Omelia (26-12-2010)
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/21192.html
Omelia (26-12-2010)
COMMENTO ALLE LETTURE
a cura delle Clarisse di Città della Pieve
Oggi la liturgia ci chiede di rimetterci in cammino, con Gesù, Giuseppe e Maria. Solo ieri siamo giunti a Betlemme, al termine del cammino del tempo di Avvento, tutto proteso verso la grotta. Finalmente ci siamo fermati, e l’abbiamo visto, Lui, il Figlio di Dio fatto uomo, sulle braccia di Maria e custodito da Giuseppe: una piccola famiglia, come tante in Israele, come tante ai nostri giorni. Ma noi sappiamo che è una famiglia speciale, fatta di persone speciali. Per questo ci piacerebbe fermarci a contemplare, per goderci questo tempo pieno « di tenerezza, di bontà, di umiltà »… tutti quei sentimenti che Paolo bene descrive nella lettera ai Colossesi.
Ma non si può. Se vogliamo stare con la Santa Famiglia – e dobbiamo stare con loro, perché sono persone speciali – dobbiamo già levare le tende del cuore e seguirli in Egitto. « Erode vuole cercare il bambino per ucciderlo ». Anche Giuseppe si trova sorpreso nella notte dall’annuncio dell’angelo, e non attende l’alba per proteggere il bambino dalla furia di Erode. Come farebbe qualsiasi buon padre. Seguiamoli, in terra d’esilio, tra gente straniera. Se abbiamo celebrato il Natale in verità, dobbiamo adesso seguirli, non dobbiamo perdere Gesù. Perché il Natale non sia solo poesia, ma concretezza di vita, dobbiamo subito, oggi, rimetterci in cammino.
Cosa questo significhi, per ciascuno di noi, dobbiamo leggerlo in fondo al cuore. Ma sarebbe ancora più bello se riuscissimo a leggerlo insieme, non come io ma come noi: noi famiglia, noi comunità parrocchiale, noi comunità religiosa, noi gruppo di studio o di lavoro… Perché c’è un cammino che ciascuno di noi è chiamato a compiere personalmente lungo le strade della vita, e non può essere delegato ad altri. Ma c’è un cammino che dobbiamo compiere come Chiesa, dalla piccola Chiesa domestica che è la nostra comunità familiare, fino a quella grande ed universale realtà che è la Chiesa di Dio. E il nostro cammino personale avrà un senso nella storia solo se terrà conto del cammino di tutti.
Ecco allora un buon compito per la settimana, forse addirittura per l’anno a venire: verso cosa camminare? Io, prima di tutto, ma anche e soprattutto NOI?
L’Egitto è una terra straniera: forse andarci da soli intimorisce, ma insieme è diverso. La Santa Famiglia affronta il viaggio unita. Se ci guardiamo intorno anche noi possiamo forse riconoscere terre straniere che ci circondano, anche noi possiamo osare di addentrarci nelle nostre terre d’esilio, dove a volte ci spinge la stessa vita, per necessità. L’importante è farlo insieme, come comunità, come Chiesa. Dove per terre d’esilio possiamo intendere quelle realtà che sentiamo lontane, estranee, anche ostili… ma che forse hanno bisogno che qualcuno vi porti Gesù, come provvidenzialmente è successo all’Egitto.
Ma il cammino non è finito, non è finito mai. « Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele ». Un altro annuncio, e si ritorna a casa. E’ il Cielo a guidare i passi di Giuseppe: lui obbedisce e partono insieme. Sempre insieme, sempre come Chiesa, come comunità: sempre noi… La sequela di Gesù non comporta indugi, e non comporta solitudini. Ti fa tornare al punto di partenza, ma non come all’inizio: ora si è ricchi di qualcosa di nuovo. L’esperienza dell’Egitto, del paese straniero, te la porti dentro e ti fa ricco di qualcosa che prima non conoscevi. Ogni uscita dai propri orizzonti ristretti amplia lo sguardo sulla vita, sul mondo, sul cuore dell’uomo.
Ecco la vita della Santa Famiglia, questa famiglia dicevamo un po’ speciale. Una vita da pellegrini e forestieri, ma una vita insieme.
E cosa vuol dire insieme? Ce lo suggerisce S. Paolo, là dove parla di « sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità ». Dove parla di sopportazione reciproca, di perdono. Di sottomissione, di obbedienza. « Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori ». Che è poi quanto ci dice in altre parole anche il Siracide: il rispetto dei propri doveri all’interno della famiglia porta gioia, lunga vita, salvezza. In poche parole attira la benedizione di Dio, e quindi la sua pace.
E’ dunque il vincolo della carità che ci fa passare dall’io al noi, che ci stringe insieme come comunità, come Chiesa; che rompe il cerchio vizioso delle nostre solitudini e ci rende capaci di affrontare percorsi nuovi nella vita, forti del sostegno del fratello. E’ il vincolo di quella carità spicciola e semplice, fatta di gesti quotidiani, feriali, ma pieni di significato per chi li compie e per chi ne è oggetto. Gesti che sono stati ordinari anche in quella famiglia speciale che oggi stiamo contemplando: una famiglia santa e divina, ma tanto umana, come il Natale ci ricorda.
Certo, tra di loro tutto sarà stato spontaneo. Ma perché? C’è un segreto, che oggi ci vogliono regalare: « La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza ». Tra loro era presente la Parola, era presente Gesù stesso, Parola fatta carne. Sempre. Ecco allora il punto di partenza di tutto. La presenza di Gesù, che per noi oggi è presenza eucaristica, da una parte, e presenza della sua Parola, dall’altra. Ecco la fonte della carità, e quindi della pace, della gioia anche in mezzo alle avversità e alle contrarietà della vita. Ecco da dove attingere la forza per camminare insieme e affrontare quel viaggio verso l’Egitto, primo passo del lungo viaggio che porterà alla fine Gesù a Gerusalemme.
A questo punto ritorniamo pure davanti al presepio che ci attende a casa, rituffiamoci nella quiete di Betlemme. Il tempo liturgico ce lo consente. Ma non dimentichiamo che presto ci attende un viaggio, che Gesù stesso ci chiederà di accompagnarlo verso un « oltre »; e che sarà più semplice seguirlo se partiremo insieme, con le persone che la provvidenza ci ha donate come compagne di viaggio, perché ci amassimo a vicenda. Ecco perché esiste la famiglia, la comunità in cui vivo, la Chiesa: per darmi la possibilità di essere amato e di amare.
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