L’OMELIA E LA SPIRITUALITÀ DELL’ASCOLTO (P. Matias Augé)

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L’OMELIA E LA SPIRITUALITÀ DELL’ASCOLTO

di P. Matias Augé

Viviamo in una società che è stata definita società dell’immagine, una società che non favorisce l’ascolto. Molteplici immagini accompagnate da molteplici parole e in rapida successione si sovrappongono confusamente sugli schermi della TV e dei telefonini, sui giornali, nei siti internet, nelle sale cinematografiche, in migliaia di libri sfornati dalle case editrici, nei graffiti delle mura delle città. Non è possibile prestare vero ascolto, dare retta a tutti questi molteplici messaggi, che somigliano ad un torrente impetuoso le cui acque scivolano lungo in pendio dei nostri sensi e della nostra mente. Nella nostra società c’è la prevalenza del “vedere” e del “sentire” sull’“ascoltare”.

Nell’antica civiltà ebraica, invece, le cose stavano in un altro modo. La possibilità di accedere alla Parola di Dio mediante la sua lettura in un testo scritto era molto ridotta, data la rarità di quanti erano in grado di leggere e la scarsità di testi scritti. Per l’antico ebreo la possibilità pressoché unica era, quindi, quella di sentir proclamare la Parola di Dio. Questo fatto ha affinato nel popolo eletto la capacità di ascolto. La Bibbia ci trasmette il ricordo delle reazioni di volta in volta suscitate nei pii ebrei da questo “ascolto”. Così, ad esempio, dopo che Mosè, disceso dal monte Sinai, lesse al popolo il libro dell’alleanza, gli israeliti risposero entusiasticamente: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto” (Es 24,7). La stessa preghiera ebraica è ritmata dallo Shema’ Jisra’el, “Ascolta, Israele” (cf Dt 6,4-9), un comando che, in varie forme, è ripetuto più volte nella Torah. Possiamo ben dire che nella società e religiosità bibliche c’è l’assoluta prevalenza dell’ “ascoltare” sul “sentire”.

Il “sentire” si esaurisce perlopiù in una semplice sensazione fisica o anche emotiva; “ascoltare” è invece qualcosa di più profondo. Si potrebbe dire che, se per Dio “in principio è la Parola” (cf Gv 1,1; Gen 1,3.6), per l’uomo “in principio è l’ascolto”. Nella Bibbia si tratta di un ascolto del cuore. Il credente, come “deve amare il Signore con tutto il cuore”, deve anche tenere la Parola di Dio “fissa nel cuore” (cf Dt 6,5.6). La Parola deve superare le barriere dell’ascolto puramente fisico e della comprensione intellettuale per spingersi nelle profondità dell’uomo fino a raggiungere la sua più profonda interiorità, appunto il “cuore”. Il cuore assomiglia al “grembo materno” ove il germe seminato vive e cresce. Sono noti i testi di Luca in cui egli parla del cuore di Maria: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19) e ancora: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Le parole “custodire” e “meditare” traducono due parole greche che significano rispettivamente: “cutodire” e “mettere insieme” (symbállo), “raccogliere” e “ricordarsi” (diateréo). Così, secondo i due contesti, il senso è che Maria, ricordando le profezie delle Scritture, ne ha viste alcune realizzarsi sotto i suoi. E ora, nel profondo della sua coscienza, nel suo cuore, mette i fatti a confronto.

All’ascoltatore della Parola si richiede un’attenta cura delle disposizioni personali e interiori (generosità, fiducia, povertà, disponibilità, libertà interiore, apertura, sforzo di attenzione, impegno, obbedienza nella fede ecc.) e delle condizioni ambientali o esterne (clima di deserto, di silenzio, di solitudine, di fede, di speranza, di carità, di preghiera ecc.) che possono favorire quell’itinerario della Parola che va dall’orecchio (o dagli occhi) al cuore.

Ecco quindi che l’omileta dev’essere anzitutto ascoltatore assiduo della Parola, abitato dalla Parola (cf Gv 5,38), deve nutrire una spiritualità dell’ascolto, deve far sì che la Parola che  predica diventi anzitutto per lui stesso una parola ascoltata e accolta nel cuore. Soltanto così potrà poi essere ministro efficace della Parola. L’omelia infatti deve, a sua volta, aiutare l’assemblea ad ascoltare la Parola. L’omileta vive della Parola che esce dalla bocca di Dio (cf Mt 4,4; Dt 8,3), si fa servo di questa Parola e ne diventa annunciatore in mezzo all’assemblea; ciò però è possibile e fecondo soltanto se l’omileta è un uomo di preghiera. Preghiera che nasce nell’ascolto della Parola e prepara all’ascolto dell’assemblea. Preghiera e servizio della Parola vanno insieme (cf At 6,4)

L’Istruzione Liturgicae Instaurationes afferma: “Lo scopo dell’omelia è di rendere comprensibile ai fedeli la Parola di Dio che è stata loro annunziata e di adattarla alla sensibilità della nostra epoca”. Le parole dell’omelia sono mediatrici della Parola. La Proposizione 15 del Sinodo dei Vescovi sul tema La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, termina con questa affermazione: “… i Padri sinodali auspicano che si elabori un Direttorio sull’omelia, che dovrebbe esporre, insieme ai principi dell’omiletica e dell’arte della comunicazione, il contenuto dei testi biblici che ricorrono nel lezionario in uso nella liturgia”. L’omelia è quindi un atto di comunicazione, e ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione. Nel caso dell’omelia, l’aspetto contenutistico è decisamente quello preminente, e tuttavia l’aspetto relazionale ha un suo peso non trascurabile, anzi rilevante. L’omileta quindi oltre che nell’ascolto della Parola, il cui contenuto deve poi trasmettere, deve esercitarsi anche nell’ascolto dell’assemblea, destinataria dell’omelia, deve cioè stabilire con la sua comunità una vera relazione, una vera comunicazione. Parliamo perciò di una spiritualità dell’ascolto dell’assemblea.

Si può affermare che in linea di massima la disposizione relazionale dell’assemblea è corrispondente a quella che anima l’omileta. Se, cioè, egli nutre vera stima, attenzione, vicinanza e disponibilità ad essere utile, se ha un approccio sincero nei confronti degli ascoltatori, se le sue parole sono vere, nascono dal cuore, allora la comunicazione ha tutte le possibilità di riuscire. L’omileta deve vivere, poi, in sintonia intima con la comunità a cui si rivolge, immedesimarsi con essa, far sì, come dicono le prime battute della Gaudium et spes, che “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, siano pure “ le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” sue. Non si deve dimenticare che il destinatario della Parola è l’uomo, tutto intero, con i suoi problemi esistenziali e concreti di ogni giorno e che la Parola di Dio è più Parola di Dio sull’uomo che parola di uomo su Dio. 

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