Archive pour octobre, 2010

Omelia per il 30 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16536.html

Omelia (31-10-2009) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura

Dal Vangelo secondo Luca 14,1.7-11
Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, e la gente stava ad osservarlo. Gesù, vedendo come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: « Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto.
Invece quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti.
Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato ».

3) Riflessione

• Contesto. La Parola di grazia che Gesù rendeva visibile con il suo insegnamento e le sue guarigioni rischia di essere soppressa; per Gesù si avvicina sempre di più l’evento della morte, come tutti i profeti che l’hanno preceduto.. Tale realtà a cui Gesù va incontro mostra con chiarezza il rifiuto dell’uomo e la pazienza di Dio. Rifiutando Gesù come il primo inviato, l’unica Parola di grazia del Padre l’uomo si procura la propria condanna e chiude quella possibilità che il Padre gli aveva aperto per accedere alla salvezza. Tuttavia la speranza non è ancora spenta: è possibile che un giorno l’uomo riconosca Gesù come «colui» che viene dal Signore e ciò sarà motivo di gioia.. La conclusione, quindi, del cap.13 di Luca ci fa comprendere che la salvezza non è un’impresa umana, la si può solo accogliere come un dono assolutamente gratuito. Vediamo, dunque, come si avvera questo dono della salvezza, tenendo sempre presente questo rifiuto di Gesù come l’unico inviato di Dio.
• L’invito a pranzo. Di fronte al pericolo di essere ridotto al silenzio era stato suggerito a Gesù di fuggire e, invece, accetta un invito a pranzo. Tale atteggiamento di Gesù fa capire che egli non teme i tentativi di aggressione alla sua persona, anzi non lo rendono pauroso. A invitarlo è «un capo dei farisei», una persona autorevole. Tale invito cade di sabato, un giorno ideale per pranzi di festa che di solito venivano consumati verso mezzogiorno dopo che tutti avevano partecipato alla liturgia sinagogale. Durante il pranzo i farisei «stavano ad osservarlo» (v.1): un azione di controllo e vigilanza che allude al sospetto circa il suo comportamento. In altri termini lo osservavano aspettando da lui qualche azione inammissibile con la loro idea della legge. Ma in fin dei conti lo controllano non per salvaguardare l’osservanza della legge quanto per incastrarlo su qualche suo gesto. Intanto di sabato, dopo aver guarito dinanzi ai farisei e dottori della legge un idropico, esprime due riflessioni risolutive su come bisogna accogliere l’invito a tavola e con quale animo si deve invitare (vv.12-14). La prima è chiamata da Luca «una parabola», vale a dire, un esempio, un modello o un insegnamento da seguire. Innanzitutto bisogna invitare con gratuità e con libertà d’animo. Spesso gli uomini si fanno avanti, si propongono per essere invitati, invece, di ricevere l’invito. Per Luca il punto di vista di Dio è il contrario, è quello dell’umiltà: «Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili». La chiamata a partecipare alla «grande cena» del Regno ha come esito una maggiorazione del livello di vita per chi è capace di accogliere con gratuità l’invito della salvezza.
• L’ultimo posto. É vero che cedere il proprio posto agli altri non è gratificante, ma può essere umiliante; è una limitazione del proprio orgoglio. Ma ancor più umiliante e motivo di vergogna quando si deve compiere il movimento verso l’ultimo posto; è un disonore agli occhi di tutti. Luca, da un parte, pensa a tutte quelle situazioni umilianti e dolorose in cui il credente si può trovare, dall’altra al posto riservato per chi vive questi eventi davanti agli occhi di Dio e al suo regno. Gli orgogliosi, coloro che cercano i primi posti, i notabili, si gratificano della loro posizione sociale. Al contrario, quando Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi, «non c’era posto per lui» (2,7) e ha deciso di rimanervi scegliendo il posto tra la gente umile e povera. Per questo Dio lo ha elevato, lo ha esaltato. Da qui il prezioso suggerimento a scegliere il suo atteggiamento, privilegiando l’ultimo posto. Il lettore può rimanere disturbato da queste parole di Gesù che minano il senso utilitaristico ed egoistico della vita; ma a lungo andare il suo insegnamento si rivela determinante per l’ascesa in alto; il cammino dell’umiltà conduce alla gloria.

4) Per un confronto personale

• Nel tuo rapporto di amicizia con gli altri prevale il calcolo dell’interesse, l’attesa di ricevere un contraccambio?
• Nel relazionarti con gli altri al centro dell’attenzione c’è sempre e comunque il tuo io, anche quando fai qualcosa per i fratelli? Sei disposto a donare ciò che sei?

5) Preghiera finale

Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio.
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Sal 41) 

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Omelia per il 29 ottobre 2010: (Fil 1,3-6)

dal sito: 

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19746.html

Omelia (29-10-2010) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. (Fil 1,3-6)

Come vivere questa Parola?
Questa parola che Paolo scrive ai cristiani di Filippi è quanto mai feconda anche per noi oggi. Perché genera fiducia, dentro un atteggiamento di positività tutta chiara. A volte, chi ha compiti educativi o apostolici o comunque chi entra in relazione coi propri collaboratori, spesso è tentato di mettere subito in evidenza le proprie anche giuste preoccupazioni. È così che il quadro delle relazioni si tinteggia subito di colori scuri e di tonalità pesanti. In un’epoca come la nostra, in cui i media fanno a gara nel mostrare, su scala internazionale, quel che è negativo prima di quello che è positivo, quanto è bello sentire Paolo comportarsi in altro modo. Si congratula con quelli di Efeso, si rallegra con loro e, nel corso della lettera, dice addirittura: « vi porto nel cuore, sia quando sono in prigionia, sia quando confermo e difendo il vangelo ».
Quello che rende bella la vita e ne allevia le fatiche è proprio questo saper vedere il bello e il buono che traluce negli altri. A volte, certo, è offuscato da quella componente d’imperfezioni e di debolezze tipica della natura umana. Ma la strategia suggerita dalla Parola di Dio è quella non d’ignorare il buio ma di vedere anzitutto la luce. E di vederla con gli occhi del cuore illuminati da quello Spirito Santo che è l’Amore trinitario.

In famiglia, tra marito e moglie, genitori e figli, generi e suoceri, provo a ripensare il modo di relazionarmi. So vedere approvare e incoraggiare ciò che è positivo? È un modo terapeutico di agire, tanto più che anche qui il medico che aiuta e guarisce è Gesù.

Signore, tu sei medico e medicina, hanno detto i Padri della Chiesa. Dammi un cuore affabile, buono, pieno di ringraziamento a te e a tutti.

La voce di un santo
La medicina di Dio…è Gesù Cristo Crocifisso e Risorto…misura di tutte le cose.
San Giovanni Leonardi 

Omelia per il 29 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13884.html

Omelia (31-10-2008) 
a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 14,1-6
Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Davanti a lui stava un idropico.
Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: “È lecito o no curare di sabato?” Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse: “Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?” E non potevano rispondere nulla a queste parole.

3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci narra un episodio della discussione tra Gesù ed i farisei, avvenuto nel lungo viaggio dalla Galilea fino a Gerusalemme. E’ molto difficile collocare questo fatto nel contesto della vita di Gesù. Ci sono somiglianze con un fatto narrato nel vangelo di Marco (Mc 3,1-6). Probabilmente, si tratta di una delle molte storie trasmesse oralmente e che, nella trasmissione orale, sono state adattate alla situazione, alle necessità e alle speranze della gente delle comunità.
? Luca 14,1: L’invito il giorno di sabato. “Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo”. Questa informazione iniziale sul ricevimento in casa di un fariseo dà a Luca la possibilità di raccontare diversi episodi che parlano di accoglienza a pranzo: la guarigione dell’uomo malato (Lc 14,2-6), la scelta dei luoghi per mangiare (Lc 14,7-11), la scelta degli invitati (Lc 14,12-14), gli invitati che non accettano l’invito (Lc 14,15-24). Molte volte Gesù è invitato dai farisei a partecipare a pranzi. Forse nell’invito ci deve essere stato un motivo di curiosità ed un poco di malizia. Vogliono osservare Gesù per vedere come lui osserva le prescrizioni della legge.
? Luca 14,2: La situazione che provoca l’azione di Gesù. “C’era un uomo idropico”. Non si dice come un idropico possa entrare in casa del capo dei farisei. Ma se sta davanti a Gesù è perché vuole essere curato. I farisei osservano Gesù. Era un giorno di sabato, e nel giorno di sabato è proibito curare. Cosa fare? Si può o non si può?
? Luca 14,3: La domanda di Gesù agli scribi ed ai farisei. “Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: “È lecito o no curare di sabato?” Con la sua domanda Gesù spiega il problema che stava nell’aria: si può o no curare il giorno di sabato? La legge lo permette sì o no? Nel vangelo di Marco la domanda è ancora più provocatrice: “Il giorno di sabato è lecito fare il bene o il male, salvare o uccidere?” (Mc 3,4).
? Luca 14,4-6: La guarigione. I farisei non rispondono e rimangono in silenzio. Dinanzi al silenzio di colui che né approva né disapprova, Gesù prende l’uomo per mano, lo guarisce e lo congeda. Dopo, per rispondere ad una possibile critica, spiega il motivo che lo ha spinto a curare: “Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori nel giorno di sabato?” Con questa domanda Gesù mostra l’incoerenza dei dottori e dei farisei. Se uno di loro, nel giorno di sabato, non ha problemi nel soccorrere un figlio o perfino un animale, anche Gesù ha diritto di aiutare l’idropico. La domanda di Gesù evoca il salmo, dove si dice che Dio stesso soccorre uomini ed animali (Sal 36,8). I farisei “non potevano rispondere nulla a queste parole” . Perché dinanzi all’evidenza, non ci sono argomenti che la neghino.

4) Per un confronto personale

? La libertà di Gesù dinanzi ad una situazione. Anche se osservato da chi non lo approva, non perde la libertà. Qual è la libertà che c’è in me?
? Ci sono momenti difficili nella vita, in cui siamo obbligati a scegliere tra il bisogno immediato del prossimo e la parola della legge. Come agire?

5) Preghiera finale

Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
nel consesso dei giusti e nell’assemblea.
Grandi sono le opere del Signore,
le contemplino coloro che le amano. (Sal 110)

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La Sindone

La Sindone dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

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DELLA PREGHIERA DETTA CON DOLORE E CON LA QUALE L’UOMO NASCE ALL’ETERNITÀ

diverse citazioni a San Paolo, dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/insegnamenti/preghierasofronio.htm

DELLA PREGHIERA DETTA CON DOLORE E CON LA QUALE L’UOMO NASCE ALL’ETERNITÀ
 
dell’Archimandrita Sofronio
 
Gli approcci della preghiera profonda sono strettamente legati ad un profondo pentimento per i nostri peccati. Quando l’amarezza di questo taglio va oltre ciò che possiamo sopportare, il dolore ed il violento disgusto di sé cessano improvvisamente. In modo completamente inatteso, tutto cambia grazie all’irruzione dell’amore di Dio. E il mondo è dimenticato. Molti chiamano tale fenomeno “estasi”. Non mi piace questo termine, poiché è spesso associato a diverse deformazioni. Ma anche se chiamiamo diversamente questo dono di Dio e lo denominiamo “uscita dell’anima pentita verso Dio”, io dovrei dire che non mi è mai venuta l’idea di “coltivare” tale stato, cioè di cercare mezzi artificiali per giungervi. Questo stato è sempre venuto in modo completamente inatteso ed ogni volta diverso. La sola cosa di cui mi ricordo con sicurezza, è della mia afflizione inconsolabile causata dall’allontanamento da Dio; questa sofferenza era in un certo qual modo strettamente collegata al mio cuore. Mi pentivo amaramente della mia caduta e, se le mie forze fisiche fossero bastate, le mie lamentazioni non sarebbero mai cessate.
Ho scritto queste righe e, non senza tristezza, “mi ricordo dei giorni antichi” (Salmo 142, 5) – piuttosto delle notti – quando il mio spirito ed il mio cuore avevano così radicalmente deviato dalla mia vita passata che, per anni, il ricordo di ciò che avevo lasciato dietro di me non mi sfiorava più. Dimenticavo anche le mie cadute spirituali, ma la visione schiacciante della mia indegnità di fronte alla santità di Dio non cessava di intensificarsi.
Più di una volta, mi sono sentito come crocifisso su una croce invisibile. Al Monte Athos, ciò mi succedeva quando la rabbia contro quelli che mi avevano contrariato si impossessava di me. Questa passione terribile uccideva in me la preghiera e la riempiva d’orrore. A volte, mi sembrava impossibile lottare contro di essa: mi sbranava come una bestia feroce lacera la sua preda. Una volta, per un breve momento d’irritazione, la preghiera mi lasciò. Affinché ritornasse, dovetti lottare per otto mesi. Ma quando il Signore cedé alle mie lacrime, il mio cuore divenne più vigilante e più paziente.
Quest’esperienza della crocifissione si ripeté più tardi (allora ero già ritornato in Francia), ma in un altro modo. Non rifiutavo mai di prendermi cura, come confessore, di quelli che si rivolgevano a me. Il mio cuore provava una compassione particolare per le sofferenze dei malati mentali. Scossi dalle eccessive difficoltà della vita contemporanea, alcuni di loro richiedevano con insistenza un’attenzione prolungata, cosa che andava oltre le mie forze. La mia situazione era diventata senza via d’uscita: dovunque mi giravo, qualcuno gridava di dolore. Ciò mi rivelò la profondità delle sofferenze degli uomini della nostra epoca, triturati dalla crudeltà della nostra famosa civilizzazione.
Gli uomini creano enormi meccanismi governativi che si rivelano essere degli apparati impersonali, per non dire inumani, che schiacciano con indifferenza milioni di vite umane. Incapace di cambiare i crimini – davvero intollerabili, benché legalizzati – della vita sociale dei popoli, sentivo nella mia preghiera, senza alcuna immagine sensibile, la presenza di Cristo crocifisso. Vivevo in spirito la sua sofferenza con una tale acutezza che, anche se avessi visto con i miei stessi occhi colui che è stato “innalzato da terra” (cfr. Giovanni 12, 32), ciò non avrebbe in nessun modo aumentato la mia partecipazione al suo dolore. Per quanto insignificanti siano state le mie esperienze, approfondirono la mia conoscenza di Cristo nella sua manifestazione sulla terra per salvare il mondo.
In lui ci è stata data una rivelazione meravigliosa. Essa attrae il nostro spirito a lui con la grandezza del suo amore. Mentre piangeva, il mio cuore benediceva, e benedice ancora, il nostro Dio e Padre che ha voluto rivelarci, con il Santo Spirito, l’incomparabile e unica verità e santità del suo Figlio nelle piccole prove che ci colpiscono.
La grazia accordata ai principianti per attirarli ed istruirli non è a volte inferiore a quella data ai perfetti; tuttavia, ciò non significa che sia già assimilata da colui che ha ricevuto questa benedizione terribile. L’assimilazione dei doni divini esige delle prove prolungate ed una intensa fatica ascetica. Per risorgere e rivestire “l’uomo nuovo” di cui parla san Paolo (Efesini 4, 22-24), l’uomo decaduto passa attraverso tre tappe. La prima, è l’appello e l’ispirazione a intraprendere lo sforzo ascetico e spirituale che si presenta a noi. La seconda, è la perdita della grazia “percettibile” e la prova dell’abbandono di Dio; il suo senso è di offrire all’asceta la possibilità di manifestare la sua fedeltà a Dio con una scelta libera. La terza, infine, è l’acquisizione per la seconda volta della grazia percettibile, e la sua custodia legata ormai ad una conoscenza spirituale di Dio.
“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto. E chi è ingiusto nel poco, è ingiusto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? E se non siete stati fedeli in ciò che è altrui, chi vi darà il vostro?” (Luca 16, 10-12). Colui che, nel corso della prima tappa, è stato istruito direttamente dall’azione della grazia nella preghiera ed in qualsiasi altra opera buona, e che, durante un abbandono prolungato di Dio, vive come se la grazia rimanesse immutabilmente con lui, riceverà – dopo una lunga messa alla prova della sua fedeltà – la “vera” ricchezza in possesso eterno, ormai inalienabile. In altre parole, la grazia e la natura creata si collegano, ed i due diventano uno. Questo dono ultimo è la deificazione dell’uomo, la sua partecipazione al modo di essere divino, santo e senza inizio. È la trasfigurazione di tutto l’intero uomo, con la quale diventa simile al Cristo, perfetto.
Quanto a quelli che non rimangono fedeli “in ciò che appartiene ad altri”, secondo l’espressione del Signore, perdono ciò che hanno ricevuto all’inizio. Qui, osserviamo un certo parallelismo con la parabola dei talenti (cfr. Matteo 25, 14-29). […] Questa parabola, come pure quella dell’amministratore infedele, non è applicabile alle relazioni umane abituali, ma soltanto a Dio. Il padrone non tolse nulla al servo che aveva fatto fruttificare i talenti e li aveva raddoppiati, ma gli rimise in possesso la totalità – i talenti che gli erano stati affidati e quelli che aveva acquisito con la sua fatica – come ad un comproprietario: “Entra nella gioia (del possesso del Regno) del tuo Signore”. Quanto al talento del servo pigro, il padrone lo rimise “a colui che ne aveva dieci”, “poiché sarà dato”, a tutti coloro che fanno fruttificare i doni di Dio “e saranno nell’abbondanza” (Matteo 25, 29).
San Giovanni il Climaco dice da qualche parte che ci si può familiarizzare con qualsiasi scienza, qualsiasi arte, qualsiasi professione al punto da finire per esercitarla senza sforzo particolare. Ma pregare senza pena, ciò non è stato mai dato a nessuno, soprattutto la preghiera senza distrazione, compiuta dall’intelletto nel cuore. L’uomo che prova una forte attrazione per questa preghiera può sentire un desiderio difficilmente realizzabile: fuggire da ovunque, nascondersi da tutti, nascondersi nelle profondità della terra in cui, anche in pieno giorno, la luce del sole non penetra, o non giungono gli echi né delle pene degli uomini né delle loro gioie, dove si abbandona ogni preoccupazione di ciò che è passeggero. È comprensibile, poiché è naturale dissimulare la sua vita intima dagli sguardi esterni; ma, questa preghiera mette a nudo il nucleo stesso del cuore, che non sopporta di essere toccato, se non per mano del nostro Creatore.
A quali dolorose tensioni un tale uomo non si espone nei suoi tentativi per trovare un luogo conveniente a questa preghiera! Come un soffio venuto da un altro mondo, genera diversi conflitti, tanto interni che esterni. Uno di essi è la lotta con il proprio corpo, che non tarda a scoprire la sua incapacità a seguire gli slanci dello spirito; molto spesso, le necessità corporali diventano così lancinanti che costringono lo spirito a scendere dalle altezze della preghiera per prendere cura del corpo, altrimenti quest’ultimo rischia di morire.
Un altro conflitto interno emerge, particolarmente all’inizio: come possiamo dimenticare coloro che ci è stato comandato di amare come noi stessi? Teologicamente il ritiro dal mondo si presenta all’intelligenza come un passo opposto ai sensi di questo comandamento; eticamente, come un intollerabile “egoismo”; misticamente, come un’immersione nelle tenebre della spoliazione, in cui non c’è nessun appoggio per lo spirito, dove possiamo perdere coscienza della realtà di questo mondo. Infine, abbiamo timore, poiché non sappiamo se la nostra impresa soddisfi il Signore.
La spoliazione ascetica di tutto ciò che è creato, quando è soltanto il risultato dello sforzo della nostra volontà umana, è troppo negativa. Come tale, è chiaro che un atto puramente negativo non può condurre al possesso positivo, concreto, di ciò che si cerca. Non è possibile esporre tutte le vibrazioni e tutti gli interrogativi che assalgono lo spirito in simili momenti. Eccone tuttavia uno: “Ho rinunciato a tutto ciò che è passeggero, ma Dio non è con me. Non è questo «le tenebre esterne», l’essenza dell’inferno?”. Il ricercatore della preghiera pura passa per molti altri stati, a volte terribili per l’anima. Può darsi che tutto ciò sia inevitabile su questa via. L’esperienza mostra che è caratteristico per la preghiera penetrare nei vasti settori dell’essere cosmico.
Per la loro natura, i comandamenti di Cristo trascendono tutti i limiti; l’anima si tiene sopra il baratro dove il nostro spirito inesperto non discerne alcun cammino. Cosa farò? Non posso contenere l’abisso spalancato che si trova dinanzi a me; vedo la mia piccolezza, la mia debolezza; a volte, inciampo e cado da qualche parte. La mia anima, consegnata “nelle mani del Dio vivente”, si rivolge molto naturalmente a lui. Allora, mi raggiunge senza difficoltà, dovunque mi trovi.
All’inizio, l’anima è nel timore. Ma, dopo essere stata più di una volta salvata dalla preghiera, si rinforza gradualmente nella speranza, diventa più coraggiosa dove prima il coraggio sembrava completamente inappropriato.
Provo a scrivere sul combattimento invisibile del nostro spirito. Le esperienze che ho vissuto non mi hanno dato ragioni sufficienti per ritenere di avere già trovato l’eternità. Secondo me, finché siamo in questo corpo materiale, ricorriamo necessariamente ad analogie prese in prestito al mondo visibile.
 
Estratto da: Archimandrite Sophrony, La prière, expérience de l’éternité, Cerf/Le sel de la terre, 1998.  
 
Padre di bontà, o Figlio unico, o Santo Spirito, Trinità fonte di Luce e Creatrice di Vita,
Che, per la tua sapienza insondabile, hai chiamato tutta la creazione visibile ed invisibile dal non essere all’essere, e che, con la tua potenza ineffabile mantieni tutte le cose,
Che, per i tuoi altri benefici riguardo agli uomini, ci hai affidato questo ministero celeste:
Rendici degni con la tua grazia di credere in questo Mistero, di cogliere la maestà e di compiere con un cuore puro ed uno spirito illuminato questo sacramento in un modo degno,
Noi ti preghiamo, esaudisci ed abbi pietà.
Archimandrita Sofronio
 
Traduzione a cura di Tradizione Cristiana
 

Publié dans:CHIESA ORTODOSSA, MEDITAZIONI |on 28 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 28 ottobre 2010: (Ef 2,19)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/19745.html

Omelia (28-10-2010) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio. (Ef 2,19)

Come vivere questa Parola?
A S.Paolo, innamorato di Cristo che ha afferrato pienamente la sua vita nella luce, importa una cosa sola: rendere consapevoli quelli di Efeso e noi della nostra splendida identità.
Incomincia col dire quello che non siamo: « né stranieri, né ospiti », ossia persone a cui porgi attenzione e di cui hai cura, però senza profondi legami d’intimità. Poi ecco che S.Paolo svela al nostro cuore quello che, in realtà noi siamo: « concittadini dei santi e familiari di Dio ».
Spesso, nell’immaginario del popolo, i santi sono quelli raffigurati con tanto di aureola, quelli a cui, se gli dedichi un coroncino o una novena di preghiere propiziatorie, ti sganciano la grazia che cerchi: guarire da qualche malanno, vincere la causa intentata col vicino di casa o cose simili. Ma i santi sono ben altro, per fortuna! Sono gente che ha camminato come noi coi piedi ben piantati a terra, ma con gli occhi del cuore in cielo. Non sono quelli che hanno « pagato la tassa » della messa domenicale, ma quelli che hanno creduto di essere immensamente amati. Sì, alla fine della vita, ci sarà chiesto se abbiamo imparato ad amare con cuore vivo e mani operanti il bene o se siamo stati refrattari all’amore come la chiave arrugginita alla toppa.
E familiari di Dio significa proprio questo: imparare, giorno dietro giorno, a voler bene a tutti, a fare del bene a tutti, con quella letizia del cuore di cui è simbolo l’uccello che vola alto nel sole.

Nella mia pausa contemplativa, oggi, sto lì a guardarmi nello specchio della Parola. E mi chiedo: sono contento di essere anch’io chiamato a una vita santa? E vivo l’intimità con Dio?

Signore, tu sei più intimo a me di me stesso. Rendimene sempre più consapevole e fammi vivere di conseguenza.

La voce di una beata
La santità è amore, è corrispondenza alla grazia, è trionfo, è vittoria su di noi e sul mondo, è l’ideale di Gesù per noi.
Beata Madre Maria Candida dell’Eucaristia 

Omelia per il giorno 28 ottobre 2010: Commento Luca 6,12-16

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13881.html

Omelia (28-10-2008) 
a cura dei Carmelitani

Commento Luca 6,12-16

1) Preghiera

O Dio, che per mezzo degli Apostoli
ci hai fatto conoscere il tuo mistero di salvezza,
per l’intercessione dei santi Simone e Giuda
concedi alla tua Chiesa di crescere continuamente
con l’adesione di nuovi popoli al Vangelo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 6,12-16
Avvenne che in quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione.
Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d’Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.

3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci parla di due fatti: (a) descrive la scelta dei dodici apostoli (Lc 6,12-16) e (b) informa che una folla immensa voleva incontrare Gesù per ascoltarlo, toccarlo ed essere guarita (Lc 6,17-19).
? Luca 6,12-13: Gesù passa la notte in preghiera e sceglie i dodici apostoli. Prima della scelta definitiva dei dodici apostoli, Gesù sale sulla montagna e vi trascorre una notte intera in preghiera. Prega per sapere chi scegliere e sceglie i Dodici, i cui nomi sono registrati nei vangeli. E dà loro il titolo di apostolo. Apostolo significa inviato, missionario. Loro sono stati chiamati a svolgere una missione, la stessa missione che Gesù ha ricevuto dal Padre (Gv 20,21). Marco concretizza la missione e dice che Gesù li chiamò per stare con lui e mandarli in missione (Mc 3,14).
? Luca 6,14-16: I nomi dei dodici apostoli. Con piccole differenze i nomi dei Dodici sono uguali nei vangeli di Matteo (Mt 10,2-4), Marco (Mc 3,16-19) e Luca (Lc 6,14-16). Gran parte di questi nomi vengono dall’Antico Testamento: Simeone è il nome di uno dei figli del patriarca Giacobbe (Gn 29,33). Giacomo è il nome stesso di Giacobbe (Gen 25,26). Giuda è il nome dell’altro figlio di Giacobbe (Gen 35,23). Matteo anche aveva il nome di Levi (Mc 2,14), l’altro figlio di Giacobbe (Gen 35,23). Dei dodici apostoli, sette hanno il nome che viene dal tempo dei patriarchi: due volte Simone, due volte Giacomo, due volte Giuda, ed una volta Levi! Ciò rivela la saggezza e la pedagogia della gente. Mediante i nomi dei patriarchi e delle ‘matriarche’, dati ai figli ed alle figlie, la gente mantiene viva la tradizione degli antichi ed aiuta i propri figli a non perdere l’identità. Quali sono i nomi che oggi diamo ai nostri figli ed alle nostre figlie?
? Luca 6,17-19: Gesù scende dalla montagna e la gente lo cerca. Scendendo dalla montagna con i dodici, Gesù incontra una moltitudine immensa di gente che cercava di ascoltare la sua parola e di toccarlo, perché sapeva che lui sprigionava una forza di vita. Tra questa moltitudine c’erano giudei e stranieri, gente della Giudea ed anche di Tiro e Sidóne. Era gente abbandonata, disorientata. Gesù accoglie tutti coloro che lo cercano. Giudei e pagani! Questo è uno dei temi preferiti da Luca che scrive per i pagani convertiti!
? Le persone chiamate da Gesù sono una consolazione per noi. I primi cristiani ricordano e registrano i nomi dei Dodici apostoli e degli altri uomini e donne che seguiranno Gesù da vicino. I Dodici, chiamati da Gesù per formare con lui la prima comunità, non erano santi. Erano persone comuni, come tutti noi. Avevano le loro virtù ed i loro difetti. I vangeli informano molto poco sul temperamento e il carattere di ciascuna di loro. Ma ciò che dicono, anche se poco, è per noi motivo di consolazione.
- Pietro era una persona generosa e piena di entusiasmo (Mc 14,29.31; Mt 14,28-29), ma nel momento del pericolo e della decisione, il suo cuore diventa piccolo e fa marcia indietro (Mt 14,30; Mc 14,66-72). Giunge ad essere satana per Gesù (Mc 8,33). Gesù lo chiama Pietra (Pietro). Pietro di per sé non era Pietra. Diventa pietra (roccia), perché Gesù prega per lui (Lc 22,31-32).
- Giacomo e Giovanni sono disposti a soffrire con e per Gesù (Mc 10,39), ma erano molto violenti (Lc 9, 54). Gesù li chiama “figli del trono” (Mc 3,17). Giovanni sembrava avere una certa invidia. Voleva Gesù solo per il suo gruppo (Mc 9,38).
- Filippo aveva un modo di fare accogliente. Sapeva mettere gli altri a contatto con Gesù (Gv 1,45-46), ma non era molto pratico nel risolvere i problemi (Gv 12,20-22; 6,7). A volte, era molto ingenuo. Ci fu un momento in cui Gesù perse la pazienza con lui: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? (Gv 14,8-9)
- Andrea, fratello di Pietro ed amico di Filippo, era più pratico. Filippo ricorre a lui per risolvere i problemi (Gv 12,21-22). Andrea chiama Pietro (Gv 1,40-41), ed Andrea trovò il fanciullo con cinque pani e due pesci (Gv 6,8-9).
- Bartolomeo sembra essere lo stesso che Natanaele. Costui era di lì e non poteva ammettere che qualcosa di buono potesse venire da Nazaret (Gv 1,46).
- Tommaso fu capace di sostenere la sua opinione, una settimana intera, contro la testimonianza di tutti gli altri (Gv 20,24-25). Ma quando vide che si era sbagliato non ebbe paura di riconoscere il suo errore (Gv 20,26-28). Era generoso, disposto a morire con Gesù (Gv 11,16).
- Matteo o Levi era pubblicano, esattore, come Zaccheo (Mt 9,9; Lc 19,2). Erano persone impegnate nel sistema oppressore dell’epoca.
- Simone, invece, sembra che appartenesse al movimento che si opponeva radicalmente al sistema che l’impero romano imponeva al popolo giudeo. Per questo lo chiamavano anche Zelota (Lc 6,15). Il gruppo degli Zeloti giunse a provocare una rivolta armata contro i romani.
- Giuda era colui che si occupava del denaro nel gruppo (Gv 13,29). Tradisce Gesù.
- Giacomo di Alfeo e Giuda Taddeo, di questi due i vangeli non dicono nulla, salvo il nome.

4) Per un confronto personale

? Gesù trascorre tutta la notte in preghiera per sapere chi scegliere, e sceglie questi dodici! Quale conclusione trarre dal gesto di Gesù?
? I primi cristiani ricordavano i nomi dei dodici apostoli che erano all’origine della loro comunità. Tu ricordi i nomi delle persone che sono all’origine della comunità a cui appartieni? Ricordi il nome di qualche catechista o professore/ssa significativo/a per la tua formazione cristiana? Cosa ricordi maggiormente di loro: il contenuto che ti insegnarono o la testimonianza che ti dettero?

5) Preghiera finale

Buono è il Signore,
eterna la sua misericordia,
la sua fedeltà per ogni generazione. (Sal 99) 

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 27 octobre, 2010 |Pas de commentaires »
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