L’Apostolo Paolo: Una stella polare per la vita cristiana (Gianfranco Ravasi, 2006)

dal sito:

http://www.scuolamissionaria.it/Scout/Documenti%20vari/San%20Paolo_Le%20lettere_G.%20Ravasi.doc

L’APOSTOLO PAOLO

Le lettere

Una stella polare per la vita cristiana

Pur nella complessità dell’impianto generale del pensiero dell’Apostolo e della sua tradizione, pur nell’occasionalità pastorale di molte sue riflessioni, pur nella diversità dei tempi e persino degli autori, l’epistolario paolino costituisce uno straordinario progetto in cui teologia e morale, pensiero e azione, cristologia ed ecclesiologia, teologia e pastorale si richiamano e si fondono, dilatandosi verso nuove prospettive e costituendo una stella polare per la storia e per la vita della cristianità.

Articolo di Gianfranco Ravasi in Vita pastorale n. 1/2006
Rappresentano una grossa parte del Nuovo Testamento. È ormai pacifica tra gli studiosi la distinzione tra quelle che risalgono all’Apostolo e quelle attribuite alla sua cerchia più diretta di
discepoli, in ogni caso ritenute da sempre « canoniche » dalla Chiesa. L’epistolario è un grande progetto, di cui vediamo per sommi capi il contenuto

Se stiamo al computo dei versetti, il corpus delle 13 lettere che recano il nome di Paolo ne comprende 2.003 su un totale di 5.621 dell’intero Nuovo Testamento. Siamo, quindi, in presenza di un materiale testuale rilevante, al cui interno però emergono chiare variazioni di vocabolario, di stile, di temi. Su queste variazioni, a partire dal Settecento, gli studiosi hanno puntato il microscopio dell’analisi storico-critica e letteraria.

La « tradizione paolina »

Progressivamente si è approdati a una conclusione – ora dominante tra gli esegeti – secondo la quale sei lettere attribuite dalla titolatura a Paolo sarebbero in realtà « pseudoepigrafe » o « deuteropaoline », poste cioè sotto il nome e l’autorità dell’Apostolo ma in verità provenienti da discepoli e da quella che è stata chiamata « la tradizione paolina » (Ef, Col, 2Ts, 1 e 2Tim, Tt). Questa conclusione merita, però, due osservazioni di indole generale.
La prima è di taglio storico-letterario. Le argomentazioni critiche sono, certo, notevoli: ad esempio, in una delle più importanti di queste lettere deuteropaoline, quella ai Colossesi, si hanno 34 vocaboli del tutto inediti per l’intero Nuovo Testamento, 28 estranei all’epistolario strettamente paolino; si ignorano i temi fondamentali cari all’Apostolo quali la giustificazione, la fede, la legge; la costruzione delle frasi è pesante, prolissa e ripetitiva; si rivela l’uso della retorica classica e sono assenti gli appelli diretti, tipici di Paolo; Cristo è presentato secondo un inatteso profilo di Signore cosmico, « capo dei Principati e delle Potestà » (2,10), « dei Troni e delle Dominazioni » celesti (1,16), come colui nel quale « tutto sussiste » (1,17) e tutto è riconciliato e redento (1,20); di scena non è più la Chiesa locale, ma quella universale di cui Cristo è « capo », variando così l’immagine paolina classica della Chiesa come « corpo di Cristo » (1Cor 12).
Potremmo andare avanti a lungo nell’appuntare le variazioni tematiche di questo scritto, a partire da una concezione del credere non più visto come atto di adesione personale radicale, ma come la « conoscenza » di un contenuto di verità (fides quae più che fides qua, per usare il linguaggio teologico successivo). E così via con molte altre sorprese di solito segnalate nei commentari alla lettera. Detto questo, bisogna però anche riconoscere che simili considerazioni, pur notevolissime e imprescindibili, riguardanti la lettera ai Colossesi e le altre deuteropaoline, non sono mai totalmente apodittiche, perché di per sé non si possono escludere evoluzioni stilistiche e tematiche all’interno di un pensatore così creativo e originale com’è Paolo.
C’è, poi, un’altra importante osservazione da fare, di taglio più teologico: le lettere deuteropaoline rimangono comunque « canoniche » e, riconoscendole come appartenenti all’orizzonte dei discepoli paolini, non se ne inficia l’ispirazione divina. Come faceva notare la Dei Verbum (7 e 8), che alcuni testi neotestamentari provengano da autori « della cerchia » degli apostoli è un fatto che non contrasta la loro « canonicità » perché anche questi scritti sono « apostolici », nel senso che testimoniano – sia pure mediatamente – la predicazione apostolica (si pensi al caso di Marco e Luca).
Come si legge in un commento a un’altra importante lettera ritenuta « pseudoepigrafa », quella agli Efesini (a cura di Stefano Romanello, Paoline 2003), « che Paolo non sia l’autore della lettera nulla toglie al valore con cui la comunità credente l’accoglie. Nella lettera siamo comunque a contatto con una predicazione apostolica, ossia con una testimonianza della fede della Chiesa delle origini, che non rimane attaccata in modo fisso alla figura dell’Apostolo fondatore, ma ne elabora la parola come un tesoro vivo, che diviene significativo per le nuove situazioni in cui la comunità si trova a vivere ».

Un piano di lettura integrale

A questo punto vorremmo proporre in modo estremamente essenziale un itinerario nelle due aree del corpus paolino, partendo da quella direttamente assegnata all’Apostolo. Si potrebbe, così, configurare anche un piano di lettura integrale di questi scritti, capitali per la fede e la storia del cristianesimo, seguendone la probabile articolazione cronologica e quindi l’eventuale evoluzione del pensiero.
 Siamo attorno all’anno 51. Da Corinto Paolo invia ai cristiani di Tessalonica una prima lettera che è segnata dal registro autobiografico dei ricordi, da quello pastorale riguardante le tensioni che attanagliano la comunità e dal filo teologico che in questo caso s’annoda attorno al tema escatologico della parousía di Cristo alla fine dei tempi, suggello della storia ma anche luce per illuminare il presente senza cadere in eccitazioni apocalittiche.
 A Corinto Paolo aveva soggiornato almeno un anno e mezzo. Da Efeso, a metà degli anni 50 indirizza la prima delle sue due lettere ai Corinzi. Essa è una clamorosa smentita di chi considera l’Apostolo come un freddo teorico, « il Lenin del cristianesimo », per dirla con Gramsci. Le pagine dello scritto, infatti, toccano tutti i temi di una Chiesa immersa in un contesto secolare col quale è invitata a confrontarsi, dal quale riceve spesso influssi negativi ma nel quale deve testimoniare con coraggio la sua fede nel Cristo risorto e l’amore fraterno che la unisce.
I rapporti tra i cristiani di Corinto e Paolo non furono idilliaci. La seconda lettera a essi indirizzata ne è una vigorosa attestazione. La sua stessa redazione rivela salti tematici e di tonalità, riflettendo le tensioni interne ma anche il difficile rapporto con l’Apostolo. Tuttavia in quelle pagine si configura pure un progetto caritativo e intraecclesiale (quello della colletta per la Chiesa di Gerusalemme) molto suggestivo.
Con la lettera ai Galati entriamo nel cuore del « Vangelo » di Paolo, anche se spesso lo scritto è stato considerato una « prova d’autore », rispetto al capolavoro successivo della lettera ai Romani. Al centro si ha, infatti, la tesi squisitamente paolina della giustificazione per la fede nella grazia divina: si legga 2,16, ove per tre volte viene ribadito che « l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo ». E pronta, così, la base per l’architettura centrale della lettera ai cristiani di Roma.
Ma prima di essa si innesta probabilmente lo scritto rivolto agli amatissimi cristiani filippesi nel quale, come scriveva un esegeta (J. Murphy O’ Connor) « si sente battere il cuore di Paolo ». Composta nel carcere (forse durante un periodo di detenzione a Efeso), la lettera conserva uno splendido inno (2,6-11) che sintetizza in modo mirabile l’incarnazione e la Pasqua di Cristo secondo uno schema di « esaltazione » che sarà poi caro anche a Giovanni.
Eccoci, così, a quell’opera che un commentatore, Paul Althaus, introduceva con questa dichiarazione: « Le grandi ore della storia della Chiesa sono state le grandi ore della Lettera ai Romani », anche nei tempi del confronto aspro, come accadde con la Riforma protestante. Ritmata su un duplice movimento teologico-dottrinale (capp. 1-11) ed etico-pastorale (capp. 12-16), frequente negli scritti paolini, la lettera ha nel suo cuore una grandiosa riflessione modulata sulla giustizia per la fede (capp. 1-5) e sulla vita secondo la Spirito (capp. 6-8), sulla base del motto di Abacuc 2,4 reinterpretato da Paolo: « Il giusto divenuto tale per la fede, vivrà » (1,17 ).
o La serie delle lettere protopaoline si conclude col commovente biglietto indirizzato a Filemone per la vicenda dello schiavo Onesimo e con un sorprendente finale di speranza che illumina la prigionia dell’Apostolo: « Preparami un alloggio perché spero – grazie alle vostre preghiere – di esservi felicemente restituito! » (v. 22).

Gli scritti deutero-paolini

Siamo così di fronte all’altra area storico-teologica dell’epistolario, quella delle lettere deuteropaoline.
1 Impressiona la seconda lettera ai Tessalonicesi, striata dei colori dell’apocalittica e non priva di passi difficili da interpretare, sempre però attenta a coniugare storia ed escatologia.
Subentra la lettera ai Colossesi di cui abbiamo parlato e che è un punto di riferimento anche per il testo destinato agli Efesini (e forse anche alle altre Chiese dell’Asia Minore), lettere entrambe contrassegnate da una solenne apertura innica. Cristo, la Chiesa e il cristiano sono i tre protagonisti di una riflessione dalle prospettive nuove e originali.
 Il corpus epistolare paolino si chiude con un fascicolo di tre scritti omogenei che dal XVIII secolo vengono chiamati lettere pastorali, a causa del loro tema dominante e dei loro destinatari, i collaboratori di Paolo e pastori di comunità cristiane Timoteo e Tito. In esse la Chiesa si presenta già con la sua struttura ministeriale di episcopi, presbiteri, diaconi, ma anche di vedove, di maestri non sempre ortodossi, e si rivela segnata da una crisi di crescita. Indimenticabile è il testamento posto sotto la penna ideale di Paolo (2Tm 4,6-8).
Esterno al corpus paolino, con una sua radicale autonomia, pur con alcuni rimandi all’orizzonte paolino, rimane la lettera agli Ebrei, un monumento letterario-teologico a sé stante.
Pur nella complessità dell’impianto generale del pensiero dell’Apostolo e della sua tradizione, pur nell’occasionalità pastorale di molte sue riflessioni, pur nella diversità dei tempi e persino degli autori, l’epistolario paolino costituisce uno straordinario progetto in cui teologia e morale, pensiero e azione, cristologia ed ecclesiologia, teologia e pastorale si richiamano e si fondono, dilatandosi verso nuove prospettive e costituendo una stella polare per la storia e per la vita della cristianità.

Gianfranco Ravasi
Bibliografia
AA. W., Dizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di Penna R., San Paolo 1999, Cinisello Balsamo;
AA. W., Lettere paoline e altre lettere, « Logos » 6, Elledici 1996, Leumann (To); Barbaglio G., Il pensare dell’apostolo Paolo, Dehoniane 2004, Bologna; id., Paolo di Tarso e le origini cristiane, Cittadella 1989, Assisi; Fabris R., La tradizione paolina, Dehoniane 1995, Bologna; Metzger B.M., Il Canone del Nuovo Testamento, Paideia 1997, Brescia; Sanchez Bosch J., Scritti paolini, « Introduzione allo studio della Bibbia » 7, Paideia 2001, Brescia
.

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