Secondo viaggio missionario – Paolo a Tessalonica

dal sito:

http://www.christusrex.org/www1/ofm/pope2/greece/GPgr03.html

Secondo viaggio missionario – Paolo a Tessalonica

di Alfio Marcello Buscemi

dal libro: San Paolo. Vita opera messaggio
(SBF Analecta 43), 2a edizione, Gerusalemme 1997

Seguendo la Via Egnatia verso Sud-Ovest, Paolo e Sila attraversarono Anfipoli e Apollonia e, dopo aver percorso circa 150 km, giunsero a Tessalonica, attuale Saloniki (Salonicco). Città fiorente dell’attuale Grecia, fu nell’antichità un centro rinomato e uno dei porti più importanti del Mar Egeo. Fondata da Cassandro, generale e cognato di Alessandro Magno, nel 315 a. C. sull’antico villaggio di Therma, ebbe il nome di Tessalonica in onore della moglie di questo generale, divenuto re della Macedonia alla morte di Alessandro. Dopo la battaglia di Pidna nel 168 a. C., i Romani divisero la Macedonia in 4 distretti e costituirono Tessalonica capoluogo del secondo distretto. Più tardi verso il 42 a. C., dopo la battaglia di Filippi, Antonio e Ottaviano la resero città libera e sede dell’amministrazione romana di tutta la Macedonia. Era retta da un consiglio di 6 magistrati, chiamati « politarchi », come risulta da parecchie iscrizioni e da At 17,6.8. La popolazione era mista, come in tutte le città elleniste, e non mancavano i giudei, che anzi erano numerosi ed avevano una sinagoga (At 17,1).

Seguendo il suo solito metodo missionario (cfr At 13,5; 13,14.46-47; 14.1) – predicare la salvezza prima ai giudei e poi ai gentili – Paolo, appena riuscì a sistemarsi in città trovando anche lavoro (cfr 1Tess.2,9), si diresse subito verso la sinagoga della città per annunciare ai giudei che Gesù è il Cristo sofferente e glorioso, promesso dalle Scritture (At 17,3). Anzi, per tre sabati di seguito riuscì ad attirare l’attenzione dei suoi uditori su quell’argomento e a discutere con loro su passi messianici dell’AT, che preannunciavano non tanto un Messia glorioso e trionfante – così come la tradizione giudaica comune l’attendeva e lo presentava -, ma un Messia che doveva patire e risorgere da morte (At 17,2-3). Il risultato fu il solito: l’assemblea si divise in due parti: una parte, comprendente alcuni giudei, un buon numero di greci e molte donne dell’aristocrazia tessalonicese, si lasciò convincere, si convertirono ed aderirono alla fede di Paolo e Sila; l’altra parte invece, composta soprattutto da giudei, spinta da un senso di invidia e di gelosia per il successo dei due missionari, non solo non accettò la predicazione di Paolo, ma si mise a tramare contro i due missionari.

Non sappiamo quando durò il soggiorno di Paolo e Sila a Tessalonica, ma non dovette durare meno di tre mesi. Fu un periodo di intenso lavoro manuale ed apostolico, che i due missionari dovettero svolgere in maniera capillare, lenta, estenuante, con sacrificio e dedizione, tanto che Paolo potrà scrivere ai Tessalonicesi: « Voi ricordate, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica. Lavorando notte e giorno per non essere di aggravio a nessuno di voi, predicammo in mezzo a voi il Vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e lo è Dio stesso, di come ci siamo comportati santamente, giustamente, irreprensibilmente in mezzo a voi che credete. Come pure sapete che, come fa un padre verso i suoi figli, ciascuno di voi abbiamo esortato, incoraggiato e scongiurato a camminare in maniera degna del Dio che vi chiama nel suo regno e nella sua gloria » (1Tess 2,9-12). Il suo lavoro dovette essere pesante e duro, non solo da un punto di vista fisico e materiale, ma soprattutto per le continue lotte ed insidie che i giudei gli tendevano continuamente, come dice lo stesso Paolo: « annunziammo fra voi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte » (1Tess 2,2) e a molte persecuzioni (1Tess 2,14-16). Ma non fu una fatica vana (1Tess 2,1): i Tessalonicesi corrisposero con fervore, intelligenza e sapienza di Spirito, ricevendo la predicazione di Paolo « non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio » (1Tess 2,13), che opera continuamente nel cuore di chi crede e li guida alla santificazione (1Tess 4,7) per mezzo dello Spirito (1Tess 5,19). Anzi, ricevettero la Parola del Signore con tanta « gioia di Spirito Santo pur in mezzo a grande tribolazione, così da divenire modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia (Filippi e Berea) e nell’Acaia (Atene e Corinto) » (1Tess 1,6-8). E i frutti più belli di questa missione l’apostolo li ebbe in Giasone, che molto probabilmente li ospitò per tutto il tempo della missione, procurava loro il lavoro e per loro rischiò la vita nel momento in cui i giudei li ricercavano per condurli dinanzi ai « politarchi  » (At 17, 5-7); in Aristarco, che gli fu compagno durante il « terzo viaggio missionario » (At 19,29; 20,4) e anche in quello da Cesarea a Roma (At 27,2), condividendo la sua prigionia (Col 4,10); in Secondo, altro compagno di Paolo durante il terzo viaggio missionario (At 20, 4).

Il successo della predicazione paolina a Tessalonica fu grandissimo, ma esasperò in maniera feroce l’animo dei giudei, che per invidia prezzolarono alcuni facinorosi di piazza – quei « subrostrani » di cui parla Cicerone – la cui attività principale era quella di turbare la quiete pubblica. Con il loro aiuto provocarono un tumulto in città e andarono a cercare Paolo e Sila a casa di Giasone, ma quando vi arrivarono i due missionari erano fuggiti altrove. Sentitisi beffati, i giudei afferrarono Giasone e altri fratelli e li condussero dinanzi ai « politarchi », accusandoli di aver dato ospitalità a dei sediziosi che mettevano a soqquadro tutto il mondo e andavano predicando dottrine contrarie alle istituzioni romane, « dicendo che c’è un altro re, Gesù » (At 17,6-7). Ancora una volta i giudei cercarono di procurare dei guai a Paolo con delle accuse false, ma certamente efficaci presso le autorità greco-romane. Comunque, i « politarchi » sembra che non siano caduti nel tranello. Infatti, anche se sotto cauzione, i « politarchi » lasciarono andare liberi sia Giasone che i fratelli. Così, Paolo, per salvare l’amico che sicuramente avrebbe subito un’ispezione per verificare l’attendibilità dell’accusa, dovette lasciare la città e insieme a Sila rifugiarsi a Berea.

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