SALMI 113-118: L’HALLEL EGIZIANO

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SALMI 113-118: L’HALLEL EGIZIANO
 
Rita Torti Mazzi

I Sal 113-118 costituiscono l’Hallel, che già nel Talmud babilonese è detto «egiziano», in quanto, come commenta Rashi a bBerakot 56a[1], è detto a Pasqua per celebrare l’uscita dall’Egitto. Secondo i maestri furono scelti questi salmi, perché contengono cinque temi fondamentali della fede giudaica: l’esodo (Sal 114,1), la divisione del Mar Rosso (Sal 114,3), il dono della Torah al Sinai (Sal 114,4; cf. Gdc 5,4-5), la risurrezione dei morti (Sal 116,9) e la sofferenza che precede la venuta del Messia (Sal 115,1) (bPesachim 118a). Tutto converge verso la Pasqua ultima, verso la redenzione messianica.
L’Hallel è nato per la Pasqua e la sua origine sarebbe molto antica: «Al tempo in cui Israele uscì dall’Egitto, uscì dalla sua schiavitù di fango e mattoni, fu allora che dissero l’Hallel» (Midrash Salmi 113,2). Se Rabbi Eleazaro l’attribuiva a Mosè e al popolo d’Israele «quando erano risaliti dal mare», altri invece l’attribuivano a Davide, ma si preferiva la prima opinione, perché non sembrava possibile «che il popolo d’Israele avesse offerto l’agnello pasquale o preso i rami di palma [il lulav, composto da palma, mirto, salice e cedro, che si agita a Sukkot], senza avere mai detto canto [di lode]» (bPesachim 117a).

L’Hallel nella liturgia di Israele

Si sa dalla Mishnah che l’Hallel era cantato nel tempio durante gli otto giorni della festa delle Capanne (Sukkah IV 5), il 14 Nisan, nel momento in cui nel tempio si offriva il sacrificio pasquale (Pesachim V 7), e nelle case durante il Seder pasquale (Pesachim X 6). Dopo la distruzione del tempio divenne parte integrante della liturgia sinagogale. Il Talmud stabilisce che si reciti completo, dopo la camidah (preghiera delle Diciotto benedizioni) del mattino, negli otto giorni della festa delle Capanne (Sukkot), negli otto giorni della «festa delle luci» (o della «Dedicazione», Chanukkah), nel primo giorno di Pasqua (Pesach) e della festa delle Settimane (Shavucot) [nella diaspora nei primi due giorni] e nel Seder pasquale (bArachin 10b). Si recita invece abbreviato (omettendo i Sal 115,1-11 e 116,1-11) negli ultimi sei giorni di Pesach (secondo il Midrash Dio rimproverò gli angeli che si apprestavano a intonare canti di giubilo mentre gli egiziani perivano nel mare, dicendo: «Le opere delle mie mani periscono nel mare e voi osate cantare canti di giubilo?») e anche all’inizio di ogni mese (Rosh Chodesh), secondo un uso sviluppatosi prima in Babilonia e poi in Israele (bTaanit 28b).
Nel Seder pasquale si recita l’Hallel diviso. Prima di bere la seconda coppa, chi presiede ricorda che in ogni generazione ognuno ha l’obbligo di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto (cf. Es 13,8) e per questo deve «ringraziare, lodare, glorificare, esaltare colui che ha fatto ai nostri padri e a noi tutti questi miracoli […]. Diciamo dunque davanti a lui: Alleluia!» (Pesachim X 5). Seguono i Sal 113-114 e poi la benedizione della «redenzione», di cui la seconda parte, attribuita a Rabbi Aqiba (verso il 135 d.C.), ha un evidente carattere messianico (Pesachim X 6).
La seconda parte dell’Hallel (Sal 115-118) si recita invece dopo il pasto sulla quarta coppa e si conclude con la «benedizione del canto» (bPesachim 118a).
Non si sarebbe potuto recitare l’Hallel al di fuori della festa: chi lo dice ogni giorno lo svilisce e lo profana (bShabbat 118b). La gioia che vi si esprime è incontenibile: deve essere cantato «con bellezza» (Cantico Rabba II 31) e cioè con forza, con entusiasmo. Si dice: «La Pasqua “nella casa” e l’hallel fora il tetto» (Cantico Rabba, II 31)[2]. Uno dei modi più comuni e antichi di recitarlo comporta la ripetizione di «alleluia» da parte dell’assemblea a ogni mezzo versetto dei salmi: complessivamente 123 volte[3].

Unità e molteplicità

L’Hallel è sempre stato sentito nella tradizione ebraica come un unico poema, con cui Israele loda il Signore per le meraviglie da lui compiute e lo ringrazia. È composto secondo un ordine; se non si leggesse secondo quest’ordine non si adempirebbe il precetto (bMeghillah 17a). Riassume tutta la storia della salvezza:
«Quando Israele uscì dall’Egitto» [Sal 114,1] si riferisce al passato. «Non per noi, Signore, non per noi» [Sal 115,1] alle presenti generazioni; «Amo, perché il Signore ascolta la mia voce» [116,1] ai giorni del Messia; «Legate la festa con funi» [118,27] ai giorni di Gog e Magog; «Mio Dio sei tu e ti rendo grazie» [118,28] al secolo futuro (jBerakot II 4; jMegillah II 1. et al.).
Ma, pur facendo parte di un insieme, i singoli salmi che costituiscono l’Hallel (Sal 113-118), restano evidentemente dei testi a sé stanti, ciascuno collocato nel proprio tempo e ciascuno con il proprio genere letterario.

Salmo 113: invito alla lode universale

Apre l’Hallel il Sal 113, che nel v. 1 invita «‘i servi del Signore» (possono esserlo, perché sono stati liberati dalla «schiavitù» d’Egitto) a una lode universale, che abbraccia il tempo («ora e sempre», v. 2) e lo spazio («dal sorgere del sole al suo tramonto», v. 3, e quindi dall’est all’ovest, su tutta la terra).

1 Alleluia

   Lodate, servi del Signore,
   lodate il nome del Signore.
2 Sia benedetto il nome del Signore
   ora e sempre.
3 Dal sorgere del sole al suo tramonto,
   sia lodato il nome del Signore.
4 Su tutti i popoli eccelso è il Signore
   più alta dei cieli è la sua gloria.
5 Chi è pari al Signore nostro Dio
   che siede nell’alto
6 e si china a guardare
   nei cieli e sulla terra?
7 Solleva l’indigente dalla polvere,
   dall’immondizia rialza il povero
8 per farlo sedere tra i principi
   tra i principi del suo popolo
9 fa abitare la sterile nella sua casa
   quale madre gioiosa di figli.

In ebraico il salmo inizia e termina con l’alleluia, che abbraccia a un tempo la lode e il nome divino (Hallelu-Yah = «Lodate YHWH»), unificando la composizione in una grande inclusione. E l’alleluia risuona ancora due volte nel v. 1, nell’imperativo hallelu («lodate»). Nei vv. 2-3, disposti chiasticamente, si riprende l’invito, esortando a «benedire», a «lodare» il nome del Signore (cf. Zc 14,9).

La motivazione della lode è la «grandezza» del Signore, su cui si insiste nella seconda strofa, affermandone con forza l’incomparabilità (v. 5): è «eccelso» sopra tutti i popoli; la sua gloria (kabod) arriva fin sopra i cieli (v. 4: cf. Is 6,3; Sal 29), ma mentre «sta in alto (siede per giudicare)» allo stesso tempo «si abbassa per guardare» (vv. 5-6; cf. Is 57,15). Cerca gli ultimi della terra e ne capovolge la situazione: i vv. 7-9 mostrano che il Signore è grande perché esalta gli umili, i poveri (cf. Is 66,2). La maestà di Dio si manifesta nella sua misericordia.
«Chi è pari al Signore nostro Dio?», chiede il salmista con una domanda retorica nel Sal 113,5. Che nessuno sia pari al Dio d’Israele lo dicono chiaramente i due salmi che seguono immediatamente, i Sal 114 e 115, considerati nella LXX un’unità (113A e 113B): il primo mostra il cosmo intero sconvolto dalla presenza del Signore accanto al suo popolo, il secondo ne proclama la superiorità assoluta sugli idoli dei pagani.

Salmo 114

1 Alleluia

   Quando Israele uscì dall’Egitto,
   la casa di Giacobbe da un popolo barbaro,
2 Giuda divenne il suo santuario,
   Israele il suo dominio.
3 Il mare vide e si ritrasse,
   il Giordano si volse indietro;
4 i monti saltellarono come arieti,
   le colline come agnelli di un gregge.
5 Che hai tu, mare, per fuggire
   E tu, Giordano, perché torni indietro?
6 Perché voi, monti, saltellate come arieti?
   E voi, colline, come agnelli di un gregge?
7 Trema, o terra, davanti al Signore,
   davanti al Dio di Giacobbe,
8 che muta la rupe in un lago,
   la roccia in sorgenti d’acqua.

Nei primi quattro versi si riassume il cammino che porta il popolo di Dio dall’Egitto alla terra promessa: il mare e il Giordano si fanno da parte per lasciarlo passare; montagne e colline tremano, quando Dio si manifesta sul Sinai per dare la Torah a Israele.
Il locutore sa cosa sta succedendo, ma finge di non sapere per suscitare una certa attesa, mettendo così in evidenza l’eccezionalità dell’avvenimento: perché il mare, il fiume, le montagne sono sconvolti da questo popolo in marcia? Il salmista non cerca una risposta alla sua domanda, né si preoccupa di darla, ma nel v. 7 invita la terra a tremare davanti al Dio di Giacobbe. Allora tutto diventa chiaro: lo sconvolgimento cosmico è provocato dalla presenza di Dio accanto al suo popolo[4]. Il Signore è il Dio creatore, che fa sgorgare l’acqua dalla roccia (v. 8). La sua potenza creatrice trasforma tutto: la roccia diventa stagno e il granito sorgente (v. 8: cf. Es 17,6): anche in altri passi l’episodio di Meriba è descritto come un prodigio di Dio (Is 48,21; Sal 107,35) come una figura dell’esodo futuro, una nuova creazione (Is 35,6s; 41,18; 43,20). Anche a Israele Dio dà una nuova identità, ne fa il suo popolo e lo conduce nella terra promessa ai Padri: il v. 1 sottolinea sia la sua separazione dall’Egitto, sia la relazione di appartenenza a Dio (cf. v. 7).

Salmo 115

1 Non a noi, Signore, non a noi,
   ma al tuo nome da’ gloria,
   per la tua fedeltà, per la tua grazia.
2 Perché i popoli dovrebbero dire:
   «Dov’è il loro Dio?»
3 Il nostro Dio è nei cieli,
   egli opera tutto ciò che vuole.
4 Gli idoli delle genti sono argento e oro
   opera delle mani dell’uomo.
5 Hanno bocca e non parlano,
   hanno occhi e non vedono,
6 hanno orecchi e non odono,
   hanno narici e non odorano.
7 Hanno mani e non palpano,
   hanno piedi e non camminano;
   dalla gola non emettono suoni.
8 Sia come loro chi li fabbrica
   e chiunque in essi confida.
9 Israele confida nel Signore:
   egli è loro aiuto e loro scudo.
10 Confida nel Signore la casa di Aronne:
   egli è loro aiuto e loro scudo.
11 Confida nel Signore chiunque lo teme:
   egli è loro aiuto e loro scudo.
12 Il Signore si ricorda di noi, ci benedice:
   benedice la casa d’Israele,
   benedice la casa di Aronne.
13 Il Signore benedice quelli che lo temono,
   benedice i piccoli e i grandi.
14 Vi renda fecondi il Signore,
   voi e i vostri figli.
15 Siate benedetti dal Signore
   che ha fatto cieli e terra.
16 I cieli sono i cieli del Signore
   ma ha dato la terra l’ha data ai figli dell’uomo.
17 Non i morti lodano il Signore
   né quanti scendono nella tomba.
18 ma noi, i viventi, benediciamo il Signore
   ora e per sempre

L’inizio è insolito: un grido improvviso rivolto al destinatario della lode, il cui nome (YHWH) è invocato fin dal v. 1 e ripetuto poi in ogni verso nei vv. 9-18. Si vuole scuotere il Signore, sottolineando che sono in gioco il suo onore, la sua fama. Dio non può venire meno, senza perdere di credibilità, alle qualità essenziali su cui si fonda l’alleanza: l’amore, la magnanimità, la fedeltà, la lealtà, la verità.
Nel duplice «Non a noi!» risuona il desiderio di uscire dalla vergogna: se Dio glorifica il suo nome, anche i suoi fedeli verranno glorificati[5].
Se gli altri popoli dubitano delle capacità del Dio d’Israele ed esprimono il loro scherno con la domanda: «Dov’è il loro Dio?» (v. 2), l’orante col suo «perché?» esorta il suo Dio a intervenire e, replicando in base al significato letterale dell’interrogativa degli avversari, li mette a tacere con una stupenda risposta: «Il nostro Dio è nei cieli e opera tutto ciò che vuole!» (v. 3).
Reagendo all’insulto, si glorifica Dio, riuscendo a ribaltare la situazione: non il Signore, ma gli idoli dei pagani sono un nulla; nei vv. 4-8 se ne sottolinea l’impotenza con sette negazioni enfatiche. Gli idoli sono opera delle mani dell’uomo: chi confida in essi resta confuso. Possono invece confidare nel Signore, Israele, la casa di Aronne, coloro che lo temono: per tre volte si ripete che egli è veramente «loro aiuto» e «loro scudo» (vv. 9-11). Se gli idoli sono impotenti (vv. 4-8), non lo è certamente il Signore, che si ricorda del suo popolo e lo benedice (vv. 12-13). È il Creatore del cielo e della terra, e, come ha benedetto in passato, così benedirà anche in futuro: una benedizione che è fecondità (vv. 14-15). E la fede diventa lode, una lode che dura per tutta la vita, costituendo l’atteggiamento fondamentale del credente (vv. 17-18).

Salmo 116: l’azione di grazie

La lode è concatenata alla supplica nel Sal 116, nel quale LXX e Vulgata vedono due blocchi distinti (i vv. 1-9 costituiscono il Sal 114; i vv. 10-19 il Sal 115).

1 Alleluia.

   Amo il Signore perché ascolta
   il grido della mia preghiera.
2 Verso di me ha teso l’orecchio
   nel giorno in cui lo invocavo.
3 Mi stringevano funi di morte,
   ero preso nei lacci degli inferi.
   Mi opprimevano tristezza e angoscia.
4 e ho invocato il nome del Signore:
   ti prego, Signore, salvami!
5 Buono e giusto è il Signore,
   il nostro Dio è misericordioso.
6 Il Signore protegge gli umili;
   ero misero ed egli mi ha salvato.
7 Ritorna, anima mia, alla tua pace,
   poiché il Signore ti ha beneficato;
8 egli mi ha sottratto dalla morte,
   ha liberato i miei occhi dalle lacrime,
   ha preservato i miei piedi dalla caduta.
9 Camminerò alla presenza del Signore
   sulla terra dei viventi.

10 Alleluia.

   Ho creduto anche quando dicevo:
   «Sono troppo infelice».

11 Ho detto con sgomento:
   «Ogni uomo è inganno».
12 Che cosa renderò al Signore
   per quanto mi ha dato?
13 Alzerò il calice della salvezza,
   e invocherò il nome del Signore.
14 Adempierò i miei voti al Signore,
   davanti a tutto il suo popolo.
15 Preziosa agli occhi del Signore
   è la morte dei suoi fedeli.
16 Sì, io sono il tuo servo, Signore,
   io sono tuo servo, figlio della tua ancella;
   hai spezzato le mie catene.
17 A te offrirò sacrifici di lode
   e invocherò il nome del Signore.
18 Adempirò i miei voti al Signore
   davanti a tutto il suo popolo,
19 negli atri della casa del Signore
   in mezzo a te, Gerusalemme

Si può considerare il salmo una composizione unitaria, racchiusa dal termine «invocare» nei vv. 2 e 17. Lo stesso verbo ricorre anche nei vv. 4 e 13, ma la prima volta il salmista ha invocato il nome del Signore per essere salvato dalla morte (v. 3), la seconda volta, invece, lo invoca per rendergli grazie. I vv. 8-9 in posizione centrale[6] mettono bene a fuoco la situazione: l’orante ha attraversato una prova mortale, ma è stato liberato; resterà in vita. Cosa potrà dare al Signore in cambio di quanto ha ricevuto? (v. 12).
Ha ricevuto la vita e pertanto deve offrire la vita che gli è stata donata. L’orante comprende che il fatto di non morire gli permette di continuare a invocare il nome di YHWH e questa volta non per chiedere aiuto, ma semplicemente per rendere grazie[7].
La supplica era il grido della sua fede; la stessa fede viene ora espressa nell’azione di grazie: alzerà «il calice della salvezza» invocando il nome del Signore davanti al suo popolo (questa seconda parte del Sal 116 è diventata nella liturgia cristiana il salmo eucaristico per eccellenza).

Salmo 117

In questo salmo, il più breve di tutto il Salterio, l’invito alla lode è universale, anche se la motivazione è nazionale:

1 Alleluia.

   Lodate il Signore, popoli tutti,
   Voi tutte nazioni, dategli gloria;
2 perché forte è il suo amore per noi
   e la fedeltà del Signore dura in eterno.

Israele parla alle nazioni: «La lode ha per contenuto un avvenimento annunciato da Israele, annunciato fuori di Israele. Israele che loda è Israele che testimonia»[8]. In Rm 15,9 Paolo, citando questo salmo in una catena di citazioni bibliche, dirà che le nazioni pagane «glorificano Dio per la sua misericordia».

Salmo 118

L’Hallel termina col Sal 118, che ricorda agli ebrei la liberazione dall’Egitto, la salvezza operata dalla destra del Signore: la Pasqua è il giorno fatto dal Signore per il suo popolo (v. 24), il giorno in cui Israele è stato scelto come pietra angolare (v. 22) per costruire la dimora di Dio in mezzo agli uomini. Il salmo si apre e si chiude con l’invito a celebrare il Signore «perché è buono, perché eterna è la sua misericordia» (vv. 1.29). I diversi gruppi a cui viene rivolto l’invito (cf. Sal 115,9-11) rispondono in coro: «Eterna è la sua misericordia» (vv. 2.3.4), ritornello ripetuto in ogni versetto anche nel Sal 136. Un personaggio principale (il re? Il popolo rappresentato da un individuo?), superato un grave pericolo, rende grazie pubblicamente: loda il Signore perché l’ha esaudito, l’ha salvato (vv. 14-15.21). L’intera comunità chiede: hoshya-na = salvaci! (v. 25). è l’Osanna (cf. Mc 11,9), utilizzato dopo l’esilio (in particolare nella festa delle Capanne) essenzialmente come domanda. Si rinnova la domanda per il futuro, acclamando il Signore, l’unico capace di salvare. Al culmine della cerimonia (vv. 28-29) il personaggio principale pronuncia il suo atto di fede e di fedeltà verso il Signore («Sei tu il mio Dio») e, al tempo stesso, la sua azione di grazie, a cui tutti sono invitati a unirsi.

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[1] I testi del Talmud babilonese sono preceduti dalla lettera b, quelli del Talmud palestinese (o di Gerusalemme) dalla lettera j.
[2] Oppure: «La Pasqua “come un’oliva” [la porzione di agnello pasquale che spetta a ciascuno è piccola come un’oliva] e l’hallel fora il tetto» (jPesachim VII 12).
[3] Cf. U. Neri (ed.), Alleluia. Interpretazioni ebraiche dell’Hallel di Pasqua (Sal 113-118), Città Nuova, Roma 1981.
[4] R. Torti Mazzi, Quando interrogare è pregare. La domanda nel Salterio alla luce della letteratura accadica, San Paolo, Cinisello B. 2003, 276.
[5] Torti Mazzi, Quando interrogare è pregare, 249.
[6] Per l’analisi della struttura, cf. J.N. Aletti – J. Trublet, Approche poétique et théologique des Psaumes. Analyses et methodes, Cerf, Paris 1983, 38-39.
[7] Torti Mazzi, Quando interrogare è pregare, 263.
[8] P. Beauchamp, Salmi notte e giorno, Cittadella, Assisi 1983, 115.

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