Archive pour décembre, 2010

Hanukkah e il Talmud – di: Rav Elio Toaff ( Rabbino emerito di Roma)

dal sito:

http://www.e-brei.net/old/modules.php?name=News&file=article&sid=575

Hanukkah e il Talmud

Rav Elio Toaff ( Rabbino emerito di Roma)

Postato il Venerdì, 19 dicembre (non trovo la data, presumo di qualche anno fa)

 Nel Talmud ci si domanda perché la festa di Hanukkah duri otto giorni malgrado che il miracolo dell’olio si sia prolungato per solo sette giorni. Tanto i Rishonim che gli Acharonim hanno spiegato il fatto così: il primo giorno lo destinarono alla festa per aver trovato l’olio del Cohen Gadol e gli altri alla celebrazione del miracolo dell’olio. Invece altri spiegano che il primo giorno fu dedicato alla ripresa del servizio divino che i Greci avevano proibito. Fra i Rishonim c’è però anche chi afferma che gli otto giorni furono stabiliti perché i Greci avevano proibito la milà, che – come prescritto – si fa a otto giorni dalla nascita oppure per far durare la festa quanto la festa di Succot, che è la più lunga del calendario.

Quando si mandavano messi per annunziare il nuovo mese « Al pi ha-reaià » essi uscivano anche nel mese di Kislev per annunciare Hanukkah a chi abitava più lontano. Fra gli Acharonim c’è chi sostiene che laddove non arrivavano i messi del Bet Din, si festeggiava Hanukkah per nove giorni per il dubbio, come per i derabbanan non si deve essere rigorosi perché, dal momento che il dubbio è se si tratti del primo giorno di Hanukkah e il nono giorno non è più Hanukkah, o viceversa, se si vuole facilitare non sarebbe Hanukkah né il primo giorno né il nono, ma certamente uno dei due lo sarebbe, pertanto si propende per essere rigorosi e stabilire Hanukkah di nove giorni.
Oggi ci si regola facendo precisi calcoli e si fanno ancora due giorni di festa nella golà per disposizione dei Hachamim. I Rishonim hanno scritto che non si fanno più nove giorni di Hanukkah ma solo otto perché essi stessi hanno stabilito così. In Arachim 10b è scritto che Hanukkah non è considerata né moed né jom tov. Ma c’è chi sostiene che esiste nella Torà un remez riguardo Hanukkah, perché alla fine della parashà dei moadot dice: « Elle em moadai ». E ancora alla fine della parashà dei moadot è detto: « Prenderanno per te olio di oliva puro », e dal momento che la Torà lo prescrive con i moadot, se ne deduce che si tratta di un jom tov come tutti gli altri.
E fra gli Acharonim c’è chi scrive, seguendo l’opinione dei Rishonim, che malgrado le mizvot che si usano di Hanukkah, come l’accensione delle luci e l’Hallel, siano tutte di prescrizione rabbinica, il fondamento della festa invece deriva dalla Torà, e cioè di ricordare, non fare espèd né digiuno in quanto è prescritto di fissare un giorno festivo per ogni miracolo avvenuto. E a maggior ragione quando si tratta dell’uscita dall’Egitto che fu l’uscita dalla schiavitù alla libertà, e quando uscirono dalla morte alla vita.
I Hachamim hanno stabilito quello che si deve fare per celebrare l’avvenimento, per cui si può affermare che Hanukkah è prescrizione derivata dalla Torà mentre la sua spiegazione e la sua celebrazione sono di origine rabbinica.
Per quel che riguarda il fatto che questi giorni vengano chiamati Hanukkah, i Rishonim hanno scritto che si tratta di Hanuccat Hamizbeach, l’altare che era stato distrutto è ora ricostruito. Si è anche detto che gli Asmonei avrebbero nascosto le pietre dell’altare che i Greci avevano reso impure. Essi spiegarono: vennero gli invasori e lo profanarono. Quando gli stranieri entrarono nel Santuario i suoi oggetti sacri si trasformarono in oggetti profani, e gli stranieri li potevano acquistare come se non fossero mai appartenuti ad alcuno, quando essi li adoperarono per il loro culto, allora divennero Avodà Zarà e quindi proibiti. Qualcuno ha sostenuto che anche gli oggetti del culto si dovevano fare nuovi o quantomeno si doveva cambiare il loro aspetto e si dovevano riconsacrare indirizzandoli verso il culto (facendo hinuch baavodà) pertanto hanno chiamato quei giorni col nome di Hanukkah.
Altri hanno sostenuto che il nome Hanukkah deriva dal fatto che il Tempio fu rinnovato (hanukat habait hinuch habait) e reso atto al culto perché i Greci avevano reso impuro il Santuario, i suoi atrii e tutti gli oggetti santi che poi gli Asmonei purificarono e fecero di Hanukkah l’inizio della loro educazione al servizio divino, hinuch baavodat habait, come fece Mosè.
Infatti è detto nel Midrash (Shibbolè Halleket): Diceva R. Haninà: il 25 di Kislev fu completata l’opera del Mishkan e da allora ha detto Kadosh Baruch Uh. Io devo pagare; e che cosa ha pagato? La Hanukkah degli Asmonei. Hanno detto: perché è stata posta la Parashà degli Asmonei. Hanno detto: perché è stata posta la Parashà di Beaalotehà vicino alla Hanukkah dei principi, hanukat hanesiim? Perché Levi protestava perché non gli era stato concesso di offrire sacrifici. Gli disse K.B.U.: per loro non c’era che un giorno per ogni principe mentre la tua Hanukkah sarà per otto giorni e per tutte le generazioni.
C’è anche un’altra spiegazione per il nome di Hanukkah. Il Notarikon è 25 – 25 hanu ‘caf’ ‘hei’ che equivale a dire che « si fermarono il 25″ di Kislev. E c’è anche chi spiega che si fermarono dal procedere verso la guerra. E cioè tutto il giorno, perché il 24 non si fermarono se non di sera e allora accesero le luci. C’è chi spiega questa fermata a causa della proibizione di lavorare ed hanno appoggiato a questo l’uso di non lavorare quando le fiammelle sono accese. E c’è chi spiega « si fermarono il 25″ con il fatto che il 25 del mese dovranno cominciare l’accensione dei lumi di Hanukkah oppure che in questo giorno la Shechinà si fermò su Israel. C’è chi ha spiegato che il nome Hanukkah sono le iniziali: H=8 N=Nerot e la regola è secondo Hillel.
Uomini donne, proseliti, servi affrancati sono tutti obbligati ad accendere la Hanukkah. R. Jeoshua ben Levi ha detto: le donne sono obbligate ad accendere la Hanukkah malgrado sia un precetto affermativo che viene a data fissa per cui le donne dovrebbero essere esonerate. Ma esse furono direttamente coinvolte nel miracolo perché i Greci avevano stabilito il jus primae noctis per il loro principe e fu una donna che rese possibile il miracolo perché la figlia di Johanan tagliò la testa del principe e tutti i nemici fuggirono.
Un’altra versione dice invece che la sorella di Giuda Maccabeo si mise un velo durante il matrimonio, Giuda si interessò di lei e da quel momento ebbero la meglio sui Greci. La solidarietà familiare ritrovata ebbe questo effetto.
I servi cananei che non sono affrancati sono esentati dall’obbligo di accendere la Hanukkah, perché la loro regola è come quella delle donne che sono esentate da tutte le mizvot affermative che cadono in tempi determinati; per loro non c’è ragione di applicare quanto è stato stabilito per le donne, che sono state invece obbligate ad accendere la Hanukkah perché ebbero parte nel miracolo.
La donna che accende la Hanukkah fa uscire d’obbligo anche gli uomini dal momento che è obbligata a seguire quella mizwà e la base del miracolo si trova nell’azione di una donna. Fra i Rishonim però c’è chi nega che la regola sia questa.
Il precetto di Hanukkah è molto importante e vi si deve prestare molta attenzione per diffondere la conoscenza del miracolo e per aumentare ancor più le lodi e i ringraziamenti al Signore per i miracoli che ha fatto per noi. Diceva Rav Unà: se un individuo è attento e scrupoloso con il lume di Hanukkah, ornandolo, curandolo per renderlo più bello (dato che è prescritto di fare così, ma non è un obbligo) avrà figli talmidè chahamim perché è scritto: poiché la mizwà è un lume e la Torà è luce attraverso il lume di Hanukkah scende su di lui la luce della Torà.

AMBROGIO “VI PASCE, VI GOVERNA, VI CUSTODISCE, VI DIFENDE” (Card. Tettamanzi – 7 dicembre 2010)

dal sito:

http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/pontificale_ambrogio.pdf

Solennità di sant’Ambrogio

Omelia

Dionigi card. Tettamanzi 
Arcivescovo di Milano

Milano -Sant’Ambrogio, 7 dicembre 2010

AMBROGIO “VI PASCE, VI GOVERNA, VI CUSTODISCE, VI DIFENDE”

Carissimi, ci ritroviamo ancora una volta in questa splendida basilica per celebrare la festa di sant’Ambrogio, nostro Patrono.

L’importanza di una data

La liturgia ci invita a ricordare di lui una data particolare, il 7 dicembre 374, la data della sua ordinazione episcopale, che lo stesso santo festeggiava con grande intensità d’affetto sentendosi profondamente legato alla sua comunità cristiana – così diceva – con un vincolo parentale, di carattere familiare, anzi paterno-filiale: come vescovo lui diventava “padre” dei cristiani di Milano; ma erano stati i cristiani di Milano a chiamarlo all’episcopato, e dunque egli si sentiva in qualche modo anche loro “figlio”. Così, a partire dal comandamento “Onora tuo padre e tua madre”, Ambrogio scriveva in occasione dell’anniversario della sua ordinazione episcopale: “E’ bello che per me, oggi, si legga l’inizio della Legge, quando è il giorno natalizio del mio episcopato; infatti sembra quasi che ogni anno l’episcopato ricominci daccapo quando si rinnova con la stagione del tempo. Bello è anche quanto si legge: ‘Onora tuo padre e tua madre’; voi, infatti, siete per me come i genitori, perchè mi avete dato l’episcopato; voi, ripeto, siete come figli o genitori, uno per uno figli, tutti insieme genitori…” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, VIII, 373). Ora come il legame che esiste tra padre e figlio non può essere sciolto o spaccato in alcun modo perché ha le sue radici nella natura stessa delle cose, così anche il legame tra Ambrogio e la Chiesa è diventato, lungo la storia, un legame infrangibile, a tal punto che il nostro Patrono – caso veramente quasi unico nella storia – ha dato il proprio nome alla sua stessa Chiesa: la Chiesa Ambrosiana.
Ed è per questo che da sedici secoli, in maniera ininterrotta, la nostra Chiesa celebra la Festa del 7 dicembre non solo con grande solennità, ma anche con grande affetto: l’affetto dei figli verso il proprio Padre, dal quale prendono il nome di ambrosiani, hanno ricevuto la retta fede in Cristo Signore, vero Dio e vero Uomo, hanno avuto in regalo un particolare rito liturgico, che in alcuni elementi qualificanti affonda le sue radici proprio nell’opera pastorale e negli insegnamenti di sant’Ambrogio; e nel contempo l’affetto di una Chiesa fiera e gioiosa di venerare oggi, quasi con amore materno e paterno insieme, il più illustre dei propri figli. Tocca a noi continuare a tenere viva e feconda la devozione della nostra Chiesa verso sant’Ambrogio, rendendo lode e grazie al Signore che l’ha donato a noi e all’intera Chiesa, invocando con fiducia il suo aiuto sul nostro cammino, impegnandoci ad imitare la sua passione pastorale e il suo slancio spirituale alla luce degli insegnamenti e della testimonianza di vita che ci ha lasciato. Nella lunga storia della devozione a sant’Ambrogio ha avuto un posto speciale un suo grande successore sulla medesima cattedra di Milano, san Carlo Borromeo. Lo ricordo in questo anno nel quale la nostra Diocesi celebra il IV centenario della sua canonizzazione (1610-2010). E così di nuovo, proprio oggi, troviamo un altro 7 dicembre: quello del 1563 quando il giovane cardinale Carlo Borromeo, già nominato dallo zio papa Pio IV amministratore apostolico della Diocesi di Milano, riceve l’ordinazione episcopale. Subito si fa spontanea la domanda: questa data è casuale oppure viene scelta dal Borromeo? Sappiamo che egli l’ha voluta di proposito con preciso riferimento a sant’Ambrogio e che da quel giorno ha incominciato a celebrare la liturgia secondo il rito ambrosiano. E’ dunque una scelta di grande significato simbolico: in questo modo il Borromeo intendeva inserirsi pienamente nella tradizione viva della Chiesa di Milano, che in sant’Ambrogio riconosce il proprio momento “fontale; e assumendo da quel 7 dicembre il rito ambrosiano egli intendeva accogliere la tradizione liturgica della nostra Chiesa come un tesoro, un dono prezioso, un’eredità da custodire, far crescere e fermentare, così da poterla trasmettere arricchita alle generazioni di ambrosiani che si sarebbero succedute nel futuro. Potremmo allora dire che in Carlo Borromeo, il 7 dicembre 1563, si ripeteva quello che era avvenuto per Ambrogio il 7 dicembre 374: veniva a crearsi anche per lui un rapporto infrangibile con la Chiesa di Milano, un rapporto paterno-filiale: quel giorno, ricevendo l’ordinazione episcopale e assumendo il rito ambrosiano, da un lato veniva generato come “figlio” della tradizione ambrosiana e dall’altro come “padre” della Chiesa di Milano. E negli anni successivi – 19 anni, brevi ma intensi – sarebbe diventato con la sua opera di riforma, la sua carità illuminata, il suo stile di governo prudente ed efficace, un padre eccellente, il prototipo stesso del vescovo in cura d’anime.

Un altro sant’Ambrogio
Ad un altro particolare interessante vorrei fare cenno, in occasione dell’ingresso del Borromeo in Milano come nuovo arcivescovo, avvenuto nel 1565. Secondo alcuni biografi di san Carlo, durante il suo ingresso in Diocesi, si sarebbe udita tra la folla questa specie di profezia popolare: «Costui sarà un altro sant’Ambrogio!». Forse la notizia non è verificabile dal punto di vista storico; una cosa però è certa: e cioè che san Carlo si era esplicitamente proposto di imitare l’opera pastorale di sant’Ambrogio, applicandola ai propri tempi e alle necessità della Chiesa del Cinquecento. La controprova ci è offerta dal fatto che, subito dopo la sua morte, nel 1584, e in vista della sua canonizzazione, divenne spontaneo per i biografi parlare di Carlo Borromeo come di un sant’Ambrogio “redivivo”, come colui che aveva fatto rivivere nell’oggi la vita, le virtù pastorali, la spiritualità dell’antico Patrono. Un grande amico e ammiratore di san Carlo, il cardinale Agostino Valier vescovo di Verona, ci ha lasciato – con un’accurata serie di parallelismi – un’interessante rilettura della vita e dell’opera del Borromeo a partire dalla vita e dall’opera di sant’Ambrogio. Entrambi nacquero da famiglia nobile, ma entrambi non tennero conto della propria nobiltà d’origine; la morte di Satiro, fratello di Ambrogio, rappresentò una svolta nella sua vita, analogamente a quanto accadde per Carlo alla morte del fratello maggiore Federico, quando visse un momento di travaglio interiore che lo portò a una vera e propria “conversione”; entrambi manifestarono grande amore e passione per la Sacra Scrittura; le insidie della corte imperiale che giunsero fino a mettere Ambrogio in pericolo di vita possono essere messe in parallelo con il celebre attentato a san Carlo e con il colpo di archibugio andato a vuoto; le riforme liturgiche di Ambrogio sono richiamate dalla riforma del rito ambrosiano voluta dal Borromeo e in parte da lui portata a termine; Ambrogio che scomunica i potenti (l’allusione è alla penitenza di Teodosio) è accostato alle tensioni e agli scontri tra Carlo e l’autorità spagnola di Milano; gli epistolari di entrambi rivestono grande e analoga importanza; analoga per entrambi fu la scelta di una vita ascetica, con veglie e digiuni; analoga in entrambi fu la sollecitudine per la Chiesa e la lotta per la sua libertà e il suo onore; analogo fu l’amore per
i poveri e il culto per l’amore della povertà; immediata per entrambi fu la venerazione, dopo la morte, da parte del popolo, grazie a una diffusa fama sanctitatis. Il cardinale Valier poteva terminare questa “tavola comparativa” con queste parole: «Il Signore Dio in Carlo Borromeo ha fatto rivivere le stesse virtù che brillarono in sant’Ambrogio!».
In ascolto della parola di san Carlo su sant’Ambrogio
Vogliamo ora metterci in diretto ascolto di san Carlo e chiedergli che sia lui stesso a parlarci brevemente di sant’Ambrogio. Non è questo un sogno, bello ma impossibile; è una realtà che viene dal fatto che ci sono state conservate due omelie tenute da san Carlo proprio come oggi, il 7 dicembre, in occasione della festa del santo Patrono: la prima è del 1567 – due anni dopo il suo ingresso – e fu pronunciata in questa stessa basilica; la seconda è del 1583 – un anno prima della sua morte – e fu tenuta a Bellinzona, nel Canton Ticino. Ci soffermiamo sulla prima omelia, che commenta la pagina di vangelo che abbiamo ascoltato poco fa e che la tradizione ambrosiana da sempre propone per la festa di sant’Ambrogio: la pagina del buon Pastore (Gv 10,1116). Tutta l’omelia del Borromeo è una commossa contemplazione e un inno stupendo al dono pastorale di Gesù, all’interiore fuoco della sua carità di Buon Pastore. Possiamo riascoltare da questa omelia alcune delle espressioni più significative. “Veramente è buono Pastore Cristo, e ha dimostrato ed esercitato notabilmente la bontà e carità sua Pastorale: Bonus Pastor animam suam ponit pro ovibus suis (il buon pastore dà la propria vita per le pecore). Questa è la legge della perfezione Pastorale, che spenda il pastore sino la vita, se è bisogno, per la salute del suo gregge, e par che non si possa fare di più di questo, perché diceva Cristo altrove: Majorem caritatem nemo habet, quam ut animam suam ponat pro amicis suis (Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici); pure ha trovato modo l’ineffabile bontà sua di eccedere questa perfezione, che ha posto la vita per i nemici: ha patito trentatré anni in questa vita tanti stenti quanti ognuno sa, e finalmente la morte in Croce per la salute di un gregge ribelle e contumace; ed è stata volontaria e spontanea questa dimostrazione, perché egli stesso la testifica nel testo Evangelico, parlando della sua vita: Nemo tollit eam a me, sed ego pono eam a me ipso (nessuno me la toglie: io la do da me stesso), ed il Profeta Isaia: Oblatus est, quia voluit (è stato offerto, perché lui stesso l’ha voluto)… Ma esso va più oltre scoprendo la carità sua Pastorale verso il gregge: Ego cognosco oves meas (Io conosco le mie pecore)… non vede solo di fuori, ma penetra diligentemente sino ai pensieri occultissimi. Questo è ufficio di Pastori, indagar con ogni studio la vita e i costumi ad una ad una delle sue pecorelle; questo accennò Cristo poco innanzi, quando parlando pur dell’ufficio del Pastore disse: Et vocat eas nominatim (e le chiama per nome)…”. San Carlo è molto chiaro nell’inculcare l’idea che sempre e in ogni caso è Gesù Signore l’unico e vero Buon Pastore che guida, regge, nutre e fa crescere il suo gregge, che è la santa Chiesa. Ma è altrettanto chiaro nel dire che l’opera pastorale di Cristo si esplica e si concretizza nella storia attraverso i ministri che egli sceglie e invia a rappresentarlo: e Ambrogio è stato eccellente ministro, è colui attraverso il quale Cristo Signore si è reso presente come il Buon Pastore che guida la Chiesa di Milano. Infatti come Cristo ha dato la sua vita per la Chiesa, così ha fatto Ambrogio, spendendo tutto se stesso e non risparmiandosi neppure davanti al rischio di mettere in pericolo la propria persona e la propria incolumità fisica; così come si è speso totalmente in un’attività pastorale di cui il Borromeo passa in rassegna i principali momenti: l’insegnamento costante al popolo attraverso la predicazione, l’amministrazione assidua e fedele dei sacramenti, l’attività teologica attraverso la pubblicazione dei suoi scritti a difesa della retta fede cattolica contro le deviazioni dell’eresia, la difesa coraggiosa davanti ai potenti di questo mondo dei diritti di Dio e della sua legge e della libertà della Chiesa, la fondazione di stabili e durature istituzioni ecclesiastiche, l’opera missionaria tesa al recupero, all’interno della vera Chiesa di Cristo, di chi si era smarrito, come dimostra il caso emblematico della conversione di sant’Agostino. Infine, riprendendo una idea già presente nelle antiche biografie di sant’Ambrogio, anche san Carlo lo paragona alla figura biblica di Elia, proponendo quindi il grande vescovo di Milano come figura profetica per la Chiesa di ogni tempo. Interessante è il punto dell’omelia in cui san Carlo, rivolgendosi ai milanesi del suo tempo e dopo aver passato in rassegna le virtù cristiane e pastorali di sant’Ambrogio, conclude con queste parole: «Ambrogio vi pasce, vi governa, vi custodisce, vi difende». Credo che non sia un caso che il Borromeo, per indicare la presenza di Ambrogio alla guida della sua Chiesa, abbia usato i verbi al presente: li ha usati lui quattrocento anni fa, ma li possiamo usare anche noi oggi, all’inizio del terzo millennio: Ambrogio ancora oggi “ci pasce e ci governa” con il suo insegnamento sempre vivo, incisivo ed efficace, e con gli esempi luminosi e incoraggianti della sua attività pastorale; ancora oggi il santo Vescovo di Milano “ci custodisce e ci difende” con la sua intercessione preziosa e paterna. Potrà così diventare realtà il duplice augurio che Benedetto XVI ci rivolge nella lettera inviata per il centenario della canonizzazione di san Carlo. Il primo è per i sacerdoti: “Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Patroni”. Il secondo è per i giovani: “Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi” (Lumen caritatis, 1° novembre 2010).

Omelia (09-12-2010) : La grandezza di Giovanni Battista

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20101209.shtml

Omelia (09-12-2010) 
Monaci Benedettini Silvestrini

La grandezza di Giovanni Battista

Il contesto in cui il profeta Isaia si rivolge al popolo di Israele è quello dell’esilio. La sua consistenza dell’essere popolo di Dio è ridotta al minimo. Potrebbe paragonarsi a un vermiciattolo che striscia per terra, a una larva, a gente tormentata dall’arsura, impotente a soddisfare la propria sete. Eppure da queste rovine l’oracolo annuncia una rinascita tanto grande e imponente da potersi paragonare a una trebbia, capace di stritolare monti e colli, da ridurli in pula dispersa dal vento tutti i suoi nemici. Il deserto stesso sarà reso fertile da fiumi dalle acque abbondanti e, da colline brulle e senza vita, sgorgheranno di fresche sorgenti. Ma tutto questo lo farà la potenza del Signore a cui devono essere resi onore e gloria. Gli oppressori di ieri diventano polvere del tempo vaticinato. La risposta a questo cambiamento viene come ringraziamento dal salmo 144. « O Dio, mio re, aoglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre ». La profezia si realizzerà con la liberazione dalla schiavitù di Babilonia; ma non è difficile leggervi la venuta in mezzo a noi del Figlio di Dio, capace di togliere ogni ingiustizia e oppressione. Per lunghi secoli Israele ha vissuto il tempo dell’attesa e della preparazione. Con Giovanni Battista si avvicina il tempo della realtà che è già all’opera. Infatti Gesù esalta la persona del precursore; annuncia anche che il nuovo regno soffrirà violenza come è successo per i profeti, per Elia, la cui missione Giovanni sta svolgendo. I violenti non tarderanno a farlo tacere. Noi viviamo nella pienezza dell’era della salvezza. A volte forse le vicissitudini della vita ci portano a affrontare situazioni di umiliazione, di sofferenza, di lotta, perfino di sconfitta dinanzi al nemico dell’anima: il mondo incredulo e il demonio. Abbiamo però fiducia che la potenza del Signore e del suo Spirito è più forte di ogni nemico. Ci sarà la libertà per quanti confidano in Dio. Anzi ci si assicura che in mezzo a persecuzioni e contrasti, nemmeno un capello cadrà da nostro capo. Dovremmo esperimentare con San Paolo: quanto più mi sento debole perché diffido delle mie forze, tanto più divento forte per la fiducia nella potenza redentrice del Signore. 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 9 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte e buona festa dell’Immacolata

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Publié dans:immagini...buona notte...e |on 8 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Immacolata Concezione di Maria

Immacolata Concezione di Maria dans immagini sacre

http://maryvictrix.wordpress.com/category/lepanto/

Publié dans:immagini sacre |on 7 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

PIO IX E L’IMMACOLATA (STORIA DEL PRIVILEGIO MARIANO DA DUNS SCOTO AL VEN. PIO IX)

dal sito:

http://www.papapionono.it/immacolata.html

PIO IX E L’IMMACOLATA

a) STORIA DEL PRIVILEGIO MARIANO DA DUNS SCOTO AL VEN. PIO IX

di ANGELO MENCUCCI

Quando Pio IX,1’8 Dicembre 1854 proclamò il Dogma dell’Immacolata come verità rivelata da Dio, il protestante razionalista Harnach scrisse una frase spiritosa e incredula: « Ma quando, e perché, e da chi? ».
Sono espressioni ironiche, pertubanti, ma possono essere motivo anche per i credenti di ricordare la lunga, sofferta ricerca teologica di questo privilegio di Maria SS. sino alla formulazione definitiva e infallibile della chiesa.
La verità della Immacolata Concezione era già patrimonio della fede orientale e della prima festa sotto questo titolo sin dal secolo VI e VII. Nella Chiesa latina sin dal mille.
Ma lo studio sulla Immacolata divenne calda materia nel periodo della Scolastica: vi sono stati Santi, Dottori della Chiesa, Università Teologiche pro e contro questa verità; il primo grande difensore dell’Immacolato concepimento di Maria, fu il francescano Duns Scoto (di cui in questo anno si celebra il 6• Centenario della sua Professione religiosa).

Giovanni Duns Scoto, il « Doctor subtilis », il Cavaliere dell’Immacolata

Era nato a Duns in Scozia nel 1265 o 1266.

Entrò nell’ordine Francescano ed ebbe per maestro negli studi teologici Guglielmo Ware (o Varrone), uno dei fautori appassionati dell’immacolata concezione. Scoto succedette al suo maestro nella cattedra di Oxford, e quivi cominciò a propugnare la sentenza immaculista. Da Oxford passò poi a Parigi, ed ebbe il dottorato ed il magistero alla Sorbona. Il maestro di Scoto pure, Ware, insegnò a Parigi, ma non sembra che abbia avuto occasione di sostenere pubblicamente, ed in maniera che destasse la comune attenzione, il privilegio di Maria. Il primo che richiamò l’attenzione generale sull’immacolata concezione, e l’impose al rispetto di molti fu dunque Scoto. Ciò avvenne nei primi del 1300. Pochi anni più tardi, un fiero avversario del privilegio della Vergine, il domenicano Gerardo Renier, chiamava Scoto « il primo seminatore di questo errore, (dell’opinione cioè immaculista). – Scoti, primi seminatoris hujus erroris, vel secundum Augustinum, falsae aequivalenter hujus haereticae pravitatis ». Ciò avveniva nel 1350, e queste parole, nessuno oserebbe negarlo, costituiscono, a riguardo di Scoto, una testimonianza di primo ordine.
A proposíto dell’influsso che ebbe Scoto sul trionfo della dottrina dell’Immacolata Concezione, divenne più tardi popolare il racconto di una sua meravigliosa disputa sostenuta a Parigi per ordine della S. Sede ed alla presenza dei delegati di lei, allo scopo di dissipare tutte le ombre che nelle scuole si venivano accumulando contro l’insigne privilegio della Madre di Dio.
Bernardino da Bustis nell’Officio cla lui composto in onore di Maria Immacolata, ed approvato da Sisto IV nel 1480 ne parla nei seguenti termini: « Vi fu un tempo in cui certi religiosi si accesero di tanto accanimento contro l’Immacolata Concezione, che chiamavano eretici i frati dell’Ordine dei Minori, perché nella loro predicazione sostenevano essere stata la Madre di Dio concepita senza peccato. Su questo argomento fu per ordine della Sede apostolica tenuta una pubblica disputa nello studio di Parigi (Sorbona). Gli accennati accusatori vi intervennero con un numero addirittura straordinario dei loro dottori. Ma N. Signore a protezione della dignità della diletta sua Madre, d’improvviso destinò a quella città Scoto esimio dottore dell’Ordine dei Minori, ed egli confutati tutti i fondamenti e gli argomenti dell’avversario con ragionamento inconfondibile, fece brillare di tanta luce la santità della concezione della Madonna, che tutti quei frati, pieni di ammirazione per la sua sottigliezza si racchiusero nel silenzio e cessarono dalla disputa. Di conseguenza l’opinione dei Minori fu approvata dallo studio di Parigi. Scoto poi fu per questo denominato il Dottor sottile ».
La disputa ebbe luogo o verso la fine del 1307, o sul principio del 1308. Scoto sarebbe allora venuto espressamente a Parigi da Oxford. Arrivato il giorno del grande atto Sorbonico, come si chiamava allora la disputa, mentre Scoto si avviava al luogo della discussione, si prostrò davanti ad una statua della Vergine che si trovava sul suo passaggio, e le indirizzò questa preghiera: Dignare me, laudare te, Virgo sacrata: da mihi virtutem contra hostes tuos. La Vergine, ad attestare il gradimento di questo atto, inclinò il capo: posizione questa che avrebbe poi conservata anche in seguito.
Incominciata la disputa, gli avversari scrosciarono su Scoto una vera gragnuola di argomenti. Non se ne contarono meno di duccento. Scoto li ascoltò tutti con grande attenzione, col contegno modesto’ ma colla tranquillità ed il presagio del trionfo, dipinti in volto. Quando gli avversari si tacquero egli prese a confutare tutti i loro argomenti: li confutò uno per uno nel medesimo ordine con cui erano stati proposti, con quella medesima facilità, con cui Sansone rompeva i vincoli coi quali Dalila l’aveva legato.
Conseguenza di tale disputa sarebbe stata non solo l’approvazione della Sorbona data alla opinione imrnacolista, ma altresì l’adozione da parte della insigne Università della relativa festa, nonché il rifiuto dei gradi accademici a chi avesse osato esprimere un sentimento diverso.
Così il discepolo di Scoto, Francesco Mayroni, riassumeva l’argomento del maestro: « Dio ha potuto preservare Maria dal peccato: era conveniente che lo facesse: dunque lo fece. – Potuit, decuit, ergo fecit ».

I contemporanei lo chiamarono Doctor subtilis, e i porteri: Doctor Verbi Incarnati e Doctor Marianus.
La Causa di Beatificazione fu ufficialmente aperta nel 1905.
La Beatificazione il 20 marzo 1993.
Pio IX il Pontefice dell’lmmacolata e la « Bolla Ineffabilis »
Le dispute perdurarono sino al Ven. Pio IX.

Ora questa verità non è più incerta e disputabile, essa fa parte dei dogmi della nostra fede e fu solennemente definita da Pio IX il giorno 8 dicembre 1854 con la Bolla Ineffabilis, ove si proclama: « 1I Dio ineffabile sin dal principio e innanzi ai secoli, elesse e dispose all’Unigenito suo Figlio una Madre, da cui fatto uomo, avesse egli a nascere nella felice pienezza dei tempi, e fra tutte le creature di tanto amore predilesse, lei, da compiacersi in lei sola con propensissimo affetto. Per il che, assai più che tutti i santi, la ricolmò dell’abbondanza di tutte le grazie celesti, tolte dal tesoro della divinità, in un modo così meraviglioso, che sempre affatto immune da ogni macchia, di peccato, e tutta bella e perfetta, ebbe in sé quella pienezza d’innocenza e di santità, di cui maggiore non può concepirsi al di sotto di Dio, e cui nessuno fuor che Dio stesso può raggiungere col pensiero. E per verità era del tutto conveniente, che sempre rifulgesse ornata degli splendori di pefettissima santità, ed affatto immune dalla stessa macchia della colpa originale, riportasse amplissimo trionfo dell’antico serpente, una sì venerabile Madre.
« Dopoché mai non cessammo nell’umiltà e nel digiuno, di offrire a Dio Padre, per mezzo del Figliuol suo, le private nostre preghiere e quelle pubblicate della Chiesa, affinché si degnasse di dirigere e confortare la nostra mente colla virtù dello Spirito Santo, implorato il soccorso di tutta la corte celeste, ed invocato con gemiti lo Spirito Paraclito, il medesimo così ispirandoci, ad onore della santa ed individua Trinità, a decoro ed ornamento della vergine madre di Dio, ad esaltazione della fede cattolica e ad incremento della cristiana religione, coll’autorità del SignorNostro Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, dichiariamo, pronunziamo e definiamo, che la dottrina la quale ritiene che la Beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore dell’uman genere, fu preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è da Dio rivelata e quindi da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli.
Per la qual cosa, se alcuni presumessero, il che Iddio tenga lontano, di sentire in cuor loro diversamente da quanto fu da noi definito, conoscano e sappiano per fermo, che condannati dalproprio giudizio, hanno fatto naufragio nella fede ».

b) PIO IX E IL DOGMA DELL’IMMACOLATA

di MANLIO BRUNETTI

Sull’intenzione di Pio IX, tra la fine del ’48 e gli inizi del ’44, di procede re verso la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, il massimo storico attuale scrive: « Le circostanze eccezionali del momento, l’esilio a I Gaeta e l’immirìente proclamazione della Repubblica Romana non faceva. no che stimolare il papa nella via intrapresa, che nella sua tipica forma mentis gli appariva non solo una questione teologica ma anche come il rimedio più efficace per la salvezza della Chiesa, del suo capo, della società intera dai mali che sovrastavano minacciosi ».
Comunque siano da leggere queste righe, specialmente la  » tipica f orma mentis », è certo che Pio IX fu sospinto a definire questo dogma dalla sua pietà mariana che, mai ingenua e gratuita in chi abbia studiato un po’ di Teologia, egli mantenne nell’esercizio del suo pontificato, nel quale, però, anche le particolari curvature del temperamento e della educazione familare vengono chiamate a inquadrarsi nelle responsabitità det supremo magistero. Pensare che papa Mastai abbia proceduto a dogmatizzare l’Immacolata e’ più tardi, l’Infallibilità pontificia sulla spinta di pulsioni ed entusiasmi temperamentali è, da una parte, fare il credito che si meritano ai condizionamenti psicotogici cui nessun papa e nessun uomo può sottrarsi; ma sarebbe tendenzioso ricavarne che ne possa andar distrutto o menomato lo scrupoto per la giustificazione teologica che si impone al Maestro autentico dinnanzi alla Chiesa e all’intera cristianità.

L’impasse teologica

Sul piano delle scienze teologica la controversia sull’immacolato concepimento di Maria ss., iniziata nel sec. XIII e protrattasi senza tregua da allora lungo sette secoli con alterne vicende, sembrava giunta a un punto fermo insuperabile (nonostante che il sensus fidei deponesse in favore’. E piu, consigliava prudenza il fatto che non fosse tra cattolici ed eretici, ma tra sostenitori (francescani e domenicani, per semplificare) di verità assolute del rnedesimo eredo eattolico: I’universalità del peccato e della redenzione per Cristo, da un lato, ad includere Maria; I’onore della Trinità ed il ruolo della Vergine nell’econornia dell’Incarnazione, dall’altro, e sottrarla alla colpa originale. Scoto, inoltre, aveva dimostrato la « convenienza » del privilegio mariano, non l’assotuta necessità e quindi il fatto, che avrebbe, invece, potuto risultare solo dalle fonti della Rivelazione, nelle quali, per altro, non tutte le verità di fede sono presenti alla stessa maniera e con identico grado di esplicitazione, e le testimonianze dei Padri, non essendo proposte nei termini fissati solo posteriormente, assai difficilmente potevano ricondursi, così come suonavano, pro o contro la tesi immacolatista. Né era ancora matura l’idea di un Concilio da cui, come in passato, si decidessero le questioni pendenti, fra le quali questa della Concezione Immacolata vedeva nel campo della negazione schierati lungo i secoli Padri e Dottori di primissimo ordine, a consigliare, semmai, un’ulteriore sospensione del giudizio.

Influsso della devozione privata

La devozione e la propensione private di Giovanni M. Mastai Ferretti hanno avuto, certo, la loro parte nella determinazione che Pio IX sembra aver assunto, nel momento che si sentì sulla fronte la tiara pontificia, di porre line alla secolare controversia teologica e di definire l’Immacolata CNoncezione.
Già dal 1821, giovane sacerdote, seguendo l’esempio di prelati romani, faceva il ritiro mensile nella cappella del Convento di S. Bonaventura al Palatino, dove era esposta la Lettera Profetica di S. Leonardo da Porto Maurizio, l’ultimo grande araldo dell’Immacolata, e davanti all’urna del Santo aveva voluto rícevere l’abito del Terzo Ordine francescano. E per leggere quella Lettera Profetica ed averne copia, appena eletto papa si reca con tutto il suo seguito al Convento di S. Bonaventura, come attestano i contemporanei pp. Giuseppe da Roma e Agostino Pacifico.
Scoppiata a Roma la rivoluzione il 15 novembre 1848 ed il 24 rifugiatosi Pio IX a Gaeta (che, tempo addietro, era stata evangelizzata da S. Leonardo), il re delle due Sicilie Ferdinando II gli offre ospitalità, ma dietro suggerimento degli Alcantarini di Napoli, per mezzo del suo ambasciatore il duca di Serracapriola, curatore degli affari economici dei francescani, gli chiede come contraccambio la definizione dogmatica dell’Immacolata. Nella sua risposta all’inviato reale Pio IX dichiara che le grandi parole di S. Leonardo e le suppliche del mondo cristiano non gli lasciano più riposo e che è ben risoluto all’azione. Infatti il 2 febbraio 1849 pubblica da Caeta l’enciclica Ubi Primum, nella quale chiede all’episcopato di tutto il mondo di fargli conoscere con lettere il suo pensiero e quello dei fedeli riguardo all’Immacolata Concezione. Questo ricorso ai Vescovi della cristianità è precisamente quel « Concilio per iscritto e senza spese » preconizzato da S. Leonardo presso Clemente XII e Benedetto XIV. Il risultato dell’inchiesta è noto: 1’8 dicembre 1854 il dogma è proclamato.

Concezione collegiale del Magistero

Su questa radice magisteriale del dogma (la consultazione della Chiesa per mezzo dell’Episcopato, che si sovrappone a quella devozionale privata, intendo insistere, come su quella sussunzione di indole e virtù personali nelle esigenze e responsabilità pontificie che è, così intesa, davvero la « tipica forma mentis » di Pio IX. Già di qui, ossia da come volle giungere al dogma, si può vedere come colui che, più tardi, nel 1870, richiederà nella formula definitoria dell’Infallibilità l’adiectum « non autem ex consensu ecclesiae », aveva dell’esercizio dell’in fallibilità una concezione che più tardi, al Vaticano II, si chiamerà « collegiale ». Pio IX era già, nel 1854, convinto, come la maggioranza dei vescovi e dei fedeli, di quella prerogativa petrina. Ma non la immaginava come esclusiva, intesa cioè ad escludere il collegio episcopale, né come solitaria, da far valere cioè nonostante o contro il (con)sensus fidei dell’intera Chiesa. Quella clausola sarà posta ad affermare, non a negare; ad eliminare ogni residuo conciliarista, ogni insinuazione di secondarietà e dipendenza del Pastore rispetto al gregge nella custodia ed interpretazione del depositum fidei; non a separare la sua dalla fede di tutti, la sua dall’assistenza che lo Spirito dedica a tutta la Chiesa.
A dirimere la controversia mariologica si appella, non al rapporto di forza persuasiva~delle argomentazioni teologiche – questo apparato, desunto dalla Scrittura e dalla tradizione, varrà conseguentemente: non a produrre, ma a giustificare l’assenso!; non al giudizio teologico suo proprio o della Scuola (Romana: fior di teologi!) che lo assiste; ma al « sentire » della Chiesa, che egli non si inventa né si autopersuade di conoscere in virtù di qualche supervisione infusa, ma chiede si esperisca dai Vescovi e gli si notifichi.
È lui ad aver bisogno di sapere qual è la fede comune, ed è, al contem po, l’intera Chiesa a venir portata alla consapevolezza esplicita del suo esse~ re innanzi a Dio. Così il dogma non è una presunta rivelazione da far accettare ad una chiesa ignara ed estranea, né una forzatura magisteriale, ma la proclamazione autorevole di un contenuto di fede più o meno presen » te alla coscienza ecclesiale. Per mezzo della definizione ora la Chiesa sa di sapere quel che ferveva già magari nella penombra del suo subconscio; sa che è rivelazione autentica di Dio il privilegio mariano cui l’istinto filiale, la spontanea devozione da sempre l’inclinava.
Anche i dogmi hanno il loro tempo opportuno, ed alla loro definizione concorrono cause, occasioni e condizioni storiche, perfino soggettive e di indole, come non può essere se quello della fede è un percorso umano, di un cammino, però, tracciato da Dio.
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Mencucci A. , Brunetti M. (a cura di), Atti senigalliesi nel Bicentenario della nascita di Pio IX, Senigallia, 1992, pp. 259-266

Publié dans:FESTE DI MARIA, MARIA VERGINE |on 7 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA (letture e commento)

dal sito:

http://www.parrocchiacamigliatello.it/8_dicembre_immacolata_concezione_di_maria-1.html

IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA

Fin dai primi secoli la Chiesa ha formulato nella preghiera “ Santa Maria, Madre di Dio “ l’essenza della sua fede intorno alla Madre di Gesù, espressa solennemente in particolare nel concilio di Efeso, l’anno 431. Sant’Ireneo aveva come preconizzato l’immacolata concezione della vergine Maria quando salutava in lei “la nuova Eva”. Soltanto nel XV secolo la Chiesa l’ha dichiarata formalmente nella liturgia fin che fu definita come dogma da Pio IX.

I Lettura
Gn 3,9-15.20
Dopo che Adamo ebbe mangiato dell’albero, il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”.
Allora il Signore Dio disse al serpente: “Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.
Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”.
All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!”.
L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.

II Lettura
Ef 1, 3-6.11-12
Fratelli, benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.

Vangelo
Lc 1, 26-38
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”.
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.

Commento di P. Vittorino Elio Vivacqua

Mentre ci avviciniamo alla festa del Natale, la liturgia ci presenta la figura di Maria, Madre di Cristo, sotto il titolo di Immacolata Concezione. Una prerogativa suggerita già dal Concilio di Basilea nel 1438 e proclamata quale domma di fede da Pio IX nel 1854. Con questo titolo la Chiesa ci presenta Maria come unica creatura al mondo che è nata senza peccato originale.
Le tre letture che ci aiutano a comprendere questo mistero sono: Genesi, 3,9-15-20, Lettera di Paolo agli Efesini 1,3-6 – 11-12 e il celebre passo del vangelo di Luca 1,26-38 che ci parla dell’ Annunciazione. Queste letture ci presentano alcuni tratti essenziali che delineano efficacemente la figura di Maria.
Cosa vuol dire “Immacolata Concezione”?
Il termine “concezione” nel linguaggio biblico significa la totalità dell’ esistenza. Nessuno viene al mondo senza esservi chiamato, senza un nome, senza un volto, senza un progetto di vita. Il profeta Geremia dichiara di “essere conosciuto da Dio prima di essere formato nel grembo materno”. Concetto che l’ apostolo Paolo nella lettera ai Galati riferisce a se stesso. E nel brano della Lettera agli Efesini che oggi viene proclamata. l’ apostolo ci ricorda che in Cristo Dio “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità”. Se è così per tutti noi, l’ intera esistenza di Maria, prescelta a diventare la Madre di Dio, è in modo singolarissimo sotto il segno particolare di Dio, in ogni istante della sua vita, incluso il suo concepimento.
Maria non è stata mai soggetta ad alcun peccato, neppure a quello originale. La sua vita è tersa, limpida, immacolata nella sua totalità.
E’ importante approfondire il concetto di “peccato originale”, che proviene dalla riflessione sapienziale del brano del capitolo 3° della Genesi. In esso si racconta con linguaggio simbolico, un genere letterario proprio di quelle antiche civiltà, il peccato che sta all’ origine dei mali dell’ uomo. Esso è descritto come un’ autonoma decisione di voler “conoscere il bene e il male”, attraverso l’ immagine del “mangiare il frutto dell’ albero della conoscenza del bene e del male”. Nella Bibbia il verbo “conoscere” vuol dire appropriarsi, possedere, avere dominio su qualcosa o qualcuno.
“Bene e male” comprendono tutto l’ ambito morale dell’ esistenza umana. Per cui l’ espressione “Conoscere il bene e il male”, significa decidere da soli quello che è bene e quello che è male, contro il progetto di Dio.
Il serpente che tenta l’ uomo, era presso gli antichi una divinità della fecondità e della forza; quindi il simbolo dell’ antagonista del vero Dio. Nella tradizione biblica posteriore questi verrà identificato con il diavolo.
Sotto il simbolo della tentazione del serpente, l’ uomo esprime la sua volontà di costruire un progetto alternativo a quello di Dio, provocando così tutti i mali del mondo.
Questo è il peccato originale, che purtroppo caratterizza la nascita di tutti gli uomini della terra, esclusa la Madre di Colui, che “schiaccerà la testa del serpente”. La madre di Gesù Cristo, vincitore del peccato, non poteva essere soggetta al peccato originale.
Con Maria invece inizia una nuova storia, che non nasce nel paradiso terrestre, ma in un oscuro villaggio della Galilea: Nazareth.
Il vangelo di Luca è l’ unico a riportare l’ episodio fondamentale dell’ Annunciazione. Egli scrive che “L’ angelo Gabriele fu mandato da Dio ad una vergine… la vergine si chiamava Maria”. La verginità è dunque la prima caratteristica della figura evangelica di Maria. Questa specificazione ha un alto valore teologico, perché, come ci dice l’ evangelista Giovanni, Cristo è generato “non da sangue, né voleri di carne, né da volere di uomo, ma da Dio” (Prologo) Gesù infatti non nasce secondo i meccanismi della biologia umana, ma per opera dello Spirito che depone Gesù nel grembo verginale di Maria.
L’ angelo, a differenza di altre apparizioni bibliche, è il primo a salutare Maria, e non la chiama per nome: “Ti saluto, piena di grazia, il Signore è con te”. Ella, secondo l’ espressione originale greca, è colei che è “ricolma” della benevolenza di Dio, fin da sempre e dunque fin dal primo istante del suo concepimento, è il tempio di Dio.
Maria si turba ad udire un tale saluto ed in questo modo si inserisce in quella schiera di grandi uomini religiosi di Israele, che alla presenza di Dio o dei suoi angeli, si gettano con la faccia a terra: Mosè, i profeti, tutti i destinatari delle apparizioni divine. L’angelo però la rassicura: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un Figlio.. Sarà chiamato Figlio dell’ Altissimo”.
Ma il turbamento della vergine aumenta e perciò chiede: “Com’ è possibile? Non conosco uomo”. E l’ angelo di rimando: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’ Altissimo”. Finalmente consapevole della volontà di Dio risponde: “Eccomi, sono la serva del Signore”. La parola “serva” è tutt’ altro che sinonimo di umiltà. “Servo del Signore” è il titolo che tuttora l’ Islam riserva ai primogeniti dei principi; ed è il titolo di Abramo, di Mosè, dello stesso Cristo. Maria si inserisce in questo filone ed in quel momento esprime la coscienza della sua vocazione e così diventa docile strumento nella mani di Dio.
L’ Immacolata Concezione è la storia di una donna che aderisce pienamente al piano di salvezza tracciato da Dio e che in ogni momento della sua vita dirà “sì” al Signore. Nessun’ ombra di peccato,
nessuna imperfezione macchia la sua anima. Perciò potrà cantare nel Magnificat: “Grandi cose ha fatto in me l’ Onnipotente”.
Certamente noi, impastati di peccato, non possiamo avere l’innocenza di Maria. Ma, come dice Paolo nella lettura odierna, dobbiamo ricordarci che il Signore ci ha chiamati per essere “santi i immacolati al suo cospetto nella carità”. Anche noi dunque, come Maria, dobbiamo dire sempre sì al Signore. In questo modo non ci macchieremo mai di peccato

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