Archive pour octobre, 2010

28 Ottobre : Santi Simone e Giuda

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http://www.racine.ra.it/salesiani/santi_simone_e_giuda.html

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Salmi 41 e 42 : preghiera e disagio esistenziale

dal sito:

http://www.sanbiagio.org/lectio/11.pdf

PREGHIERA E DISAGIO ESISTENZIALE

Salmo 41(42)

Salmo 42(43)

TESTO SALMO 41 LINK:

http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=42

TESTO SALMO 42 LINK:

http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia_int2.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=43

E’ stato scritto di questo salmo: « Può essere letto come una metafora, rigorosa e penetrante, dell’intera vicenda umana e della speranza cristiana » (G. RAVASI, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, EDB

Vol.1 p. 774), « Ci parla del più profondo anelito dell’uomo: il desiderio di Dio » (C. MARIA MARTINI, I salmi, Piemme, p. 40).

L’attualità di questo salmo mi pare riguardi soprattutto un certo disagio esistenziale espresso nel salmo soprattutto là dov’è ripetuto: « Tutto il giorno mi dicono: Dov’è il tuo Dio? ». In effetti l’ateo teorico (e soprattutto pratico) di oggi, proprio questa domanda inquisitoria e spesso irridente butta in faccia a chi dice di aver fede. Penetrare dunque il salmo e assumerlo in preghiera significa acco-glierlo come una risposta a questo disagio attuale. Il carme è il saldarsi tra loro di due salmi: il 42 e il 43, e inizia il secondo libro dei salmi. Interessante: nell’organizzazione ebraica dei 5 libri della Torah (Parola di Dio all’uomo) corrispondono i 5 libri dei salmi, (parola dell’uomo a Dio). E’ così: Dio parla; l’uomo, con la preghiera, risponde! In un luogo deserto e montuoso domina un silenzio inquietato dal grido di una cerva assetata che lamenta non tanto e non solo la propria sete, quanto il dramma di aver molto corso e d’essere giunta al letto del torrente del tutto prosciugato. E’ un morir di sete, quello che canta il salmista esprimendo la sua tragedia di esule, isolato, scomunicato, da quella « fonte di acqua viva » che è il tempio di Gerusalemme. Bisogna tener conto che dal salmo 42 al 49 i salmi vennero a noi sotto il nome di « Salterio dei figli di Qorah ». Chi erano? « Attendevano al servizio liturgico, erano custodi della soglia della tenda » (Num 9,19) e con grande probabilità vissero nel periodo del post-esilio e del secondo tempio. Se, come tutto fa supporre, il protagonista autore del salmo è un sacerdote o un levita costretto a star lontano da quella soglia del tempio, varcata la quale un tempo aveva fatto l’esperienza della « shekinah » (la grande Presenza di Dio), si capisce meglio l’intensità drammatica del salmo stesso, l’intensità della « sete » esistenziale. Non è difficile cogliere l’armonica struttura di questo salmo scandita da un ritornello: « Perchè ti abbatti, anima mia, perchè su di me gemi? Spera in Dio, ancora potrò lodarlo, Lui, salvezza del mio volto e mio Dio ». L’incontriamo, infatti, in 42,6.12; 43,5. Penetrando il salmo con una lettura di consapevolezza esistenziale-spirituale, entriamo in un crescendo di umanissimo sentire che all’inizio è accoramento e tristezza, poi è quasi protesta intrisa di sdegno e di amarezza, da ultimo diventa un placarsi in speranza nel contattare nuovamente il Dio della vita. Sono dunque tre i nuclei (strofe) che vengono così scanditi: 1^ strofa 42,2-6; 2^ strofa 42,7-12; 3^ strofa tutto il salmo 43. Interessante notare che ben 22 volte torna nel salmo il nome di Dio invocato come « Dio vivente », « salvezza del volto », « Dio protettore e difesa », « Dio della gioia ». Significativo anche l’uso degli aggettivi e dei pronomi possessivi (mio Dio, Tuo Dio ecc.) che rendono più intimo il rapporto con Lui.

Prima strofa (42,1-6)

vv. 2-3: « Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente ».

Il lamento della cerva assetata è espressione intensa della sete del Dio vivente da parte del salmista lontano dal tempio santo di Dio. Bisogna dire subito che questo tema della sete è quanto di più profondamente sentito è nel cuore dell’uomo. A livello d’immagine della cerva lo troviamo nell’arte paleolitica delle pitture di Lascaux in Dordogna e in altre rappresentazioni d’arte antica. Nell’A.T. Geremia descrive la tragedia della siccità col terreno screpolato dove « la cerva partorisce e abbandona il figlio perché non c’è più erba » (Ger 14,5). Il senso tutto interiore e spirituale della sete è espresso in Amos 8,11.13: « Verranno giorni in cui…manderò non sete d’acqua ma d’ascoltare la parola di Dio (…). In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete ». Ricordiamo anche il bellissimo salmo 62: « Di te ha sete l’anima mia. Perfino la mia carne anela a te ». Il verbo ebraico « amag » esprime una tensione tragica che l’italiano « anela » (o « sospira ») ben poco rende. Si tratta di un grido, di un lamento lacerante. Se poi la « sorgente », l’ »acqua fresca e viva » è Dio, non è difficile capire quanto l’abbandonare Lui e lo scavarsi « cisterne screpolate » alla ricerca di altri beni sia delusione, sia un male. (Cf Ger. 2,13). Il ripetersi per quattro volte del nome di Dio, esplicitato come il « Dio vivente », scava ancora più in profondità nella tensione di un desiderio-grido che riempie questi versi: « Quando verrò e vedrò il volto di Dio? » (v. 3.6).

v. 4 « Le lacrime sono il mio pane giorno e notte mentre tutto il giorno dicono a me: ‘Dov’è il tuo Dio?’ ».

Il dolore è antico come il mondo. Già nelle lamentazioni babilonesi sentiamo: « Non ho cibo da mangiare: il dolore è il mio pane; non ho acqua da bere: le mie lacrime mi sono bevanda (citato da G. RAVASI, Il libro dei Salmi, EDB vol 1 p. 766). Nell’A.T. leggiamo: « Di cenere mi nutro come di pane; alla mia bevanda mescolo il pianto » (Sl 102,10). « Tu ci disseti con lacrime abbondanti » (Sl 80,6). « Come pane non ho che singhiozzi, come acqua sgorgano i miei gemiti (Gb 3,24); (Cf Ger 8,14; Lam 3,15). Dentro tanta sofferenza è chiaro che risulta ancora più dura l’irridente provocazione di chi non crede; « Dov’è il tuo Dio? ». E’ uno schernire insolente e continuo, « notte e giorno », che acutizza dolore e disagio. Ripetuto nel salmo (Cf v. 11) risuona in altri passi biblici (Cf Sl 79,10; 115,2; Gl2,17; Mi 7,10). v. 5 « Questo io ricordo (…) avanzavo tra la folla (…) in voci esultanti e inneggianti di una moltitudine. Nel buio di tanto silenzio di Dio e dell’umiliante « starsene a tiro » di chi irride, quasi a sottolineare l’indifferenza o addirittura la non esistenza di Lui, acquista un tono ancora più struggente l’evocazione del passato. Il tempo in cui il salmista aveva goduto del Dio benevolo insieme a coloro che, come lui erano guide al tempio di tanti fedeli inneggianti al suo amore salvifico, ormai è un sogno irraggiungibile, che impregna di desolazione il presente.

v. 6 (ritornello) « Perché ti abbatti anima mia? Perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo salvezza del mio volto e mio Dio »

Questo ritornello o antifona « è un raro esempio biblico di dialogo interiore e d’introspezione psicologica » (G. RAVASI. Op. cit. p 767). E’ importante cogliere la densità della parola « nefes » (Cf anche vv. 5 e 7). Ben più che il termine « anima, » esprime l’io profondo dov’è il « respiro » del proprio « esserci » come persona. E qui si acutizza la pena di questa « nefes » (« anima » in italiano) consapevole del proprio buio e vuoto interiore proprio perché, come dice il salmo 62,21 « Solo in Dio riposa l’anima (« nefes ») mia. Siamo al punto cruciale del salmo. Dopo questa piena presa di coscienza del buio del vuoto del turbamento, in cui il salmista è piombato lontano da Dio, dopo questo lamento gridato al proprio « nefes », sull’orlo della disperazione, ecco riaffiora improvvisa la SPERANZA, il coraggio di guardare a Dio, di credere in Lui, nonostante tutto. Questo è un tocco umano e spirituale bellissimo!

Seconda strofa (42,7-12) « Su di me si abbatte l’anima mia… ».

Non tutto si è già risolto in luce. L’anima (nefes) ancora si abbatte. L’orizzonte del fiume Giordano, del monte Hermon (identificato come la catena dell’Anti-Libano) e del monte Mizar (probabilmente un monticello di quella catena) è l’ambiente dove il salmista vive esule lontano dal tempio di Gerusalemme. Richiamando poi la faglia giordanica (400 m. sotto il livello del mare, il punto più basso insieme al Mar Morto, di tutta la superficie terrestre), l’autore evoca un paesaggio impressionante che rimanda a certi tragici quadri di Van Gogh. Abissi e gorghi caotici d’acque distruggitrici passano sulla sua anima, dice il salmista esprimendo a fortissimi tratti la sua debolezza interiore. v. 9 « Di giorno Jahweh mi manda la sua fedeltà, di notte il suo canto è con me… ». Di nuovo ecco la virata di bordo: non più guardare a sé ma aggrapparsi alla fedeltà di Dio e pregare Colui che il salmista arriva a chiamare: « il Dio della vita ». vv. 10-11 « Dirò a Dio, mia roccia: Perché mi hai dimenticato? (…) mi dicono tutto il giorno: « Dov’è il tuo Dio? ». Il salmista ha ben chiaro ora che, di fronte al fluttuare di tutto, Dio è roccia (« sela ») stabile, indefettibile. Però vive ancora il dramma del sentirsi come « dimenticato » da Lui. Se si pensa che nella Bibbia il dimenticato da Dio è il maledetto, il morto, lo sheol (Cf Sl 6,6; 88,6) si capisce come il cuore del salmista viva un dolore che è inguaribile, dato che, a intensificare il tutto, ritorna l’insolenza di avversari che irridono beffeggiando: « Dov’è il tuo Dio? ».

v. 12 « Perché ti abbatti anima mia?… »

Ritorna l’antifona. Ecco: proprio su questo presente tragico, apre nuovamente l’ala la speranza in Dio.

Terza strofa: (Sl 43)

v. 1 « Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa… « 

Qui il salmista è ancora proteso al Tempio di Gerusalemme, ma ormai con piena fiducia. Ora la preghiera del salmista diventa quel quieto rivolgersi a Colui che può prendere le difese del suo essere stato bandito da Lui e dal Tempio. Dio è qui invocato come giudice, come avvocato contro coloro che non solo irridono da atei, ma sono menzogneri e iniquamente hanno agito contro di lui.

v. 2 « Tu sei il Dio della mia fortezza. Perché mi respingi? Perché triste me ne devo andare oppresso dal nemico? »

Sembra di nuovo prevalere l’onda del più accorato lamento. Ed è forte quel « perché » che in tutto il carme (Sl 42 e 43) ritorna ben dieci volte a dimostrare che la fede biblica è dentro il vissuto anche più sofferto e la preghiera è anzitutto un grido esistenziale che non ha niente a che vedere con spiritualismi narcotizzanti. V. 3-4 « Manda la tua luce e la tua verità; siano esse guidarmi (…) . Verrò (…) al Dio della mia gioia e felicità, Ti loderò ».

La luce e la verità appaiono qui come due attributi divini personificati. Luce: espressione della benevolenza di Dio e sua risposta colma d’amore. Verità (emet): qui sinonimo di fedeltà (hesed) a esprimere la sentenza favorevole di Dio « testimone verace e fedele ». (Cf Ger 42,5) che ben conosce la coscienza del salmista. Il salmo ormai si trasfonde in gioia superlativa (Cf l’originale al v. 4= « gioia della mia felicità »). Espressivo anche il tradurre della TOB: « Il Dio che mi fa danzare di gioia ». E non è da dimenticare la Vulgata: « Ad Deum qui laetificat iuventutem meam » (al Dio che rallegra la mia giovinezza). Chiude in bellezza, il ritorno dell’antifona che, in questo crescendo di sofferenza e di speranza esalta con forza il Dio che risponde come salvezza all’uomo che, quasi disperato, lo cerca. Questa stupenda preghiera biblica è attualissima e può dunque oggi prestarsi a diventare la nostra preghiera esprimente il forte disagio che anche noi, a volte, soffriamo. In un mondo segnato dall’allontanamento da Dio, spesso aggravato dall’irrisione di molta gente atea, siamo messi a dura prova. Così quella che viene messa a cimento è soprattutto la speranza e la determinazione a pregare con perseveranza, ad ogni costo. E’ qui che il salmo, conducendoci a una presa di coscienza forte e viva della nostra sete che a dispetto di quel che ci fa credere il materialismo imperante è profonda sete di Dio, ci aiuta a « gridare » in preghiera questa stessa sete. In filigrana sentiamo allora emergere la divina risposta di Gesù alla Samaritana: « Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno » (Gv 4,14) e nel tempio quando proclama: « Chi ha sete venga a me e beva. Scaturiranno dal suo intimo sorgenti d’acqua viva ». Se, come dice Bonhoeffer, « Gesù ha portato dinanzi a Dio tutto il dolore, tutta la gioia, tutta la gratitudine e la speranza degli uomini » (Cf Pregare i salmi con Cristo, Brescia 1978 p. 37), pregare questo salmo in Gesù e con Gesù vuol dire lasciarsi raggiungere dalla sua « acqua viva » e diventare « acqua di vita nello stile delle Beatitudini » per gli altri. Ho preso coscienza che la mia inquietudine, la mia sete di fondo è sete di Dio? Oppure, da solo o in coppia, lasciandomi manovrare dalla realtà consumistico-massmediale, entro nel giro della « fabbrica dei bisogni » e disattendo il mio rapporto con Dio nella preghiera, senza neppure « leggere » il senso della mia in inquietudine? Il mio pregare è anzitutto un presentarmi a Dio così come sono, un « gridare » a Lui la mia gioia ma anche tutto il mio dolore, la mia fatica esistenziale? Ciò che mi umilia o abbatte io lo consegno a Lui con fiducia o mi lamento da solo e con gli altri? Là dove avverto (verbalizzata o no) l’irridente provocazione degli atei: « Dov’è il tuo Dio? » come reagisco? Dov’è la mia « speranza »? In quiete contemplativa, visualizzo Gesù seduto al pozzo in dialogo con la Samaritana che dice, oggi, a me: « Chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna » (Gv 4,14). Ascolterò anche in prospettiva escatologica: « Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello (…) sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi » (Ap 7,16-17).

28 ottobre – Santi Simone e Giuda Apostoli

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/21875

28 ottobre – Santi Simone e Giuda Apostoli
 
I secolo dopo Cristo

Il primo era soprannominato Cananeo o Zelota, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo.

Martirologio Romano: Festa dei santi Simone e Giuda, Apostoli: il primo era soprannominato Cananeo o “Zelota”, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo, nell’ultima Cena interrogò il Signore sulla sua manifestazione ed egli gli rispose: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Il 28 di ottobre la Chiesa commemora la festa liturgica degli Apostoli:

San SIMONE
Simone, da Luca soprannominato Zelota (Lc 6, 15; At 1, 13), forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3, 18).

San GIUDA TADDEO
Giuda è detto Taddeo (Mt 10, 3; Mc 3, 18) o Giuda di Giacomo (Lc 16, 16; At 1, 13). Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola (Gv 14, 22-24). Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.

La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.

Publié dans:SANTI APOSTOLI |on 27 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 27 ottobre 2010: (Ef 6,1.4)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13894.html

Omelia (29-10-2008) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
“Figli obbedite ai vostri genitori nel Signore perché questo è giusto […]. E voi padri non inasprite i vostri figli ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore.” (Ef 6,1.4)

Come vivere questa Parola?
Se è importantissima, all’interno della coppia, che ci sia una reciproca sottomissione (cf Ef 6,21) nel vicendevole rispetto e nell’amore di Cristo, è pure importante e giusto che i figli obbediscano ai genitori. “Nel Signore”, dice Paolo, vale a dire facendo in modo che l’obbedienza ai genitori sia l’adempimento della Legge di Dio e mai inadempienza e dimenticanza di essa. Il testo infatti al versetto 2 richiama il comandamento di Dio, “onora tuo padre e tua madre”. E aggiunge: “È questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e abbia vita lunga”. Ma è molto interessante anche l’altra esortazione di S.Paolo: “Voi, padri, non inasprite i vostri figli ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore”.
Questo inasprimento avviene quando il padre o la madre o tutte due insieme trattano il figlio da loro ‘possesso’ e impongono i loro desideri e progetti invece di educare, con forte cuore e tratto mite, a discernere la volontà di Dio e a compierla con libertà, coraggio e gioia.
L’idea di fondo è questa: i figli vengono attraverso i genitori ma non appartengono a loro. I figli sono di Dio perché è Lui che li ha creati. E nel suo amore hanno un luminoso destino di eternità felice.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, che io sia genitore o no, rifletterò sull’opera educativa, oggi più che mai urgente se vogliamo veder emergere un’umanità nuova, cioè veramente (e non solo a parole!) umana e cristiana.

Signore, sia luce ai miei passi, ogni giorno, la tua Parola che mi indica le tue vie. E dammi forza per educare anzitutto me stesso a scegliere la generosità anziché il comodo, l’atteggiamento a voler consolare e aiutare piuttosto che il pretendere dagli altri queste stesse cose. Educami a vivere il vangelo.

Le parole del Papa
Il rapporto educativo è anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano.
Benedetto XVI 

Omelia 27 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13882.html

Omelia (29-10-2008) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Rispose: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici.
Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori d’iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, e voi cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi”.

3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci narra un episodio avvenuto lungo il cammino di Gesù dalla Galilea verso Gerusalemme, la cui descrizione occupa la terza parte del vangelo di Luca (Lc 9,51 a 19,28).
? Luca 13,22: Il cammino verso Gerusalemme. “In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme”. Più di una volta Luca menziona che Gesù è in cammino verso Gerusalemme. Durante i dieci capitoli che descrivono il viaggio fino a Gerusalemme (Lc 9,51 a 19,28), Luca, costantemente, ricorda questo fatto (Lc 9,51.53.57; 10,1.38; 11,1; 13,22.33; 14,25; 17,11; 18,31; 18,37; 19,1.11.28). Ciò che è chiaro e definitivo fin dall’inizio è il destino del viaggio: Gerusalemme, la capitale, dove Gesù patisce e muore (Lc 9,31.51). Raramente, informa sul percorso e sui luoghi per i quali Gesù passava. Solo all’inizio del viaggio (Lc 9,51), in mezzo (Lc 17,11) ed alla fine (Lc 18,35; 19,1), sappiamo qualcosa riguardo al luogo per il quale Gesù stava passando. In questo modo, Luca suggerisce l’insegnamento seguente: l’obiettivo della nostra vita deve essere chiaro, e dobbiamo assumerlo con decisione come fece Gesù. Dobbiamo camminare. Non possiamo fermarci. Non sempre è chiaro e definito per dove passiamo: ciò che è sicuro è l’obiettivo: Gerusalemme, dove ci aspettano “l’esodo” (Lc 9,31), la passione, la morte e la risurrezione.
? Luca 13,23: La domanda sul numero di coloro che si salvano. Lungo il cammino avviene di tutto: informazioni sui massacri e sui disastri (Lc 13,1-5), parabole (Lc 13,6-9.18-21), discussioni (Lc 13,10-13) e, nel vangelo di oggi, domande da parte della gente: « Signore, sono pochi quelli che si salvano? » Sempre la stessa domanda attorno alla salvezza!
? Luca 13,24-25: La porta stretta. Gesù dice che la porta è stretta: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno”. Forse Gesù dice questo per riempirci di paura e obbligarci ad osservare la legge come insegnavano i farisei? Cosa significa questa porta stretta? Di quale porta si tratta? Nel Discorso della Montagna Gesù suggerisce che l’entrata per il Regno ha otto porte. Sono le otto categorie di persone delle beatitudini: (a) poveri in spirito, (b) miti, (c) afflitti, (d) affamati ed assetati di giustizia, (e) misericordiosi, (f) puri di cuore, (g) artefici di pace e (h) perseguitati per causa della giustizia (Mt 5,3-10). Luca li riduce a quattro categorie: (a) poveri, (b) affamati, (c) tristi e (d) perseguitati (Lc 6,20-22). Entra nel Regno solo chi appartiene ad una di queste categorie enumerate nelle beatitudini. Questa è la porta stretta. E’ lo sguardo nuovo sulla salvezza che Gesù ci comunica. Non c’è un’altra porta! Si tratta della conversione che Gesù ci chiede. Ed insiste: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.” Per quanto riguarda l’ora del giudizio, ora è il tempo favorevole per la conversione, per cambiare la nostra visione sulla salvezza ed entrare in una delle otto categorie.
? Luca 13,26-28: Il tragico malinteso. Dio risponde a chi bussa alla porta: “Non vi conosco, non so di dove siete”. Ma loro insistono ed argomentano: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze! Non basta aver mangiato con Gesù, aver partecipato alla moltiplicazione dei pani ed aver ascoltato i suoi insegnamenti sulle piazze delle città e dei villaggi. Non basta essere andati in Chiesa ed aver partecipato alle istruzioni del catechismo. Dio risponderà: ”Non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di iniquità!” Malinteso tragico e mancanza totale di conversione, di comprensione. Gesù dichiara ingiustizia ciò che gli altri considerano essere una cosa giusta e gradita a Dio. E’ una visione totalmente nuova sulla nostra salvezza. La porta è veramente stretta.
? Luca 13,29-30: La chiave che spiega il malinteso. “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi”. Si tratta del grande mutamento che avvenne con la venuta di Dio fino a noi in Gesù. Tutte le genti avranno accesso e passeranno per la porta stretta.

4) Per un confronto personale

? Avere l’obiettivo chiaro e camminare verso Gerusalemme: i miei obiettivi di vita sono chiari o mi lascio trasportare dal vento del momento dell’opinione pubblica?
? La porta è stretta. Che idea ho di Dio, della vita, della salvezza?

5) Preghiera finale

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. (Sal 13

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 26 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Angeli che adorano l’Eucarestia

Angeli che adorano l'Eucarestia dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 26 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

LA PRÉSENCE DES JUIFS ET DE L’HÉBREU AU SYNODE (il testo è in francese, spero che lo possiate leggere almeno in traduzione…)

il testo è in francese, spero che lo possiate leggere almeno in traduzione, il tradutore di Google va abbastanza bene, perlomeno si capisce, dal sito:

http://www.zenit.org/article-25860?l=french

LA PRÉSENCE DES JUIFS ET DE L’HÉBREU AU SYNODE

Le Message et l’intervention du P. Neuhaus

ROME, Lundi 25 octobre 2010 (ZENIT.org) – Le Message final du synode pour le Moyen-Orient consacre trois paragraphes à la « Coopération et dialogue avec nos concitoyens juifs ». Pour la première fois, les documents d’un synode sont disponibles en hébreu, sur le site de Radio Vatican. Une intervention a reflété la situation des chrétiens de langue hébraïque. Un rabbin a eu la parole et a rencontré Benoît XVI. Trois documents du synode ont condanmé l’antisémitisme et l’antijudaïsme.
La Bible et le Concile
Le premier paragraphe du message adressé aux « concitoyens juifs » concerne l’Ecriture Sainte : « La même Écriture Sainte nous unit, l’Ancien Testament, qui est la Parole de Dieu à vous et à nous. Nous croyons en tout ce que Dieu y a révélé, depuis qu’il a appelé Abraham, notre père commun dans la foi, père des juifs, des chrétiens et des musulmans. Nous croyons dans les promesses de Dieu et son alliance données à lui et à vous. Nous croyons que la Parole de Dieu est éternelle. »
Le second rappelle le tournant de la déclaration concilaire « Nostra Aetate » sur les rapports de l’Eglise avec les religions non-chrétiennes et le déveloopmeent successif des relatiosn avec le judaïsme : « Le Concile Vatican II a publié le document Nostra Aetate, concernant le dialogue avec les religions, avec le judaïsme, l’islam et les autres religions. D’autres documents ont précisé et développé par la suite les relations avec le judaïsme ».
Ce même paragraphe recommande le développement du dialogue au profit aussi de la paix : « Il y a d’autre part un dialogue continu entre l’Église et des représentants du judaïsme. Nous espérons que ce dialogue puisse nous conduire à agir auprès des responsables pour mettre fin au conflit politique qui ne cesse de nous séparer et de perturber la vie de nos pays. »
La résolution du conflit
C’est justement à la paix qu’est consacré le troisième paragraphe : « Il est temps de nous engager ensemble pour une paix sincère, juste et définitive. Tout deux sommes interpelés par la Parole de Dieu. Elle nous invite à entendre la voix de Dieu « qui parle de paix » : « J’écoute. Que dit Dieu ? Ce que Dieu dit c’est la paix pour son peuple et ses amis » (Ps 85, 9). Il n’est pas permis de recourir à des positions bibliques et théologiques pour en faire un instrument pour justifier les injustices. Au contraire le recours à la religion doit porter toute personne à voir le visage de Dieu dans l’autre, et le traiter selon les attributs de Dieu et selon ses commandements, c’est-à-dire selon la bonté de Dieu, sa justice, sa miséricorde et son amour pour nous. »
Et pour ce qui est de la résolution du conflit, le Message du synode précise, dans un chapitre adressé « à la communauté internationale », l’importance des résolutions de l’ONU: « Les citoyens des pays du Moyen-Orient interpellent la communauté internationale, en particulier l’O.N.U., pour qu’elle travaille sincèrement à une solution de paix juste et définitive dans la région, et cela par l’application des résolutions du Conseil de sécurité et la prise des mesures juridiques nécessaires pour mettre fin à l’occupation des différents territoires arabes ».
La sécurité d’Israël
Le Message ajoute ce paragraphe qui fait allusion à la sécurité d’Israël : « Le peuple palestinien pourra ainsi avoir une patrie indépendante et souveraine et y vivre dans la dignité et la stabilité. L’État d’Israël pourra jouir de la paix et de la sécurité au-dedans des frontières internationalement reconnues. La Ville Sainte de Jérusalem pourra obtenir le statut juste qui respectera son caractère particulier, sa sainteté et son patrimoine religieux, pour chacune des trois religions juive, chrétienne et musulmane. Nous espérons que la solution des deux États devienne une réalité et ne reste pas un simple rêve ».
Enfin, rappelons que parmi les pères du synode participait aussi aux travaux le vicaire patriarcal du patriarcat latin de Jérusalem pour les communautés catholiques hébréophones, le Rév. P. David Neuhaus, jésuite de nationalité israélienne. Il est intervenu dans les débats le 12 octobre.
L’hébreu, une des langues des catholiques
Il a rappelé que « l’hébreu est également la langue de l’Église catholique au Moyen-Orient » et que « des centaines de catholiques israéliens expriment tous les aspects de leur vie en hébreu, inculturant leur foi au sein d’une société qui est définie par la tradition hébraïque ».
Il a ajouté que les travailleurs immigrés changent le visage de cette communauté hébraïque : « Des milliers d’enfants, de foi catholique, appartenant à des familles de travailleurs étrangers, de réfugiés, et des arabes fréquentent des écoles de langue hébraïque et qui ont besoin de recevoir le catéchisme en hébreu ».
Le P. Neuhaus a également souligné le « profond défi » du vicariat catholique de langue hébraïque qui « est à la recherche de voies pouvant servir de pont entre l’Église, parlant surtout l’arabe, et la société israélienne hébraïque, afin de promouvoir aussi bien l’enseignement du respect pour les peuples de l’Ancienne Alliance qu’une sensibilité au cri de justice et de paix pour les Juifs et les Palestiniens. »
Travailler en communion
Il a conclu que « ensemble, les catholiques parlant l’arabe et ceux parlant l’hébreu doivent témoigner et travailler en communion pour l’Église dans la terre où elle a vu le jour. »
L’antisémitisme et l’antijudaïsme ont été condamnnés par le patriarche copte égyptien – et futur cardinal – Antonios Naguib, dans ses « Rapports » avant et après le débat.
Les « Propositions » finales ont à nouveau condamné « l’antisémitisme et l’antijudaïsme, en distinguant entre religion et politique » (Propostition 41).
Cette proposition ajoute : « Les initiatives de dialogue et de coopération avec les juifs sont à encourager, pour approfondir les valeurs humaines et religieuses, la liberté, la justice, la paix et la fraternité. La lecture de l’Ancien Testament, et l’approfondissement des traditions du judaïsme aident à mieux connaître la religion juive. »
Le paragraphe 12 du message dit encore : « Nous condamnons toute forme de racisme, l’antisémitisme, l’antichristianisme et l’islamophobie, et nous appelons les religions à assumer leurs responsabilités dans la promotion du dialogue des cultures et des civilisations dans notre région et dans le monde entier. »
Anita S. Bourdin

Publié dans:EBRAISMO, SINODI - DAI DIVERSI... |on 26 octobre, 2010 |Pas de commentaires »
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