AMBROGIO “VI PASCE, VI GOVERNA, VI CUSTODISCE, VI DIFENDE” (Card. Tettamanzi – 7 dicembre 2010)
dal sito:
http://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/pontificale_ambrogio.pdf
Solennità di sant’Ambrogio
Omelia
Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Milano -Sant’Ambrogio, 7 dicembre 2010
AMBROGIO “VI PASCE, VI GOVERNA, VI CUSTODISCE, VI DIFENDE”
Carissimi, ci ritroviamo ancora una volta in questa splendida basilica per celebrare la festa di sant’Ambrogio, nostro Patrono.
L’importanza di una data
La liturgia ci invita a ricordare di lui una data particolare, il 7 dicembre 374, la data della sua ordinazione episcopale, che lo stesso santo festeggiava con grande intensità d’affetto sentendosi profondamente legato alla sua comunità cristiana – così diceva – con un vincolo parentale, di carattere familiare, anzi paterno-filiale: come vescovo lui diventava “padre” dei cristiani di Milano; ma erano stati i cristiani di Milano a chiamarlo all’episcopato, e dunque egli si sentiva in qualche modo anche loro “figlio”. Così, a partire dal comandamento “Onora tuo padre e tua madre”, Ambrogio scriveva in occasione dell’anniversario della sua ordinazione episcopale: “E’ bello che per me, oggi, si legga l’inizio della Legge, quando è il giorno natalizio del mio episcopato; infatti sembra quasi che ogni anno l’episcopato ricominci daccapo quando si rinnova con la stagione del tempo. Bello è anche quanto si legge: ‘Onora tuo padre e tua madre’; voi, infatti, siete per me come i genitori, perchè mi avete dato l’episcopato; voi, ripeto, siete come figli o genitori, uno per uno figli, tutti insieme genitori…” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, VIII, 373). Ora come il legame che esiste tra padre e figlio non può essere sciolto o spaccato in alcun modo perché ha le sue radici nella natura stessa delle cose, così anche il legame tra Ambrogio e la Chiesa è diventato, lungo la storia, un legame infrangibile, a tal punto che il nostro Patrono – caso veramente quasi unico nella storia – ha dato il proprio nome alla sua stessa Chiesa: la Chiesa Ambrosiana.
Ed è per questo che da sedici secoli, in maniera ininterrotta, la nostra Chiesa celebra la Festa del 7 dicembre non solo con grande solennità, ma anche con grande affetto: l’affetto dei figli verso il proprio Padre, dal quale prendono il nome di ambrosiani, hanno ricevuto la retta fede in Cristo Signore, vero Dio e vero Uomo, hanno avuto in regalo un particolare rito liturgico, che in alcuni elementi qualificanti affonda le sue radici proprio nell’opera pastorale e negli insegnamenti di sant’Ambrogio; e nel contempo l’affetto di una Chiesa fiera e gioiosa di venerare oggi, quasi con amore materno e paterno insieme, il più illustre dei propri figli. Tocca a noi continuare a tenere viva e feconda la devozione della nostra Chiesa verso sant’Ambrogio, rendendo lode e grazie al Signore che l’ha donato a noi e all’intera Chiesa, invocando con fiducia il suo aiuto sul nostro cammino, impegnandoci ad imitare la sua passione pastorale e il suo slancio spirituale alla luce degli insegnamenti e della testimonianza di vita che ci ha lasciato. Nella lunga storia della devozione a sant’Ambrogio ha avuto un posto speciale un suo grande successore sulla medesima cattedra di Milano, san Carlo Borromeo. Lo ricordo in questo anno nel quale la nostra Diocesi celebra il IV centenario della sua canonizzazione (1610-2010). E così di nuovo, proprio oggi, troviamo un altro 7 dicembre: quello del 1563 quando il giovane cardinale Carlo Borromeo, già nominato dallo zio papa Pio IV amministratore apostolico della Diocesi di Milano, riceve l’ordinazione episcopale. Subito si fa spontanea la domanda: questa data è casuale oppure viene scelta dal Borromeo? Sappiamo che egli l’ha voluta di proposito con preciso riferimento a sant’Ambrogio e che da quel giorno ha incominciato a celebrare la liturgia secondo il rito ambrosiano. E’ dunque una scelta di grande significato simbolico: in questo modo il Borromeo intendeva inserirsi pienamente nella tradizione viva della Chiesa di Milano, che in sant’Ambrogio riconosce il proprio momento “fontale; e assumendo da quel 7 dicembre il rito ambrosiano egli intendeva accogliere la tradizione liturgica della nostra Chiesa come un tesoro, un dono prezioso, un’eredità da custodire, far crescere e fermentare, così da poterla trasmettere arricchita alle generazioni di ambrosiani che si sarebbero succedute nel futuro. Potremmo allora dire che in Carlo Borromeo, il 7 dicembre 1563, si ripeteva quello che era avvenuto per Ambrogio il 7 dicembre 374: veniva a crearsi anche per lui un rapporto infrangibile con la Chiesa di Milano, un rapporto paterno-filiale: quel giorno, ricevendo l’ordinazione episcopale e assumendo il rito ambrosiano, da un lato veniva generato come “figlio” della tradizione ambrosiana e dall’altro come “padre” della Chiesa di Milano. E negli anni successivi – 19 anni, brevi ma intensi – sarebbe diventato con la sua opera di riforma, la sua carità illuminata, il suo stile di governo prudente ed efficace, un padre eccellente, il prototipo stesso del vescovo in cura d’anime.
Un altro sant’Ambrogio
Ad un altro particolare interessante vorrei fare cenno, in occasione dell’ingresso del Borromeo in Milano come nuovo arcivescovo, avvenuto nel 1565. Secondo alcuni biografi di san Carlo, durante il suo ingresso in Diocesi, si sarebbe udita tra la folla questa specie di profezia popolare: «Costui sarà un altro sant’Ambrogio!». Forse la notizia non è verificabile dal punto di vista storico; una cosa però è certa: e cioè che san Carlo si era esplicitamente proposto di imitare l’opera pastorale di sant’Ambrogio, applicandola ai propri tempi e alle necessità della Chiesa del Cinquecento. La controprova ci è offerta dal fatto che, subito dopo la sua morte, nel 1584, e in vista della sua canonizzazione, divenne spontaneo per i biografi parlare di Carlo Borromeo come di un sant’Ambrogio “redivivo”, come colui che aveva fatto rivivere nell’oggi la vita, le virtù pastorali, la spiritualità dell’antico Patrono. Un grande amico e ammiratore di san Carlo, il cardinale Agostino Valier vescovo di Verona, ci ha lasciato – con un’accurata serie di parallelismi – un’interessante rilettura della vita e dell’opera del Borromeo a partire dalla vita e dall’opera di sant’Ambrogio. Entrambi nacquero da famiglia nobile, ma entrambi non tennero conto della propria nobiltà d’origine; la morte di Satiro, fratello di Ambrogio, rappresentò una svolta nella sua vita, analogamente a quanto accadde per Carlo alla morte del fratello maggiore Federico, quando visse un momento di travaglio interiore che lo portò a una vera e propria “conversione”; entrambi manifestarono grande amore e passione per la Sacra Scrittura; le insidie della corte imperiale che giunsero fino a mettere Ambrogio in pericolo di vita possono essere messe in parallelo con il celebre attentato a san Carlo e con il colpo di archibugio andato a vuoto; le riforme liturgiche di Ambrogio sono richiamate dalla riforma del rito ambrosiano voluta dal Borromeo e in parte da lui portata a termine; Ambrogio che scomunica i potenti (l’allusione è alla penitenza di Teodosio) è accostato alle tensioni e agli scontri tra Carlo e l’autorità spagnola di Milano; gli epistolari di entrambi rivestono grande e analoga importanza; analoga per entrambi fu la scelta di una vita ascetica, con veglie e digiuni; analoga in entrambi fu la sollecitudine per la Chiesa e la lotta per la sua libertà e il suo onore; analogo fu l’amore per
i poveri e il culto per l’amore della povertà; immediata per entrambi fu la venerazione, dopo la morte, da parte del popolo, grazie a una diffusa fama sanctitatis. Il cardinale Valier poteva terminare questa “tavola comparativa” con queste parole: «Il Signore Dio in Carlo Borromeo ha fatto rivivere le stesse virtù che brillarono in sant’Ambrogio!».
In ascolto della parola di san Carlo su sant’Ambrogio
Vogliamo ora metterci in diretto ascolto di san Carlo e chiedergli che sia lui stesso a parlarci brevemente di sant’Ambrogio. Non è questo un sogno, bello ma impossibile; è una realtà che viene dal fatto che ci sono state conservate due omelie tenute da san Carlo proprio come oggi, il 7 dicembre, in occasione della festa del santo Patrono: la prima è del 1567 – due anni dopo il suo ingresso – e fu pronunciata in questa stessa basilica; la seconda è del 1583 – un anno prima della sua morte – e fu tenuta a Bellinzona, nel Canton Ticino. Ci soffermiamo sulla prima omelia, che commenta la pagina di vangelo che abbiamo ascoltato poco fa e che la tradizione ambrosiana da sempre propone per la festa di sant’Ambrogio: la pagina del buon Pastore (Gv 10,1116). Tutta l’omelia del Borromeo è una commossa contemplazione e un inno stupendo al dono pastorale di Gesù, all’interiore fuoco della sua carità di Buon Pastore. Possiamo riascoltare da questa omelia alcune delle espressioni più significative. “Veramente è buono Pastore Cristo, e ha dimostrato ed esercitato notabilmente la bontà e carità sua Pastorale: Bonus Pastor animam suam ponit pro ovibus suis (il buon pastore dà la propria vita per le pecore). Questa è la legge della perfezione Pastorale, che spenda il pastore sino la vita, se è bisogno, per la salute del suo gregge, e par che non si possa fare di più di questo, perché diceva Cristo altrove: Majorem caritatem nemo habet, quam ut animam suam ponat pro amicis suis (Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici); pure ha trovato modo l’ineffabile bontà sua di eccedere questa perfezione, che ha posto la vita per i nemici: ha patito trentatré anni in questa vita tanti stenti quanti ognuno sa, e finalmente la morte in Croce per la salute di un gregge ribelle e contumace; ed è stata volontaria e spontanea questa dimostrazione, perché egli stesso la testifica nel testo Evangelico, parlando della sua vita: Nemo tollit eam a me, sed ego pono eam a me ipso (nessuno me la toglie: io la do da me stesso), ed il Profeta Isaia: Oblatus est, quia voluit (è stato offerto, perché lui stesso l’ha voluto)… Ma esso va più oltre scoprendo la carità sua Pastorale verso il gregge: Ego cognosco oves meas (Io conosco le mie pecore)… non vede solo di fuori, ma penetra diligentemente sino ai pensieri occultissimi. Questo è ufficio di Pastori, indagar con ogni studio la vita e i costumi ad una ad una delle sue pecorelle; questo accennò Cristo poco innanzi, quando parlando pur dell’ufficio del Pastore disse: Et vocat eas nominatim (e le chiama per nome)…”. San Carlo è molto chiaro nell’inculcare l’idea che sempre e in ogni caso è Gesù Signore l’unico e vero Buon Pastore che guida, regge, nutre e fa crescere il suo gregge, che è la santa Chiesa. Ma è altrettanto chiaro nel dire che l’opera pastorale di Cristo si esplica e si concretizza nella storia attraverso i ministri che egli sceglie e invia a rappresentarlo: e Ambrogio è stato eccellente ministro, è colui attraverso il quale Cristo Signore si è reso presente come il Buon Pastore che guida la Chiesa di Milano. Infatti come Cristo ha dato la sua vita per la Chiesa, così ha fatto Ambrogio, spendendo tutto se stesso e non risparmiandosi neppure davanti al rischio di mettere in pericolo la propria persona e la propria incolumità fisica; così come si è speso totalmente in un’attività pastorale di cui il Borromeo passa in rassegna i principali momenti: l’insegnamento costante al popolo attraverso la predicazione, l’amministrazione assidua e fedele dei sacramenti, l’attività teologica attraverso la pubblicazione dei suoi scritti a difesa della retta fede cattolica contro le deviazioni dell’eresia, la difesa coraggiosa davanti ai potenti di questo mondo dei diritti di Dio e della sua legge e della libertà della Chiesa, la fondazione di stabili e durature istituzioni ecclesiastiche, l’opera missionaria tesa al recupero, all’interno della vera Chiesa di Cristo, di chi si era smarrito, come dimostra il caso emblematico della conversione di sant’Agostino. Infine, riprendendo una idea già presente nelle antiche biografie di sant’Ambrogio, anche san Carlo lo paragona alla figura biblica di Elia, proponendo quindi il grande vescovo di Milano come figura profetica per la Chiesa di ogni tempo. Interessante è il punto dell’omelia in cui san Carlo, rivolgendosi ai milanesi del suo tempo e dopo aver passato in rassegna le virtù cristiane e pastorali di sant’Ambrogio, conclude con queste parole: «Ambrogio vi pasce, vi governa, vi custodisce, vi difende». Credo che non sia un caso che il Borromeo, per indicare la presenza di Ambrogio alla guida della sua Chiesa, abbia usato i verbi al presente: li ha usati lui quattrocento anni fa, ma li possiamo usare anche noi oggi, all’inizio del terzo millennio: Ambrogio ancora oggi “ci pasce e ci governa” con il suo insegnamento sempre vivo, incisivo ed efficace, e con gli esempi luminosi e incoraggianti della sua attività pastorale; ancora oggi il santo Vescovo di Milano “ci custodisce e ci difende” con la sua intercessione preziosa e paterna. Potrà così diventare realtà il duplice augurio che Benedetto XVI ci rivolge nella lettera inviata per il centenario della canonizzazione di san Carlo. Il primo è per i sacerdoti: “Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Patroni”. Il secondo è per i giovani: “Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi” (Lumen caritatis, 1° novembre 2010).
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