Archive pour novembre, 2010

Omelia per il 5 novembre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13927.html

Omelia (07-11-2008) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

Dio onnipotente e misericordioso,
tu solo puoi dare ai tuoi fedeli
il dono di servirti in modo lodevole e degno;
fa’ che camminiamo senza ostacoli
verso i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura

Dal Vangelo secondo Luca 16,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore.
L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.
Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

3) Riflessione

• Il vangelo di oggi presenta una parabola che riguarda l’amministrazione dei beni e che troviamo solamente nel vangelo di Luca. E’ chiamata La parabola dell’amministratore disonesto. Parabola sconcertante. Luca dice: “Il padrone lodò l’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. Il padrone è Gesù stesso e non l’amministratore. Come mai Gesù loda un impiegato corrotto?
• Luca 16,1-2: L’amministratore è minacciato di rimanere senza lavoro. “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore”. L’esempio tratto dal mondo del commercio e del lavoro parala da sé. Allude alla corruzione esistente. Il padrone scopre la corruzione e decide di mandar via l’amministratore disonesto. Costui si trova, improvvisamente, in una situazione di emergenza, obbligato dalle circostanze impreviste a trovare un’uscita per poter sopravvivere. Quando Dio si rende presente nella vita di una persona, lì, improvvisamente tutto cambia e la persona si trova in una situazione di emergenza. Dovrà prendere una decisione e trovare un’uscita.
• Luca 16,3-4: Cosa fare? Qual è l’uscita? “L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. Lui comincia a riflettere per scoprire una soluzione. Analizza, una ad una, le alternative possibili: zappare o lavorare la terra per sopravvivere, pensa che per questo non ha forza e per mendicare si vergogna. Analizza le cose. Calcola bene le alternative possibili. “So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.” Si tratta di garantire il suo futuro. L’amministratore è coerente con il suo modo di pensare e di vivere.
• Luca 16,5-7: Esecuzione della soluzione trovata. “Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Nella sua totale mancanza di etica l’amministratore fu coerente. Il criterio della sua azione non è l’onestà e la giustizia, né il bene del padrone da cui dipende per vivere e per sopravvivere, ma il suo proprio interesse. Lui vuole la garanzia di avere qualcuno che lo riceva a casa sua.
• Luca 16,8: Il Signore loda l’amministratore disonesto. Ed ecco la conclusione sconcertante: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. La parola Signore indica Gesù e non l’uomo ricco. Costui non elogerebbe mai un impiegato disonesto con lui nel servizio e che ora ruba più di 50 barili di olio e 20 sacchi di grano! Nella parabola chi tesse l’elogio è Gesù. Elogia non certo il furto, ma la presenza di spirito dell’amministratore. Seppe calcolare bene le cose e trovare una via di uscita, quando improvvisamente si vide senza lavoro. Come i figli di questo mondo sanno essere esperti nelle loro cose, così anche i figli della luce devono imparare da sé ad essere esperti nella soluzione dei loro problemi, usando i criteri del Regno e non i criteri di questo mondo. “Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16).

5) Preghiera finale

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il suo santuario. (Sal 26)

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San Carlo Borromeo

San Carlo Borromeo dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 4 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

VITA DI SAN CARLO BORROMEO (4 Novembre)

dal sito:

http://www.sancarloborromeo.org/Vita_di_San_Carlo.htm

VITA DI SAN CARLO  BORROMEO (4 Novembre)

Chi è San Carlo Borromeo

San Carlo Borromeo è tra i più grandi Vescovi della storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell’apostolato, ma sopratutto grande nella pietà e e nella devozione.
« Le anime si conquistano con le ginocchia » disse il santo. Si conquistano cioè con la preghiera e preghiera umile. San Carlo fu uno dei maggiori conquistatori d’anime di tutti i tempi.

La sua giovinezza

Era nato nel 1538 ad Arona, sulla Rocca dei Borromeo, padroni del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del conte Giberto e quindi, secondo l’uso di quei tempi fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo capo, poichè il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò un’accademia, secondo l’uso dei tempi, detta delle « Notti Vaticane ». Inviato al Concilio di Trento, fu indispensabile la sua opera per attuare le direttive conciliari. Si rivelò un lavoratore formidabile, un vero forzato della carta e della penna.

La svolta nella sua vita

Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi al capo della sua famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a soli 25 anni. Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta quanto un regno, stendendosi sulle terre in lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria e Svizzera. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e della condizione dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali ed ospizi. Profusse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Nello stesso tempo difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti.

Il rigore alla base del suo insegnamento

Riportò l’ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d’archibugio, sparato da un frate indegno, mentre stava pregando nella sua cappella. La palla non lo colpì, nonostante la sua mantella rimase forata all’altezza della spina dorsale. La cosa fu vista come il segno che Dio voleva che si realizzassero alcune opere del santo. Il foro fu la più bella decorazione dell’arcivescovo di Milano.

La peste a Milano

Durante la terribile peste del 1576, quella stessa mantella divenne coperta per i malati, assistiti personalmente dal cardinale Arcivescovo. La sua attività parve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici. Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi. Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando. Fino all’ultimo, continuò a seguire personalmente le sue fondazioni, contrassegnate da una sola parola: Humilitas.

La morte

Il 3 novembre del 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile stanchezza. Aveva 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro Vescovo Milanese, Sant’Ambrogio

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Come san Paolo interpretava la Legge

dal sito:

http://www.zammerumaskil.com/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/come-san-paolo-interpretava-la-legge.html

Come san Paolo interpretava la Legge       
 
venerdì 24 luglio 2009 

di Simone Venturini

In occasione dell’Anno paolino Antonio Pitta ha raccolto nel volume Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive (Bologna, Edizioni Dehoniane, 2009, pagine 259, euro 27,40) i risultati della ricerca esegetica degli ultimi trent’anni in ambito angloamericano che, per le sue caratteristiche di originalità, è stata definita come new perspective.
Da fariseo Paolo era un seguace zelante delle tradizioni orali ebraiche; uno zelo che fece di lui un fiero persecutore della Chiesa nascente. Chiamato sulla via di Damasco a riconoscere e testimoniare Gesù Cristo, Paolo ricorda comunque con accenti positivi il suo passato, fatto che – ricorda Pitta – pone in risalto la gratuità della sua adesione a Cristo. Tema centrale del volume è lo studio del costante riferimento scritturale di Paolo. Questo – leggiamo – è riscontrabile non solo nelle citazioni dirette, ma anche nelle riprese terminologiche o tematiche della lettera ai Filippesi, dove Paolo è paragonato a Giobbe ingiustamente accusato (1, 19) o laddove il modello di Adamo è applicato a Gesù (2, 10-11).

Dando ampio risalto all’impiego delle antiche tecniche retoriche in alcune lettere di Paolo, la new perspective ha permesso di studiare il modo in cui egli faceva uso delle Scritture. In proposito, Pitta osserva che tale ricorso si evidenzia nei casi di « reperimento delle prove » (inventio) a sostegno di un apparato di accusa o di difesa, o ancora in quelli in cui l’autorità delle Scritture è invocata a sostegno delle principali « tesi generali » (propositiones) delle grandi lettere.
Per Paolo l’autorità delle Scritture è indiscussa. Essa si esprime come una persona vivente (Galati, 3, 8; Romani, 9, 27); è la « lettera » contrapposta alla « novità dello Spirito » (Romani, 7, 6), l’insieme della Legge e dei Profeti (Galati, 4, 21b; Romani, 3, 21). Paolo usava il testo greco dell’Antico Testamento e tra i libri da lui più citati figurano Isaia, Salmi, Genesi, Deuteronomio ed Esodo. Consultava la Scrittura non su scomodi rotoli biblici, ma ricorreva a testimonia od excerpta, ossia collazioni di testi da usare al momento opportuno e documentati anche presso gli scritti di Qumrân.
Sul piano metodologico, Paolo adottava alcune regole esegetiche giudaiche, mentre lo schema rovesciato « adempimento-promessa », soggiacente alle citazioni, evidenzia che il contesto dei destinatari prevaleva su quello originale dei brani dell’Antico Testamento. Uno schema – afferma Pitta – non solo rovesciato ma talmente sbilanciato sull’adempimento, da affermare che è possibile un adempimento senza promesse, poichè Cristo morto e risorto è il vero interprete della Scrittura. Perciò la funzione delle citazioni scritturali non è più « normativa », bensì primariamente « etica ».
Si apre così la discussione sulla complessa questione della Legge, che l’autore affronta nelle lettere ai Galati e ai Romani. La terminologia compare per la prima volta nella prima lettera ai Corinti (9, 8.9; 14, 21.34), dove si delinea la funzione negativa della Legge (1 Corinzi, 15, 56) che sarà sviluppata nella lettera ai Galati, i quali pur non avendo conosciuto il giudaismo si lasciano imporre alcune osservanze giudaiche. Giustificati per la fede (Galati, 3, 1-4, 7) di Cristo (2, 16), la Legge non ha più carattere fondativo; essa non è eterna, ma posteriore alla promessa di Dio ad Abramo. Cristo, pur essendo venuto dopo la Legge, si è sottomesso alla « maledizione » della Legge (4, 4), per donare a tutti la benedizione di Abramo (3, 13).
Non solo la Legge, ma anche le opere della Legge – quali, per esempio, le questioni di purità alimentare (Galati, 2, 11-14), sono in antinomia con la fede di e in Gesù Cristo (Galati, 2, 16). Il conflitto tra i « forti » e i « deboli » (Romani, 14, 1-15, 13) è il terreno di studio che Pitta sceglie per illustrare la questione della Legge nella lettera ai Romani.
Gli studi storici e sociologici tipici della new persepctive ci hanno restituito la fisionomia essenziale della comunità romana. I forti e deboli erano fratelli che aderirono a quel giudaismo centrato su Cristo, provenivano dagli strati più umili della società e si riunivano nelle chiese domestiche in mancanza di una sinagoga o chiesa centralizzata. Motivi dell’attrito erano le norme (halakot) di purità alimentare (Romani, 14, 14) e del calendario giudaico verso le quali Paolo raccomandava rispetto da parte di coloro per i quali tutto è puro. Di fronte ai « diffamatori » di Roma (3, 8), Paolo avrà il difficile compito di dimostrare che la Legge, pur non salvando, non è abrogata, sebbene non sia rilevante per la giustificazione.
La giustificazione in Cristo, che libera dal giudizio escatologico (1, 18-3, 20), non comporta un atteggiamento contro la Legge (i forti) e quelli che ancora l’osservano (i deboli) non sono per essa giustificati. Sia i forti che i deboli sono morti alla Legge per vivere e servire il Signore (5, 1-8, 39). Il conflitto tra i due gruppi rischiava invece di vanificare la morte di Cristo e la stessa morte alla Legge.
Perciò, sia pur abrogata, la Legge tornava ad imperare? È il problema di Romani, 7, 7-25 dove Paolo sembra fare delle concessioni alla Legge per il bene dei deboli. Paolo, in realtà, nulla sta « concedendo » alla Legge, poiché al centro del brano vi è l’impotenza dell’io (7, 19), il quale pur riconoscendo il bene della Legge, non riesce ad attuarlo elevando nel contempo una tragica domanda di liberazione (7, 24). Solo Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, (7, 25) che ci giustifica gratuitamente, può liberare l’umanità da questa situazione. La Legge è pervenuta al suo fine, che di per sé non comporta l’abrogazione, ma la consapevolezza che solo Dio giustifica in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo (Romani, 3, 21-22; 8, 1-2).

(L’Osservatore Romano – 25 luglio 2009) 

Publié dans:Temi: La Legge |on 4 novembre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 2 novembre 2010 -1 lettura Gb 19,1.23-27a : Salvati dall’ira

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16587.html

Omelia (02-11-2009) 
don Daniele Muraro
 
1 lettura  Gb 19,1.23-27a

 Salvati dall’ira

« Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. » Sono parole di Giobbe nella prima lettura. Giobbe non è neanche ebreo, viveva nella terra di Uz, diciamo in Siria, ugualmente dal libro sacro viene portato come modello di giusto sofferente a testimonianza che il problema del male e della morte è universale. Ce l’hanno i credenti e anche i non credenti.
Giobbe teme Dio, nel senso che lo onora e proprio per questo le disgrazie che gli sono capitate addosso gli sembrano ancora più gravi.
Alla domanda spontanea: « Come mai proprio a me? » si affannano a rispondere tre amici, venuti per consolarlo nelle intenzioni, ma che nei fatti aggravano il suo dolore.
Incessantemente essi ripetono: « si vede che hai peccato, hai fatto qualcosa di sbagliato di fronte a Dio, anche inconsapevolmente ». Giobbe però rifiuta la spiegazione. Egli ha coscienza di essersi sempre comportato bene e desidera almeno che la sua protesta d’innocenza sia tramandata ai posteri.
L’ultima parola, quella del giudizio definitivo, spetterà al suo « Redentore », che si farà arbitro tra lui e i suoi accusatori e infine gli renderà giustizia. « Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! »
Troviamo qui espresse alcune verità di fede che è opportuno richiamare in questo giorno dedicato alla Commemorazione dei nostri defunti.
Giobbe si aspetta di vedere Dio, cioè di presentarsi al suo cospetto, immediatamente dopo aver esalato l’ultimo respiro, senza la carne, che rimane quaggiù, ma nella integrità della sua anima che sale verso Dio.
« È stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio » dice la lettera agli Ebrei. È un grave errore ritenere che con la morte finisca tutto.
La Chiesa riserva una preghiera apposita per la raccomandazione dell’anima nell’ultima agonia. Il sacerdote recita:  » Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi… Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi… Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno »
Afferma il catechismo della Chiesa cattolica: « Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre. »
Le anime di tutti i santi morti prima della passione di Cristo e quelle di tutti i fedeli morti dopo aver ricevuto il Battesimo di Cristo, nelle quali al momento della morte non c’era o non ci sarà nulla da purificare, oppure, se in esse ci sarà stato o ci sarà qualcosa da purificare, quando, dopo la morte, si saranno purificate, anche prima della risurrezione dei loro corpi e del giudizio universale sono state, sono e saranno in cielo, associate al Regno dei cieli e al Paradiso celeste con Cristo, insieme con i santi angeli. Esse vedono Dio con una visione intuitiva e anche a faccia a faccia.
« Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi » diceva il salmo responsoriale e Gesù nel Vangelo conferma questa speranza: « Colui che viene a me, io non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, » e poi aggiunge « ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. »
La resurrezione del corpo, quella che noi nel Credo chiamiamo resurrezione dei morti sarà l’evento finale della storia, subito prima giudizio universale, quando tutta l’umanità sarà riunita in un medesimo luogo, la Bibbia la chiama la valle di Giosafat che significa la valle dove Dio giudica e ciascuno si ritroverà rivestito del suo corpo resuscitato.
Dice il libro di Daniele: « Quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. »
La storia arriverà per così dire al capolinea e ciascuno dovrà esibire il documento di viaggio, cioè le buone opere compiute finché era in vita.
È importante rendersi che in quanto umanità, intesa come insieme delle creature umane, noi formiamo come una sola famiglia; anche lo sviluppo della mia singola esistenza è dipesa e ha influenzato quelle di molti altri. Ciò diventerà chiaro alla fine, nel giudizio universale, che sarà giusto e completo.
Terminerà in quel momento anche la purificazione delle anime ancora rimaste nel cosiddetto Purgatorio.
Forse il pensiero di un giudizio da parte di Dio che sia immediato e particolare oppure finale e generale ad ogni modo incute paura alla nostra mente. Giobbe, abbiamo detto prima, lo aspettava come il momento in cui le sue ragioni avrebbe avuto un « Redentore » che le avrebbe fatte valere e confermate per l’eternità.
L’amore di Dio è fuoco che illumina e fa risplendere i santi, ma prima lo stesso fuoco purifica dai difetti. Dio, nel suo amore, è purificazione che completa la nostra conversione e ci rende degni di Lui.
Diceva un padre della Chiesa: « O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall’attrattiva della ricompensa e siamo simili ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l’amore di colui che comanda che noi obbediamo… e allora siamo nella disposizione dei figli. »
I nostri defunti intercedono per noi presso Dio presentando a Lui tutte le nostre aspettative, i nostri desideri e perfino le defezioni e le mancanze morali, affinché il Signore possa intervenire a nostro vantaggio con l’abbondanza della Sua grazia.
Noi che siamo su questa terra da parte nostra siamo tenuti a pregare per i cari defunti, in modo che se ancora devono purificarsi in qualche cosa – e questo solo Dio lo sa – possano essere alleviati dalle pene e camminare spediti verso la meta della vita senza fine.
Come dice il Vaticano II: « L’unione dei viventi con i fratelli che si sono addormentati nella pace di Cristo non è interrotta, ma al contrario, secondo la costante fede della Chiesa, rafforzata dalla condivisione di beni spirituali ».
È con questi sentimenti che vogliamo continuare la sosta presso i nostri defunti e la preghiera in questa giornata dedicata al loro ricordo e al loro suffragio. 

Omelia per il 2 novembre 2010: Alla morte risponde l’amore

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/20149.html

Omelia (02-11-2010) 
padre Gian Franco Scarpitta

Alla morte risponde l’amore

Come la giornata dedicata a tutti i Santi, anche l’odierna liturgia ci invita a considerare in senso globale e universale un aspetto della nostra devozione che solitamente guardiamo nelle circostanze singolari e limitate. Si tratta dei nostri cari defunti, di solito onorati singolarmente per mezzo di preghiere, Messe di suffragio e altre pie pratiche a loro dedicate come il pellegrinaggio e la visita al cimitero, per i quali oggi, però, la Chiesa ci invita a pregare tutti insieme indistintamente offrendoci oltretutto la possibilità di avere un occhio di riguardo anche per le anime di tutti coloro dei quali su questa terra si è perduta la memoria, per i defunti trascurati e dimenticati perché costretti in vita alla solitudine e all’emarginazione, come pure per tutti coloro di cui si sono perse le tracce in occasioni di calamità naturali o in conseguenza della guerra. La commemorazione di Tutti i Defunti interessa infatti tutti i cari estinti terreni e si estende a tutti coloro che in un modo o nell’altro sono stati sottratti alla vita terrena, non importa quali siano state le loro condizioni sociali e le loro caratteristiche personali: oggi preghiamo per tutti i defunti, ne facciamo memoria e impetriamo per essi l’intercessione affinché Dio possa estinguere per loro residuati di colpa e di peccaminosità.
Di fronte al problema della morte, Dio risolve le nostre domande semplicemente con l’amore. E in forza di esso siamo orientati alla fiducia e alla speranza, considerando dalla rivelazione che anche per coloro che sono umanamente trapassati vi è possibilità di salvezza nonostante il peccato o le defezioni terrene, poiché Dio, che tutti i mezzi impiega fino all’ultimo istante affinché ogni suo figlio non si perda ma ritorni alla comunione con Lui, dispone per i nostri defunti un tempo ulteriore di purificazione affinché, liberi dai gravami delle pecche terrene, essi possano associarsi agli Eletti nella contemplazione definitiva del suo volto: il Purgatorio.
Smentire, come fanno certuni, questa realtà intermedia fra la Gloria eterna del Paradiso e la Retribuzione definitiva dell’empio (inferno) equivale a mettere in discussione l’onnipotenza dell’amore di Dio e la profondità delle sue possibilità di salvezza, riducendo lo stesso amore divino ad una sorta di aut aut per il quale si pongono solo due alternative: o ti salvi o ti danni. Non è invece nell’ordine dell’amore di Dio abbandonare le anime al loro destino, piuttosto risponde alla sua vera Identità accompagnarle e condurle a salvezza sfruttando fino all’ultime tutte le risorse possibili. Deve esistere allora una dimensione purgatoriale per la quale residui di peccato e imperfezioni possano essere rimossi anche dopo la vita terrena, altrimenti sarebbe vano e futile pregare e sostare al cimitero per i nostri defunti (2Mc 12, 42-46) e questa è la prospettiva per la quale oggi, come tutti i giorni dell’anno, siamo chiamati a coltivare maggiormente e con più intensità le nostre relazioni di intimità con i nostri cari defunti, accompagnandoli nell’orazione mentre essi si purificano ulteriormente per raggiungere la gioia infinita del Paradiso. Facendo applicare l’Eucarestia a loro vantaggio chiediamo al Signore che, intervenendo con la sua presenza reale e sostanziale nel Sacramento, agisca egli stesso per la purificazione sollecita di tutti i defunti ottenendo che il Sacrificio dello stesso Signore si applichi per il loro riscatto ed è questo il motivo per cui eccezionalmente nella giornata odierna ogni sacerdote potrà celebrare tre liturgie eucaristiche; con la visita ai cimiteri potremo anche lucrare per i nostri cari defunti l’Indulgenza Plenaria, che otterrà loro il vantaggio della remissione delle pene temporali e a noi l’accrescimento spirituale della consapevolezza di aver instaurato solide relazioni con i nostri cari che adesso pregano per noi come noi per loro.
La giornata del 2 Novembre è quindi ben lungi dall’identificarsi come occasione di mestizia, sconforto, dolore e rassegnazione, ma è piuttosto incentivo alla gioia nella rivalutazione di quanto sia forte oltre la morte l’amore di Dio e di come lo stesso Signore abbia dominato e vinto e la morte nel suo Figlio Gesù Cristo Risorto che ora ci concede le grazie sopra menzionate e dare a tutti una risposta definitiva all’inquietante interrogativo che continuamente ci assilla intorno alla realtà inevitabile del trapasso, cogliendo anche l’opportunità per noi stessi di immedesimarci nello stesso Signore Risorto. In Lui abbiamo la certezza che anche noi siamo destinati alla risurrezione perché la morte non ha più rilevanza né ragion d’essere nel nostro vivere quotidiano; affidarsi alla sua Parola e rinnovare la nostra adesione a Lui tutti i giorni ci porta a riscoprire la verità di Dio che sulla croce ha consegnato se stesso per il riscatto dell’umanità pagando con sangue umano i peccati e le miserie dell’uomo, che è morto alla pari di tutti noi per affrontare egli medesimo la realtà del trapasso che noi tutti tendiamo a schivare ma che dopo tre giorni è risuscitato nel suo corpo glorioso per donare a tutti la vita. Come afferma Paolo, Cristo risuscitato non muore più, la morte non ha più potere su di lui e coloro che a lui si affidano sono destinati alla stessa eredità di vita senza fine, di vita eterna.
Accostandosi al sepolcro dell’amico Lazzaro defunto ormai da quattro giorni, Gesù lo riporta alla luce nonostante il miasma cadaverico, le bende e il sudario, ma non prima di aver pianto con Marta per condividere con lei la realtà legittima del dolore umano che coglie tutti alla sprovvista in ogni circostanza luttuosa, ma soprattutto non prima di aver qualificato se stesso come « la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà ». Ciò è sufficiente a spiegare che anche prescindendo dall’uscita materiale dalle tombe Cristo è la Vita che si dona a tutti, il Dio incarnato per il quale tutti vivono e in virtù del quale la vita « non è tolta ma trasformata » (liturgia dei defunti)

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per la commemorazione dei fedeli defunti

per la commemorazione dei fedeli defunti dans immagini sacre 20550B

http://scillachiese.blogspot.com/2008/11/2-novembre-commemorazione-dei-defunti.html

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