Salmo 133 (di Gianfranco Ravasi)
dal sito:
http://www.apostoline.it/riflessioni/salmi/Salmo133.htm
I SALMI CANTI SUI SENTIERI DI DIO
Come fratelli (Salmo 133)
di Gianfranco Ravasi
Ecco quanto è bello e quanto è soave
che i fratelli abitino insieme!
È come olio prezioso sul capo
che scende sulla barba,
sulla barba di Aronne,
che scende sul collare della sua veste.
È come rugiada dell’Hermon
che scende sui monti di Sion.
Là il Signore ha disposto la sua benedizione
e la vita in eterno.
Eccoci davanti quasi ad una miniatura deliziosa: è il Salmo 133 che descrive la vocazione che ogni uomo riceve alla fratellanza. Idealmente il salmo dovrebbe essere cantato ogni giorno da una famiglia unita, da una comunità solidale, da un gruppo di amici sinceri, dalla Chiesa corpo di Cristo. Poco più di 30 parole ebraiche sostengono questa lirica carica di umanità ed amore, fondata su un dato elementare, quello secondo cui – come diceva già il filosofo greco Aristotele – l’uomo è un « animale politico e sociale ». Ma fondata anche su un dato religioso, quello della comune appartenenza al popolo dell’alleanza. Il primo dato, sia pure con molte reticenze e con molto realismo, era stato affermato nella Bibbia anche da Qohelet: « Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Guai, invece, a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre cappi non si rompe tanto presto » (4,9-12).
Ma il Salmo 133 è più attento alla dimensione religiosa ed « ecclesiale » della fraternità. Il gioioso proverbio citato nel v.1 potrebbe perciò essere trascritto così in chiave cristiana: « Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, dall’amore che avrete a vicenda » (Giovanni 13,35). Il tema è commentato attraverso una duplice simbologia. Innanzitutto l’olio profumato (v.2) sulla cui preparazione per le cerimonie di consacrazione si sviluppa un’intera pagina dell’Esodo (30,22-38).
Esso è simbolo della consacrazione, della potenza e della santità di Dio effuse in abbondanza nell’uomo ed è anche simbolo di cordialità e di ospitalità. L’abbondanza di questa effusione è testimoniata dall’effluvio che essa produce su tutto il corpo e le vesti, mentre la qualità sacerdotale della consacrazione è dimostrata dal personaggio citato, Aronne, fondatore del sacerdozio ebraico.
Il secondo simbolo è evocato probabilmente in contrasto con gli aspri colli su cui è posta Gerusalemme, colli pietrosi e aridi: l’Hermon, invece, il monte che segna il confine settentrionale della Palestina, è per la sua altezza (m 2760) ricoperto da nevi perenni sulla vetta mentre sulle pendici è ricco di vegetazione verdissima e, all’alba, di rugiada. Un’immagine di freschezza in un mondo assolato e bruciato, un’immagine di ristoro in un panorama immobile sotto la calura, un’immagine di sazietà in un ambiente assetato: questo è l’amore fraterno in un mondo più spesso simile ad una giungla che ad una famiglia. Anche il vecchio Isacco benedicendo il figlio Giacobbe gli aveva augurato « rugiada dal cielo » (Genesi 27,28). Ma quella benedizione cadeva proprio su una lotta tra fratelli. Ora, invece, la benedizione del Signore scende su una comunità unita e in pace (v.3).
È significativo notare la forza paradossale dell’immagine della rugiada. L’incomprensione di questa qualità ha fatto sì che su di essa si accanisse la miopia di molti lettori attenti a segnalare l’impossibilità di una rugiada che superi 200 km in linea d’aria tra il monte Hermon e Sion. Dobbiamo invece lasciare l’immagine in tutta la sua arditezza e potenza perché anche Osea metteva in bocca a Dio questa definizione: « Sarò per Israele come rugiada » (14,6). La vita fraterna, l’unione attorno allo stesso Dio nel culto, la comunione nell’interno dello stesso popolo sono come una rugiada, sottile e tenera ma efficace e feconda, che penetra tutta la mappa interiore di Israele. Un senso di freschezza e di novità avvolge tutta la terra e la storia e trasforma il salmo in un inno alla vita e alla comunione, in un cantico dell’amore fraterno, fonte di gioia spirituale e fisica, religiosa e politica.
L’amore del nostro carme è, quindi, sentito come una consacrazione, un’immersione nel sacro e in Dio, è visto come vita e fecondità (la rugiada), qualità proprie di Dio. Perciò l’orizzonte si apre verso una sottile speranza. Quando siamo tutti uniti nell’amore, nella fede e nel culto sembra quasi che il tempo si fermi e ceda il passo alla Gerusalemme celeste in cui non ci saranno più né lacrime, né guerre, né odi, né lutti, né morte (Apocalisse 21,4) e « una moltitudine immensa di uomini di ogni nazione, razza, popolo e lingua » (Apocalisse 7,9) canteranno in perfetta armonia un inno di lode e di gioia.
Vorremmo in appendice al nostro commento aggiungere una lettura del salmo secondo lo stile giudaico. Lo scegliamo nell’ambito della letteratura hassidica, propria, cioè, di quel movimento spiritualista giudaico sorto attorno al ’700 e collegato alla figura di un rabbì mistico, Baal Shem Tov. Ecco la parabola dell’amore che un suo discepolo, il rabbì da Sasson, aveva liberamente costruito come applicazione spirituale sul Salmo 133.
« Come gli uomini debbano amare l’ho imparato da un contadino. Costui si trovava con altri contadini in un’osteria e beveva. Egli stette a lungo silenzioso con gli altri; ma quando il cuore fu mosso dal vino, rivoltosi ad un compagno che gli sedeva accanto domandò: Dì un po’, mi vuoi bene o no? L’altro rispose: Ti voglio molto bene. E il contadino: Tu dici che mi vuoi bene, eppure non sai di cosa ho bisogno. Se tu veramente mi amassi, lo sapresti. L’amico non ardì ribattere e il contadino che l’aveva interrogato tacque di nuovo. Io però capii: amare gli uomini vuol dire cercare di conoscerne i bisogni e soffrire le loro pene ».
(da SE VUOI)
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