Archive pour octobre, 2010

Omelia per domenica 24 ottobre 2010, seconda lettura su 2Tm: La corona di giustizia

dal sito:

http://www.nicodemo.net/NN/ms_pop_vedi2.asp?ID_festa=251

2 Timoteo 4,6-8.16-18

La corona di giustizia

La lettera si apre con il prescritto e il ringraziamento epistolare, nel quale l’autore ricorda la fede di Timoteo, ricevuta dalla madre e dalla nonna (1,1-5). Viene poi il corpo della lettera in cui sono svolti i seguenti temi: A. Il vero pastore (1,6-18); B. Il comportamento di  Timoteo (2,1-26); C. Gli ultimi tempi (3,1-17); D) Il testamento di Paolo (4,1-18). Il testo liturgico riprende la seconda parte del testamento di Paolo, dove l’Apostolo fa una sintesi del suo apostolato (vv. 6-8) e dà a Timoteo le sue ultime istruzioni (vv. 16-18). Vengono omessi i vv. 9-15 che contengono l’indicazione di alcuni compiti specifici affidati a Timoteo.

Paolo rivolge anzitutto lo sguardo al passato: «Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (vv. 6-7). Paolo è ormai alla vigilia del martirio o dell’esecuzione capitale e  dà una visione retrospettiva della sua attività. Il modello qui adottato è quello dei discorsi di addio, che viene utilizzato per esempio nel saluto di Paolo ai presbiteri di Mileto, dove ricorre la stessa immagine della corsa (cfr. At 20,24). Da questo genere letterario deriva il tono elogiativo con cui si presenta la vita passata dell’Apostolo. La prospettiva della morte imminente è evocata con le immagini del sacrificio e della partenza, mutuate dalla lettera ai Filippesi (cfr. Fil 1,23; 2,17). La morte dell’apostolo è presentata come un sacrificio: nella tradizione giudeo-ellenistica e, più tardi, in quella rabbinica, la morte del martire è interpretata come un sacrificio in quanto riconcilia il popolo con Dio. Essa è anche l’approdo alla meta definitiva. Riguardo al passato, la vita apostolica di Paolo è descritta come una battaglia e come una competizione sportiva. Il linguaggio è quello adottato da Paolo stesso, che paragona l’impegno e il rischio della sua missione apostolica alle gare nello stadio (cfr. 1Cor 9,24-27). Lo stesso linguaggio è adottato anche altrove nella Pastorali (cfr. 1Tm 6,12;  2Tm 2,5). Secondo una formula fissa, in uso nei pubblici riconoscimenti, si afferma che Paolo ha «tenuto fede» agli impegni di apostolo, missionario e maestro. Anche questo motivo della fedeltà o pieno compimento della missione rientra nel linguaggio dei discorsi di addio (cfr. At 20,20.27; Gv 17,4.6). Egli diventa così il modello o prototipo dei pastori e di tutti i credenti non solo nella sua vita e attività, ma anche nella sua morte.

 Lo sguardo si rivolge poi al futuro, con il ricorso nuovamente alle immagini delle gare sportive o della lotta: «Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione» (v. 8). Al vincitore spetta l’incoronazione con il serto di alloro o con rami di sempreverde. Il simbolo della corona per l’ambiente greco-ellenistico è carico di connotazioni come onore, gioia, immortalità e trionfo. La corona viene qualificata con il genitivo «di giustizia»: non si tratta dunque di un riconoscimento umano, ma di quello che viene da Dio, basato sull’acquisizione della giustizia in quanto rapporto pieno con lui. Questa corona verrà conferita nel contesto escatologico dal Signore, che allora si manifesterà come «giusto giudice», che non delude quelli che per lui si sono impegnati senza riserve. La sorte di Paolo è un pegno per tutti i credenti che sono solidali con il suo destino (cfr. 1Ts 2,19). Essi sono definiti come quelli che vivono nell’attesa della gloriosa manifestazione del Signore. È scomparsa la componente di impazienza che deriva dalla credenza in un imminente ritorno del Signore, lasciando il posto all’impegno quotidiano per vivere secondo gli insegnamenti e l’esempio di Gesù.

Nei versetti omessi dalla liturgia, Paolo esorta Timoteo a raggiungerlo comunicandogli che i suoi compagni Dema, Crescente e Tito lo hanno lasciato solo. Con lui c’è solo Luca. A Timoteo dice ancora di portare con sé Marco e accenna all’invio di Tichico a Efeso. E aggiunge di portargli il mantello e le pergamene che ha lasciato a Troade e infine lo mette in guardia nei confronti di Alessandro. Questi accenni, che dovrebbero essere le prove dell’autenticità della lettera, sono invece chiaramente artificiosi e si riferiscono a situazioni non controllabili, anzi a volte inverosimili, soprattutto nel caso di uno che sta per essere giustiziato.

Nella seconda parte del brano si ritorna sulla situazione attuale dell’Apostolo: «Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto» (v. 16). In questo sfogo si sente il rammarico per l’abbandono da parte dei suoi. Verso di loro Paolo ha parole di perdono. È difficile sapere se si tratta di un ricordo storico o del semplice motivo del giusto abbandonato dai suoi amici, come era stato per Gesù. La solitudine di Paolo è riempita dalla vicinanza del Signore: «Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone» (v. 17). Paolo è consapevole che solo con la grazia di Dio ha potuto portare a termine la sua missione. Questo risultato è espresso con l’immagine della lotta vittoriosa dei gladiatori contro i leoni nel circo. Non si tratta però di una vittoria umana, bensì del successo dell’opera di evangelizzazione, che può benissimo coesistere con l’imminente martirio.

L’esperienza del conforto che gli viene dal Signore apre infine il cuore alla speranza: «Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (v. 18). La liberazione a cui tende l’Apostolo non è più quella che si attua in questo mondo ma quella che consiste nell’ingresso nel regno, che appare ormai come una realtà che ha sede nei cieli. Alla visione del regno come trasformazione di questo mondo si è ormai sostituita quella di una nuova situazione che si raggiunge dopo la morte, quando l’anima si ricongiunge definitivamente con Dio.

Linee interpretative

In questo brano si tende ad avvalorare l’autenticità paolina della lettera, mentre invece esso ne dimostra chiaramente l’origine tardiva, pur situandosi nell’alveo della tradizione paolina. La figura idealizzata di Paolo, il martire fedele e coraggioso, viene riproposta plasticamente ai cristiani grazie ad alcuni dati biografici ripresi e rielaborati dalle fonti tradizionali paoline, lettere e Atti degli Apostoli. In tal modo l’insegnamento dell’apostolo assume un valore permanente e la sua vicenda diventa paradigmatica per tutti i cristiani. Quello che si sottolinea maggiormente è la sua fedeltà fino alla fine nel compimento della missione a lui affidata di annunziatore del vangelo.

Questa rilettura idealizzata di Paolo, il prigioniero del Signore e il testimone fedele, si ispira al modello biblico del giusto abbandonato dagli amici e vicini, attaccato dai suoi nemici, il quale ripone la sua fiducia solo in Dio che lo protegge e lo libera e così alla fine può rendere grazie a Dio. Sullo sfondo di questo schema letterario diventa perfettamente plausibile la contrapposizione tra l’abbandono di tutti e la presenza del Signore che dà all’apostolo la forza per la testimonianza evangelica e alla fine lo salva in modo definitivo, conferendogli una vita nuova nel suo regno. Questa presentazione deve servire come incoraggiamento ai cristiani che come lui testimoniano il vangelo in mezzo alle sofferenze e alle contraddizioni di questo mondo.

Omelia per domenica 24 ottobre 2010, prima lettura sul Siracide

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/10819.html

Omelia (28-10-2007) 
don Marco Pratesi

Quale preghiera arriva a Dio?

Il Siracide ci insegna che Dio non si lascia impressionare dalla ricchezza umana; cosa per niente ovvia, che anzi va contro il comune modo di pensare. Spontaneamente si ritiene che, se Dio ci domanda doni e sacrifici, se chiede le nostre ricchezze materiali e/o spirituali, ne abbia in qualche modo bisogno. Allora più ho merce da offrirgli, più mi ascolta. Tale merce può essere qualunque cosa Dio apprezzi: atti di culto, preghiere, sacrifici, virtù, buone azioni, etc. Se mi presento da lui a mani vuote che cosa posso sperare? Dentro di me cova sempre l’immagine di un Dio che si lascia placare dai doni che posso fargli. Visto che lui è più potente, devo entrare nelle sue grazie, e cerco di attirarmi il suo favore cedendogli qualcosa di mio. La mia ricchezza mi dà un po’ di potere su Dio. Come avviene nel mondo, dove qualunque ricchezza dà sempre un certo potere.
Colpo di scena: ciò che muove Dio, che lo « condiziona », non è la ricchezza ma la povertà. Cambia tutto. Dobbiamo presentarci a Dio nello spirito del povero, poiché solo il grido del povero perfora le nubi, arriva fino a Dio, non si ferma prima, quasi forzandolo ad intervenire. La preghiera del ricco, di chi pensa di commerciare con Dio, rimane sulla terra. Dio invece ascolterà sempre una preghiera che sale de profundis (Sal 130,1), dalle profondità della nostra povertà di creature, quando « l’abisso chiama l’abisso » (Sal 42,7), dall’abisso della miseria a quello della misericordia (cf. CCC 2803).
Questo è da tenere presente non solo nel nostro rapporto con Dio, ma anche – non meno importante – coi fratelli: dobbiamo rapportarci con gli altri nello spirito della gratuità, che è poi lo Spirito del Signore. Non accolgo l’altro nella misura in cui è ricco, e non desidero essere accolto dall’altro nella misura in cui sono ricco. Tutte e due le cose sono rilevanti, facce della stessa medaglia. Non mi lascio condizionare dalla ricchezza altreui e non uso la mia come arma di seduzione. Ovviamente si parla qui di ricchezza in senso ampio: vigore, bellezza, attrattiva, intelligenza, forza di volontà, sentimento, talenti vari.
Questo atteggiamento di fondo si traduce nella pratica come libertà nei confronti dei primi, dei potenti, e come attenzione agli ultimi. Non mi fondo sulla mia ricchezza per farmi accettare e non vivo i rapporti umani come rapporti di forza. Posso presentarmi all’altro con fiducia, senza maschere, nella mia povertà, facendo della ricchezza che ognuno ha uno strumento di comunione e non di potere.

Omelia per domenica 24 ottobre 2010: Senza maschere…

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19692.html

Omelia (24-10-2010) 
don Carlo Occelli

Senza maschere…

« Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d’uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia
tremante di collera davanti all’arbitrio e all’offesa più meschina,
agitato per l’attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l’amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt’e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?

Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

Ho condiviso questa conosciuta poesia e preghiera di Dietrich Bonhoeffer (pastore evangelico morto nel Campo di Flossemburg nell’aprile del 1944) perché mi pare interpreti bene questa pagina del vangelo.
Con la parabola che oggi Gesù ci racconta, chiudiamo il cerchio di queste settimane in cui la nostra attenzione è stata focalizzata dal rapporto fede-preghiera.
Tiriamo le fila e queste righe ci vengono in soccorso in modo preciso!
Di fronte all’immagine del pubblicano e del fariseo siamo chiamati a non nasconderci. Ancora una volta Dio viene a noi con il desiderio di incontrarci senza maschere.

Che fare?
Rimango stupito di fronte all’autenticità di Bonhoeffer: perché dovrei barare di fronte a Dio? Perché continuare anche al suo cospetto a costruirmi un’immagine da favola?
Siamo bravissimi a giustificare noi stessi, con mille e più scuse. Giustifichiamo la nostra scarsa carità, le nostre negligenze con i fratelli, il nostro poco tempo dedicato a Dio, il fatto di vivere in un sistema e in una società che ci impedirebbero di essere buoni come vorremmo… eccetera eccetera…
Abbiamo vissuto in questa settimana trascorsa un tempo dedicato alla preghiera? Siamo riusciti a fermarci? Ogni giorno qualche minuto?
Oppure no?
Veramente vogliamo raccontarci la storiella che non abbiamo avuto tempo? Anche questa volta?
No amico, no Carlo (che sono io) il problema non è il tempo: il problema è che nella preghiera sei obbligato ad essere te stesso, e questo ti fa paura! Forse per qualche scheletro nell’armadio, forse perché da tempo non ti guardi in faccia così proprio come sei…

Anche quel pubblicano forse, in quel tempo, avrebbe potuto scegliere quella strada, la più comoda. Scappare, accampare scuse, non avere tempo, fermarsi a dire due preghiere o partecipare alla Messa…
Ma non lo fece. Non si accontentò…
E’ vero, aveva di che farsi perdonare, indubbiamente. Poteva tuttavia cercare qualche scusa… ma non lo ha fatto!
Il fariseo è veramente un uomo in gamba: non si accontenta neppure dello stretto necessario per essere un buon ebreo.
No! Lui fa di più: digiuna due volte la settimana! E pagare la decima su tutto non è mica poco (pensa un attimo al tuo stipendio e vedi quanto è il 10%)!
E loda Dio a gran voce! Ricordate che con il vangelo del lebbroso abbiamo sottolineato l’importanza del ringraziamento nella nostra fede. Ebbene, allora perché Gesù se la prende tanto con lui?
E’ un sant’uomo, così stimato dal parroco! Un ottimo sacerdote, così stimato dal vescovo…
Perché Gesù?!
Perché, semplicemente, non è vero!!! Non è autentico!! E in realtà ha un rapporto solo con se stesso, mica con il buon Dio!
Ma fa il piacere! inizia certamente con il ringraziare il Signore, ma poi tutto è incentrato su se stesso e con il terribile paragonarsi agli altri!

L’atteggiamento del fariseo ci pone di fronte a degli interrogativi tosti. Può esserci una vita religiosa senza fede? Posso essere religiosamente impeccabile, eppure lontano da Dio?
Eccome!!!
Si possono osservare le leggi e le pratiche di una religione e privare a Dio di entrare nella nostra bella costruzione! un bel paradosso, aero?
Una religione… senza Dio…
Nella storia del cristianesimo pullula di gente giusta, ligia alle regole, alle tante leggi (per lo meno in apparenza) eppure lontana da Dio!! Quante sono le persone che, nelle nostre parrocchie, la pensano come il fariseo: quella catechista… non ci sa fare… io invece…
il parroco è un vecchio rimbambito… io invece…
quelli della cantoria sono solo dei gran superbi… io invece…
il parroco che c’era prima era in gamba… questo invece…

Le parrocchie sono talvolta l’insieme di persone che si ritengono giuste… ma sarà proprio così?
Quest’interrogativo però non riguarda gli altri parrocchiani, questo è il tranello del fariseo! Che cade nell’eterna tentazione di paragonarsi agli altri, ed ovviamente di sentirsi più degli altri!!!
No, questo interrogativo lo vogliamo porre a noi!
E tu? E io?
Senti, amico nella fede, non bariamo, ok?
Non ti è mai capitato di entrare in chiesa, vedere qualcuno, magari pensare « Eccolo quello là, viene tanto in chiesa ma poi fuori di qui si comporta come un delinquente? »… io invece…

Io non sono solo luce:
quando mi gongolo là dove ricevo dei complimenti e sotto sotto me li aspetto,
quando guardo all’operato di altri apprezzandolo, ma sotto sotto io saprei fare di meglio,
quando nella mia testa vengono dei pensieri che, se li potessi leggere negli altri mi si rivolterebbe lo stomaco e mi strapperei le vesti… ma io preferisco non ammetterlo…
Perché non riconoscere che, almeno talvolta!, ciò che noi odiamo così tanto negli altri, convive anche nel nostro cuore e nel nostro agire?

Perché pregare?
Perché andare a Messa? Perché ascoltare questo vangelo?
Per sentirci la coscienza a posto? Per essere bravi? Per essere considerati buoni cristiani?
Basta tutto ciò a formare una fede?

Forse no… se non preghiamo per incontrarci con Gesù, se non desideriamo lasciarci amare da colui che è l’Amore… se non ci abbandoniamo proprio così come siamo alla sua tenerezza… che rimane del cristianesimo, oltre un’enorme struttura religiosa?

Coraggio fratelli!!
Ritorniamo a lui, questa volta, con autenticità. Facciamoci vedere così come siamo.
Senza veli, senza timori della nostra nudità.
E torneremo a casa giustificati.
E pieni di gioia!

… Gesù sei grande! 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 23 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

DOMENICA 24 OTTOBRE 2010 – XXX DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 24 OTTOBRE 2010  - XXX DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera a Timoteo - seconda 30102007

Il fariseo ed il pubblicano

http://www.dipingilapace.it/lettere/anno%202007/pagine/Lettera%20Dal%20Borgo%20della%20Pace%20Dipingi%20La%20Pace%2030.10.07.htm

DOMENICA 24 OTTOBRE 2010  – XXX DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C30page.htm

Seconda Lettura  2 Tm 4,6-8.16-18
Mi resta solo la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 19, 2 – 20, 12; Funk, 1, 87-89)

Dio ordina il mondo con armonia e concordia e fa del bene a tutti
Fissiamo lo sguardo sul padre e creatore di tutto il mondo e immedesimiamoci intimamente con i suoi magnifici e incomparabili doni di pace e con i suoi benefici. Contempliamolo nella nostra mente e scrutiamo con gli occhi dell’anima il suo amore così longanime. Consideriamo quanto si dimostri benigno verso ogni sua creatura.
I cieli, che si muovono sotto il suo governo, gli sono sottomessi in pace; il giorno e la notte compiono il corso fissato da lui senza reciproco impedimento. Il sole, la luce e il coro degli astri percorrono le orbite prestabilite secondo la sua disposizione senza deviare dal loro corso, e in bell’armonia. La terra, feconda secondo il suo volere, produce a suo tempo cibo abbondante per gli uomini, le bestie e tutti gli esseri animati che vivono su di essa, senza discordanza e mutamento alcuno per rapporto a quanto egli ha stabilito. Gli stessi ordinamenti regolano gli abissi impenetrabili e le profondità della terra. Per suo ordine il mare immenso e sconfinato si raccolse nei suoi bacini e non oltrepassa i confini che gli furono imposti, ma si comporta così come Dio ha ordinato. Ha detto: «Fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde» (Gb 38, 11). L’oceano invalicabile per gli uomini e i mondi che si trovano al di là di esso sono retti dalle medesime disposizioni del Signore.
Le stagioni di primavera, d’estate, d’autunno e d’inverno si succedono regolarmente le une alle altre. Le masse dei venti adempiono il loro compito senza ritardi e nel tempo assegnato. Anche le sorgenti perenni, create per il nostro godimento e la nostra salute, offrono le loro acque ininterrottamente per sostentare la vita degli uomini. Persino gli animali più piccoli si stringono insieme nella pace e nella concordia. Tutto questo il grande creatore e Signore di ogni cosa ha comandato che si facesse in pace e concordia, sempre largo di benefici verso tutti, ma con maggiore abbondanza verso di noi che ricorriamo alla sua misericordia per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. A lui la gloria e l’onore nei secoli dei secoli. Amen.

Omelia per il 23 ottobre 2010: (Ef 4,7-8)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/8315.html

Omelia (26-10-2002) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
A ciascuno di noi è stata data la grazia a seconda del dono di Cristo [...]. Ascendendo al cielo [...] ha distribuito doni agli uomini. (Ef 4,7-8)

Come vivere questa Parola?
La tristezza e lo scoraggiamento che a volte forse ci assale dipendono anche dal non conoscere abbastanza la positività del « dono di Cristo », cioè quanto di prezioso è venuto ad arricchire la nostra vita profonda. È qualcosa che non tocchiamo con i nostri sensi corporei, ma certo è molto grande. Gesù, di ritorno al Padre, concludendo il ciclo pasquale del suo immenso dono d’amore, ha potuto distribuire doni agli uomini. Sì, ciascuno di noi è stato arricchito di un dono che qualifica il suo vivere allo sguardo del Padre e in mezzo ai fratelli. La specificità del dono fa sì che ognuno sia se stesso: unico, irripetibile. Così cresca verso « la piena maturità di Cristo » e nello stesso tempo aiuta anche gli altri. Come dentro un corpo umano « ben compaginato e connesso », l’energia propria di ogni membro del Corpo di Cristo (=Chiesa) comunica forza perché tutto cresca e si evolva nell’armonia dell’amore.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiedo di vedere il dono specifico che Dio, in Cristo Gesù, mi ha regalato. Lo ringrazio e chiedo di viverlo a gloria di Dio e per il bene della mia famiglia, della mia comunità, della Chiesa, del mondo. Signore, è vivendo la positività di questo tuo dono, vivendo l’irripetibile tuo sogno che sono io, ch’io cresco verso la maturità. No, non mi lascerò « sballottare » e fuorviare dalle mode culturali, dai vari « pensieri deboli ». Non perdo tempo ed energia dietro le confuse idee di questo mondo ma vivo, col tuo aiuto, la verità di quello che tu mi proponi. La vivo nella carità « crescendo » e « facendo crescere » attorno a me nell’amore di Cristo.

La voce di un Papa
Quante grazie ordinarie e straordinarie: la preservazione dalle gravi cadute, le occasioni senza numero di fare del bene, la buona salute fisica, la tranquillità dello spirito, la buona reputazione… Quante grazie, Dio mio! Ciò mi deve tenere in un atteggiamento abituale di amore umile.
Giovanni XXIII 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 22 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 23 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16456.html

Omelia (24-10-2009) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
crea in noi un cuore generoso e fedele,
perché possiamo sempre servirti con lealtà
e purezza di spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
In quel tempo, si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.
Prendendo la parola, Gesù rispose: « Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo ».
Disse anche questa parabola: « Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai ».

3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci dà informazioni che ci sono solo nel vangelo di Luca e non hanno passaggi paralleli negli altri vangeli. Stiamo meditando il lungo cammino dalla Galilea fino a Gerusalemme che occupa quasi la metà del vangelo di Luca, dal capitolo 9 fino al capitolo 19 (Lc 9,51 a 19,28). In questa parte Luca colloca la maggior parte delle informazioni che ottiene sulla vita e l’insegnamento di Gesù (Lc 1,1-4).
? Luca 13,1: L’avvenimento che richiede una spiegazione. « In quel tempo, si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici ». Quando leggiamo i giornali o quando assistiamo alle notizie in TV, riceviamo molte informazioni, ma non sempre capiamo tutto il loro significato. Ascoltiamo tutto, ma non sappiamo bene cosa fare con tante informazioni e con tante notizie. Notizie terribili come lo tsunami, il terrorismo, le guerre, la fame, la violenza, il crimine, gli attentati, ecc.. Così giunse a Gesù la notizia dell’orribile massacro che Pilato, governatore romano, aveva fatto con alcuni pellegrini samaritani. Notizie così ci scombussolano. Ed uno si chiede: « Cosa posso fare? » per calmare la coscienza, molti si difendono e dicono: « E’ colpa loro! Non lavorano! E’ gente pigra! » Al tempo di Gesù, la gente si difendeva dicendo: « E’ un castigo di Dio per i peccati! » (Gv 9,2-3). Da secoli si insegnava: « I samaritani non dicono il vero. Hanno una religione sbagliata! » (2Rs 17,24-41)!
? Luca 13,2-3: La risposta di Gesù. Gesù ha un’opinione diversa. « Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali cadde la torre di Siloe che li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo ». Gesù aiuta le persone a leggere i fatti con uno sguardo diverso ed a trarne una conclusione per la loro vita. Dice che non è stato un castigo di Dio. Al contrario. « Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo ». Cerca di invitare alla conversione ed al cambiamento.
? Luca 13,4-5: Gesù commenta un altro fatto. O quei diciotto, sopra i quali cadde la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? Deve essere stato un disastro di cui si parlò molto in città. Un temporale fece cadere la torre di Siloe uccidendo diciotto persone che si stavano riparando sotto di essa. Il commento normale era: « Castigo di Dio! » Gesù ripete: « No vi dico, ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo ». Loro non si convertirono, non cambiarono, e quaranta anni dopo Gerusalemme fu distrutta e molta gente morì uccisa nel Tempio come i samaritani e molta più gente morì sotto le macerie delle mura della città. Gesù cerco di prevenire, ma la richiesta di pace non fu ascoltata: « Gerusalemme, Gerusalemme! » (Lc 13,34). Gesù insegna a scoprire le chiamate negli avvenimenti della vita di ogni giorno.
? Luca 13,6-9: Una parabola per fare in modo che la gente pensi e scopra il progetto di Dio. « Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai ». Molte volte, la vigna è usata per indicare l’affetto che Dio ha verso il suo popolo, o per indicare la mancanza di corrispondenza da parte della gente all’amore di Dio (Is 5,1-7; 27,2-5; Jr 2,21; 8,13; Ez 19,10-14; Os 10,1-8; Mq 7,1; Gv 15,1-6). Nella parabola, il padrone della vigna è Dio Padre. L’agricoltore che intercede per la vigna è Gesù. Insiste con il Padre di allargare lo spazio della conversazione.

4) Per un confronto personale

? il popolo di Dio, la vigna di Dio. Io sono un pezzo di questa vigna. Mi applico la parabola. Quali conclusioni ne traggo?
? Cosa ne faccio delle notizie che ricevo? Cerco di avere un’opinione critica, o continuo ad avere l’opinione della maggioranza e dei mezzi di comunicazione?

5) Preghiera finale

Chi è pari al Signore nostro Dio
che si china a guardare
nei cieli e sulla terra?
Solleva l’indigente dalla polvere,
dall’immondizia rialza il povero. (Sal 112) 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 22 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Il sacrificio di Isacco

Il sacrificio di Isacco dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

Publié dans:immagini sacre |on 22 octobre, 2010 |Pas de commentaires »
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