Archive pour décembre, 2010

buona notte, a domani, stasera sono un po’ stanca

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Publié dans:immagini...buona notte...e |on 6 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte e buona seconda domenica di Avvento

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Publié dans:immagini...buona notte...e |on 5 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia (05-12-2010) : La buona notizia del Dio vicino

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/21013.html

Omelia (05-12-2010) 
padre Ermes Ronchi

La buona notizia del Dio vicino

La frase centrale dell’annuncio del Battista suo­na così: il regno dei cieli è vicino, convertitevi. Sono le stesse parole con cui inizierà la predicazione di Ge­sù.
Dio è vicino, prima buona notizia. Il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze. Per ora, solo il profeta vede i passi di Dio. Ma «non è la Rivelazione che s’attarda / sono i nostri occhi non ancora pronti» (E. Dickinson).
Avvento è l’annuncio che Dio è vicino, vicino a tutti, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuo­va architettura del mondo e dei rapporti umani. Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è il nostro futuro che ci chiama. Noi andiamo chiamati dal futuro.
La seconda buona notizia: allora la mia vita cambia.
Ciò che converte il freddo in calore è la vicinanza del fuo­co. «Stare vicino a me è stare vicino al fuoco» (Vangelo a­pocrifo di Tommaso), non si torna indenni dall’incontro col fuoco. La forza che cambia le persone è una forza non umana, una forza immane, il divino in noi, Dio che viene, entra e cresce den­tro. Ciò che mi converte è un pezzetto di Cristo in me.
Convertitevi! Più che un ordine è una opportunità: cambiate strada, azioni, pen­sieri; con me il cielo è più vi­cino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi forti, e miele. Con me vivrai solo inizi. Vivrai vento e fuoco.
E frutti buoni. Rivelazione che nella vita il cambiamento è possibile sempre, che nessuna situazione è senza uscita, per grazia.
Il terzo centro dell’annuncio di Giovanni: portate frutti degni di conversione. Scrive Al­da Merini: la fede è una mano / che ti prende le viscere/ la fede è una mano / che ti fa partorire. Partorire un frutto buono!
Quando Dio si avvicina la vita diventa feconda e nessuno è più sterile. Dio viene al centro della vita non ai margini di essa (Bonhoeffer). Raggiunge e tocca quella misteriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come alberi forti, che permette speranze nonostante le macerie, frumento buono nonostan­te la erbe cattive del nostro campo. Viene nel cuore della vita, nella passione e nella fedeltà d’amore, nella fame di giustizia, nella tenacia dell’onestà, quando mi impegno a ridurre la distanza tra il sogno grande dei profeti e il poco che abbiamo fra le mani. Perché il peccato non è trasgredire delle regole, ma trasgredire un sogno. Un sogno grande come quello di Gesù, bello come quello di Isaia, al centro della vita come quello di Giovanni. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 4 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

DOMENICA 5 DICEMBRE 2010 – II DI AVVENTO A

DOMENICA 5 DICEMBRE 2010 - II DI AVVENTO A dans BIBLE SERVICE (sito francese) 15%20PAOLO%20JEAN%20BAPTISTE%20SE%20RETIRANT%20DANS%20LE%20SE

Mat-03,01-John the baptist_Jean Baptiste

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-03,01-John%20the%20baptist_Jean%20Baptiste/index4.html

DOMENICA 5 DICEMBRE 2010 – II DI AVVENTO A

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/avvento/avvA2Page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Rm 15,4-9
Gesù Cristo salva tutti gli uomini.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.  il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:
«Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

http://www.bible-service.net/site/377.html

Romains 15,4-9
La première phrase suit immédiatement une citation du psaume 68,10 appliquée au Christ pour évoquer notamment sa passion : Jésus « n’a pas recherché ce qui plaisait » il a lui-même trouvé dans l’Écriture lumière et force pour affronter sa mission en ces moments redoutables. Le psaume 68 est en effet le cri d’un homme persécuté appelant Dieu à son secours et accédant à la certitude pleine d’espérance que le Seigneur écoute et sauve. L’Écriture entretient l’espérance, en invitant à la « persévérance » (en aidant à rester fort sous l’épreuve), en donnant du courage (ou en « apportant réconfort »)Paul écrit cela devant les difficultés auxquelles la communauté de Rome, il le sait, est affrontée. Elle connaît des divisions, des incompréhensions qui blessent ; et Paul veut inviter les chrétiens à « s’accueillir les uns les autres. » Seule cette attitude « édifie », construit la communauté, réellement (v. 2). C’est la seule réponse authentique à l’amour sauveur de Dieu manifesté en Jésus Christ. On relèvera dans notre texte toutes les expressions qui visent directement cette situation : « Être d’accord entre vous selon l’esprit du Christ Jésus…Ainsi (à cette condition seulement) d’un même cœur, d’une même voix, vous rendrez gloire à Dieu…Accueillez-vous…comme le Christ…. »
Paul élargit le débat en évoquant « l’accueil » universel, proposé vraiment à tous les hommes, par le Dieu sauveur en Jésus. Les formules sont magnifiques pour parler d’une part des frères Juifs, témoins particuliers de la fidélité de Dieu à ses grandes promesses de salut ; d’autre part des frères d’origine païenne, témoins particuliers de la miséricorde infinie de Dieu.

Romani 15, 4-9
La prima frase segue immediatamente una citazione dal Salmo 68,10 applicato a Cristo per evocare soprattutto la sua passione: Gesù “non cercò di piacere a se stesso » (v. 3) egli stesso ha trovato nella Scrittura la luce e la forza per affrontare la sua missione nei momenti terribili (della prova). Il Salmo 68 è infatti il grido di un uomo perseguitato che chiama Dio in suo aiuto ed arriva  alla quella certezza piena di speranza che il Signore ascolta e salva. Scrittura sostiene la speranza, e, invitando a quella « perseveranza » (aiutando a rimanere forte sotto le prove), che dona il coraggio (o « portando conforto ») Paolo ha scritto questo per le difficoltà che la comunità di Roma, egli lo sa, si trova di fronte. Essa conosce la divisione, le incomprensioni che la feriscono, e Paolo vuole invitare i cristiani ad “accogliersi gli uni gli altri” (cfr .v.7). Solo questo atteggiamento edifica, costruisce comunità realmente (cfr. v. 2). Questa è l’unica risposta autentica dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo. Si osservano nel testo tutte le espressioni che riguardano direttamente questa situazione: « per avere gli stessi sentimenti ad esempio in Cristo Gesù … perché  (questa condizione solo) con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio… . Accoglietevi …come Cristo ….  » (vv.6-7)
Paolo allarga la discussione evocando “l’accoglienza” universale, offerta veramente a tutti gli uomini da Dio salvatore in Gesù. Le formule sono splendide per parlare con una parte dei fratelli Ebrei, testimoni particolari della fedeltà di Dio alle sue grandi promesse di salvezza, e con l’altra parte: i fratelli di origine pagana, testimoni particolari della
Misericordia infinita di Dio.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sul profeta Isaia» di Eusebio, vescovo di Cesarea.

(Cap. 40, vv. 3. 9; PG 24, 366-367)

Voce di uno che grida nel deserto
Voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3).
Dichiara apertamente che le cose riferite nel vaticinio, e cioè l’avvento della gloria del Signore e la manifestazione a tutta l’umanità della salvezza di Dio, avverranno non in Gerusalemme, ma nel deserto. E questo si è realizzato storicamente e letteralmente quando Giovanni Battista predicò il salutare avvento di Dio nel deserto del Giordano, dove appunto si manifestò la salvezza di Dio.
Infatti Cristo e la sua gloria apparvero chiaramente a tutti quando, dopo il suo battesimo, si aprirono i cieli e lo Spirito Santo, scendendo in forma di colomba, si posò su di lui e risuonò la voce del Padre che rendeva testimonianza al Figlio: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).
Ma tutto ciò va inteso anche in un senso allegorico. Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l’umanità. Questa infatti era un deserto completamente chiuso alla conoscenza di Dio e sbarrato a ogni giusto e profeta. Quella voce, però, impone di aprire una strada verso di esso al Verbo di Dio; comanda di appianare il terreno accidentato e scosceso che ad esso conduce, perché venendo possa entrarvi: «Preparate la via del Signore» (Ml 3, 1).
Preparazione è l’evangelizzazione del mondo, è la grazia confortatrice. Esse comunicano all’umanità al conoscenza della salvezza di Dio.
«Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme» (Is 40, 9).
Prima si era parlato della voce risuonante nel deserto, ora, con queste espressioni, si fa allusione, in maniera piuttosto pittoresca, agli annunziatori più immediati della venuta di Dio e alla sua venuta stessa. Infatti prima si parla della profezia di Giovanni Battista e poi degli evangelizzatori.
Ma qual è la Sion a cui si riferiscono quelle parole? Certo quella che prima si chiamava Gerusalemme. Anch’essa infatti era un monte, come afferma la Scrittura quando dice: «Il monte Sion, dove hai preso dimora» (Sal 73, 2); e l’Apostolo: «Vi siete accostati al monte di Sion» (Eb 12, 22). Ma in un senso superiore la Sion, che rende nota le venuta di Cristo, è il coro degli apostoli, scelto di mezzo al popolo della circoncisione.
Si, questa, infatti, è la Sion e la Gerusalemme che accolse la salvezza di Dio e che è posta sopra il monte di Dio, è fondata, cioè, sull’unigenito Verbo del Padre. A lei comanda di salire prima su un monte sublime, e di annunziare, poi, la salvezza di Dio.
Di chi è figura, infatti, colui che reca liete notizie se non della schiera degli evangelizzatori? E che cosa significa evangelizzare se non portare a tutti gli uomini, e anzitutto alle città di Giuda, il buon annunzio della venuta di Cristo in terra?

SABATO 4 DICEMBRE 2010 – I SETTIMANA DI AVVENTO A

SABATO 4 DICEMBRE 2010 – I SETTIMANA DI AVVENTO A

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato sui «Vantaggi della pazienza» di san Cipriano, vescovo e martire.   (Nn 13. 15; CSEL 3, 406-408)

Ciò che non vediamo, speriamo
«Chi persevererà sino alla fine sarà salvato» (Mt 10, 22; 24, 13): questo è comando salutare del nostro Signore e Maestro. E ancora: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31, 32).
Bisogna perciò avere pazienza e perseverare, fratelli carissimi, perché, ammessi alla speranza della verità e della libertà, possiamo davvero arrivare alla verità e alla libertà. Il fatto stesso di essere cristiani è questione di fede e di speranza; ma perché la speranza e la fede possano arrivare a portare frutto, è necessaria la pazienza.
Noi non miriamo infatti alla gloria presente, ma alla futura, secondo quanto ammonisce l’apostolo Paolo, quando dice: «Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8, 24-25). L’attesa e la pazienza sono necessarie perché portiamo a compimento quello che abbiamo cominciato a essere e raggiungiamo quello che speriamo e crediamo perché Dio ce lo rivela.
In un altro passo lo stesso Apostolo, rivolgendosi ai giusti e a coloro con le buone opere e mettendo a frutto i doni ricevuti si procurano tesori per il cielo, insegna loro a essere pazienti dicendo: «Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede. E non stanchiamoci di fare il bene, e a suo tempo mieteremo» (Gal 6, 10. 9).
Egli ammonisce tutti a non venir meno nell’operare per mancanza di pazienza; nessuno distolto e vinto dalle tentazioni, desista nel bel mezzo del cammino della lode e della gloria, e rovini così le azioni precedentemente compiute, perché non porta a compimento quelle incominciate.
Infine l’Apostolo, parlando della carità, le unisce anche la sopportazione e la pazienza: «La carità», dice, «è paziente; è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, … non si adira, non tiene conto del male ricevuto. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13, 4-5). Egli ci fa vedere così che essa può perseverare tenacemente per il fatto che sa sopportare tutto.
E altrove: «Sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4, 2). Con ciò ha voluto dimostrare che non si può conservare né l’unità né la pace se i fratelli non si sostengono vicendevolmente con la mutua sopportazione e non serbano il vincolo della concordia con l’aiuto della pazienza.

VENERDÌ 3 DICEMBRE 2010 – I SETTIMANA DI AVVENTO A

VENERDÌ 3 DICEMBRE 2010 – I SETTIMANA DI AVVENTO A

SAN FRANCESCO SAVERIO (m)

Seconda Lettura
Dalle «Lettere» a sant’Ignazio di san Francesco Saverio, sacerdote
(Lett. 20 ott. 1542, 15 gennaio 1544; Epist. S. Francisci Xaverii aliaque eius scripta, ed. G. Schurhammer I Wicki, t. I,
Mon. Hist. Soc. Iesu, vol. 67, Romae, 1944, pp. 147-148; 166-167)
 
Guai a me se non predicherò il Vangelo!
Abbiamo percorso i villaggi dei neofiti, che pochi anni fa avevano ricevuto i sacramenti cristiani. Questa zona non è abitata dai Portoghesi, perché estremamente sterile e povera, e i cristiani indigeni, privi di sacerdoti, non sanno nient’altro se non che sono cristiani. Non c’è nessuno che celebri le sacre funzioni, nessuno che insegni loro il Credo, il Padre nostro, l’Ave ed i Comandamenti della legge divina.
Da quando dunque arrivai qui non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l’hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l’Ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli.
Perciò, non potendo senza empietà respingere una domanda così giusta, a cominciare dalla confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnavo loro il Simbolo apostolico, il Padre nostro e l’Ave Maria. Mi sono accorto che sono molto intelligenti e, se ci fosse qualcuno a istruirli nella legge cristiana, non dubito che diventerebbero ottimi cristiani.
Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d’Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno!
Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti!
In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e, messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: «Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?» (At 9, 6 volg.). Mandami dove vuoi, magari anche in India.

GIOVEDÌ 2 DICEMBRE 2010 – I SETTIMANA DI AVVENTO A

GIOVEDÌ 2 DICEMBRE 2010 – I SETTIMANA DI AVVENTO A

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sul Diatèssaron» di sant’Efrem, diacono
(Cap. 18, 15-17; dalla versione armena del CSCO, t. 2, 188-190)

Vegliate: egli di nuovo verrà
«Nessuno conosce quell’ora, neanche gli angeli, neppure il Figlio» (Mt 24, 36). Disse questo per impedire che i discepoli lo interrogassero ancora sul tempo della sua venuta. «Non spetta a voi», disse, «conoscere i tempi e i momenti» (At 1, 7). Egli nascose la cosa perché fossimo vigilanti e ognuno di noi ritenesse che il fatto può accadere ai nostri stessi giorni. Se infatti fosse stato rivelato il tempo della sua venuta, il suo avvento sarebbe rimasto senza mordente, né la sua manifestazione avrebbe costituito oggetto di attesa delle nazioni e dei secoli. Disse perciò semplicemente che sarebbe venuto, ma non determinò il tempo, e così ecco che in tutte le generazioni e nei secoli si mantiene viva la speranza del suo arrivo.
Benché infatti il Signore abbia indicato i segni della sua venuta, tuttavia non si comprende la loro ultima scadenza, poiché attraverso molteplici mutazioni essi vennero, passarono e sono tuttora in atto. La sua ultima venuta infatti è simile alla prima. Come lo attendevano i giusti e i profeti, perché pensavano che si sarebbe rivelato ai loro giorni, così oggi i fedeli desiderano accoglierlo, ognuno nel proprio tempo, appunto perché egli non indicò chiaramente il giorno della sua visita; ciò soprattutto perché nessuno pensasse che fosse sottomesso a costrizione e a tempi colui che ha il libero dominio di ritmi e dei tempi. Ciò che lui stesso ha stabilito, come poteva essergli nascosto, dal momento che egli stesso ha manifestato perfino i segni della sua venuta?
Disse dunque: «Non lo so», anzitutto per impedire che lo interrogassero ancora, e poi perché risultassero efficaci i segni indicati. Mise in risalto quei segni perché fin dall’inizio tutti i popoli e tutti i tempi avessero motivo di pensare che la sua venuta si sarebbe potuta verificare ai loro giorni.
Vegliate, perché, quando il corpo s’addormenta, ha in noi il sopravvento la natura, e la nostra azione non si svolge secondo la nostra volontà, ma si compie secondo un impulso inconscio. E quando il torpore, cioè la viltà e la trepidazione, domina l’anima, prende dominio su di lei il nemico e fa per suo mezzo ciò ch’essa non vuole. Sulla natura domina una forza bruta e sull’anima domina il nemico.
Pertanto la vigilanza di cui parlò il Signore nostro è prescritta per ambedue: per il corpo, perché non si abbandoni a pesante sonno; per l’anima, perché non cada nel torpore della pusillanimità, secondo quel che dice la Scrittura: «Siate vigilanti, o giusti» (cfr. 1 Cor 15, 34), e: «Mi sono alzato e sono con te (cfr. Sal 138, 18), e ancora: «Non lasciatevi stancare, e perciò non desistiamo nel ministero che ci è stato affidato» (cfr. 2 Cor 4, 1).

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