Archive pour décembre, 2010

L’Apostolo Paolo: Una stella polare per la vita cristiana (Gianfranco Ravasi, 2006)

dal sito:

http://www.scuolamissionaria.it/Scout/Documenti%20vari/San%20Paolo_Le%20lettere_G.%20Ravasi.doc

L’APOSTOLO PAOLO

Le lettere

Una stella polare per la vita cristiana

Pur nella complessità dell’impianto generale del pensiero dell’Apostolo e della sua tradizione, pur nell’occasionalità pastorale di molte sue riflessioni, pur nella diversità dei tempi e persino degli autori, l’epistolario paolino costituisce uno straordinario progetto in cui teologia e morale, pensiero e azione, cristologia ed ecclesiologia, teologia e pastorale si richiamano e si fondono, dilatandosi verso nuove prospettive e costituendo una stella polare per la storia e per la vita della cristianità.

Articolo di Gianfranco Ravasi in Vita pastorale n. 1/2006
Rappresentano una grossa parte del Nuovo Testamento. È ormai pacifica tra gli studiosi la distinzione tra quelle che risalgono all’Apostolo e quelle attribuite alla sua cerchia più diretta di
discepoli, in ogni caso ritenute da sempre « canoniche » dalla Chiesa. L’epistolario è un grande progetto, di cui vediamo per sommi capi il contenuto

Se stiamo al computo dei versetti, il corpus delle 13 lettere che recano il nome di Paolo ne comprende 2.003 su un totale di 5.621 dell’intero Nuovo Testamento. Siamo, quindi, in presenza di un materiale testuale rilevante, al cui interno però emergono chiare variazioni di vocabolario, di stile, di temi. Su queste variazioni, a partire dal Settecento, gli studiosi hanno puntato il microscopio dell’analisi storico-critica e letteraria.

La « tradizione paolina »

Progressivamente si è approdati a una conclusione – ora dominante tra gli esegeti – secondo la quale sei lettere attribuite dalla titolatura a Paolo sarebbero in realtà « pseudoepigrafe » o « deuteropaoline », poste cioè sotto il nome e l’autorità dell’Apostolo ma in verità provenienti da discepoli e da quella che è stata chiamata « la tradizione paolina » (Ef, Col, 2Ts, 1 e 2Tim, Tt). Questa conclusione merita, però, due osservazioni di indole generale.
La prima è di taglio storico-letterario. Le argomentazioni critiche sono, certo, notevoli: ad esempio, in una delle più importanti di queste lettere deuteropaoline, quella ai Colossesi, si hanno 34 vocaboli del tutto inediti per l’intero Nuovo Testamento, 28 estranei all’epistolario strettamente paolino; si ignorano i temi fondamentali cari all’Apostolo quali la giustificazione, la fede, la legge; la costruzione delle frasi è pesante, prolissa e ripetitiva; si rivela l’uso della retorica classica e sono assenti gli appelli diretti, tipici di Paolo; Cristo è presentato secondo un inatteso profilo di Signore cosmico, « capo dei Principati e delle Potestà » (2,10), « dei Troni e delle Dominazioni » celesti (1,16), come colui nel quale « tutto sussiste » (1,17) e tutto è riconciliato e redento (1,20); di scena non è più la Chiesa locale, ma quella universale di cui Cristo è « capo », variando così l’immagine paolina classica della Chiesa come « corpo di Cristo » (1Cor 12).
Potremmo andare avanti a lungo nell’appuntare le variazioni tematiche di questo scritto, a partire da una concezione del credere non più visto come atto di adesione personale radicale, ma come la « conoscenza » di un contenuto di verità (fides quae più che fides qua, per usare il linguaggio teologico successivo). E così via con molte altre sorprese di solito segnalate nei commentari alla lettera. Detto questo, bisogna però anche riconoscere che simili considerazioni, pur notevolissime e imprescindibili, riguardanti la lettera ai Colossesi e le altre deuteropaoline, non sono mai totalmente apodittiche, perché di per sé non si possono escludere evoluzioni stilistiche e tematiche all’interno di un pensatore così creativo e originale com’è Paolo.
C’è, poi, un’altra importante osservazione da fare, di taglio più teologico: le lettere deuteropaoline rimangono comunque « canoniche » e, riconoscendole come appartenenti all’orizzonte dei discepoli paolini, non se ne inficia l’ispirazione divina. Come faceva notare la Dei Verbum (7 e 8), che alcuni testi neotestamentari provengano da autori « della cerchia » degli apostoli è un fatto che non contrasta la loro « canonicità » perché anche questi scritti sono « apostolici », nel senso che testimoniano – sia pure mediatamente – la predicazione apostolica (si pensi al caso di Marco e Luca).
Come si legge in un commento a un’altra importante lettera ritenuta « pseudoepigrafa », quella agli Efesini (a cura di Stefano Romanello, Paoline 2003), « che Paolo non sia l’autore della lettera nulla toglie al valore con cui la comunità credente l’accoglie. Nella lettera siamo comunque a contatto con una predicazione apostolica, ossia con una testimonianza della fede della Chiesa delle origini, che non rimane attaccata in modo fisso alla figura dell’Apostolo fondatore, ma ne elabora la parola come un tesoro vivo, che diviene significativo per le nuove situazioni in cui la comunità si trova a vivere ».

Un piano di lettura integrale

A questo punto vorremmo proporre in modo estremamente essenziale un itinerario nelle due aree del corpus paolino, partendo da quella direttamente assegnata all’Apostolo. Si potrebbe, così, configurare anche un piano di lettura integrale di questi scritti, capitali per la fede e la storia del cristianesimo, seguendone la probabile articolazione cronologica e quindi l’eventuale evoluzione del pensiero.
 Siamo attorno all’anno 51. Da Corinto Paolo invia ai cristiani di Tessalonica una prima lettera che è segnata dal registro autobiografico dei ricordi, da quello pastorale riguardante le tensioni che attanagliano la comunità e dal filo teologico che in questo caso s’annoda attorno al tema escatologico della parousía di Cristo alla fine dei tempi, suggello della storia ma anche luce per illuminare il presente senza cadere in eccitazioni apocalittiche.
 A Corinto Paolo aveva soggiornato almeno un anno e mezzo. Da Efeso, a metà degli anni 50 indirizza la prima delle sue due lettere ai Corinzi. Essa è una clamorosa smentita di chi considera l’Apostolo come un freddo teorico, « il Lenin del cristianesimo », per dirla con Gramsci. Le pagine dello scritto, infatti, toccano tutti i temi di una Chiesa immersa in un contesto secolare col quale è invitata a confrontarsi, dal quale riceve spesso influssi negativi ma nel quale deve testimoniare con coraggio la sua fede nel Cristo risorto e l’amore fraterno che la unisce.
I rapporti tra i cristiani di Corinto e Paolo non furono idilliaci. La seconda lettera a essi indirizzata ne è una vigorosa attestazione. La sua stessa redazione rivela salti tematici e di tonalità, riflettendo le tensioni interne ma anche il difficile rapporto con l’Apostolo. Tuttavia in quelle pagine si configura pure un progetto caritativo e intraecclesiale (quello della colletta per la Chiesa di Gerusalemme) molto suggestivo.
Con la lettera ai Galati entriamo nel cuore del « Vangelo » di Paolo, anche se spesso lo scritto è stato considerato una « prova d’autore », rispetto al capolavoro successivo della lettera ai Romani. Al centro si ha, infatti, la tesi squisitamente paolina della giustificazione per la fede nella grazia divina: si legga 2,16, ove per tre volte viene ribadito che « l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo ». E pronta, così, la base per l’architettura centrale della lettera ai cristiani di Roma.
Ma prima di essa si innesta probabilmente lo scritto rivolto agli amatissimi cristiani filippesi nel quale, come scriveva un esegeta (J. Murphy O’ Connor) « si sente battere il cuore di Paolo ». Composta nel carcere (forse durante un periodo di detenzione a Efeso), la lettera conserva uno splendido inno (2,6-11) che sintetizza in modo mirabile l’incarnazione e la Pasqua di Cristo secondo uno schema di « esaltazione » che sarà poi caro anche a Giovanni.
Eccoci, così, a quell’opera che un commentatore, Paul Althaus, introduceva con questa dichiarazione: « Le grandi ore della storia della Chiesa sono state le grandi ore della Lettera ai Romani », anche nei tempi del confronto aspro, come accadde con la Riforma protestante. Ritmata su un duplice movimento teologico-dottrinale (capp. 1-11) ed etico-pastorale (capp. 12-16), frequente negli scritti paolini, la lettera ha nel suo cuore una grandiosa riflessione modulata sulla giustizia per la fede (capp. 1-5) e sulla vita secondo la Spirito (capp. 6-8), sulla base del motto di Abacuc 2,4 reinterpretato da Paolo: « Il giusto divenuto tale per la fede, vivrà » (1,17 ).
o La serie delle lettere protopaoline si conclude col commovente biglietto indirizzato a Filemone per la vicenda dello schiavo Onesimo e con un sorprendente finale di speranza che illumina la prigionia dell’Apostolo: « Preparami un alloggio perché spero – grazie alle vostre preghiere – di esservi felicemente restituito! » (v. 22).

Gli scritti deutero-paolini

Siamo così di fronte all’altra area storico-teologica dell’epistolario, quella delle lettere deuteropaoline.
1 Impressiona la seconda lettera ai Tessalonicesi, striata dei colori dell’apocalittica e non priva di passi difficili da interpretare, sempre però attenta a coniugare storia ed escatologia.
Subentra la lettera ai Colossesi di cui abbiamo parlato e che è un punto di riferimento anche per il testo destinato agli Efesini (e forse anche alle altre Chiese dell’Asia Minore), lettere entrambe contrassegnate da una solenne apertura innica. Cristo, la Chiesa e il cristiano sono i tre protagonisti di una riflessione dalle prospettive nuove e originali.
 Il corpus epistolare paolino si chiude con un fascicolo di tre scritti omogenei che dal XVIII secolo vengono chiamati lettere pastorali, a causa del loro tema dominante e dei loro destinatari, i collaboratori di Paolo e pastori di comunità cristiane Timoteo e Tito. In esse la Chiesa si presenta già con la sua struttura ministeriale di episcopi, presbiteri, diaconi, ma anche di vedove, di maestri non sempre ortodossi, e si rivela segnata da una crisi di crescita. Indimenticabile è il testamento posto sotto la penna ideale di Paolo (2Tm 4,6-8).
Esterno al corpus paolino, con una sua radicale autonomia, pur con alcuni rimandi all’orizzonte paolino, rimane la lettera agli Ebrei, un monumento letterario-teologico a sé stante.
Pur nella complessità dell’impianto generale del pensiero dell’Apostolo e della sua tradizione, pur nell’occasionalità pastorale di molte sue riflessioni, pur nella diversità dei tempi e persino degli autori, l’epistolario paolino costituisce uno straordinario progetto in cui teologia e morale, pensiero e azione, cristologia ed ecclesiologia, teologia e pastorale si richiamano e si fondono, dilatandosi verso nuove prospettive e costituendo una stella polare per la storia e per la vita della cristianità.

Gianfranco Ravasi
Bibliografia
AA. W., Dizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di Penna R., San Paolo 1999, Cinisello Balsamo;
AA. W., Lettere paoline e altre lettere, « Logos » 6, Elledici 1996, Leumann (To); Barbaglio G., Il pensare dell’apostolo Paolo, Dehoniane 2004, Bologna; id., Paolo di Tarso e le origini cristiane, Cittadella 1989, Assisi; Fabris R., La tradizione paolina, Dehoniane 1995, Bologna; Metzger B.M., Il Canone del Nuovo Testamento, Paideia 1997, Brescia; Sanchez Bosch J., Scritti paolini, « Introduzione allo studio della Bibbia » 7, Paideia 2001, Brescia
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DOMENICA 12 DICEMBRE 2010 – III DI AVVENTO ANNO A

DOMENICA 12 DICEMBRE 2010 – III DI AVVENTO ANNO A

B.M.V DI GUADALUPE

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/avvento/avvA3Page.htm

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaia   29, 13-24

Annunzio del giudizio di Dio
Così dice il Signore: «Poiché questo popolo
si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
e il culto che mi rendono
è un imparaticcio di usi umani,
perciò, eccomi, continuerò
a operare meraviglie e prodigi con questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti».
Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore
per dissimulare i loro piani,
a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo:
«Chi ci vede? Chi ci conosce?».
Quanto siete perversi! Forse che il vasaio
è stimato pari alla creta?
Un oggetto può dire del suo autore:
«Non mi ha fatto lui?»
E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»?
Certo, ancora un poco
e il Libano si cambierà in un frutteto
e il frutteto sarà considerato una selva.
Udranno in quel giorno
i sordi le parole di un libro;
liberati dall’oscurità e dalle tenebre,
gli occhi dei ciechi vedranno.
Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore,
i più poveri gioiranno nel Santo di Israele.
Perché il tiranno non sarà più, sparirà il beffardo,
saranno eliminati quanti tramano iniquità,
quanti con la parola rendono colpevoli gli altri,
quanti alla porta tendono tranelli al giudice
e rovinano il giusto per un nulla.
Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore
che riscattò Abramo:
«D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire,
il suo viso non impallidirà più,
poiché, vedendo il lavoro delle mie mani
in mezzo a loro,
santificheranno il mio nome,
santificheranno il Santo di Giacobbe
e temeranno il Dio di Israele.
Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza
e i brontoloni impareranno la lezione».

Responsorio   Is 29, 18. 19; cfr. Mt 11, 4. 5
R. In quel giorno i sordi udranno le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno; * i poveri gioiranno nel Santo d’Israele.
V. Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i sordi odono, ai poveri è annunziata la buona novella;
R. i poveri gioiranno nel Santo d’Israele.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 293, 3; Pl 1328-1329)

Giovanni è la voce, Cristo il Verbo
Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio.
Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c’è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l’udito, ma non edifica il cuore.
Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le do suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.
Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell’intelligenza, e poi se n’è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.
Vuoi constatare come la voce passa e la divinità del Verbo resta? Dov’è ora il battesimo di Giovanni? Lo impartì e poi se ne andò. Ma il battesimo di Gesù continua ad essere amministrato. Tutti crediamo in Cristo, speriamo la salvezza in Cristo: questo volle significare la voce.
E siccome è difficile distinguere la parola dalla voce, lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola; ma la voce si riconobbe tale per non recare danno alla Parola. «Non sono io, disse, il Cristo, né Elia, né il profeta». Gli fu risposto: «Ma tu allora chi sei?» «Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore» (cfr. Gv 1, 20-21). «Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio».
«Preparate la strada» significa: Io risuono al fine di introdurre lui nel cuore, ma lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via.
Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l’errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell’umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia.

Madonna di Loreto (oggi 10 dicembre)

Madonna di Loreto (oggi 10 dicembre) dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 10 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Madre Teresa e San Paolo

dal sito:

http://www.motherteresa.org/St_Paul/it/MT_paulit.html

Madre Teresa e San Paolo

«Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa»
Madre Teresa aveva imparato a gioire della sua sofferenza e a ripetere le parole di
San Paolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Colossesi 1,24). Una chiara espressione della nuova comprensione del suo tormento nascosto come condivisione
della missione redentrice di Gesù e parte della sua missione per i poveri, emerge nel consiglio che diede alle consorelle nella lettera generale che scrisse nel luglio del 1961:
Cercate [...] di accrescere la conoscenza di questo Mistero della Redenzione. Tale conoscenza vi condurrà all’amore e l’amore vi farà partecipare, attraverso i vostri sacrifici, alla Passione di Cristo. Mie care figlie, senza la nostra sofferenza la nostra opera sarebbe un’opera sociale, molto buona e utile, ma non sarebbe l’opera di Gesù Cristo, non sarebbe parte della redenzione. Gesù ha voluto aiutarci condividendo la nostra vita, la nostra solitudine, la nostra agonia e morte. Tutto questo Lui ha preso su di Sé, e l’ha portato nella notte più oscura. Solo essendo un tuttuno con noi, Egli ci ha redenti. Ci è consentito di fare altrettanto: tutta la desolazione dei poveri, non solo la loro povertà materiale, ma la loro miseria spirituale deve essere redenta, e noi dobbiamo avere parte in questo. Pregate così quando lo trovate difficile: «Desidero vivere in questo mondo che è così lontano da Dio, che si è allontanato così tanto dalla luce di Gesù per aiutarli [i poveri], per prendere su di me qualcosa della loro sofferenza ». Sì, mie care figlie, condividiamo la sofferenza dei nostril poveri perché soltanto essendo una sola cosa con loro possiamo redimerli, cioè portare Dio nella loro vita e portare loro a Dio. (Si i l a m i a l u c e)

****
Il giorno in cui le ho scritto ho sentito che non avrei più potuto sopportare

questa sofferenza, ma San Paolo mi ha dato la risposta nell’epistola letta durante la Sexagesima [domenica],40 così come anche la sua lettera. Quindi sono lieta di sopportare ancora di più e sempre con un grande sorriso. Se mai diventerò santa, sarò di sicuro una santa dell’oscurità. Sarò continuamente assente dal Paradiso per accendere la luce a coloro che, sulla terra, vivono nell’oscurità….. In un giorno particolarmente arduo, avvolta in una fitta oscurità, Madre Teresa aveva trovato luce nella lettura della Seconda lettera ai Corinzi 11,19-23, 12,1-9. Avrebbe volutoche la sua oscurità, «la spina» nella sua vita, venise rimossa, ma come San Paolo comprese che nell’accettarla poteva confidare nella promessa del Signore: «Ti basta la mia grazia»(Cf. 2 Corinzi 12:9. ) (Si i l a m i a l u c e)
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2 Corinzi 11:19–23, 12:1–9.

11:19–23:  Infatti voi, che pur siete saggi, sopportate facilmente gli stolti.  20 In realtà sopportate chi vi riduce in servitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia.  21 Lo dico con vergogna; come siamo stati deboli!
Però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch`io.  22 Sono Ebrei? Anch`io! Sono Israeliti? Anch`io! Sono stirpe di Abramo? Anch`io! 23 Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte.
12:1–9: 1 Bisogna vantarsi? Ma ciò non conviene! Pur tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. 2 Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. 3 E so che quest`uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – 4 fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.  5 Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorchè delle mie debolezze. 6 Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me. 7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. 8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l`allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha detto: « Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ». 

«Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»

Grazie per il suo amore comprensivo. Penso che la sua venuta abbia portato questo dono. Grazie per averci reso viva la povertà di Gesù, il mistero dell’amore di Dio. Sì, voglio essere povera come Gesù, che da ricco diventò povero per amor nostro.(Cf. 2 Corinzi 8:9.)Grazie per avere spiegato in maniera così semplice: non sono io a vivere, ma è Cristo che vive in me.(Cf. Galati 2:20.)
Grazie per aver pregato per me. Io ho bisogno di pregare, voglio pregare, cerco di pregare. L’amore di Dio per la Congregazione è stato così meraviglioso, quest’anno abbiamo avuto undici fondazioni. Quanto è grande la Sua umiltà da permettere a Se stesso di farSi usare in questo modo. Così tanti nuovi tabernacoli, così tante ore di adorazione ogni giorno. (Cf. Galati2:20.)
«Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. La vita che ivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha dato Se stesso per me»47 scrisse San Paolo. Queste parole descrivono bene la realtà dell’unione di Madre Teresa con Dio: Cristo davvero stava vivendo e agendo in lei, diffondendo il Suo amore nel mondo. Lei  pesso diceva: «Dio ama ancora il mondo attraverso di voi e attraverso di me, oggi»,48 e lei Gli permetteva di farlo. (Si i l a m i a l u c e)

Publié dans:SANTI |on 10 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Prepararsi alla venuta di Cristo guidati da San Paolo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16381?l=italian

Prepararsi alla venuta di Cristo guidati da San Paolo

La riflessione del Cardinale brasiliano Eusébio Scheid

RIO DE JANEIRO, giovedì, 4 dicembre 2008 (ZENIT.org).- In questo periodo di Avvento, nel contesto dell’Anno Paolino, il Cardinale brasiliano Eusébio Scheid invita i fedeli a prepararsi alla venuta di Cristo guidati da San Paolo.
L’Arcivescovo di Rio de Janeiro ricorda che Paolo accetta Cristo “partendo da un’esperienza personale e definitiva di conversione”.
“Quello è stato il momento decisivo della sua vita”, spiega in un messaggio diffuso dalla sua Arcidiocesi.
“Se vogliamo davvero entrare nella spiritualità del Vangelo di Cristo, bisogna ascoltarlo, seguirlo, assorbirlo, al punto da abbandonare i nostri difetti e i nostri peccati e mettere da parte anche le piccole cose, per concentrarci sull’unico e vero Maestro, Valore Supremo”.
Secondo monsignor Scheid, San Paolo “afferma che la nostra vita ‘è nascosta con Cristo in Dio’”. “Cosa significano l’insegnamento, le opere, gli ideali di Cristo in noi? Come ci assume e ci trasforma? Questo è possibile solo con la fede, la fiducia totale che ci porta a seguirlo, senza dubitare o esitare, accogliendo tutto ciò che Egli realizza attraverso la sua Grazia”.
Per Paolo, osserva l’Arcivescovo, “saremo salvati dalla nostra fede, a patto che essa abbia il suo complemento essenziale nella carità. Questo deve portare a comportamenti conseguenti, logici, di una fede che si manifesta attraverso le opere”.
Monsignor Scheid ha anche constatato che San Paolo “non potrebbe parlare del Signore, annunciarlo alle Nazioni, senza sottolineare il punto più alto della sua vita, l’umiliazione della croce”.
“Per diventare uomo, il Figlio si è spogliato di ogni prerogativa divina, unendo alla divinità la natura umana nella sua Persona”.
“Nella sofferenza e nella vessazione della crocifissione, quando Gesù ha donato in modo volontario e definitivo la propria vita, sono state gettate le basi del Regno di Dio”, ha affermato.
Secondo l’Arcivescovo di Rio de Janeiro, “nonostante il razionalismo intellettuale dei greci, il potere arrogante dei romani e perfino la prospettiva politica degli ebrei, il Regno è apparso tra noi”.
“E nell’interiorità si costruisce a poco a poco – ha concluso –. Anche nella nostra vita cristiana: con la preghiera, l’ascesi, l’accoglienza filiale della grazia, la pratica del bene, diventiamo cittadini di quel Regno… come Gesù ha fatto e ci ha indicato di fare”.

Publié dans:c.CARDINALI, NATALE (QUALCOSA SUL) |on 10 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

SABATO 11 DICEMBRE 2010 – II SETTIMANA DI AVVENTO A

SABATO 11 DICEMBRE 2010 – II SETTIMANA DI AVVENTO A

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura

Dai «Discorsi» del beato Isacco della Stella, abate
(Disc. 51; PL 194, 1862-1863. 1865)

Maria e la Chiesa
Il Figlio di Dio è il primogenito tra molti fratelli; essendo unico per natura, mediante la grazia si è associato molti, perché siano uno solo con lui. Infatti «a quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12). Divenuto perciò figlio dell’uomo, ha fatto diventare figli di Dio molti. Se ne è dunque associati molti, lui che è unico nel suo amore e nel suo potere; ed essi, pur essendo molti per generazione carnale, sono con lui uno solo per generazione divina.
Il Cristo è unico, perché Capo e Corpo formano un tutt’uno. Il Cristo è unico perché è figlio di un unico Dio in cielo e di un’unica madre in terra.
Si hanno insieme molti figli e un solo figlio. Come infatti Capo e membra sono insieme un solo figlio e molti figli, così Maria e la Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e molte vergini. Ambedue madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito santo senza concupiscenza, ambedue danno al Padre figli senza peccato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo.
Tutt’e due sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l’altra.
Perciò giustamente nelle Scritture divinamente ispirate quel ch’è detto in generale della vergine madre Chiesa, s’intende singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chiesa; e quanto si dice d’una delle due, può essere inteso indifferentemente dell’una e dell’altra.
Anche la singola anima fedele può essere considerata come Sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l’anima fedele, dalla stessa Sapienza di Dio che è il Verbo del Padre: Fra tutti questi cercai un luogo di riposo e nell’eredità del Signore mi stabili (cfr. Sir 24, 12). Eredità del Signore in modo universale è la Chiesa, in modo speciale Maria, in modo particolare ogni anima fedele. Nel tabernacolo del grembo di Maria Cristo dimorò nove mesi, nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla fine del mondo, nella conoscenza e nell’amore dell’anima fedele per l’eternità.

VENERDÌ 10 DICEMBRE 2010 – II SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 10 DICEMBRE 2010 – II SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo
(lib. 5, 19, 1; 20, 2; 21, 1; SC 153, 248-250. 264-269)

Adamo e Cristo; Eva e Maria
Il Signore abbracciò la condizione umana e si manifestò nel mondo che era suo. La natura umana portava il Verbo di Dio, ma era il Verbo che sosteneva la natura umana. Nel Cristo c’era quell’umanità che aveva disubbidito presso l’albero del paradiso terrestre, ma in lui la stessa umanità con l’ubbidienza, compiuta sull’albero della croce, distrusse l’antica ribellione. Nel medesimo tempo annullò la seduzione con la quale era stata maledettamente sedotta Eva, la vergine destinata al primo uomo. Ma tutto ciò fu in grazia di quel messaggio di benedizione che l’angelo portò a Maria, la vergine già sottomessa a un uomo. Infatti mentre Eva, sviata dal messaggio del diavolo, disobbedì alla parola divina e si alienò da Dio, Maria invece, guidata dall’annuncio dell’angelo, obbedì alla parola divina e meritò di portare Dio nel suo grembo.
Quella dunque si lasciò sedurre e disobbedì, questa si lasciò persuadere e ubbidì. In tal modo la vergine Maria poté divenire avvocata della vergine Eva.
Cristo ricapitolò tutto in se stesso e così tutto venne a far capo a lui. Dichiarò guerra al nostro nemico e sconfisse colui che al principio, per mezzo di Adamo, ci aveva fatti tutti suoi prigionieri. Schiacciò il capo del serpente secondo la parola di Dio riferita nella Genesi: «Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: egli ti schiaccerà la testa e tu insidierai il suo calcagno» (cfr. Gn 3, 15).
Con queste parole si proclama in anticipo che colui che sarebbe nato da una vergine, quale nuovo Adamo, avrebbe schiacciato il capo del serpente. Questo è quel discendente di Adamo, di cui parla l’Apostolo nella sua lettera ai Galati: La legge delle opere fu posta finché venisse nel mondo il seme per cui era stata fatta la promessa (cfr. Gal 3, 19).
Ancor più chiaramente indica questa realtà nella stessa lettera, nel passo in cui dice: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4). Il nemico infatti non sarebbe stato sconfitto secondo giustizia, se il vittorioso non fosse stato un uomo nato da donna, poiché fin dall’inizio della storia il demonio ha dominato sull »uomo per mezzo di una donna, opponendosi a lui col suo potere.
Per questo si proclama Figlio dell’uomo, egli che ricapitola in sé l’uomo primordiale, dal quale venne la prima donna e, attraverso questa, l’umanità. Il genere umano era sprofondato nella morte causa dell’uomo sconfitto. Ora risaliva alla vita a causa dell’uomo vittorioso.

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