IDOLI NEI TEMPLI (Abraham Joshua Heschel) LO RITROVERETE COME PDF

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Abraham Joshua Heschel

IDOLI NEI TEMPLI

Che cosa c’è di religioso nell’educazione religiosa?
Soltanto i mascalzoni sono modesti. A una cosa noi ebrei non dovremmo mai essere disposti a rinunciare: i nostri livelli elevati di formazione. Nessuno di noi su questo punto potrà mai dirsi soddisfatto della propria condizione di vita intellettuale, morale o spirituale.
L’educazione religiosa contemporanea si pone in aspro contrasto con l’educazione generale. Alla formazione contemporanea nei vari campi del sapere, nonostante tutte le limitazioni, dobbiamo dare atto di realizzazioni notevoli, sia nell’insegnamento della scienza che in altri settori. A confronto, occorre dire che l’educazione religiosa non ha saputo raggiungere i suoi obiettivi. Sarebbe da irresponsabili sottacere quello che la maggior parte di noi sanno bene.
È possibile trovare la Bibbia negli hotel, ma non la si trova nelle case, o nelle menti. Pochi tra i nostri contemporanei hanno mai fatto propria la sfida dei profeti o colto la grandezza del libro della Genesi, pur avendo frequentato la scuola domenicale o essendosi entusiasmati durante i riti di confermazione . Nel campo della religione prevale l’analfabetismo, sia intellettuale che spirituale, l’ignoranza oltre che l’idolatria, l’adorazione di falsi valori. Siamo una generazione priva sia di istruzione che di sensibilità.
Perché nella maggioranza dei casi la frequentazione della scuola di religione non ha plasmato il carattere e gli atteggiamenti dei nostri figli? Quali sono le cause di questa inefficacia? Senza voler minimizzare l’influenza corruttrice del clima sociale generale, insisto nel dire che la causa di questo fallimento è la scipitezza e banalità dell’istruzione religiosa.
Sono numerose le forze che neutralizzano l’effetto dell’istruzione religiosa. Per quanto nel nostro insegnamento esaltiamo il valore dell’apprendimento, della compassione, della fede, il ragazzo però vive per la maggior parte del tempo in un’atmosfera ossessionata dall’affarismo, dalla millanteria e dal cinismo. L’ambiente non è mai stato particolarmente favorevole ai tentativi compiuti nella storia di servire la volontà di Dio. Dobbiamo imparare a sopravvivere nonostante le condizioni spirituali avverse e a causa di esse. Sarebbe un suicidio vivere secondo la massima che se il clima non favorisce i nostri principi, tanto vale rinunciarvi.
Negli altri campi di studio l’insegnamento è svolto ad alto livello, mentre l’educazione religiosa si accontenta di cliché spalmati di sentimentalismi. Il risultato è che l’educazione religiosa ricevuta durante l’infanzia e la fanciullezza svanisce non appena è esposta alla sfida e al fascino di altre potenze intellettuali nell’epoca dei trionfi scientifici.
Per molti la scuola domenicale si è risolta più in un impedimento che in un aiuto allo sforzo di acquisire una più profonda comprensione di Dio. I giovani non hanno bisogno di tranquillanti religiosi, della religione come diversivo, della religione come intrattenimento, ma di audacia spirituale, di succo intellettuale, di potenzialità di sfida.
Un’altra malattia è l’irrilevanza intellettuale della tradizione per la persona, il crollo della comunicazione
tra i problemi personali del singolo e il messaggio della nostra eredità. Quella forma di educazione che continua a trascurare i problemi intellettuali o che ignora i limiti dell’emotività è destinata a fallire.
Allo studente diciamo molte cose, ma che cosa ha a che fare il nostro insegnamento con i suoi problemi interiori, con il modo in cui si comporterà o penserà al di fuori dell’aula scolastica?
Nella nostra scuola abbiamo paura di affrontare le problematiche fondamentali. Come trattare il male? Qual è il nostro rapporto con il nemico? Che fare dell’invidia? Qual è il senso dell’onestà? Come affrontare il problema della solitudine? Che ha da dire la religione sulla guerra e la violenza? Sull’indifferenza al male?
Certamente, l’educazione religiosa è vitale e non è difficile trovare motivi convincenti per indurre a studiare. Ma la tragedia è che la nostra generazione non sa come studiare, come rapportarsi alle fonti classiche della nostra tradizione. Sicché il problema principale dell’educazione religiosa non è soltanto che cosa fare con i ragazzi che non frequentano le scuole di religione, ma che cosa fare con quelli che le frequentano. Il segreto dell’educazione religiosa è l’apprendimento, la passione e la convinzione. Insegnare significa impartire informazione oltre che indurre lo studente a condividere il proprio apprezzamento. Il problema non è semplicemente più ore, più conoscenza, ma anche più rilevanza, più comprensione.
Il racconto di come Abramo ha infranto gli idoli di suo padre è tale da imprimersi profondamente nelle menti dei nostri bambini. Molti di loro, tuttavia, non arrivano mai al capitolo 32 del libro dell’Esodo, dove si narra l’episodio del vitello d’oro. « Ama il prossimo tuo come te stesso » è – secondo Rabbi ‘Aqiva’ – l’essenza o sintesi della Torà. Invece, secondo Rabbi Jishma’el, il compendio e il progetto globale della Torà consiste nel tener lontano il nostro popolo dall’idolatria. La prospettiva di Rabbi ‘Aqiva è nota a noi tutti. Quella di Rabbi Jishmacel viene dimenticata.
Manasse – ci viene detto – ha collocato un idolo nel tempio. Ci sono idoli nelle nostre case, nelle nostre menti, nei nostri templi? La religione si trova in continua lotta con l’idolatria. E costretta a respingere come volgari e distruttivi certi valori che il nostro popolo ama e coltiva.
Un altro nostro guaio è il monopolio dell’educazione. Di fatto l’educazione spetta anzitutto ai genitori, al padre. Secondo la tradizione ebraica il maestro non è che un rappresentante del padre. È vostro dovere invece insegnare con diligenza, non sentirvi sostituti . Oggi i genitori si comportano con grande superficialità, l’invadente senso degli affari e la volgarità squillano dai megafoni, e noi pretendiamo che piccole creature ascoltino la voce dello spirito. L’istruzione religiosa, come la carità, incomincia da casa propria.

continuo domani perché è un po’ lungo

Publié dans : EBRAISMO: A.J. HESCHEL |le 16 février, 2011 |Pas de Commentaires »

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