I principi ispiratori del canto cristiano
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IL CANTO LITURGICO
I principi ispiratori del canto cristiano
Introduzione
Nella Liturgia ogni cosa ha la sua importanza e la sua concreta ragione d’essere. Il canto, assieme ad altri elementi, aiuta la persona ad entrare in un’atmosfera differente, un’atmosfera che, pur essendo in questo mondo, la conduce al di là delle contingenze terrene. Il credente sà che la presenza di Dio non viene mai meno. Infatti la Sacra Scrittura ricorda a più riprese che Dio è Colui che crea e mantiene in vita: “Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (Sl 103, 30). Non è dunque Dio che deve farsi conoscere ma è l’uomo che deve saperlo incontrare. Il problema non sussiste dalla parte divina ma da quella umana. È per questo che la Tradizione della Chiesa insiste sempre sull’attenzione che l’uomo deve porre a se stesso, sulla purificazione del cuore e la lontananza dalle distrazioni. L’apertura della mente ad ogni pensiero vagante rende l’uomo simile al fiore che si esclude dai raggi solari quando china il proprio capo verso terra. Tutti gli elementi simbolici che compongono la Liturgia ricordano indefinitamente che Dio è vicino all’uomo, e lo esortano a sollevare e a detergere lo sguardo del suo spirito.
Tutto ciò entra profondamente anche nel modo di comporre una canto e di eseguirlo. Quando nella Liturgia si attua un canto che, nella linea melodica e/o nelle parole, apre alle mode e ai gusti secolari i sensi vengono toccati in modo da muovere l’affettività e la fantasia. In tale situazione è possibile creare un cortocircuito: l’uomo non si pone davanti a Dio nella sua nudità ma si circonda di pensieri e di immagini che nascono dalle sue umane sensazioni. I Santi Padri e gli asceti davanti a ciò sono unanimemente categorici: questa è la strada maestra nella quale il credente si allontana da Dio. Con questa impostazione, di fatto, l’uomo si chiude in se stesso, ascoltando il trambusto del suo mondo interiore, e si allontana dal profondo silenzio attraverso il quale Dio parla al cuore umano. Da questo punto di vista la fantasiosa religiosità barocca e la sua estetica spettacolarità liturgica si situano all’antitesi delle prudenti e sagge esortazioni patristiche.
Dio, essendo il “totalmente altro”, deve essere celebrato in una liturgia che dispone l’animo lontano dalla confusione della vita quotidiana. Così l’uomo è aiutato a fissare lo sguardo verso “le cose di lassù” (Col 3,1) e non rimane prigioniero del suo egocentrismo, che egli può pure non riconoscere. È perciò che la liturgia di San Giovanni Crisostomo, prima della presentazione del pane e del vino, esorta i fedeli a deporre “ogni cura di questa vita”.
Il canto liturgico orientale, nato e sviluppato con gli elementi culturali di un certo periodo storico, è rimasto sempre vivo perché veicola questa coscienza e questa conoscenza. Nel primo millennio cristiano Oriente ed Occidente erano molto simili anche sotto quest’aspetto. Il canto gregoriano ha mantenuto delle caratteristiche simili al canto “bizantino”. Entrambi hanno un’austera bellezza e dispongono convenientemente le persone davanti ai Sacri Misteri. Tuttavia il canto gregoriano è caduto in decadenza già prima del XV secolo. È stato ripreso solo molto più tardi sull’onda della cultura romantica (XIX sec.). La pratica moderna del canto gregoriano nasce da una teoria sostenuta nel monastero di Solesmes (Francia) della quale non è possibile verificare la fondatezza perché la tradizione musicale gregoriana, tramandata ininterrottamente dai monasteri occidentali, si è spezzata verso la fine del Medioevo. Una sorte simile è accaduta qualche secolo dopo, al canto tradizionale liturgico russo, con l’importazione e l’imposizione di modelli occidentali ad opera di Pietro il Grande. Solo recentemente c’è un tentativo di riprendere l’antica musica modale che affratellava il canto russo a quello romano-orientale.
Il canto “bizantino”, a differenza di quello gregoriano e antico-russo, ha una tradizione che si è diffusamente mantenuta fino ai nostri giorni. Come il canto gregoriano, quello “bizantino” è basato su otto toni musicali. A differenza del canto gregoriano i cui otto toni musicali sono stati adattati alla scala musicale moderna, il canto “bizantino” non può essere riproducibile utilizzando il pentagramma. Ci sono stati dei tentativi di ridurre la musica “bizantina” stringendola nel pentagramma ma, chi ha la giusta attenzione filologica, capisce subito che sono semplificazioni maldestre. Questo lavoro è quasi paragonabile a chi volesse eseguire per pianoforte un pezzo musicale indiano per sitar.

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