all’Unico, ma rimanda all’eterno dinamismo dell’amore umile dei Tre, per il quale ciascuno esce da sé e si dona all’altro, perdendosi per ritrovarsi nella comunione con l’altro. L’auto-limitazione divina, in quanto si svolge nel seno stesso delle relazioni trinitarie, è insomma la condizione di possibilità dell’esistenza del mondo creato come altro da Dio, pur se non separato da Lui e « fuori » di Lui. L’umiltà divina non è che l’altro nome della libertà da sé con cui ciascuna Persona divina ama l’altra e con cui il Dio trinitario crea il mondo per amore e per amore lo conserva in vita.
La categoria dell’ »ad extra », di ciò che sta « fuori » rispetto a Dio, va dunque ripensata nel suo significato più proprio: essa dice la trascendenza e la sovranità di Dio, ma non esclude in alcun modo che il mondo esista in Lui, nello « spazio » trascendente delle relazioni « intradivine » e nel dinamismo di umiltà e auto-limitazione che le caratterizza. L’esteriorità del mondo rispetto a Dio non si contrappone all’interiorità di Dio al mondo, ma la esige: la consistenza della creatura sta nel suo esistere creato (« ex-sistere »), nel suo venire da Dio, per Lui ed in Lui, dal Padre, per il Verbo, nello Spirito. L’essere creaturale è costantemente rapportato al Creatore, presente al Padre nel Figlio, recettivo in Lui del dono di Dio, congiunto nello Spirito all’Eterno ed insieme in Lui chiamato a libertà. La suprema trascendenza viene così ad identificarsi con l’immanenza suprema: «Quanto una cosa possiede l’essere, tanto occorre che Dio le sia vicino, in base al modo in cui possiede l’essere. L’essere è quanto di più intimo ci sia ad ogni cosa, e quanto di più profondo dimori in tutte… Perciò occorre che Dio sia in tutte le cose, ed « intimamente »».

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