Archive pour janvier, 2011

Omelia (30-01-2011) : Il segreto della felicità: le beatitudini

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/21504.html

Omelia (30-01-2011) 

mons. Antonio Riboldi

Il segreto della felicità: le beatitudini

Ci sono parole di Gesù, che sono rimaste e rimangono nella mente di tutti, a partire da chi ha fede, come ‘una traccia di Dio e del Suo pensierò, che va oltre le idee o i disegni degli uomini, che normalmente sono di breve durata e non possono essere la nostra vera storia…
Quelle di Gesù sono le risposte che l’uomo, nel profondo del suo essere, cerca, quando si fa condurre per mano dalla sete di verità e di felicità.
Sono parole, quelle del Maestro, simili ad un eterno arcobaleno, che non sai se parta dalla terra o dal cielo, ma sai che li unisce, infondendo serenità. Ben diverso dai ‘fuochi d’artificiò che bucano per un istante il cielo con una luce abbagliante, per poi lasciarti subito e nuovamente nel buio delle illusioni.
Si è scritto tanto sulle Beatitudini, che Gesù lasciò come ‘codice’ infallibile della felicità e santità, e come ‘sentierò dei passi di vita di chi crede e anche,…. se ha buona volontà, di chi dice di non credere!
L’uomo è plasmato da Chi, per sua natura, è Beato: Dio. Lui è tutto e lo è sommamente: la più grande ed inimmaginabile ricchezza di cuore che si possa immaginare; l’Amore più grande che si possa ricevere; la Dolcezza e la Pace e la Misericordia, che tutti vorremmo avvolgesse i passi della nostra vita. Non può quindi l’uomo non sentire come ‘suo’, il desiderio infinito di beatitudine.
Ecco perché il profeta Sofonìa dice:
« Cercate il Signore voi tutti poveri della terra, che seguite i Suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore ». (Sof. 2,3)
Difficile commentare o esprimere tutta la bellezza delle Beatitudini, che sono il segreto della gioia, qui, ora. Per questo lascio la parola a Paolo VI, vero maestro di santità:
« Giorno benedetto è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Ancora prima di considerarne il senso, la voce che le ha proclamate ci sorprende, piena di forza e di poesia: è la voce del Maestro, che per noi le ha formulate e che ci appare nella sicurezza e nella maestà, semplice e sovrana, di chi sa parlare al mondo e guidare i destini dell’umanità. Gesù tiene cattedra sulla montagna: lo circondano i discepoli, futuri apostoli e docenti della terra; poi a circoli sempre più larghi nello spazio e nel tempo, uditori o no, gli uomini tutti: ultimi, oggi, noi stessi. É Cristo che annuncia il suo programma e condensa in sentenze limpide e scultoree tutto il Vangelo.
Il Regno della terra e il Regno del cielo, hanno nelle beatitudini il loro codice iniziale e finale. Ascoltiamo la fine e austera sequenza:
‘Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli ». (Mt. 5, 1-12)
« Chi non ha ascoltato le beatitudini – continua Paolo VI – non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo.
In altre parole, Cristo ha esaltato nelle beatitudini non tanto delle misere condizioni umane, quasi queste fossero fine a se stesse, ma piuttosto ha predicato delle virtù magnifiche, che dalle misere condizioni umane prendono il nome e che mediante quelle possono fare buono e grande e pio l’uomo pellegrino.
E perciò ha fatto scaturire dal suolo arido e sterile delle nostre deficienze e delle nostre sofferenze, stupende energie morali e spirituali; ha portato a termine la scoperta che i più alti spiriti umani avevano intuito, quella del distacco liberatore dai beni della terra, quella della nobiltà sacra e misteriosa del dolore, quella della inestimabile grandezza dei poveri e dei perseguitati, quella dell’eroismo di chi dà la vita per la giustizia e la verità, quella dell’affermazione trionfante che esistono valori, quelli del Regno di Dio, per cui la vita può essere spesa senza timore.
Chi ha compreso questa difficile lezione e l’ha applicata alla propria vita è santo: è il beato, il perfetto. Resta che la lezione è difficile. La perfezione del Vangelo ha queste due facce, una di rinuncia e di penitenza, qui, e una di pienezza e di gioia, là. La parola di Gesù è una spada a due tagli: ferisce e guarisce, esige e regala, addolora e consola…. Purtroppo il mondo che ci circonda e che pare stia voltando le spalle a Cristo, la dimentica, la deride, facendo della felicità presente (ma possiamo chiamare ‘felicità’ quella momentanea soddisfazione che a volte cerchiamo tanto?) lo scopo prevalente di ogni umana fatica, mentre gli stessi credenti, partiti per portare un ordine cristiano alla nostra società, talora, sembra che non abbiano altre promesse da fare che quelle di un benessere materiale, legittimo sì, e doveroso, ma insufficiente a fare buona e felice l’umanità, e non sanno offrire agli uomini del nostro tempo, le più alte e più vere promesse, quelle dei beni morali, dei beni spirituali, dei beni religiosi.
E allora ricordare e meditare le beatitudini, per capire che qui è l’umanesimo vero, qui il cristianesimo autentico, qui la beatitudine vera. »
Che importavano a S.Francesco d’Assisi le ricchezze del mondo, una volta che si era fatto possedere interamente dall’amore di Dio? In lui la povertà diventò totale libertà e piena accoglienza della gioia che solo Cristo sa donare. E fa esplodere la sua irrefrenabile gioia nel cantico delle creature, che sembra davvero un’aggiunta alle beatitudini di Gesù.
E grazie a Dio, ancora oggi, ci sono cristiani che le beatitudini le vivono pienamente, da quella della povertà in spirito per farsi dono a chi davvero e povero. Quanti meravigliosi esempi quotidiani e testimonianze delle beatitudini. Quella cara e semplice donna, che venne una sera a donarmi tutto quello che aveva, perché affermava che ‘possedere senza essere aperti alla carità è brutto egoismo’.
E nel privarsi di tutto si sentiva davvero beata.
Ma come dimenticare che la povertà di un tempo, spesso anche oggi non lontana da noi, si viveva e vive in tante famiglie: una povertà dignitosa che quasi automaticamente attirava e può attirare a sé tutte le altre beatitudini.
E come non rimanere stupiti dei sacrifici dei martiri – di ieri e di oggi, in tante parti del mondo – che a volte cantavano mentre erano torturati:? O del coraggio degli operatori di pace che hanno dato e danno la vita per portare dignità uguale per tutti?
Forse fa impressione l’arroganza di chi mostra il culto del benessere, senza che nemmeno lo sfiori il dubbio che tante volte il suo ‘star bené è un furto che crea poveri, non di spirito, ma di pane e di vita…. Sono comunque ‘i poveri’, tutti i poveri, gli umili, coloro nei quali Cristo si è identificato… Se vogliamo conoscere la sospirata felicità, che davanti a Dio diventa santità, occorre almeno ‘sfiorarle’, le beatitudini, per capire che sono la sola via alla vera nostra realizzazione e cosi sapremo voltare le spalle alle ‘beatitudini bugiarde del nostro tempo’.
Ne avremo la forza, con l’aiuto di Dio. Ne vale la pena per non diventare schiavi del mondo e delle sue mode.
Scriveva don Tonino Bello:
« Noi viviamo in un mondo che purtroppo attira con i suoi fascini, inganna con le sue lusinghe. Secondo gli ideali del mondo, ogni attività dovrebbe essere in funzione dei divertimenti, della fortuna, nella ricerca e nel conseguimento del successo in tutte le varie attribuzioni della esistenza terrena. Intenti solo a questa caduca finalità, non si fa’ che tenere gli occhi fissi sulla terra e non si pensa a guardare il cielo. Allorché invece, si vive secondo la fede, quando al mattino al primo suono della campana dell’Angelus, si innalza il pensiero a Dio, e si invoca il patrocinio della Madre Sua, poi in tutte le altre evenienze della giornata, si è animati da quella ispirazione, allora veramente si può dire che la vita è conosciuta nella sua ‘beatitudiné. » 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 29 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

Memoria Dei (pregare sempre: Luca e Paolo)

 dal sito:

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=124004

Memoria Dei

Due testi biblici chiedono al cristiano di pregare «sempre», «senza interruzione». Nel Vangelo di Luca Gesù pronuncia una parabola sulla «necessità di pregare sempre, senza stancarsi», e Paolo comanda: «Pregate senza interruzione». Com’è possibile…?

Due testi biblici chiedono al cristiano di pregare «sempre», «senza interruzione». Nel Vangelo di Luca Gesù pronuncia una parabola sulla «necessità di pregare sempre, senza stancarsi» (Luca 18,1), e Paolo comanda: «Pregate senza interruzione» (1 Tessalonicesi 5,17). Com’è possibile? E com’è possibile conciliare questo comando con l’altro che chiede di lavorare (2 Tessalonicesi 3,12) e con l’esempio di Paolo stesso che afferma di lavorare «notte e giorno» (2 Tessalonicesi 3,8)? E com’è possibile pregare mentre si dorme?
Questi interrogativi hanno traversato il cristianesimo antico, soprattutto il monachesimo, ricevendo diversi tentativi di risposta. Da quello radicale ed estremista dei «messaliani» (o «euchiti», «coloro che pregano») i quali, rifiutando assolutamente il lavoro, pretendevano di dedicarsi unicamente alla preghiera, a quello, altrettanto estremista e altrettanto votato all’impossibilità, degli «acemeti» («coloro che non si coricano»), che cercavano di ridurre il più possibile il tempo di sonno per consacrarsi solamente alla preghiera. Altre risposte, più estrinseche, e tipiche del monachesimo cenobita, hanno cercato di moltiplicare le ore di preghiera liturgica e di assicurare, mediante appropriati turni e rotazioni dei monaci del monastero, una continua preghiera liturgica, una laus perennis. Altre risposte hanno battuto la via dell’interiorità, della preghiera ritmata sul battito del cuore, sul ritmo del respiro, sulla ripetizione di un’invocazione rivolta a Dio, fino a giungere alla cosiddetta «preghiera monologica», che cioè ripete instancabilmente una sola parola, per esempio, il nome di Gesù.
Frutto di questa concentrazione dello spirito dell’uomo sul nome del suo Signore, di questa attenzione che vuota il cuore di ogni altro pensiero e lo fa inabitare solamente dal pensiero di Dio, è la cosiddetta mnéme theou, la memoria Dei, il «ricordo di Dio». Espresso soprattutto dall’insegnamento spirituale dello Pseudo-Macario, il ricordo di Dio è un atteggiamento spirituale profondo di unificazione del cuore davanti alla presenza di Dio interiorizzata. È ricordo nel senso di custodia nel cuore, cioè nella mente e nell’intimo della persona, della presenza di Dio così che alla luce di tale presenza venga unificata e integrata nella vita interiore anche la vita esteriore dell’uomo. È ricordo alla cui luce si vive e si ricomprende il presente giudicandolo nella fede. La memoria Dei diviene così la matrice del discernimento che forgia la sapienza spirituale e rende l’uomo capace di vivere ogni atto e ogni parola alla luce del terzo che il credente fa regnare in ogni relazione: Dio. L’uomo spirituale autorevole nasce da questa vivificante memoria.
È memoria che si associa ad amore, carità, zelo, ardore, compunzione, nei confronti di Dio stesso. Dice lo Pseudo-Macario: «Il cristiano deve sempre custodire il ricordo di Dio, perché non deve amare Dio solamente in chiesa ma anche camminando, parlando, mangiando». Questa memoria diviene presenza interiore, dunque preghiera, cioè vita davanti a Dio e nella coscienza di tale presenza. Il credente è così reso «dimora del Signore», come afferma l’apostolo Paolo. Ovvio allora che tale memoria non sia semplicemente un movimento psicologico: in effetti essa è azione dello Spirito santo. Il quarto Vangelo, per cui lo Spirito ha la funzione di «insegnare e ricordare» (Giovanni 14,26), afferma che lo Spirito insegnerà e ricorderà «tutto» ciò che Gesù ha detto e fatto. Lo Spirito appare dunque memoria di totalità. Ma questa totalità non è data dalla somma di gesti compiuti e di parole pronunciate e fissate nella Scrittura, bensì dalla presenza stessa di Gesù. È memoria delle parole e del silenzio di Gesù, del detto e del non detto, del compiuto e del non compiuto, del già e del non ancora, dunque anche di ciò che ancora non vi è stato. Opera dello Spirito, questa memoria è anche profezia. Essa guida a quella consonanza profonda con Cristo, con ciò che sta a monte del suo parlare e del suo agire, che infonde nel credente la capacità di obbedire creativamente all’Evangelo, guidato dallo Spirito che fa abitare in lui il Cristo. Questa memoria Dei cela in sé un’attitudine di riconoscenza e di ringraziamento, di fedeltà e di impegno, di dedizione e di speranza. È memoria che unifica il passato, dà luce e senso al presente e apre all’attesa e alla speranza per il futuro. Capiamo perché Gregorio Sinaita (XIV secolo) abbia potuto affermare che il comando «Ricordati del Signore tuo Dio in ogni tempo» è il più fondamentale di tutti i comandi. È grazie ad esso, infatti, che gli altri possono essere adempiuti.

(L’autore) Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità – autore: Enzo Bianchi

DOMENICA 30 GENNAIO 2011 – IV DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 30 GENNAIO 2011 – IV DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A04page.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  1 Cor 1, 26-31
Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.

http://www.bible-service.net/site/375.html
 
 Corinthiens 1,26-31

Ce texte vient juste après le passage sur la folie de la croix. Après avoir bien montré aux Corinthiens tout ce qu’il y a d’irrationnel dans la croix du Christ, Paul s’ attache à leur montrer comment leur propre appel est de l’ordre de la folie, du moins du point de vue de la sagesse humaine.
Paul commence par décrire la communauté de Corinthe : des gens simples pour la plupart. Et l’apôtre voit, dans cette présence des plus petits, la preuve de la toute puissance de Dieu. Pour confondre les sages, Dieu a choisi la croix et sa folie. Mais cette action, il l’a réalisée afin que personne ne puisse s’enorgueillir devant Dieu. En fait, la seule et vraie sagesse devant Dieu, c’est le Christ. Il convient de se comporter comme lui, c’est-à-dire de partager sa folie, la folie de la croix, pour se trouver sage devant Dieu.

Corinzi 1,26-31

Questo testo si trova appena dopo il passaggio sulla follia della croce. Dopo avere mostrato bene ai Corinzi tutto ciò che c’è di irrazionale nella croce del Cristo, Paolo si preoccupa di mostrar loro come la loro chiamata è dell’ordine della follia, almeno dal punto di vista della saggezza umana.
Paul comincia con descrivere la comunità di Corinto:  persone semplici per la maggior parte. E l’apostolo vede, in questa presenza dei più piccoli, la prova della potenza di Dio. Per confondere i saggi, Dio ha scelto la croce e la sua follia. Ma questa azione, l’ha realizzata affinché nessuno possa inorgoglirsi davanti a Dio. In effetti, l’unica e vera saggezza davanti a Dio è il Cristo. Conviene comportarsi come lui, ossia di dividere la sua follia, la follia della croce, per trovarsi saggio davanti a Dio.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 1, 1 – 2, 12

Sollecitudine di san Paolo per la chiesa di Tessalonica
Paolo, Silvano e Timòteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Responsorio    Cfr. 1 Ts 1, 9; 3, 12. 13
R. Vi siete convertiti per servire al Dio vivo e attendere dai cieli il suo Figlio, risorto dai morti, * che ci libera dall’ira futura.
v. Dio vi faccia abbondare nell’amore, renda saldi e irreprensibili i vosti cuori nella santità,
R. che ci libera dall’ira futura.

Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai cristiani di Smirne» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire   (Intr.; Capp. 1, 1 -4, 1 Funk 1, 235-237)

Cristo ci ha chiamati al suo regno e alla sua gloria
Ignazio, detto anche Teoforo, si rivolge alla chiesa di Dio e del diletto Figlio suo Gesù Cristo. A questa chiesa, che si trova a Smirne in Asia, augura di godere ogni bene nella purezza dello spirito e nella parola di Dio: essa ha ottenuto per divina misericordia ogni grazia, è piena di fede e di carità e nessun dono le manca. E’ degna di Dio e feconda di santità.
Ringrazio Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi. Ho visto infatti che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo. Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe» di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzato da Giovanni per adempiere ogni giustizia (cfr. Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell’unico corpo della sua Chiesa.
Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; e ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso.
Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (cfr. Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre.
Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.

Responsorio    Cfr. Gal 2, 19-20
R. Sono morto alla legge, e vivo per Dio. Vivo questa mia vita terrena nella fede del Figlio di Dio, * che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
V. Con Cristo sono crocifisso: non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo,
R. che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

Omelia (29-01-2011) : Maestro, non t’importa che siamo perduti?

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/21269.html

Omelia (29-01-2011) 

Movimento Apostolico – rito romano

Maestro, non t’importa che siamo perduti?

La nostra vita è una traversata. Sulla barca della Chiesa, nel mare della storia, tra le onde burrascose del male, della tentazione, di ogni altro pericolo fisico e spirituale, noi dobbiamo avanzare verso l’eternità. È questo il fine della vita: portare la nostra persona nel Cielo, presso Dio, dinanzi a Lui, per restare eternamente ai suoi piedi a cantare la sua gloria, a benedire il suo nome, a celebrare la sua misericordia.
Questa traversata è difficile, anzi impossibile. Il vento del male non ci fa avanzare. Le forti onde della tentazione si avventano contro la nostra barca e questa in ogni momento rischia di affondare. La nostra prudenza è vana. La nostra perizia è nulla. I nostri sforzi inesistenti. La barca non avanza. Anzi il rischio di affondare è sempre la minaccia che ci sovrasta. Cosa fare perché la nostra vita possa raggiungere la sponda sicura dell’eternità? Quali decisioni urge prendere per non affondare? Il Vangelo di questo giorno ci rivela che gli Apostoli, vistisi perduti, incapaci di governare la barca, si rivolgono a Gesù che stava dormendo a poppa, sul cuscino, e lo svegliano. Le loro sono parole di persone « disperate », impotenti, incapaci di una qualche azione risolutrice in questo momento di difficoltà: « Maestro, non ti importa che siamo perduti? ». « Noi che nulla possiamo ci stiamo affaticando invano. Tu che puoi tutto, te ne stai tranquillo, sereno, calmo, placido a dormire ». « Svegliati! Prendi una decisione. Fa’ qualcosa. Liberaci da questa burrasca e da questo vento che non si placa ».
Gesù viene in aiuto alla loro difficoltà. Si desta, sgrida il mare, gli comanda di tacere, di calmarsi all’istante. Vento e mare obbediscono. Tutto diviene una grande bonaccia. Poi Gesù però riprende i suoi discepoli: « Perché avete paura? Non avete ancora fede? ». Questo rimprovero o correzione, deve essere ben compreso. Perché gli Apostoli non hanno ancora fede? Perché non avrebbero dovuto svegliare Gesù? Perché avrebbero dovuto lasciare che Lui restasse a dormire? Dalla giusta risposta che ci daremo, dipenderà tutta la nostra vita, perché tutto è in questa risposta. Prima però leggiamo il racconto e fissiamolo nel nostro cuore, per essere di nuovo meditato.
Gesù è sulla barca. Questa mai potrà andare a fondo. Sempre rimarrà sulle onde. Potrà imbarcare acqua. Potrà anche rallentare il suo cammino. Nessuna potenza della natura, materiale o spirituale, umana o angelica, della terra o di sottoterra, potranno mai farla affondare. Affonda quella barca nella quale Gesù non è stato preso. La barca della Chiesa mai potrà subire un naufragio. A noi una cosa deve stare a cuore: salire e rimare su questa barca, nella quale Gesù è invisibile, ma eternamente presente, sempre con noi, accanto a noi. Questa fede è necessaria. Questa fede è la nostra vita. Possiamo anche nei momenti burrascosi innalzare a Lui la nostra preghiera, ma non perché periamo, perché rischiamo di affondare, ma perché desideriamo un po’ di pace, serenità, tranquillità, un momento più favorevole per il nostro lavoro quotidiano. Questa fede Gesù vuole che sempre dimori nel nostro cuore.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi di Dio, fateci di vera fede.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 29 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

San Tommaso D’Aquino (m 28 gennaio)

San Tommaso D'Aquino (m  28 gennaio) dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 28 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

Preghiera di S.Tommaso Riflessioni

dal sito:

http://www.predicazione.it/riflessioni/Preghiera_di_s_Tommaso.html

Preghiera di S.Tommaso  Riflessioni   

Concedimi, o Dio misericordioso,
di desiderare con ardore ciò che tu approvi,
di ricercarlo con prudenza,
di riconoscerlo secondo verità,
di compierlo in modo perfetto, a lode e gloria del tuo nome.
Metti ordine nella mia vita,
fammi conoscere ciò che vuoi che io faccia,
concedimi di compierlo come si deve
e come è utile alla salvezza della mia anima.
Che io cammini verso di te, Signore,
seguendo una strada sicura, diritta, praticabile
e capace di condurre alla meta,
una strada che non si smarrisca fra il benessere o fra le difficoltà.
Che io ti renda grazie quando le cose vanno bene,
e nelle avversità conservi la pazienza,
senza esaltarmi nella prosperità
e senza abbattermi nei momenti più duri.
Che io mi stanchi di ogni gioia in cui tu non sei presente,
che non desideri nulla all’infuori di te.
Ogni lavoro da compiere per te mi sia gradito, Signore,
e insopportabile senza di te ogni riposo.
Donami di rivolgere spesso il mio cuore a te,
e quando cedo alla debolezza,
fa’ che riconosca la mia colpa con dolore,
e col fermo proposito di correggermi.
Signore, mio Dio,
donami un cuore vigile, che nessun pensiero curioso trascini lontano da te;
un cuore nobile che nessun indegno attaccamento degradi;
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare;
un cuore fermo che resista ad ogni avversità;
un cuore libero che nessuna passione violenta possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio Dio,
un’intelligenza che ti conosca,
uno zelo che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia,
e una fiducia che alla fine arrivi a possederti.

(S. Tommaso d’Aquino)

Publié dans:LA PREGHIERA ( AUTORI VARI) |on 28 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

« I Giusti tra tutte le nazioni avranno una parte nel Mondo Avvenire » (Talmud, Sanhedrin 105a)

dal sito:

http://www.ritornoallatorah.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=384:informazioni-e-approfondimenti-sui-precetti-noachidi&catid=57:noachismo&Itemid=113

Informazioni e approfondimenti sui precetti Noachidi       

« I Giusti tra tutte le nazioni avranno una parte nel Mondo Avvenire » (Talmud, Sanhedrin 105a)

Molte religioni del mondo, tra cui il Cristianesimo e l’Islam, si ritengono le uniche fonti di « salvezza dell’anima » e affermano perciò la necessità di predicare per convincere gli appartenenti ad altre fedi a convertirsi e ad accettare il solo vero culto Divino.
Nell’Ebraismo non esiste niente di simile.
Il popolo Ebraico, come spiega Elia Benamozegh, è il primogenito nella famiglia dell’umanità, l’insegnante, il sacerdote e il custode delle Parole di Dio, ma non è il detentore di un’unica via di salvezza.
Secondo l’Ebraismo, il Creatore del mondo ha dato a tutte le nazioni un codice morale da seguire: i precetti Noachidi.
Al popolo Ebraico, che ha un compito particolare e delle maggiori responsabilità, Dio ha dato invece la Torah, una Legge più complessa rivelata sul monte Sinai.
I precetti Noachidi sono sette, ma si tratta in realtà di « canoni legislativi » che possono essere suddivisi in molte specificazioni diverse, e che costituiscono la base su cui ogni nazione deve stabilire la proria legge di stato.
Allo stesso modo, la Torah rivelata ad Israele ha come principi fondamentali i Dieci Comandamenti, e tuttavia essa è composta da seicentotredici precetti (mitzvot).
Mentre gli Ebrei hanno ricevuto leggi molto specifiche che riguardano anche i riti religiosi da eseguire, agli altri popoli sono stati dati solo ordinamenti etici di base, lasciando ampia libertà nell’amministrazione dello stato e soprattutto per quanto riguarda i culti e le preghiere.
Non bisogna pensare che i precetti Noachidi costituiscano una religione che deve essere accettata da tutti; il « Noachismo » è invece un sistema morale universale che può essere seguito anche professando una fede diversa da quella Ebraica.
In Hilchot Melachim 8:11, Maimonide dichiara che i non-Ebrei che osservano le sette leggi riconoscendone l’origine Divina sono chiamati Chasidei Umot HaOlam, ovvero « i Giusti tra le nazioni del mondo », mentre coloro che le osservano soltanto per motivi razionali, avendo riconosciuto la loro validità tramite l’intelletto, sono Chochmei Umot HaOlam, cioè uomini saggi.
Vediamo ora quali sono esattamente i sette precetti e come osservarli.
La seguente lista è basata sull’ordine riportato nel Talmud (Sanhedrin 56). Di solito negli scritti Rabbinici e nella letteratura moderna i precetti vengono invece elencati secondo l’ordine fornito da Maimonide.

1: (IN EBRAICO)-  Dinim (Tribunali)

E’ l’ordine di amministrare la giustizia tramite i tribunali.
Ogni popolo ha il compito di garantire il rispetto delle leggi attraverso un sistema giudiziario equo. Maimonide spiega che le corti di giustizia devono essere istituite in ogni città.
Secondo la halakah (legge rabbinica) tutte le nazioni sono libere di stabilire il proprio sistema giudiziario, e i tribunali che rispettano soltanto alcune delle leggi Noachidi sono da considerarsi come validi solo in parte.

2:(IN EBRAICO)   -  Birchat Hashem (letteralmente « Benedizione del Nome [di Dio]« )

Questo precetto si riferisce alla proibizione di bestemmiare il Nome di Dio.
E’ vietato maledire il Creatore o parlare irriverentemente di Lui. Il precetto non riguarda soltanto il Nome Divino (il Tetragramma Sacro), ma qualsiasi nome usato dal non-Ebreo per identificare Dio.
Dalla storia di Giobbe si impara che non bisogna pronunciare bestemmie neppure quando accadono delle sciagure.

3: (INM EBRAICO)  -  Avodah Zarah (Idolatria. Letteralmente « lavoro estraneo »).

E’ il divieto di credere in una divinità al di fuori di Hashem, l’Unico Dio. E’ proibito rendere culto alle immagini, partecipare a riti pagani e scolpire statue che rappresentino divinità per qualsiasi uso. E’ inoltre vietato divinizzare qualasiasi cosa attribuendogli un’eccessiva importanza: un oggetto, il denaro, una persona, un concetto astratto.

4: (IN EBRAICO)  -  Shefichat Damim (Versare sangue).

Il divieto di spargere sangue è espresso in Genesi 9:5-6.
Si tratta della proibizione di assassinare un altro esere umano, di ferirlo, di commettere il suicidio e di non aiutare qualcuno che si trova in pericolo mortale.
Bisogna quindi riconoscere il valore della vita di ogni persona e fare di tutto per non causare sofferenze al prossimo.

5: (IN EBRAICO) -  Gilui Arayot (Immoralità sessuale. Letteralmente « mostrare le proprie nudità »).

Sono proibiti i rapporti sessuali con la propria madre, con la moglie del proprio padre, con una donna sposata, con la propria sorella, i rapporti tra due uomini e quelli tra esseri umani ed animali.
E’ proibito anche avere atteggiamenti provocanti che possano portare ad un’unione proibita tra quelle appena elencate.
Da questo precetto si ricavano valori morali fondamentali per la società come il rispetto della famiglia e del matrimonio.

6: (IN EBRAICO)  -  Gezel (Furto).

La proibizione del furto comprende l’appropriazione illecita dei beni altrui, il rapimento, lo stupro ed ogni tipo di frode.
Rabbi Aaron HaLevi di Barcellona mette questo precetto in relazione al comandamento della Torah di « Non desiderare alcuna cosa che sia del tuo prossimo »  (Esodo 20:17), e dichiara che ogni uomo dovrebbe rispettare questa proibizione, poichè desiderare le proprietà altrui può portare al furto.

7: (IN EBRAICO)  -  Ever Min HaChai (Organo di un essere vivente).

E’ il divieto di commettere crudeltà nei confronti degli animali (Genesi 9:4).
E’ proibito mangiare una parte di un animale ancora vivo o che gli è stata staccata quando era in vita. Inoltre, non è consentito bere sangue e uccidere animali a scopo ludico.
Mentre all’inizio l’umanità era vegetariana, dopo il Diluvio, con la nuova atmosfera terrestre, fu concesso di mangiare carne animale (anche se, secondo la Torah, il vegetarianesimo rimane la forma più alta di kasherut), ma ciò deve avvenire senza causare eccessiva sofferenza agli altri esseri viventi che l’uomo deve rispettare al massimo.

Publié dans:EBRAISMO - STUDI |on 28 janvier, 2011 |Pas de commentaires »
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