Archive pour décembre, 2010

MARY DID YOU KNOW (testo inglese e traduzione in italiano)

http://www.sandrodiremigio.com/musica/testo_canto.asp?id=275

MARY DID YOU KNOW

Mary did you know that your baby boy
would someday walk on water?
Mary did you know that your baby boy
would save our sons and daughters?
Did you know that your baby boy
has come to make you new?
This child that you’ve delivered
will soon deliver you.
Mary did you know that your baby boy
will give sight to a blind man?
Mary did you know that your baby boy
will calm a storm with His hand?
Did you know that your baby boy
has walked where angels trod?
When you’ve kissed your little baby
then you’ve kissed the face of God.
Mary, did you know…?
Mary, did you know…?
The blind will see, the deaf will hear
the dead will live again
The lame will leap, the dump will speak
the praises of the Lamb.
Mary, did you know that your baby boy
is Lord of all creation?
Mary did you know that your baby boy
will one day rule the nations?
Did you know that your baby boy
was heaven’s perfect lamb?
This sleeping child you’re holding
is the great « I AM ».

Traduzione: MARIA SAPEVI

Maria, sapevi che il tuo bambino avrebbe camminato sull’acqua un giorno? Sapevi che avrebbe salvato i nostri figli e le nostre figlie? Sapevi che è venuto per renderti nuovo? Il bambino che tu ci hai dato presto ci darà te. Sapevi che avrebbe dato la vista ad un cieco? Sapevi che avrebbe calmato una tempesta con la Sua mano? Sapevi che il tuo bambino ha camminato dove hanno camminato gli angeli? Quando hai baciato il tuo bambino, hai baciato il volto di Dio. I ciechi vedranno, i sordi udiranno, i morti vivranno ancora, gli zoppi cammineranno, i muti daranno lode all’Agnello. Maria, sapevi che il tuo bambino è il Signore di tutta la creazione? Maria sapevi che il tuo bambino un giorno avrebbe governato le Nazioni? Sapevi che il tuo bambino era l’agnello perfetto del cielo? Il bambino che dorme e che tieni fra le braccia è il grande « IO SONO ».

Publié dans:MARIA VERGINE |on 15 décembre, 2010 |2 Commentaires »

Mercoledì della III settimana di Avvento : « Sei tu colui che viene ? »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php
 
Mercoledì della III settimana di Avvento : Lc 7,19-23
Meditazione del giorno

Sant’Ambrogio (circa 340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa
Commento sul Vangelo di Luca, 5, 99-102 ; CCL 14, 167-168

« Sei tu colui che viene ? »

        Il Signore, sapendo che nessuno può credere con pienezza senza il Vangelo, perché la fede comincia dall’Antico Testamento, ma ha compimento nel Nuovo, quando lo interrogarono sulla sua identità, dimostrò di essere lui non con le parole, ma coi fatti : « Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete : i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella ». Tale testimonianza è perfetta, poiché da lui era stato profetizzato : « Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto… Il Signore regna per sempre » (Sal 145, 7s). Queste non sono i segni di un potere umano bensì  divino.

        Eppure questi esempi della testimonianza del Signore sono ancora poco : pienezza della fede è la croce del Signore, la sua morte, la sua sepoltura. Perciò alle parole suddette aggiunse : « Beato colui che non si scandalizza di me «  (Mt 11,6). La croce potrebbe essere uno scandalo anche per gli eletti, ma per quanto riguarda la Persona divina, non può esistere testimonianza più valida di questa, nulla vi è che trascenda le cose umane quanto il volontario sacrificio di tutto se stesso, e di sé solo, per la salvezza del mondo : con questo unico atto egli dimostra pienamente di essere il Signore. Per questo Giovanni lo indica con le parole : « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo » (Gv 1,29).

Omelia per il 14 dicembre 2010, prima lettura Sofonia:

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/14260.html

Omelia (16-12-2008) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto di Israele. (Sofonia 3,13)

Come vivere questa Parola?
Intorno al 640 a.C, in un’epoca in cui il regno del nord è stato distrutto e non esiste più, mentre quello di Giuda è in decadenza, un profeta predice la rovina di Gerusalemme. Il crollo, tuttavia, non sarà totale: un piccolo gruppo di poveri di Jahvé ritroverà il favore di Dio, e quei pagani che sono autentici adoratori del Dio vivente verranno a onorarlo a Gerusalemme.
Il valore umano della povertà di spirito, che già il profeta sceglie come caratteristica di un “piccolo resto” salvato dalla rovina, sarà pure la radice di tutte le Beatitudini proclamate dal Cristo. Anche S. Paolo, nella lettera ai Romani, riafferma l’identikit del Regno libera da ogni attaccamento o egoismo “..non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”.
E il salmista, riconfermando che è beato il popolo che serve il suo Dio e lo cerca con tutto il cuore, esprime la certezza di chi non desidera altro che Lui. “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, e magnifica la mia eredità”.
Anche nel nostro tempo, dove vengono tanto esaltati il potere finanziario e la ricchezza dei beni materiali così da diventare misura dell’uomo, è possibile scegliere la povertà evangelica, che non è direttamente vincolata all’avere o al non avere, ma è un modo di essere, un atteggiamento che potremmo tradurre con infanzia spirituale.
Se saremo capaci di umiltà, distacco, accoglienza del diverso, accoglienza di Dio che ci chiede di dimenticarci, di prendere coscienza della nostra povertà, diventeremo più simili a Gesù, che non solo è vissuto da povero materialmente, ma ha preso su di sé le sofferenze dei poveri umiliando se stesso “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”.
Solo così potremo godere della promessa beatificante di Gesù, che già si attua nell’oggi: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”.

Oggi ripeterò spesso l’invocazione: “Gesù, mite ed umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo”.

La voce di un monaco
Il mondo si dibatta e contesti in vista delle eredità terrene, e gli uomini lottino pure per accaparrarsi un miserabile primo posto; quanto a me, non invidio i loro desideri, giacché la mia anima ha posto in Dio le sue delizie. Illustre eredità dei poveri di cuore! Beato possesso di chi non ha nulla! Tu ci arricchisci, Signore, ben oltre il necessario, ci colmi in sovrabbondanza di gaudio e di gloria, ci sazi con tutte le ricchezze della giustizia, ci versi nel grembo una misura traboccante.
Guerrico D’Igny 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 13 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 14 dicembre 2010: In verità vi dico: « I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio».

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/4807.html

Omelia (16-12-2003) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
In verità vi dico: « I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio».

Come vivere questa Parola?
Si è appena consumata una controversia tra Gesù e i sommi sacerdoti che insieme agli anziani del popolo, in malafede, lo avevano interpellato sulla sua autorità. Al rifiuto di rispondere da parte di Gesù, segue una parabola attraverso cui Egli dimostra cosa significhi essere veramente docili nei riguardi di Dio e dunque in cosa consista la vera autorità. La parabola è costruita sul confronto tra due fratelli. Il confronto diventa poi paradossale, addirittura scandaloso, nella conclusione, dove si afferma che le persone palesemente ingiuste sono da preferire a quelle ritenute giuste. Un padre chiede ai suoi due figli di andare a lavorare nella vigna. Il primo, subito pronto nel dire a parole: « Sì, signore », non ci va. Il secondo a primo acchito si rifiuta, poi, pentitosi, s’incammina verso la vigna. « Chi dei due fa la volontà del padre? » – chiede Gesù ai suoi interlocutori, volendo con ciò indurli a far verità in se stessi. « L’ultimo » – rispondono. L’allusione è chiara: c’è chi crede di essere giusto ostentando un’obbedienza solo formale alla legge, sterile, come il fico maledetto che non dà frutti di conversione; e c’è chi, invischiato magari fino al collo nel peccato, si pone dinanzi a Dio con cuore contrito e rinasce sul perdono ricevuto. Quest’ultimo, fin da subito, – precisa Gesù – passa avanti nel regno di Dio.
Una provocazione per noi che a volte, dietro la maschera dell’immediato « Sì, Signore », nascondiamo una resistenza ostinata alla sua volontà, un atteggiamento sfuggente dettato dall’io orgoglioso e ribelle. Non illudiamoci! Anche quando in pratica facciamo quel che dice la legge, mancando di cuore e di amore, siamo disobbedienti. E il sentirsi giusti è un’aggravante che mostra lo spessore della nostra durezza.
Nella mia pausa contemplativa oggi mi metterò a nudo dinanzi alla Parola perché neutralizzi in me i veleni dell’insincerità e dell’ostentazione. Questa la mia preghiera:
Al sì delle mie labbra, corrisponda sempre, Signore, l’assenso del cuore, subito pronto a invocare il perdono se lungo i giorni si schiude ai miei occhi la consapevolezza d’aver disobbedito ai tuoi comandi.

La voce di un biblista
« Fare la volontà del Padre » significa riconoscersi figlio e vivere da fratello. Questo è possibile a chi si converte; ma si converte solo chi sente il disagio del proprio male. Ecco: Gesù viene per compiere un giudizio: perché chi è cieco veda e chi crede di vedere veda la propria cecità.
Silvano Fausti 

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Isaie predisant l incarnation – Enluminures

Isaie predisant l incarnation - Enluminures  dans immagini sacre 12%20ENL%20ISAIE%20PROPHET%20OF%20JESUS%20CHRIST

http://www.artbible.net/3JC/-Joh-01,01_Logos%20made%20flesh_Logos%20fait%20chair/index.html

Publié dans:immagini sacre |on 13 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

« FIGLIO DI UN DIO POTENTE » (Rm 1, 4)

dal sito:

http://www.tempidifraternita.it/archivio/ortensioweb/ortensio3.htm

« FIGLIO DI UN DIO POTENTE » (Rm 1, 4)

Premessa

La « buona novella » (eu-anghelion) che Paolo si accinge a comunicare ai romani ha un’origine sovrumana (Dio) e una testimonianza plurisecolare (le Scritture, i libri sacri degli ebrei). Essa riguarda un personaggio straordinario, un profeta che è insieme « figlio » di Dio. Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunciare il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, riguardo al figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la resurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore (Rm 1, 1-4). La « filiazione divina di Gesù è ribadita due volte e altrettanto la sua « signoria » (vv. 2, 7). I due titoli (Hyios e Kyrios) non sembrano ammettere dubbi per il lettore moderno confortato da una lunga, ininterrotta tradizione teologica e da un’insistente predicazione ecclesiale. Supporre un’interpretazione diversa potrebbe ritenersi in partenza un assurdo.
1. Il termine « figlio » (di Dio) (v. 2), che sembra doversi leggere in senso proprio (generato dalla potenza divina) va riportato nel suo contesto di origine per coglierne la giusta portata. Già anche nella lingua corrente « figlio » ha spesso un senso (metaforico) più ampio di quello verbale (figlio naturale). D’altra parte quando si attribuisce una « filiazione » alla divinità è quasi ovvio che si faccia ricorso a un linguaggio simbolico. Certo l’onnipotenza divina è sempre illimitata, ma si tratta di un’attività tanto specifica delle creature (la generazione) che se è riferita a Dio può esserlo, normalmente, solo in senso improprio.
2. L’espressione « figlio di Dio » (v. 4) compare già nella Bibbia e nelle culture mediterranee del tempo. Gli uomini carismatici, gli eroi, i « santi », i sapienti, le persone insignite di potestà, i re, i sovrani, ricevono a volte un tale appellativo. Il « figlio » è sempre oggetto di particolare predilezione, di amore; si può adoperare il termine solo per indicare il particolare legame che passa tra una persona e l’altra. I « sapienti » chiamano « figli » i loro discepoli. Nel mondo egiziano i faraoni si fanno chiamare « figli » di qualche divinità per avallare il loro prestigio e ottenere più sicura obbedienza dai loro sudditi.
I Theoi anthropoi (uomini divini) si incontrano anche in Grecia e sono i personaggi eccezionali che hanno benemeritato della patria.
Il vecchio Testamento riserva la designazione di « figli di Dio » agli angeli (Gn 6, 2-4; Sl 29, 1; 82, 6; 89, 6; Gb 1, 6-12; Dt 32, 8; Dn 3, 25), ai re (2 Sam 7, 11-14; Sl 2, 7), al popolo d’Israele (Es 3, 7, 12; 4, 22; Os 11, 1; Gr 31, 9; Sir 36, 11); ai giusti (Sir 2, 18; 4, 10).
3. Il testo di 2 Sam 7, 12-14, perno del messianismo davidico, attribuisce al futuro discendente regale una paternità divina. « Io gli sarò padre ed egli sarà per me un figlio », afferma Jhw per bocca del profeta. « Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato », ribadisce il salmista (2, 7). La « paternità » sottolinea la predilezione e la protezione che Dio gli accorderà nell’adempimento del suo mandato. L’’antico Testamento non ha mai pensato a un’eventuale trascendenza dell’atteso liberatore nazionale e se il testo di Is 9, 5 lo chiama « dio potente » si tratta sempre del figlio dell’almah più che di un’emanazione di Jhw (7, 14). È il suo potere che ha del divino, non la sua natura o la sua origine. La stessa cosa riafferma Isaia quando lo designa « Emmanuele », « Dio con noi » (7, 14). Anche nel nuovo Testamento « figlio di Dio » è spesso sinonimo di « messia » (Mt 16, 16; 26, 63).
4. Paolo sembra avere qualcosa di più preciso da dire sulla filiazione di Gesù nel testo successivo (v. 4) dove presenta il « figlio di David secondo la carne » e il « figlio di Dio secondo lo spirito ». A prima vista si ha l’impressione che si tratti di due genealogie o nascite, quella davidica naturale, e quella divina, soprannaturale. Quindi Gesù sarebbe nello stesso tempo « uomo » e « Dio ». Come è nato, nel primo caso, da David così è nato realmente da Dio (Gv 1, 13). Ma il testo non sembra dire tutto questo.
Già l’affermazione « figlio di David » è solo un’attribuzione messianica senza presupporre un’appartenenza anagrafica alla famiglia del grande re israelitico. Nella tradizione « il figlio di David » è colui nel quale si realizzeranno le promesse di salvezza fatte a Israele. Le promesse giungono tramite la dinastia che funge da modulo o modello occasionale (la regalità), ma non si realizzeranno necessariamente tramite essa. La salvezza non è legata né alla carne né al sangue, ma solo alla bontà di Dio che utilizza tutte le vie per attuare i suoi piani e in genere quelle meno appariscenti, come ribadisce spesso Paolo (1 Cor 1, 19) e come di fatto è avvenuto.
5. La « filiazone davidica » è il titolo che riassume la missione di Gesù nel piano di Dio, ma di fatto più che un « re » o un « signore » egli è stato un servo sofferente. Nella sua esperienza Gesù ha coniugato la gloria e l’ignominia, uno « scandalo » di cui né i giudei né i greci sono riusciti a rendersi conto e che gli stessi cristiani stentavano ad accettare (1 Cor 1, 23). È il mistero che Paolo riassume nell’espressione « figlio di David secondo la carne ». Nella Bibbia il termine basar, sarx (carne) indica la fragilità, la debolezza della natura umana. « I giorni della sua carne » chiama l’autore della Lettera agli ebrei, l’esistenza terrestre di Gesù (5, 7; 2, 14). Il « Verbo si è fatto carne », dirà Giovanni; non semplicemente uomo, ma un uomo segnato dal limite e dalla finitezza (1, 14). Il « figlio di David », stando alle « promesse » (vedi i testi del messianismo regale) doveva essere rivestito di potestà e gloria; di fatto aveva avuto un’esistenza effimera; non aveva folgorato nessuno, era stato umiliato, vinto, giustiziato nonostante che avesse Dio dalla sua parte.
La vita terrestre di Gesù, da Betlemme al Golgota, era stata segnata dalla debolezza della carne. La morte è la fine di questa esistenza impossibile e « insopportabile ». La risurrezione non è la rianimazione di un cadavere ma la trasformazione dell’esistenza terrestre e carnale in una condizione nuova che fa riferimento non più alla carne ma allo « spirito ». Anche questo è un termine convenzionale, come lo è la carne; indica la potenzialità operativa, la forza, la capacità di agire di Gesù conformemente alla condizione esistenziale conseguita.
6. Il discorso è sempre incentrato su « Gesù Cristo » (vv. 1, 6, 7) del quale l’autore rievoca non le due « nature » ma i due momenti, le due modalità esistenziali, quella terrestre e quella celeste, quella nel tempo e l’attuale nell’eternità. Il divario tra i due stati è segnato dalla « carne » e dallo « spirito ».
Il Cristo risorto, glorioso è invisibile ma la vita futura è ipotizzabile come il superamento e il compimento dell’esistenza presente finita nella tomba. Per l’apostolo la risurrezione è un avvenimento che cambia lo stato creaturale di Gesù. Da essere carnale egli è « costituito figlio di Dio potente ». « Costituito » (horisthentos) non vuol dire che mette in luce una particolare virtù che già possedeva, ma che ne entra in possesso solo ora. Anche in Mt 28, 18 Gesù afferma « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra ». « Mi è stato dato », segno che ancora non l’aveva.
7. Il testo di RM 1, 4 potrebbe essere interpretato ancora ambiguamente come se la risurrezione avesse operato una trasformazione nella natura di Gesù, da « figlio di David » fosse diventato « figlio di Dio ». Una trasformazione di per sé sempre impossibile, assurda, ma che, soprattutto, il testo non consente di supporre. Non si dice che è stato semplicemente « figlio di Dio » ma « figlio di Dio potente » (en dynamei), cioè « dotato di potenza ». L’accento non cade sulla filiazione in sé, ma sulle modalità esistenziali acquisite. Gesù è « figlio di Dio » (« messia », « inviato », « oggetto di predilezione ») anche prima della risurrezione, ma è nella carne, quindi nell’impossibilità di far valere i « diritti » che gli vengono dalla « filiazione ». La sua umanità è sempre la stessa, quella che ha ricevuto dalla madre nella nascita betlemica, ma risorgendo ha assunto una dimensione nuova, potente, gloriosa, vivificata dallo spirito. Ora è quel « figlio di David » cioè l’ « inviato divino » glorioso, imbattibile che i profeti avevano previsto.
La salvezza viene dal Cristo storico ma si attua tramite il Cristo risorto, per questo Paolo afferma che senza la risurrezione la fede sarebbe vana (1 Cor 15, 17). La risurrezione segna una metamorfosi che tocca realmente l’umanità di Gesù. Essa diventa potente, si può dire « divina », santa e capace di santificare. Non è soltanto un’esistenza « secondo lo Spirito », ma secondo « lo spirito di santificazione ». Se la « carne » indica vicinanza con il peccato e lontananza da Dio (1 Cor 15, 50; 2 Cor 5, 6), lo Spirito, ripeterà Paolo nella stessa lettera (cap. 8), sottolinea la vitalità della rigenerazione battesimale. In Gesù risorto, come nel cristiano che è arrivato al traguardo finale, la lotta è finita; ora egli è dominato dallo Spirito che è sinonimo di santità perché viene da Dio e ovunque si posa produce effetti salutari.
8. Il Cristo che Paolo presenta ai romani rievoca le due fasi della sua esistenza, quella umile fino alla croce di cui egli parlerà presto con tutto il necessario coraggio (« Non mi vergogno del vangelo ») e quella attuale di figlio, plenipotenziario divino, salvatore degli uomini. Paolo non ha conosciuto il Cristo di Betlemme, meno ancora il Cristo della risurrezione, ma sia nell’uno che nell’altro caso non fa che ripetere il kerygma della chiesa primitiva (1 Cor 11, 23; 15, 1). Nonostante che Gesù non fosse più un personaggio della storia aveva egualmente il potere di farsi sentire, di parlare al cuore degli uomini, come era accaduto all’apostolo sulla via di Damasco. È pertanto « vivo » e sempre pronto a manifestarsi a quanti sono in cerca di lui.

Ortensio da Spinetoli

Publié dans:Lettera ai Romani |on 13 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Le Profezie Messianiche (in preparazione per la festa della Natività)

dal sito:

http://www.cmri.org/ital-96prog9-3.html

Le Profezie Messianiche

di S.E. Mons. Mark A. Pivarunas,
CMRI (Congregatio Mariae Reginae Immaculatae)

Dicembre 1996

Carissimi beneamati in Cristo,

Mentre ci prepariamo per la festa della Natività del Nostro Divin Salvatore Gesù Cristo, la nostra Santa Madre, la Chiesa Cattolica, ci ispira nella Sacra Liturgia dell’Avvento con passi tratti dal Vecchio Testamento, specialmente dal Profeta Isaia, che predissero la venuta del Messia.
Quando studiamo le profezie del Vecchio Testamento circa il Messia, ci appare la bella armonia tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento. Nel Vecchio Testamento, si trovano predette le promesse di Dio, mentre nel Nuovo Testamento si trovano realizzate.
Per prepararci proficuamente per il S. Natale, consideriamo alcune delle profezie del Vecchio Testamento per vedere il loro compimento nel nostro beneamato Salvatore Gesù Cristo.
Centinaia d’anni prima della venuta di Cristo, il Profeta Isaia parlò della concezione e nascita del Messia:
“Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio: e il Suo Nome sarà Emanuele [Dio con noi]” (Isaia 7:14).
Queste parole di Isaia furono ripetute quasi esattamente dall’Arcangelo Gabriele quando annunciò alla Beata Vergine Maria:
“Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e darai alla luce un figlio…” (Luca 1:30-31).
“Non ci può essere errore circa questo Figlio di cui parlò Isaia; il Messia che sarebbe nato era “Iddio Onnipotente, il Padre del secolo venturo, il Principe della Pace” (Isaia 9:6).
Questa profezia una volta di più si armonizza meravigliosamente con le parole dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria:
“E gli darai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato il Figlio dell’Altissimo” (Luca 1:31-32).
La profezia di Isaia si accorda anche con i versetti iniziali del Vangelo di S. Giovanni, in cui l’Evangelista comincia pieno di forza con queste divine verità:
“Al principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio… e il Verbo si fece carne…” (Giovanni 1:1,14).
Da questi passi scritturistici di entrambi il Vecchio ed il Nuovo Testamento troviamo chiaramente manifestate le dottrine della Divinità di Cristo, dell’Incarnazione, e della Divina Maternità della Beata Vergine Maria.
Durante questo tempo liturgico di Avvento, mentre ci prepariamo per la festa del S. Natale, la dottrina dell’Incarnazione dovrebbe essere uno speciale oggetto di considerazione e meditazione. Con Incarnazione intendiamo che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, la Seconda Persona della SS. Trinità, assunse la natura umana — cioé, un corpo e un’anima come noi (come scrisse S. Paolo: “Fu simile a noi in ogni cosa eccetto il peccato” ). Egli è una Persona Divina con due nature — la divina e l’umana. Perciò Maria, come Madre di Gesù Cristo, ha diritto al titolo di Madre di Dio.
Queste considerazioni dovrebbero aiutarci a meglio apprezzare il significato del Natale, ovvero che Dio ha così amato il mondo, che Dio ci ha così amati, da inviare il Suo Figlio unigenito.
I molti riferimenti e prefigurazioni del Messia che si trovano nel Vecchio Testamento soltanto confermano quanto Dio Padre amò il genere umano e l’abbia provato rinnovando frequentemente la Sua promessa di inviare il Messia. La primissima promessa che Dio fece del Messia fu fatta nel Giardino dell’Eden [rivolgendosi al serpente] dopo che i nostri progenitori ebbero commesso il peccato originale:
“Porrò inimicizia tra te e la Donna, e il tuo seme ed il seme di Lei: essa ti schiaccerà il capo, e tu attenterai al suo calcagno” (Genesi 3:15).
Il Profeta Michea predisse il luogo di nascita del Messia:
“Tu, o Betlemme Efrata, sei piccola tra le migliaia di Giuda: ma da te mi sorgerà Colui che sarà Dominatore in Israele: e il Suo procedere è dall’inizio, dai giorni dell’eternità” (Michea 5:2).
Il Profeta Isaia predisse la venuta dei Magi per adorare il neonato Messia e identificò perfino i doni che essi avrebbero offerto:
“Sorgi, splendi, o Gerusalemme: perchè è giunta la tua luce, e la gloria del Signore è sorta su di te… E le genti cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore che sorgerà da te…. Una moltitudine di cammelli ti coprirà, i dromedari di Madian ed Efa. Tutti quelli di Saba verranno, portando oro e incenso e dando lode al Signore” (Isaia 60:1-6).
Questa profezia è anche sostenuta da un passo dei Salmi:
“I re di Tarsis e delle isole offriranno regali: i re dell’Arabia e di Saba porteranno doni” (Salmo 71:10).
Leggiamo nel Profeta Geremia che al tempo della nascita del Messia molti bambini saranno messi a morte, ciò che fu fatto dal massacro dei Santi Innocenti del Re Erode:
“Sulle alture si udì una voce di lamento, di pianto e di lacrime, la voce di Rachele che piange per i suoi figli, che rifiuta d’esser confortata perchè essi non sono più” (Geremia 31:15).
Rachele rappresenta qui il popolo ebreo. Essa morì a Betlemme e fu ivi sepolta (Genesi 35:19).
Dal Profeta Osea impariamo che fu predetta la fuga in Egitto del Messia, e il suo successivo ritorno (Osea 11:11).
Vi furono così tante dettagliate profezie riguardo al Messia che si compirono perfettamente con Gesù Cristo, che sarebbe estremamente difficile elencarle tutte adeguatamente. Nondimeno, le seguenti profezie sono alcune fra le più notevoli.
“Il Messia sarebbe stato un grande operatore di miracoli. Alcuni di questi miracoli erano che “si apriranno gli occhi dei ciechi e le orecchie dei sordi si schiuderanno… lo zoppo salterà come il cervo, e la lingua del muto si scioglierà” (Isaia 35:5-6).
Il Messia doveva entrare a Gerusalemme cavalcando un asino (Zaccaria 9:9). Doveva venir venduto per trenta monete d’argento (Zaccaria 11:12-13). Doveva venir tradito da uno che avrebbe mangiato alla stessa tavola con Lui (Salmo 40:10). I suoi discepoli l’avrebbero abbandonato al momento della sua Passione (Zaccaria 13:7). Sarebbe stato schernito (Salmo 21:7), battuto, gli avrebbero sputato addosso (Isaia 50:6), lo avrebbero flagellato (Salmo 72:14), coronato di spine (Cantico dei Cantici 3:11), e gli avrebbero dato da bere fiele e aceto (Salmo 68:22). Si sarebbero spartiti le sue vesti tirandole a sorte (Salmo 21:19). Le Sue mani e i Suoi piedi sarebbero stati trafitti da chiodi (Salmo 21:17). Avrebbe dovuto morire tra i malfattori (Isaia 53:9). Sarebbe stato paziente come un agnello nelle Sue sofferenze (Isaia 53:7), e avrebbe pregato per i suoi nemici (Isaia 53:12). Sarebbe morto volontariamente e per i nostri peccati (Isaia 53:4-7).
Ed un ricco avrebbe provveduto alla sua sepoltura (Isaia 53:9), e il suo Sepolcro sarebbe stato glorioso (Isaia 11:10). Il suo Corpo non avrebbe subito la corruzione (Salmo 40:10). Doveva ritornare al Cielo (Salmo 67:34), e doveva sedere alla destra di Dio (Salmo 109:1). La sua dottrina si sarebbe diffusa da Gerusalemme e dal Monte Sion per tutto il mondo (Gioele 2:28; Isaia 2:3). In ogni luogo attraverso il mondo sarebbe stata offerta al Suo Nome una “oblazione pura” (la S. Messa) (Malachia 1:11).
Tenuto conto di come meravigliosamente dettagliate siano queste profezie del Messia, è invero terribile considerare la verità delle parole di S. Giovanni:
“In Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini… Egli era nel mondo e il mondo fu creato per mezzo di Lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne a casa sua, e i suoi non lo ricevettero” (Giovanni. 1:4, 10-11).
In quella prima notte di Natale, quando Gesù nacque nella povertà e oscurità di una stalla, i suoi primi adoratori furono solo dei semplici pastori. Quando i Magi vennero dall’oriente e domandarono del “neonato Re dei Giudei,” leggiamo nel Vangelo di S. Matteo che Re Erode e tutti quanti a Gerusalemme furono assai stupiti. Non sapevano neppure che il Messia era nato! I Magi, gentili dell’oriente, cooperarono con la grazia di Dio e vennero a sapere del Messia, mentre la maggior parte degli Israeliti, il Popolo Eletto di Dio, specialmente quelli della città santa di Gerusalemme, non sapevano nulla della sua nascita.
E S. Giovanni continua:
“Ma a quanti lo ricevettero, a coloro che credono nel Suo Nome, diede il potere di diventare figli di Dio” (Giovanni 1:12).
Durante questo Avvento, meditiamo i passi del Vecchio e del Nuovo Testamento che la nostra Santa Madre la Chiesa Cattolica ci presenta, così che in questo Natale possiamo venire rafforzati nell’amore e nella fede nel nostro Divin Salvatore Gesù Cristo ed essere perciò “i figli di Dio… che credono nel Suo Nome.”
Possiate voi tutti, fedeli cattolici, trascorrere un Natale santo e pieno di grazie!

In Christo Jesu et Maria Immaculata,
+ Mark A. Pivarunas, CMRI

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