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DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 – FRA L’OTTAVA DI NATALE, SANTA FAMIGLIA DI GESÙ

DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 - FRA L'OTTAVA DI NATALE, SANTA FAMIGLIA DI GESÙ dans Lettera agli Efesini
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DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 - FRA L’OTTAVA DI NATALE, SANTA FAMIGLIA DI GESÙ

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Col 3, 12-21
Vita familiare cristiana, secondo il comandamento dell’amore.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro.
Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

Canto al Vangelo   Col 3,15.16
Alleluia, alleluia.
La pace di Cristo regni nei vostri cuori;
la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza.
Alleluia.

http://www.bible-service.net/site/376.html

Colossiens 3,12-21

« Vous, les femmes, soyez soumises à votre mari. » Ces mots de Paul sont durs. On y sent l’influence d’un environnement culturel et sociologique qui est aux antipodes de notre civilisation. L’utilisation de ce passage dans une liturgie célébrant les vertus familiales accroît la difficulté. Il faut resituer ces injonctions de morale familiale dans l’ensemble du texte, où Paul invite tous les croyants à une charité active. La vie chrétienne est une vie dans le Seigneur. C’est par tous les pores de leur vie que les croyants, mariés ou non, enfants ou adultes, doivent respirer la paix du Christ, la douceur de sa parole et la joie qu’elle communique. Toute la vie est eucharistie (= action de grâce).

Colossesi 3,12-21
 
« Voi donne, siate sottomesse ai vostri mariti. Queste parole di Paolo sono difficili. Si sente l’influenza di un contesto sociologico e culturale che è antitetico alla nostra civiltà. L’utilizzo di questo brano di una liturgia che celebra le virtù della famiglia aumenta la difficoltà.
Dobbiamo porre questi ingiunzioni di morale familiare nell’insieme del testo, dove Paolo invita tutti i credenti ad una carità attiva. La vita cristiana è una vita nel Signore. È in tutti i passaggi della loro vita di credenti, sposati o non, bambini o adulti, che si deve respirare la pace di Cristo, la dolcezza della sua parola e la gioia che essa comunica. Tutta la vita è Eucaristia (=rendimento di grazie ).
 
UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Efesini di san Paolo, apostolo 5, 21 – 6, 4

La vita cristiana nella famiglia
Fratelli: siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola (Gn 2, 24). Questo mistero è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto, Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra (Es 20, 12; Dt 5, 10). E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore.

Responsorio    Ef 6, 1-2; Lc 2, 51
R. Figli, obbedite nel Signore ai vostri genitori; * onorate il padre e la madre, perché questo è giusto.
V. Gesù tornò a Nazareth con Maria e Giuseppe, e stava loro sottomesso.
R. Onorate il padre e la madre, perché questo è giusto.
 
Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa
(Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)

L’esempio di Nazareth
La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

Responsorio    2 Cor 13, 11; Ef 5, 19; Col 3, 23
R. State lieti, cercate ciò che è perfetto, incoraggiatevi al bene, andate d’accordo, vivete in pace, * cantate e inneggiate a Dio con tutto il cuore.
V. Qualunque sia il vostro lavoro, fatelo di buon animo, per il Signore, e non per gli uomini.
R. Cantate e inneggiate a Dio con tutto il cuore

SABATO 25 DICEMBRE 2010 – NATALE DEL SIGNORE

SABATO 25 DICEMBRE 2010 - NATALE DEL SIGNORE dans BIBLE SERVICE (sito francese)

Madonna del parto + Sutri (Lazio)

http://www.flickr.com/photos/brunello2412/4165658305/

SABATO 25 DICEMBRE 2010 – NATALE DEL SIGNORE

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/natale/1225Page.htm

MESSA DEL GIORNO (messa del giorno)

Seconda Lettura   Eb 1,1-6
Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.

Dalla lettera agli Ebrei 
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

http://www.bible-service.net/site/375.html

Hébreux 1,1-6
L’auteur introduit d’ abord « le Fils » puis il le définit comme l’héritier (Matthieu 22,38), mais son héritage est universel. Il a participé à l’œuvre créatrice (cf. 1 Corinthiens 8,6). En situation privilégiée par rapport à Dieu, c’est par lui que la gloire divine rayonne et resplendit. Qu’il soit l’ empreinte de la substance de Dieu interdit de le réduire à une simple émanation. Il a accompli pour l’humanité une œuvre de salut qui se traduit par une purification des péchés (cf. Tite 2, 14, nuit de Noël). La lettre aux Hébreux exprime plus volontiers le mystère pascal dans les catégories de l’exaltation et de l’intronisation célestes, à partir du psaume 110 (Hébreux 10,12). Le christianisme primitif s’est beaucoup appuyé sur ce texte (Actes 2,34-35 ; Matthieu 2,44 ; 26,64). Contre tout culte qui pourrait s’adresser à des êtres intermédiaires, l’auteur précise que Jésus est appelé « Fils » en un sens unique parce qu’il est assis à la droite de Dieu. Sa justification scripturaire se fonde sur des textes royaux que la tradition interprétait de plus en plus comme messianiques (psaume 2,7 ; 2 Samuel 7,14 ;1 Chroniques 17,13).

Ebrei 1,1-6
L’autore introduce all’inizio il « Figlio » e lo definisce come l’erede (Matteo 22,38), ma la sua eredità è universale. Ha partecipato all’opera  creatrice (cfr. 1Corinzi 8,6). Una situazione privilegiata in rapporto a Dio, è attraverso di lui che la gloria di Dio si irradia e risplende. Sia che si tratti l’impronta della sostanza di Dio vieta di ridurla ad una mera emanazione. Egli ha compiuto per l’umanità un opera di salvezza che si traduce in una purificazione dei peccati (cfr Tt 2, 14, vigilia di Natale). Lettera agli Ebrei esprime più volentieri il mistero pasquale nelle categorie di esaltazione e di intronizzazione celeste, dal Salmo 110 (Ebrei 10:12). Il primo cristianesimo si è molto appoggiato sul testo (Atti 2,34-35, Matteo 2,44, 26,64).
Contro ogni culto che si vuole appoggiare ad esseri intermedi, l’autore afferma che Gesù è chiamato « Figlio »in un senso unico, perché siede alla destra di Dio. La giustificazione scritturistica si basa su dei testi “reali” che la tradizione interpreta sempre di più come messianici (Sal 2,7, 7,14 2 Samuele, 1 Cronache 17:13).

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaia 11, 1-10

La radice di Iesse e la pace messianica
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i poveri
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga
che percuoterà il violento;
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,
cintura dei suoi fianchi la fedeltà.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;
il bambino metterà la mano
nel covo di serpenti velenosi.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore
riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno la radice di Iesse
si leverà a vessillo per i popoli
le genti la cercheranno con ansia,
la sua dimora sarà gloriosa.

Responsorio   Lc 2, 14
 R. Oggi il Re del cielo nasce per noi da una vergine per ricondurre l’uomo perduto al regno dei cieli: * Gode la schiera degli angeli, perché si è manifestata agli uomini la salvezza eterna.
V. Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini, che egli ama.
R. Gode la schiera degli angeli, perché si è manifestata agli uomini la salvezza eterna.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193)

Riconosci, cristiano, la tua dignità
Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l’impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l’assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell’amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l’umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l’uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.

Responsorio
R. Oggi la pace vera scende per noi dal cielo; * oggi su tutta la terra i cieli stillano dolcezza.
V. Risplende per noi il giorno di una nuova redenzione, giorno preparato da secoli, gioia senza fine.
R. Oggi su tutta la terra i cieli stillano dolcezza.

perbuonnataleit.jpg

Publié dans:immagini sacre, NATALE (QUALCOSA SUL) |on 24 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 24 dicembre 2010: Commento Luca 1,67-79

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/11389.html

Omelia (24-12-2008) 
a cura dei Carmelitani

Commento Luca 1,67-79

1) Preghiera
Affrettati, non tardare, Signore Gesù: la tua venuta dia conforto e speranza a coloro che confidano nel tuo amore misericordioso. Tu sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca 1,67-79
In quel tempo, Zaccaria, padre di Giovanni, fu pieno di Spirito Santo, e profetò dicendo:
« Benedetto il Signore Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi una salvezza potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,
grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge
per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace ».

3) Riflessione
• Il Cantico di Zaccaria è uno dei molti cantici delle comunità dei primi cristiani troviamo sparsi negli scritti del Nuovo Testamento: nei vangeli (Lc 1,46-55; Lc 2,14; 2,29-32), nelle lettere paoline (1Cor 13,1-13; Ef 1,3-14; 2,14-18; Fil 2,6-11; Col 1,15-20) e nell’Apocalisse (1,7; 4,8; 11,17-18; 12,10-12; 15,3-4; 18,1 fino a 19,8). Questi cantici ci danno un’idea di come erano vissute la fede e la liturgia settimanale in quei primi tempi. Lasciano intravedere una liturgia che era, nello stesso tempo, celebrazione del mistero, professione di fede, animazione della speranza e catechesi.
• Qui nel Cantico di Zaccaria, i membri di quelle prime comunità cristiane, quasi tutti giudei, cantano l’allegria di essere stati visitati dalla bontà di Dio che, in Gesù, venne a compiere le promesse. Il cantico ha una bella struttura, ben elaborata. Sembra una lenta ascesa che conduce i fedeli verso l’alto della montagna, da dove osservano il cammino percorso fin da Abramo (Lc 1,68-73), sperimentano l’inizio del compiersi delle promesse (Lc 1,74-75) e da lì guardano avanti prevedendo il cammino che il bambino Giovanni deve percorrere fino alla nascita di Gesù: il sole di giustizia che viene a preparare per tutti il cammino della Pace (Lc 76-79).
• Zaccaria inizia lodando Dio perché ha visitato e redento il suo popolo (Lc 1,68) suscitando una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo (Lc 1,69) come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti (Lc 1,70). E descrive in cosa consiste questa salvezza potente: salvarci dai nostri nemici e dalle mani di quanti ci odiano (Lc 1,71). Questa salvezza è il risultato non del nostro sforzo, bensì della bontà misericordiosa di Dio che ricordò la sua santa alleanza ed il giuramento fatto ad Abramo, nostro padre (Lc 1,72). Dio è fedele. E’ questo il fondamento della nostra sicurezza.
• A continuazione Zaccaria descrive in cosa consiste il giuramento di Dio ad Abramo: è la speranza che « liberati dalle mani dei nemici possiamo servirlo, senza timore, in santità e giustizia, al suo cospetto, per tutti i nostri giorni ». Ecco il grande desiderio della gente di quel tempo, che continua ad essere il grande desiderio di tutti i popoli di tutti i tempi: vivere in pace, senza timore, servendo Dio ed il prossimo, in santità e giustizia, tutti i giorni della nostra vita. E’ questo l’alto del monte, il punto di arrivo, che spuntò all’orizzonte con la nascita di Giovanni (Lc 1,73-75).
• Ora l’attenzione del cantico si dirige verso Giovanni, il bambino appena nato. Sarà profeta dell’Altissimo, perché andrà innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei peccati (Lc 1,76-77). Qui abbiamo un’allusione chiara alla profezia messianica che diceva: « Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore, perché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato » (Ger 31,34). Nella Bibbia, « conoscere » è sinonimo di « sperimentare ». Il perdono e la riconciliazione ci fanno sperimentare la presenza di Dio.
• Tutto questo sarà frutto dell’azione misericordiosa del cuore di Dio e avverrà pienamente con la venuta di Gesù: il sole che sorge dall’alto per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della Pace (Lc 1,78-79).

4) Per un confronto personale
• A volte è bene leggere il cantico come se fosse per la prima volta, in modo da poter scoprire in esso tutta la novità della Buona Notizia di Dio.
• Hai sperimentato qualche volta la bontà di Dio? Hai sperimentato qualche volta il perdono di Dio?

5) Preghiera finale
Canterò senza fine le grazie del Signore,
con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli,
perché hai detto:
« La mia grazia rimane per sempre »;
la tua fedeltà è fondata nei cieli. (Sal 88) 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 24 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Luk-02,01_Birth_Manger_Naissance_Creche

Luk-02,01_Birth_Manger_Naissance_Creche  dans immagini sacre 14%20MASTERTREBON%20ALTARPIECE%20THE%20ADORATION%20OF%20JESUS

http://www.artbible.net/Jesuschrist_fr.html

Publié dans:immagini sacre |on 23 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

L’inno di sant’Ambrogio per la festa del Natale: «Non da seme virile ma per l’azione arcana dello Spirito»

dal sito:

http://cristianesimocattolico.splinder.com/post/19426860

L’inno di sant’Ambrogio per la festa del Natale

«Non da seme virile ma per l’azione arcana dello Spirito»

di Inos Biffi,

da L’Osservatore Romano (25/12/08)

Nell’inno che sant’Ambrogio compone per la festa del Natale di Cristo – forse da lui stesso dalla liturgia romana introdotta in quella milanese – diventa poesia il dogma dell’incarnazione del Figlio di Dio nel grembo verginale di Maria, così come nell’inno Splendor paternae gloriae diventa poesia e canto il mistero della Trinità.
Anche in quest’inno appare la genialità santambrosiana nell’accordare e fondere ispirazione e linguaggio biblico, chiarezza didascalica e profondità teologica, allusione ed espressione, rigore dottrinale e creatività artistica, e se ne potrebbe definire il risultato come un trattato di cristologia nicena nella forma di un piccolo poema, luminoso e pieno di emozione.
D’altra parte, la materia è di quelle che Ambrogio sente più vive e più urgenti da illustrare e far assimilare alla sua Chiesa, fino a pochi anni prima infelicemente segnata dalla presenza dell’eresia ariana – che non accoglie Gesù come Figlio di Dio, eternamente generato – e ancora attraversata da eretici, che rigettavano la verità di Maria che nella verginità e perenne illibatezza concepisce e dà alla luce il Verbo fatto uomo.
Anche in questo caso, il vescovo di Milano ci offre un esempio luminoso di ortodossia, che, delineando il mistero di Cristo nei rigorosi termini niceni, lo contempla nella “duplice sostanza” di arcana verità divina e di pochezza umana, lo guarda con gioiosa meraviglia e ne fa trasparire l’incanto estetico.
Il Natale di Gesù rappresenta il compimento del disegno iniziato in Israele. Quando egli viene alla luce ed è deposto nel suo presepe si avvera la teofania di Dio, intensamente attesa dall’Antico Testamento, interprete del bisogno e del desiderio di tutta l’umanità. Passa allora sulle nostre labbra oranti l’ardente invocazione del Salmo 79, che occupa tutta la prima strofa dell’inno, e che una inavveduta critica – contro la stessa logica dell’inno e l’ottonario simbolico delle strofe – ha ritenuto inautentica e posteriormente aggiunta. È abituale in Ambrogio, che mostra di saper usare con abile maestria le regole della metrica latina, innestare nei suoi versi ampie citazioni bibliche, così annodando felicemente Bibbia e poesia.
Com’è con la prima strofa del suo inno: «Volgiti a noi, – prega la Chiesa – tu che guidi Israele, / assiso sui Cherubini, / mostrati in faccia a Efraim, ridesta / la tua potenza e vieni». Tutta una domanda appassionata e in crescente intensità si eleva a invocare l’apparizione e la venuta di Dio: «volgiti», «mostrati in faccia», «ridesta la tua potenza», «vieni»! Anzi, l’invocazione che, elevata un giorno da Israele, ora sale dalla Chiesa, diviene subito più precisa nell’indicazione del suo desiderio: è il «Redentore delle genti», il liberatore universale, implorato perché venga a rivelare il parto che conviene a Chi è Dio e da cui ogni epoca rimanga sorpresa e affascinata: «O Redentore delle genti, vieni: / rivela al mondo il parto della Vergine; / ogni età della storia stupisca: / è questo un parto che si addice a Dio». Così, mediante il magistero e l’arte del suo vescovo la comunità ambrosiana professa luminosamente la sua fede in Gesù, Figlio di Dio.
Quel parto, che di tutti i prodigi divini è il più grande e ineffabile, avviene, infatti, non per opera dell’uomo, ma per uno spirare pieno di mistero: mystico spiramine, come scrive Ambrogio, con rara finezza, quasi attingendo la penna nella luce spirituale. Altrove parlerà dello spiramen di Dio onnipotente: «Non da seme virile, / ma per l’azione arcana dello Spirito / il Verbo di Dio si è fatto carne, / fiorito a noi come frutto di un grembo». La radice è la progenie giudaica; il rampollo è Maria, il virgulto di Maria è Cristo, che come il frutto di un albero buono, fiorisce.
Una intatta verginità, per pura grazia, si ritrova, così, miracolosamente feconda: e, per il Verbo che si fa uomo in lei, Maria diviene l’aula di Dio; le sue virtù sono come insegne imperiali dispiegate a indicare la presenza del monarca nel suo palazzo: «Il verginale corpo s’inturgida, / senza che il puro chiostro si disserri, / brillano le virtù come vessilli: / Dio nel suo tempio ha fissato dimora». La vergine madre è la nuova «arca dell’alleanza», il luogo nuovo della Gloria, «l’aula regale del grembo verginale (aula regalis uteri virginalis)» o «aula celeste (aula caelestis)» – come altrove ancora Maria è chiamata dallo stesso Ambrogio.
Venuto nel mondo come «Redentore delle genti», simile a un «Gigante dotato di duplice sostanza», Gesù percorre alacremente la sua «corsa salvifica» (Giacomo Biffi): «Esca da questo talamo nuziale, / aula regia di santo pudore, / il Forte che sussiste in due nature / e sollecito compia il suo cammino». E così, il vescovo fa cantare e professare alla sua Chiesa l’altro dogma cristologico, le due nature, divina e umana di Gesù, nell’unica persona del Figlio di Dio, che «A noi viene dal Padre / e al Padre fa ritorno; / si slancia fino agli inferi / e riguadagna la sede di Dio». È il «cerchio salvifico» giovanneo: «Sono uscito dal Padre – scrive l’evangelista Giovanni – e sono venuto al mondo; ora lascio il mondo e vado al Padre» (Giovanni, 16, 28).
A sant’Ambrogio piace l’immagine del «gigante, biforme» – «uno nella doppia natura, partecipe della divinità e della corporeità» – insieme alla visione delle tappe del suo rapido itinerario di salvezza: «Dal cielo nella Vergine, dal grembo nel presepe, dal presepe al Giordano, dal Giordano alla croce, dalla croce al sepolcro e dal sepolcro al cielo».
La nostra salvezza si compie per un singolare intreccio di grandezza – l’uguaglianza con il Padre – e di umiltà – la nostra carne destinata al trionfo o la povera veste della nostra carne. Noi siamo redenti per l’infusione del vigore divino nella nostra debolezza umana, e si direbbe che Ambrogio si fermi in estasiata e commossa ammirazione di questo mistero: «Consostanziale e coeterno al Padre, / dell’umiltà della carne rivèstiti: / con il tuo indefettibile vigore / rinsalda in noi la corporea fiacchezza»: «Consostanziale e coeterno al Padre» – ripete sant’Ambrogio – ed è il tema anti-ariano che ritorna da Nicea: Gesù è «della stessa sostanza del Padre», «Dio vero da Dio vero, generato non creato».
Ora lo sguardo finale di Ambrogio è rapito dall’incanto del presepe, sentito soprattutto come una sorgente inesausta di luce: «Già il tuo presepe rifulge / e la notte spira una luce nuova; / nessuna tenebra più la contamini / e la rischiari perenne la fede». Secondo il commento di Giacomo Biffi: «Quasi a riposare dalle altezze vertiginose del mistero, il canto si conclude sul quadro incantevole, per semplicità e grazia, del presepe betlemitico, segno nei secoli dell’incredibile “umiltà di Dio”, fonte della sola luce – la fede – che può vincere la tenebra avvolgente del mondo».
Il tema e il linguaggio della luce, a cui contrastano le tenebre, ritorna nella prosa di Ambrogio, e già con gli accenti e la suggestione della poesia. Egli parla della grande luce della divinità, «non alterata da nessuna ombra di morte (quam nulla umbra mortis interpolat)», o dei «veri giorni non corrotti da alcuna caligine di notte», mentre ricorre la stessa espressione della poesia, nell’esposizione del Salmo 118, dove richiama il «chiarore di un fulgore perenne, non alterato da nessuna notte (claritas, quam nox nulla interpolat)».
Abitualmente in sant’Ambrogio la luce è il simbolo della fede incorrotta e tersa, a cui fa da contrasto la notte con le sue ombre e le sue tenebre, e sulla quale non cessa di vigilare, perché ritorni o si conservi limpida e integra nella sua Chiesa.
Il vescovo, con la sua poesia, ha così dotato la sua comunità di un inno per la celebrazione natalizia, che diventerà un’eredità preziosa e diffusa in tutta la Chiesa. «Il beato Ambrogio – scrive Cassiodoro – compose l’inno del Natale del Signore col più bel fiore della sua eloquenza».
Ma non è privo di interesse, infine, osservare l’intimo legame che nella sua visione unisce la concezione verginale del Verbo nel grembo di Maria sia con il mistero della Chiesa sia con lo stato della verginità consacrata, in cui quella concezione per opera dello Spirito si riverbera, poiché ne è la genesi e la forma.
Ambrogio parla della Chiesa «sposa per l’amore e vergine per l’illibatezza caritate uxor, integritate virgo», del «materno grembo della santa vergine Chiesa, ricca di una fecondità immacolata, per generare il popolo di Dio», motivo dell’allegrezza degli angeli. Predicando, poi, a quante hanno ricevuto «la grazia della verginità (virginitatis gratia)» e sono sposate «con il Verbo di Dio» – che a loro volta fanno gioire gli angeli – presenta come loro modello la «santa Chiesa immacolata, feconda nel parto, vergine per la castità e madre per la prole».
Chi non comprende e non stima la verginità consacrata non riesce a comprendere né il mistero di Cristo, apparso per la grazia dello Spirito, né il mistero della Chiesa con la sua “fecondità immacolata”, né alla fine lo stesso matrimonio cristiano, in cui si riflette il vincolo indissolubile di Cristo e della Chiesa, adombrati nell’unione profetica di Adamo e di Eva.
Un’ultima considerazione, per sottolineare la bellezza e quasi la nostalgia di una Chiesa, che con il proprio vescovo esalta nel canto la propria fede in Gesù Figlio di Dio. Poiché l’eresia ariana – che a Gesù concede tutto tranne di essere Figlio di Dio – è ancora un’insidia serpeggiante, risalta in tutta la sua attualità soprattutto l’antico concilio di Nicea che, assieme agli altri primi concili, ha mirabilmente fissato per la Chiesa la sua intramontabile fede cristologica.
mdeledda

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI (NATALE 2007)

SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2007/documents/hf_ben-xvi_hom_20071224_christmas_it.html

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

NATALE 2007

Cari fratelli e sorelle!

„Per Maria si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (cfr Lc 2,6s). Queste frasi, sempre di nuovo ci toccano il cuore. È arrivato il momento che l’Angelo aveva preannunziato a Nazaret: “Darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (cfr Lc 1,31). È arrivato il momento che Israele aveva atteso da tanti secoli, durante tante ore buie – il momento in qualche modo atteso da tutta l’umanità in figure ancora confuse: che Dio si prendesse cura di noi, che uscisse dal suo nascondimento, che il mondo diventasse sano e che Egli rinnovasse tutto. Possiamo immaginare con quanta preparazione interiore, con quanto amore Maria sia andata incontro a quell’ora. Il breve accenno: “Lo avvolse in fasce” ci lascia intravedere qualcosa della santa gioia e dello zelo silenzioso di quella preparazione. Erano pronte le fasce, affinché il bimbo potesse essere accolto bene. Ma nell’albergo non c’è posto. In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro – per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro.
Giovanni, nel suo Vangelo, puntando all’essenziale ha approfondito la breve notizia di san Luca sulla situazione in Betlemme: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (1,11). Ciò riguarda innanzitutto Betlemme: il Figlio di Davide viene nella sua città, ma deve nascere in una stalla, perché nell’albergo non c’è posto per Lui. Riguarda poi Israele: l’inviato viene dai suoi, ma non lo si vuole. Riguarda in realtà l’intera umanità: Colui per il quale è stato fatto il mondo, il primordiale Verbo creatore entra nel mondo, ma non viene ascoltato, non viene accolto.
Queste parole riguardano in definitiva noi, ogni singolo e la società nel suo insieme. Abbiamo tempo per il prossimo che ha bisogno della nostra, della mia parola, del mio affetto? Per il sofferente che ha bisogno di aiuto? Per il profugo o il rifugiato che cerca asilo? Abbiamo tempo e spazio per Dio? Può Egli entrare nella nostra vita? Trova uno spazio in noi, o abbiamo occupato tutti gli spazi del nostro pensiero, del nostro agire, della nostra vita per noi stessi?
Grazie a Dio, la notizia negativa non è l’unica, né l’ultima che troviamo nel Vangelo. Come in Luca incontriamo l’amore della madre Maria e la fedeltà di san Giuseppe, la vigilanza dei pastori e la loro grande gioia, come in Matteo incontriamo la visita dei sapienti Magi, venuti da lontano, così anche Giovanni ci dice: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Esistono quelli che lo accolgono e così, a cominciare dalla stalla, dall’esterno, cresce silenziosamente la nuova casa, la nuova città, il nuovo mondo. Il messaggio di Natale ci fa riconoscere il buio di un mondo chiuso, e con ciò illustra senz’altro una realtà che vediamo quotidianamente. Ma esso ci dice anche, che Dio non si lascia chiudere fuori. Egli trova uno spazio, entrando magari per la stalla; esistono degli uomini che vedono la sua luce e la trasmettono. Mediante la parola del Vangelo, l’Angelo parla anche a noi, e nella sacra liturgia la luce del Redentore entra nella nostra vita. Se siamo pastori o sapienti – la luce e il suo messaggio ci chiamano a metterci in cammino, ad uscire dalla chiusura dei nostri desideri ed interessi per andare incontro al Signore ed adorarlo. Lo adoriamo aprendo il mondo alla verità, al bene, a Cristo, al servizio di quanti sono emarginati e nei quali Egli ci attende.
In alcune rappresentazioni natalizie del tardo Medioevo e dell’inizio del tempo moderno la stalla appare come un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate – è diventato, appunto, una stalla. Pur non avendo nessuna base storica, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della verità che si nasconde nel mistero del Natale. Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. Giuseppe, il discendente di Davide, è un semplice artigiano; il palazzo, di fatto, è diventato una capanna. Davide stesso aveva cominciato da pastore. Quando Samuele lo cercò per l’unzione, sembrava impossibile e contraddittorio che un simile pastore-ragazzino potesse diventare il portatore della promessa di Israele. Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono – la Croce – corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità. La stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo.
Gregorio di Nissa, nelle sue omelie natalizie ha sviluppato la stessa visione partendo dal messaggio di Natale nel Vangelo di Giovanni: “Ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14). Gregorio applica questa parola della tenda alla tenda del nostro corpo, diventato logoro e debole; esposto dappertutto al dolore ed alla sofferenza. E la applica all’intero cosmo, lacerato e sfigurato dal peccato. Che cosa avrebbe detto, se avesse visto le condizioni, in cui si trova oggi la terra a causa dell’abuso delle energie e del loro egoistico sfruttamento senza alcun riguardo? Anselmo di Canterbury, in una maniera quasi profetica, ha una volta descritto in anticipo ciò che noi oggi vediamo in un mondo inquinato e minacciato per il suo futuro: “Tutto era come morto, aveva perso la sua dignità, essendo stato fatto per servire a coloro che lodano Dio. Gli elementi del mondo erano oppressi, avevano perso il loro splendore a causa dell’abuso di quanti li rendevano servi dei loro idoli, per i quali non erano stati creati” (PL 158, 955s). Così, secondo la visione di Gregorio, la stalla nel messaggio di Natale rappresenta la terra maltrattata. Cristo non ricostruisce un qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli. La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità. Così Natale è una festa della creazione ricostituita. A partire da questo contesto i Padri interpretano il canto degli Angeli nella Notte santa: esso è l’espressione della gioia per il fatto che l’alto e il basso, cielo e terra si trovano nuovamente uniti; che l’uomo è di nuovo unito a Dio. Secondo i Padri fa parte del canto natalizio degli Angeli che ora Angeli e uomini possano cantare insieme e in questo modo la bellezza del cosmo si esprima nella bellezza del canto di lode. Il canto liturgico – sempre secondo i Padri – possiede una sua dignità particolare per il fatto che è un cantare insieme ai cori celesti. È l’incontro con Gesù Cristo che ci rende capaci di sentire il canto degli Angeli, creando così la vera musica che decade quando perdiamo questo con-cantare e con-sentire.
Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto. Alla fine della nostra meditazione natalizia vorrei citare una parola straordinaria di sant’Agostino. Interpretando l’invocazione della Preghiera del Signore: “Padre nostro che sei nei cieli”, egli domanda: che cosa è questo – il cielo? E dove è il cielo? Segue una risposta sorprendente: “…che sei nei cieli – ciò significa: nei santi e nei giusti. I cieli sono, sì, i corpi più alti dell’universo, ma tuttavia corpi, che non possono essere se non in un luogo. Se, però, si crede che il luogo di Dio sia nei cieli come nelle parti più alte del mondo, allora gli uccelli sarebbero più fortunati di noi, perché vivrebbero più vicini a Dio. Ma non è scritto: ‘Il Signore è vicino a quanti abitano sulle alture o sulle montagne’, ma invece: ‘Il Signore è vicino ai contriti di cuore’ (Sal 34[33],19), espressione che si riferisce all’umiltà. Come il peccatore viene chiamato ‘terra’, così al contrario il giusto può essere chiamato ‘cielo’” (Serm. in monte II 5, 17). Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l’umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l’umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo. Amen. 

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